Narcisismo tra mito e realtà
Nel panorama culturale contemporaneo, il tema del narcisismo continua a emergere con forza, attraversando il cinema, la psicoanalisi, la sociologia e la filosofia. Un esempio emblematico si trova nel film norvegese Sick of Myself (2022), diretto da Kristoffer Borgli. La protagonista, Signe, vive a Oslo ed è intrappolata in una relazione segnata dalla competizione: il suo compagno Thomas, artista concettuale, ottiene notorietà e riconoscimenti, mentre lei si sente invisibile. Per ribaltare la situazione decide di ricorrere a un farmaco illegale, noto per i devastanti effetti collaterali sulla pelle e sull’organismo. L’autolesionismo diventa così uno strumento di spettacolarizzazione di sé: più il corpo di Signe si deteriora, più lei guadagna attenzione, visibilità mediatica e centralità sociale. La parabola di Signe ci conduce dentro un paradosso: il bisogno di riconoscimento, quando si trasforma in ossessione, può condurre a scelte autodistruttive.
Su questi temi ha riflettuto lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi durante la conferenza L’arcipelago del narcisismo, organizzata in occasione del Festival della Filosofia 2024, a Modena. La metafora dell’arcipelago non è casuale: indica una pluralità di isole collegate ma distinte, ciascuna con la propria forma, il proprio paesaggio. Allo stesso modo, il narcisismo non è un blocco unico ma una costellazione di fenomeni psichici, sociali e relazionali. Per Lingiardi, non esiste cultura senza ascolto dell’altro. Eppure, ciò che definisce l’esperienza narcisistica è proprio la mancanza di ascolto: la concentrazione esclusiva su di sé produce una sordità psichica, un immobilismo interiore che impedisce lo scambio autentico.
Per comprendere questa condizione occorre tornare al mito. Nelle Metamorfosi di Ovidio, Narciso è un giovane di straordinaria bellezza incapace di rivolgere il suo amore a qualcun altro. Eco, la ninfa innamorata di lui, viene condannata a ripetere soltanto le parole altrui: privata della sua voce, resta l’emblema della prima vittima della non-curanza narcisistica. In questo mito vi sono già due elementi fondamentali: la fascinazione per la propria immagine e l’assenza di ascolto dell’altro. Narciso si perde nello specchio d’acqua e muore, immobilizzato in una contemplazione che sospende la vita. La sua vicenda diventa così simbolo di un pericolo: l’autocentratura estrema, che conduce alla stasi, alla morte psichica e relazionale.
Sigmund Freud riprese il mito e ne fece il nome di un funzionamento psichico: il narcisismo come condizione in cui l’energia libidica è rivolta a se stessi anziché agli altri. Negli anni ’70, lo storico e sociologo Christopher Lasch ampliò la prospettiva, individuando una vera e propria “cultura del narcisismo” negli Stati Uniti: una società fondata sull’individualismo, sull’autocelebrazione, sulla ricerca competitiva di soddisfazioni personali. Se negli anni ’70 il narcisismo era una tendenza culturale, oggi appare come un vero e proprio paradigma sociale, esaltato dall’avvento dei social network. Le piattaforme digitali offrono spazi privilegiati per la costruzione e la diffusione di immagini di sé, spesso scollegate dal dialogo reale. Quando al racconto della propria vita non si accompagna mai la domanda “E tu come stai?”, il narcisismo diventa patologico.
Uno degli aspetti più interessanti messi in luce da Lingiardi riguarda la gratitudine, considerata l’antitesi del narcisismo. Ringraziare implica riconoscere di aver ricevuto qualcosa e, di conseguenza, ammettere una propria mancanza. È un gesto che apre alla relazione e rafforza i legami. Al contrario, quando prevale l’invidia, la dipendenza dall’altro viene vissuta come umiliazione. La consapevolezza che qualcuno possiede ciò che io non ho genera rabbia, risentimento, vergogna. Questo meccanismo porta a relazioni fragili, segnate dalla competizione distruttiva piuttosto che dalla collaborazione e dal riconoscimento reciproco.
Il narcisismo si manifesta in due forme principali. Da un lato il narcisismo arrogante, caratterizzato da un bisogno costante di ammirazione, dall’assenza di dubbi su di sé, dalla convinzione che i propri diritti siano indiscutibili. In questa forma manca quasi del tutto l’empatia: l’altro è ridotto a specchio che conferma la propria grandezza. Dall’altro lato troviamo il narcisismo dell’inferiorità, meno visibile, ma non meno pervasivo. Qui domina un senso di impotenza e di inadeguatezza. La persona ricerca approvazione, è ipersensibile alle critiche, si percepisce fragile, eppure coltiva segretamente un senso di grandiosità incompresa. Questa oscillazione porta spesso a relazioni instabili, fatte di idealizzazioni e brusche cadute. In realtà, queste due forme non sono compartimenti stagni: ognuno di noi, in momenti diversi della vita, può oscillare tra l’una e l’altra.
Le dinamiche narcisistiche si manifestano spesso nelle relazioni affettive. Una coppia può funzionare per anni su un equilibrio apparente, ma quando una delle due persone si accorge che il partner utilizza la relazione come teatro dei propri bisogni narcisistici, il legame si incrina. Spesso, osserva Lingiardi, è la donna a riconoscere questa dinamica e a decidere di allontanarsi. In questi casi, per l’uomo narcisista l’abbandono può trasformarsi in una ferita insopportabile, che talvolta degenera in comportamenti violenti, fino ad arrivare all’annullamento dell’altro.
Un aspetto cruciale riguarda le radici infantili del narcisismo. Dietro ogni narcisista, spiega Lingiardi, c’è un bambino non riconosciuto, non visto abbastanza o, al contrario, schiacciato da uno sguardo invadente e carico di aspettative. Il narcisismo adulto è spesso la cicatrice di un’infanzia in cui il bisogno di essere riconosciuti non ha trovato risposta adeguata. Da qui nasce l’incapacità di misurarsi con la frustrazione, con il limite, con l’imperfezione.
Il punto di arrivo, tuttavia, non è la condanna del narcisismo in sé. In ogni persona esistono componenti narcisistiche, che possono avere anche una funzione vitale: il desiderio di riconoscimento è parte della crescita e dell’autostima. L’equilibrio narcisistico consiste nell’autostima, ovvero riconoscersi di valore, ma concedersi la possibilità di cadere.