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 Le tesi 10, 11 e 12 del vescovo Spong

di Dario Culot

Il Vescovo John Shelby Spong - foto di Scott Griessel, tratta da commons.wikimedia.org

La preghiera – scrive il vescovo Spong nella sua tesi n. 10 - intesa come richiesta fatta a una divinità teistica esterna di agire nella storia umana è poco più di un isterico tentativo di mettere il Sacro al servizio dell’umano.

Ma allora, se quell’essere soprannaturale che noi pensavamo fosse Dio onnipotente non viene in nostro aiuto, come si deve pregare?

L’autore ricorda il caso di un illustre vescovo che ricevendo in pubblico l’espressa richiesta se pregava, rispose con un secco “no”. Dopo una pausa che sembrava interminabile davanti all’evidente sconcerto del pubblico, il vescovo aggiunse: “Se avessi risposto con un ‘sì’, chi mi ha fatto la domanda avrebbe supposto che io accettavo la sua definizione di Dio e di ciò che significa pregare. Ma dopo il mio ‘no’ possiamo discutere su cosa intendiamo con le parole ‘Dio’ e ‘preghiera’, cominciando a superare la confusione fra Dio e Babbo Natale che proviene dalla nostra infanzia”. La nostra preghiera non può essere come una letterina a Babbo Natale: “Caro Dio, sono stato bravo e allora vorrei che tu facessi questo per me”. Non è così che molti ancora intendono la preghiera? Non pensiamo che tirando Dio per la giacchetta potremo cambiare la sua volontà e con essa il corso della storia?

Dovremmo cancellare l’idea che la preghiera sia la richiesta di qualcuno che ha bisogno a Qualcuno che ha il potere di soddisfare quel bisogno. “Signore, fa che il cibo non manchi a nessuno dei nostri fratelli”, “Signore, concedi la pace a questi popoli che si combattono”, “Signore, guariscimi da questo brutto male che mi è stato diagnosticato”. Ma se Dio avesse il potere d’intervenire nella storia, perché non lo utilizzerebbe con più frequenza? Se normalmente non lo fa è perché è malevolo o perché è impotente?

Dunque la preghiera deve essere un modo di accostarsi alla realtà in maniera nuova, e non può essere un modo di chiedere a Dio di precipitarsi in nostro aiuto per cambiare la realtà[1].

Per chiarire questo concetto Spong porta due episodi che gli sono capitati nella vita, perché dice che l’esperienza fa capire sempre meglio di ogni spiegazione.

Una volta era stato chiamato in ospedale al letto di una parrocchiana che fino a quel momento era stata molto attiva in parrocchia di cui allora lui era parroco: le era stato diagnosticato un tumore all’ultimo stadio: avevano parlato per quasi tre ore, con fatica, e prima di congedarsi le aveva chiesto di dire insieme una preghiera, cosa che l’ammalata aveva accettato. Tornando a casa in auto si era confrontato sul senso della conversazione in ospedale, durante il quale era entrato così profondamente nell’angoscia della donna, rispetto alla superficialità della preghiera, così banale e così piamente ovvia. Si chiedeva quale delle due parti fosse stata veramente “preghiera”. Ed era giunto alla conclusione che occorre vivere il senso della preghiera, piuttosto che pregare. La preghiera è tale quando è condivisione dell’essere. La preghiera deve essere sempre costruita su una condivisione della vita[2].

Un’altra volta, essendo stato diagnosticato a sua moglie un tumore all’ultimo stadio, ogni qualvolta che – come vescovo - andava a visitare qualche comunità dove la notizia era già arrivata, tutti gli dicevano che stavano pregando intensamente per sua moglie e per lui. Sua moglie è vissuta ancora un paio di anni più del previsto, e molti fedeli erano convinti che le loro preghiere fossero state causa del prolungamento della vita dell’ammalata. Egli, però, si è fatto questa domanda: se uno ha un gruppo che prega con amore per lui, e un altro non ha nessuno, Dio potrebbe lasciar morire prima il secondo? La preghiera può favorire la guarigione e la longevità? Ha concluso che, se uno crede a questo, è ateo, perché crede che Dio si curi di più delle persone conosciute e benestanti (o perfino ricche) che degli sconosciuti, dei poveri e degli abbandonati. L’essenza della preghiera, e del culto, non può essere che vivere, amare ed essere. Quando san Paolo diceva che occorre pregare incessantemente (1Ts 5, 17) probabilmente intendeva dure che tutta la nostra vita deve essere una preghiera.

Con la tesi n. 11 Spong affronta il problema della vita dopo la morte, sostenendo che non è più credibile, ma neanche educativo vedere la vita dopo la morte come strumento di controllo del comportamento: ricompensa se sei stato buono, punizione se sei stato cattivo. Sicuramente, simile impostazione deriva dalla preoccupazione della Chiesa di poter controllare il comportamento umano su questa terra.

Questo sistema bicamerale appare incongruo perché, salvando solo coloro che hanno riconosciuto Gesù Cristo come Salvatore e sono stati battezzati, si condanna automaticamente anche tutte quelle persone nate prima di Cristo, pur essendo state persone virtuose. Per di più, la dottrina costruita dalla Chiesa si fondava sul pensiero greco di Platone e Aristotele, regolarmente citati ma finiti pur essi all’inferno in quanto non battezzati. Da qui la necessità dottrinale per la Chiesa di istituire il Limbo per i pagani nobili, essendosi lei stessa resa conto che andava contro la nostra coscienza relegare all’inferno chi non aveva avuto la possibilità d’incontrare Gesù (pagani nati prima di Cristo, bambini nati morti o neonati morti non appena aperti gli occhi)[3]. Dunque, per la Chiesa esisteva una versione della vita eterna senza punizione e senza ricompensa, ma comunque equa.

Ma neanche questa invenzione teologica poteva ancora soddisfare le coscienze: come potevano finire allo stesso modo all’inferno per l’eternità colui che aveva mangiato un po’ di carne solo una volta, di venerdì e chi aveva massacrato migliaia di persone?  Ecco l’invenzione del purgatorio, cioè dell’inferno temporale.

Ma simile costruzione (una casa cui si aggiungono nuove stanze nel tempo) rendevano evidente che questo aldilà era una costruzione umana, che riflettevano via via gli adattamenti nella visione di Dio che cambiava.

Oggi però ci si chiede direttamente: il controllo del comportamento è davvero lo scopo della fede cristiana? E nella storia non è avvenuto che tanti cristiani si sono dimostrati incredibilmente malvagi pur dichiarando di credere in Dio e nella dottrina, dopo essere stati battezzati?

Siamo tutti consapevoli di essere creature limitate, sì che avremo una fine come abbiamo avuto un inizio. Grazie alla scienza, oggi sappiamo anche che ognuno di noi è il risultato di una casualità: quel singolo spermatozoo, fra milioni di altri, è riuscito a fecondare quel singolo ovulo, e da quella collisione casuale è nato ciascuno di noi. Ma se l’universo ha approssimativamente 13,5 miliardi di anni, per circa 10 miliardi non c’è stata vita. La possibilità di vita doveva essere sempre stata presente, altrimenti non sarebbe potuta affiorare; ma è difficile oggi sostenere che vi sia stato improvvisamente un intervento creativo divino per far sorgere a questo punto la vita su questo nostro minuscolo pianeta, che ruota attorno a una stella di media grandezza, nell’angolo remoto di una che chiamiamo Via Lattea, una fra i 100-200 miliardi di altre galassie[4].

Inoltre, ci sono voluti altri centinaia di milioni di anni per arrivare all’uomo sapiens. Anche questo è vero, e mi piace sempre ricordare l’esempio di Greenpeace, perché di fronte a numeri per noi incomprensibili ci fa capire meglio la situazione: “La terra esiste da quasi 4.600.000 di anni. Si potrebbe paragonare la sua vita a quella di un uomo di 46 anni. In questo caso, dei primi sette anni non si sa assolutamente nulla; poco si conosce fino ai suoi 42 anni, quando cominciò a fiorire. I dinosauri comparvero all’età di 45 anni, e i mammiferi otto mesi prima dei 46. Continuando così, l’uomo moderno esisterebbe solo da quattro ore, e da un minuto è iniziata la rivoluzione industriale. In questi 60 secondi egli è riuscito a trasformare un paradiso in una discarica di rifiuti, ha causato l’estinzione di 500 specie di animali e si trova sull’orlo di una guerra che potrebbe portare all’annientamento di questa oasi di vita nel sistema solare”.

È un dato di fatto che questa nuova creatura, l’uomo, pur nella consapevolezza della sua finitezza, è stato capace di rivivere il passato e pianificare il futuro. La mente di questa creatura si è sollevata oltre i confini della vita, in qualche modo sembrava condividere l’eternità senza tempo e con la scoperta del DNA ha iniziato a comprendere l’unità della vita e a vedere la sua parentela con tutti gli altri esseri viventi[5]. Abbiamo visto che alcuni fra di noi, che chiamiamo “mistici” sembrano in grado di trascendere le barriere umane generalmente riconosciute: possono, al pari degli sciamani, mettersi in contatto con la trascendenza? Se sì, questo ci fa pensare che c’è un’effettiva possibilità di essere in qualche modo legati e partecipi di un’eternità che non possiamo meglio identificare. Da qui le domande che ci poniamo: siamo legati a ciò che è senza tempo ed eterno? È questo che l’attività chiamata preghiera sta cercando di comprendere? Siamo così profondamente connessi da poter trasmettere ad un altro le vibrazioni della vita e dell’amore che guarisce? La vita è il dispiegamento del mistero che chiamiamo Dio?[6] Anche le esperienze raccontate da persone che sono state vicine alla morte (ad esempio, la descrizione comune del tunnel di luce) possono essere un indicatore di una dimensione trascendente della vita.

Quando si muore, questa morte va inevitabilmente contro l’intero progetto della nostra vita. Non sappiamo abbastanza della vita, ma percepiamo che, ai bordi della vita, sui confini dell’autocoscienza, i concetti di realtà trascendente, di amore infinito e di vita eterna continuano ad avere senso, anche se cancelliamo i concetti di inferno, paradiso, purgatorio, limbo, ricompensa e punizione. C’è da accogliere una vita oltre la finitezza, e la Chiesa ben può essere una comunità di cercatori che prepara per ciò che verrà dopo, per la prossima avventura.

Infine, con la tesi n. 12, il vescovo Spong sostiene che l’universalismo dev’essere il vero messaggio del cristianesimo e che la “sacra tradizione” non deve mai più fornire una copertura per giustificare il male della discriminazione. Il cristianesimo deve usare solo formule per includere, mai per espellere. Solo così diventa una comunità veramente universale. Ricordiamoci che Gesù non ha mai escluso nessuno, è stato un grande abbattitore di barriere, ha abbracciato tutti in piena armonia, e ha fatto intendere che tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono già figli di Dio (Rm 8,14).

Per seguire Gesù è allora indispensabile superare le nostre divisioni e vederci tutti come fratelli; è indispensabile rinunciare a qualsiasi ruolo di giudizi, rinunciare a tutte le pretese di possedere la Verità, e occorre invece tendere ad attuare l’unità. Il cristianesimo non è Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture, non ha posto Dio su un trono a dispensare giustizia come un severo giudice, non ha posto i fedeli in ginocchio come se fossero mendicanti, non cerca d’imporre comportamenti dando definizioni di bene e male che poi tutti devono accettare. Un cristianesimo del genere si è costituito a poco a poco nel tempo, a cura degli uomini.

Quando Matteo dice che Gesù ha mandato i suoi in giro per fare discepoli tutti i popoli (Mt 28, 19) non ha dato un incarico istituzionale ai membri della Chiesa per convertire gli altri, che stavano fuori. Quando Matteo scriveva, il movimento cristiano faceva ancora parte dell’ebraismo, e non esisteva ancora un’istituzione Chiesa che cerava di espandersi. Allora l’invito significava probabilmente: “Andate oltre i limiti della vostra religione, del vostro sistema di sicurezza e delle vostre paure. Andate da quelli che la vostra tradizione religiosa ha definito impuri, dannati, non circoncisi, non credenti. Andate oltre le barriere che voi avete eretto col vostro biologico istinto di sopravvivenza”[7].

Questa idea di Spong è condivisa ormai da molti altri, teologi e non. Si è infatti sostenuto che l’uomo ha acquisito coscienza di sé nel tempo, perché è assai probabile che inizialmente, impegnato solo a difendersi da tutto e a spendere tutto sé stesso per sopravvivere, la sua auto-coscienza non avesse grande incidenza. Per miliardi di anni ogni singolo organismo esistente sul pianeta si è evoluto sottostando alla selezione naturale. Fino a 100.000 anni fa, oltre all’homo sapiens, c’erano altre specie di homo[8], ma l’evoluzione ha portato all’estinzione di queste altre specie ed è rimasto solo il sapiens più efficiente, probabilmente perché ha saputo collaborare in grandi numeri, ha saputo far circolare meglio le informazioni, o forse solo perché si è scoperto nel suo cervello un gene che gli altri ominidi non avevano[9].

In un libro abbastanza recente, Fulco Rita[10] racconta l’esperienza della vulnerabilità umana secondo il pensiero di Simone Weil. Secondo questa grande pensatrice del secolo scorso, il rischio per l’uomo è la spoliazione integrale che lascia la vita nuda, priva di ogni attributo umano. Ciò avviene quando la mera sopravvivenza è l’unico obiettivo perseguibile. L’ovvia conseguenza è che, in quelle condizioni, non si ha tempo di pensare agli altri; tutti, nell’insieme prestano poca attenzione alla sofferenza che si annida fra le pieghe della società, perché si prova un’istintiva ripugnanza a pensare alla sventura, per cui si preferisce rimuovere il problema voltandosi dall’altra parte. Ecco perché, afferma la Weil, si deve sostenere il primato dell’obbligo sul diritto. Se anche un solo uomo fosse rimasto al mondo, non avrebbe diritti, ma sicuramente avrebbe degli obblighi, anche verso sé stesso. Quindi l’obbligo nei confronti dell’essere umano è assoluto, non relativo, e deve precedere ogni relazione.

Va aggiunto che anche oggi, quando noi uomini occidentali non ci arrabattiamo più solo per sopravvivere, succede spesso, nella nostra arroganza, che ci dia fastidio pensare a coloro che soffrono. Siccome, anche se ci lamentiamo in continuazione, stiamo abbastanza bene rispetto al resto del mondo, pensiamo che la realtà siamo noi, e allora perché affaticarci se il mondo va bene (per noi) così com’è? È lo stesso discorso che facevano i sacerdoti ai tempi di Gesù. Ma la realtà, che non vogliamo vedere, è diversa. In particolare questa nostra epoca sembra caratterizzarsi sempre di più per il silenzio sui doveri privilegiando invece le pretese e i diritti. Il grave è che, proprio nel mondo occidentale prevalentemente cristiano, sembra che l’individualismo, che fa rima con egoismo, stia lentamente prevalendo sempre di più in ogni aspetto della nostra vita. Naturalmente Gesù non ci chiede di trasformarci in una società grigia e anonima cancellando la singolarità di ogni persona, ma certamente se ciascuno di noi prima di agire pensasse che esiste anche l’altro, con una dignità pari alla sua, riusciremmo a vivere molto meglio.

Ecco che Spong conclude rispondendo alla domanda: cosa dobbiamo fare? Dice che il Gesù di Matteo, invitandoci ad annunciare il vangelo, sta dicendo che chi vuol essere suo seguace deve attivarsi per rendere tutte le persone consapevoli del fatto che sono incluse nell’infinito amore di Dio. Non è certo un invito a mandare nel mondo missionari per insegnare la dottrina cristiana, quanto piuttosto una chiamata a costruire un mondo in cui possa realizzarsi l’unità umana. E anche in Luca (At 1, 1-13) la discesa dello Spirito Santo è intesa come evento universale. Lo stesso Paolo, che invita a rivestirsi di Cristo, invita a far sparire le divisioni umane: tutti sono “uno in Cristo” (Gal 3, 26-29). E se questa è l’esperienza originaria della Parola di Dio, al nostro tavolo ci deve essere sempre un posto per tutti. Il “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11, 28) non è un invito a riposarci dalle fatiche umane, ma a riposarci dall’eterna lotta umana per sopravvivere. Il cristianesimo non è una questione di corretta credenza, non è stato concepito per fornire ai credenti una base per separare l’eresia dalla verità[11]. I cristiani non devono essere i cani da guardia della fede altrui.

Sulla stessa linea, lo ripeto, si trovano tanti teologi. Ricordo qui quanto ha detto don Carlo Molari: la missione di Gesù è rivelare l’amore del Padre e il suo progetto salvifico. Tale rivelazione è nella storia ed è perciò accessibile a tutti anche se non entrano nella chiesa o non si riferiscono al Gesù storico. Il compito della Chiesa perciò non è quello di trasformare tutti in cristiani, ma di testimoniare i valori annunciati da Gesù in modo che tutti accolgano il progetto di Dio e diventino uomini autentici secondo il progetto che in Gesù Egli ha rivelato. È necessario che i cristiani diventino precursori di un nuovo stile religioso, quello del dialogo con gli altri credenti in un piano di parità, senza alcuna presunzione, anche se nascosta, di superiorità[12]

In conclusione, se cominciamo a pensare che al messaggio originario di Gesù sono state aggiunte nel tempo molte indicazioni opposte a quelle indicate nei vangeli, dovremmo chiederci se erroneamente ci riteniamo cristiani, perché in realtà siamo i primi a rifiutare la logica di Dio (Mt 16, 23). Invece di benedire il Padre se il suo Spirito contagia anche chi non è dei nostri, se appartiene ad altre culture e perfino ad altre religioni, siamo diventati inutilmente polemici, rancorosi, intransigenti.

Ecco perché il cristianesimo del futuro non potrà vivere all’interno delle dottrine del passato, cercando di fuggire per ritornare in quel passato che oggi alcuni idealizzano, perché così si rifiutano le sfide odierne:[13] perciò ben vengano le innovazioni del post-teismo, che cerca di creare nuove forme attraverso le quali le nostre esperienze ci ricordano che qualsiasi immagine che ci facciamo di Dio è, se non proprio arbitraria, quanto meno soggettiva. Ma ci ricordano anche che, se frequentiamo solo coloro che pensano come coloro che ci hanno insegnato il catechismo, solo coloro che hanno il nostro stesso modo di vedere, è certo che nessuna novità mai emergerà. La novità emerge quando ci mettiamo in ascolto di coloro che appartengono ad altre strutture, che pensano diversamente da noi.






NOTE

[1] Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 255.

[2] Idem, 259ss.

[3] Idem, 271.

[4] Idem, 276s.

[5] Idem, 279.

[6] Idem, 280.

[7] Idem, 286s.

[8] Giacca M., Allo studio il cervello degli Homo sapiens, “Il Piccolo” 12.9.2022, 29.

[9] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 206s.

[10] Fulco R., Soggettività e potere, Quodlibet, Macerata, 2020.

[11] Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 288.

[12] Molari C., Gesù è Dio? La Cristologia nella riflessione del teologo Carlo Molari, Ravenna, Quaderno n. 10 del 24.4.2023, 50.

[13] Ad esempio, come si può pensare di risolvere il problema della fecondazione artificiale con i testi antichi, che neanche conoscevano simili possibilità?



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