EDITORIALE
Un-angelo-che-beve-la-birra. “O Crista mia, anzi no: nostra!”
di Stefano Sodaro
La Crista - creazione digitale di volto immaginario tramite IA
C’è un angelo che non ha paura di sedersi accanto a noi. Non vola sopra le nostre teste, ma cammina tra i tavoli di un bar, si siede su uno sgabello consumato, ordina una birra e ci guarda. Non con giudizio, ma con complicità. Non con distanza, ma con presenza. È un angelo che ha scelto di incarnarsi, di farsi corpo, voce, sete. E oggi, quel corpo è femminile.
È la Crista.
La Crista non è una figura che nega il Cristo storico, maschile, crocifisso. Al contrario, lo riconosce, lo onora, lo abbraccia. Ma lo Spirito non si è fermato lì.
L’incarnazione non è un evento chiuso nel tempo, è un processo che continua, che si rinnova, che si attualizza. E oggi, si manifesta nel corpo delle donne, nella loro spiritualità, nella loro resistenza, nella loro capacità di amare senza possedere.
La Crista è la donna che porta Dio nel quotidiano. Non nei dogmi, ma nei gesti. Non nei templi, ma nei luoghi comuni. È la madre che consola, la sorella che lotta, l’amica che ascolta, la sconosciuta che salva. È la divinità che si fa prossimità, che si fa birra condivisa, che si fa parola incarnata.
Un angelo che beve la birra è una metafora potente. È il rifiuto di una spiritualità disincarnata, astratta, maschile per default. È l’affermazione che il divino può essere anche donna, anche imperfetto, anche vulnerabile. È la teologia che scende dal pulpito e si sporca le mani. Che non teme il profano, ma lo abita. Che non fugge il corpo, ma lo celebra.
“Crista mia”? No. “Crista nostra.” Perché questa figura non è proprietà privata, non è rifugio individuale. È esperienza collettiva, è spiritualità condivisa, è incarnazione che ci riguarda tutti. È la possibilità di riconoscere Dio nel volto di chi ci sta accanto, anche quando quel volto è truccato, stanco, arrabbiato, vivo.
La Crista è anche politica.
Perché affermare il divino femminile è rompere secoli di esclusione, di silenzi, di subordinazione. È dire che le donne non sono solo creature, ma anche creatrici. Non solo fedeli, ma anche profetesse. Non solo madri, ma anche messia.
E allora anche questo editoriale è un atto di fede ribelle. È, vorrebbe essere, un inno alla spiritualità incarnata, alla teologia che si fa birra, alla divinità che si fa donna. È, vorrebbe essere, un invito a cercare Dio non nei cieli, ma nei corpi. Non nei dogmi, ma nei desideri. Non nei miracoli, ma nei momenti condivisi.
Brindiamo, allora.
Alla Crista che ci accompagna.
Alla donna che porta Dio nel mondo.
All’angelo che non vola, ma resta.
Con noi. Dentro di noi.
Perché forse, il paradiso è proprio questo: una birra in mano, uno sguardo che accoglie, una spiritualità che non ha paura di essere umana.