DIRITTO ECCLESIALE E LIBERTÀ
Rubrica a cura di Maria Giovanna Titone
La famiglia secondo Leone XIV: perché non mi scandalizzo
Le parole di Papa Leone XIV sulla famiglia – chiare, tradizionali, ferme – hanno acceso un prevedibile incendio mediatico. Ancora una volta, un Papa che ribadisce ciò che la Chiesa insegna da secoli viene accusato di chiusura, insensibilità, perfino di “retrivo moralismo”. Ma davvero c’è da stupirsi?
A ben vedere, Leone XIV non ha fatto altro che rimettere al centro ciò che il Magistero cattolico non ha mai smesso di affermare: che il matrimonio, nella visione cristiana, non è solo un accordo tra due persone, ma un sacramento, e che la famiglia nasce dall’unione stabile, fedele e aperta alla vita tra un uomo e una donna.
Questa posizione si fonda su basi precise. Lo afferma il Codice di Diritto Canonico, al canone 1055 §1, secondo cui “il patto matrimoniale, con il quale l’uomo e la donna costituiscono fra loro un consorzio di tutta la vita, ordinato per sua natura al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione della prole, tra battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.”
Lo ribadiscono anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes, e tutta la tradizione teologica, da Sant’Agostino a Giovanni Paolo II. In questa luce, il matrimonio non è una semplice forma sociale, ma una vocazione alla santità, un cammino di comunione che riflette l’amore stesso di Dio per l’umanità.
Nemmeno Papa Francesco, il pontefice spesso considerato rivoluzionario, ha mai modificato questa struttura. Le sue parole “Chi sono io per giudicare?”, citate in riferimento alle persone omosessuali, non erano una rivoluzione dottrinale, ma una riproposizione evangelica dello sguardo di Pietro sugli esclusi: “Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi… chi ero io per impedire Dio?” (Atti 11,17).
Francesco ha insistito sulla misericordia e sul discernimento, ricordando che l’ideale non cancella la complessità della vita, ma la illumina. Ha parlato di accompagnamento, non di condono. Di inclusione, non di indifferenza morale. In Amoris Laetitia, ha delineato uno sguardo che sa vedere la fragilità umana senza rinunciare alla verità evangelica.
E allora perché tanto clamore per le parole di Leone XIV? In parte, perché oggi si tende a leggere ogni affermazione religiosa con la lente della politica. In parte, perché si confonde l’insegnamento della Chiesa con la legislazione civile. Ma c’è una differenza fondamentale: i diritti civili spettano allo Stato laico – ed è lì che vanno richiesti, tutelati, garantiti. La Chiesa ha un’altra funzione: quella di custodire una visione dell’umano fondata sulla fede e sull’esperienza spirituale.
Non si tratta di negare le sofferenze di chi si sente escluso, ma di riconoscere che la dottrina non è un giudizio sulle persone. È un orientamento, una proposta, un cammino. La Chiesa non si chiude, ma indica una via. E, soprattutto, non è fatta solo di papi e vescovi: siamo Chiesa anche noi, i laici, quando prendiamo sul serio il nostro battesimo.
Ed è proprio qui che si apre una domanda profonda e urgente:
Davvero possiamo aspettarci che la Chiesa cambi la sua morale per adeguarsi al clima del tempo?
Oppure non è più onesto chiederci cosa significa oggi essere battezzati e parte viva della Chiesa nella società civile?
Perché sì, anche noi laici siamo corpo ecclesiale. E facciamo la differenza ogni volta che ci mettiamo accanto a chi si sente ai margini. Lo facciamo non contro la Chiesa, ma in nome del Vangelo. E lo facciamo dove è giusto che i diritti vengano riconosciuti: nello spazio pubblico, nella sfera politica, davanti allo Stato laico.
Forse è questo, oggi, il nostro compito più alto: essere ponte tra verità e ascolto, tra dottrina e compassione, tra fede e giustizia.