Gennaio - benedire
Tanti riti accompagnano l’inizio del nostro nuovo “giro intorno al Sole”: i fuochi d’artificio, i 108 rintocchi delle campane buddhiste, lo stare insieme, i brindisi e la musica, cibi beneauguranti e baci propiziatori di felicità.
C’è una certa magia nei numeri, in quelli particolari, in quelli “rotondi”, così si celebrano tutti gli anniversari e tutti i compleanni, ma alcuni in particolare. Quando si cambia anno o decina (o centinaia) si ha come un senso di compimento, come l’aver raggiunto una meta o meglio una tappa di un cammino, si può guardare indietro facendo memoria degli inizi, mettendo a fuoco che si è arrivati dove non ci si aspettava di giungere, si è pervasi da un senso di gratitudine perché arrivare in fondo alla maratona di New York o celebrare le nozze d’oro, compiere trent’anni di vita o quaranta di lavoro, ma anche un certo numero di edizioni di una rivista, ha significato superare tanti ostacoli, gestire tanti imprevisti, affrontare le proprie ed altrui debolezze, scoprire risorse ed energie non immaginate, ricevere doni inaspettati…
Osservare il tutto con la giusta prospettiva dona una visione completamente diversa rispetto a quando si era immersi nelle ore e nei giorni, negli entusiasmi o nelle fatiche che passano; è inevitabile fare qualche bilancio, vengono in mente i tanti volti di compagni e compagne di viaggio e, un po’ come il 31 dicembre, è bene cantare il Te Deum.
La lode e il ringraziamento lasciano poi lo spazio ad un ulteriore sentimento che può essere rivolto al passato ma che apre opportunamente il futuro, così la prima liturgia dell’anno, ancora nello stupore derivante dal mistero dell’incarnazione, ci propone le parole della benedizione di Aronne che in molti conosciamo nella versione di Francesco d’Assisi rivolta a frate Leone.
«Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).
Chi invoca e chi riceve questa benedizione, sintesi di ogni benedizione, chiede di fiorire in tutte le dimensioni della propria esistenza ed essere custodito e difeso quando il male dovesse aggredire. Ecco perché c’è l’essenziale per iniziare il nuovo anno. Al Signore si chiede di mostrare il suo volto, cioè di fare esperienza della sua presenza luminosa e rivitalizzante, sentire il suo volto vicino, quasi faccia a faccia, guancia a guancia. Sentire rivolto a sé lo sguardo che fa uscire dall’invisibilità e dall’insignificanza.
In modo forse più urgente percepiamo la necessità di chiedere il dono della pace, quella serenità profonda che nessuna tempesta può turbare: per vicini e per lontani è forse la preghiera più necessaria da invocare su di sé e sugli altri; infatti la pace, come bussola, può orientare ogni micro o macro-scelta sulle vie del Signore.
Questo atteggiamento bene-dicente, aperto al bene, alla novità, costruisce spazi di nuove elaborazioni, erode ogni autosufficienza e predispone ad incontri fecondi.
L’inizio dell’anno civile diventa così occasione di vivere nello stile delle berakot ebraiche, le preghiere di benedizione nel culto sinagogale e domestico. Per un cristiano si tratta di entrare nella circolarità della benedizione di cui scrive l’autore della lettera agli Efesini.
«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3). Agli Efesini è annunciato che la benedizione di Dio consiste nella «scelta» che ha come finalità la relazione stessa con il Signore, frutto dell’iniziativa totalmente gratuita di Dio e che passa per la presenza del Figlio amato.
Dio è benedetto da Paolo nello stile di ogni ebreo che riconosce la presenza efficace e benevola del Signore nella propria vita e in quella del proprio popolo. La benedizione si è elevata infatti in momenti chiave della storia d’Israele verso il Signore Dio di Abramo (cfr. Gen 24,27), patriarca in cui sono benedette tutte le genti della terra (cfr. Gen 12,3), e verso il Signore che ha liberato dalla schiavitù (Es 18,10) e dall’esilio. Il libro di Tobia conferma l’intuizione che la benedizione di Dio si estenda a tutti e che un giorno tutte le genti della terra benediranno il Dio dei secoli (Tb 14,6). La benedizione si fa poi quotidiana memoria della vicinanza del Signore che custodisce e sostiene chiunque lo invoca (cfr. Sal 145), mentre l’apertura universale è ormai realizzata dal punto di vista cristiano dal Dio invocato come Padre del Signore Gesù.
La benedizione è associata alla misericordia che porta consolazione (come in 2Cor 1,3: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione!») o che rigenera la speranza (come in 1Pt 1,3: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva».
L’antifona dei secondi vespri dell’Epifania recita: «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l'acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia». Ecco altrettanti motivi per radicare la benedizione. Si insiste sull’oggi. Oggi è il tempo della manifestazione del Signore che si mostra e si adatta alle capacità dei propri interlocutori: l’Epifania narra come chiunque cerchi la verità con i propri mezzi intellettuali, culturali, con una coscienza retta, prima o poi incontra Gesù. Le scelte liturgiche per le letture domenicali nell’ultima domenica del tempo di Natale – che presentano il battesimo di Gesù al Giordano – e nella prima del tempo ordinario – che propone la narrazione delle nozze di Cana – mostrano la continuità di tale oggi: il Signore si fa incontrare in tempi “speciali” e in tempi “ordinari”. Si mostra a quanti condividono con lui il momento del battesimo di Giovanni. Il segno è lo Spirito che scende in forma di colomba e la voce dall’alto che trasforma tutti quelli che sanno ascoltare in grati testimoni di un fatto prodigioso e quotidiano allo stesso tempo: possiamo benedire Dio e la vita perché il Signore dei cieli si è fatto uno di noi e nulla di ciò che è umano gli è ormai estraneo.
Il Signore si mostra ai suoi discepoli come il Signore che conserva il vino pregiato per un momento inaspettato, tale da superare con la sua abbondanza persino le visioni annebbiate, i momenti di fatica e mancanza, non casualmente segnalati dall’attenzione di una donna sapiente come si rivela sua madre.
I testi della terza domenica ci riportano invece dopo il prologo di Luca alla sinagoga di Nazaret e alla prima predicazione di Gesù che, di ritorno dalla permanenza nel deserto, inaugura una nuova fase della sua vita: le parole antiche di Isaia cominciano a realizzarsi in quello shabbat attraverso la proclamazione avvenuta.
La presenza dello Spirito su Gesù e sui suoi discepoli sarà accreditata da uno stile inconfondibile: attenzione e cura dei poveri, degli oppressi, dei prigionieri di ogni prigionia, dei ciechi di ogni cecità. Ecco l’anno di grazia del Signore, ecco il Giubileo. Non conteggi di pene e colpe, ma uno spiegare le vele per prendere il largo al soffio potente dello Spirito. Non discussioni interminabili e commissioni di studio che servono unicamente a rimandare decisioni inevitabili, ma il coraggio di prendere sul serio la propria ed altrui libertà. Non incoraggiamenti vaghi, ma azioni di liberazione.
Lo Spirito divino che sosteneva la predicazione del profeta, che si è posato come colomba su Gesù, che riposa su ogni battezzato e aleggia su ogni coscienza aperta alla verità e al bene, guida incessante il processo di trasformazione della storia e porta benedizione nei nostri giorni.