Quella porta: aperta a Križevci, chiusa a Evin, spalancata a Bose
di Stefano Sodaro
Chiesa della Natività di Maria, Peglio, Provincia di Como, 2019 - Foto di Fotolaura, tratta da commons.wikimedia.org
Ordinazione suddiaconale di Ivan Reiner da parte di mons. Milan Stipić, vescovo eparchiale di Križevci, lo scorso 26 dicembre 2024 - foto tratta dal sito dell’Eparchia di Križevci https://www.krizevacka-eparhija.com
Ogni anno è una somma di contraddizioni, di fallimenti e successi, di lacerazioni e ricomposizioni. Molto banale a dirsi, scontato, ma si tratta di una semplice verità che attraversa la storia di chiunque e che accogliere, fare propria, risulta assai meno insipido di quanto si possa immaginare. Il sapore del quotidiano, sempre lo stesso e sempre diverso.
Soltanto due numeri ci separano dal nostro 800. Più di 15 anni di pubblicazione della nostra testata – e della nostra vita - sono trascorsi.
Ci pare di star dentro una specie di triangolo con i lati abbastanza ben definiti da diverso tempo: la questione del rito, della diversità rituale, del carattere pluriforme dell’ordinamento ecclesiale cattolico – realtà tutt’ora sconosciutissima e, più o meno volontariamente, ignorata -; la questione delle teologie femministe e della sopraffazione verso le donne, il loro impegno di testimonianza civica, sociale, professionale, il tentativo costante di oscurarle; e, come terzo lato, l’appello ad una “diversità” dell’essere Chiesa, tratteggiata da tentativi nuovi (nuovi rispetto ai secoli dei secoli, ma con più di cinquant’anni alle spalle) presenti, in modo del tutto particolare, in una specifica comunità monastica nata al termine del Vaticano II.
La notte di Natale un Papa in carrozzina ha aperto la cosiddetta “Porta Santa” nella Basilica di San Pietro. Un rito molto più austero e contenuto di quello del “Grande Giubileo dell’Anno Duemila” – con un allora sfavillante piviale pontificio che ricopriva Giovanni Paolo II malfermo ma in piedi -, rito riconducibile, nel sentire comune, ad una specie di pratica magica priva di senso penitenziale, l’attraversamento di quella Porta appunto (tanto che qualche giornalista è rimasta interdetta nell’apprendere che no, non basta, varcare l’uscio solennissimo per vedersi cancellati i peccati…), oppure ad un evento scenografico, folcloristico, non tanto immaginifico, quanto piuttosto surreale, da film Fantasia di Walt Disney.
Mentre la porta è un semplice simbolo: di certo né un sacramento, né un simulacro stilizzato di qualche misteriosa divinità. È il simbolo di un passaggio, come ne avvengono tanti nel corso dell’esistenza.
Ed un passaggio, congiunto al primo lato del nostro triangolo, è avvenuto giovedì scorso, nella chiesa concattedrale di Zagabria dell’Eparchia bizantina cattolica di Križevci, in Croazia, dove il vescovo eparchiale Milan Stipić ha ordinato suddiacono un uomo sposato, il prof. Ivan Reiner, docente presso l’Università Statale di Zagabria e del quale si legge, in traduzione: “È nato il 6 ottobre 1984. Si è laureato e ha conseguito il dottorato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Zagabria nel 2022. Ha studiato teologia per corrispondenza per sette anni presso l’Istituto di teologia laica a Zagabria e attualmente è studente del quinto anno di teologia presso la Facoltà cattolica di teologia a Zagabria. Nel 2022 è stato accettato come candidato di teologia presso il Seminario greco-cattolico di Zagabria e ha ottenuto il passaggio al rito cattolico bizantino nel maggio 2024. Da sei anni è professo nel Terz’Ordine Francescano. È sposato e ha una figlia.”
Non è necessario, pensiamo, commentare oltre: il nuovo suddiacono, sposato e padre di famiglia, avviato verso l’ordinazione presbiterale, prima è stato accolto come seminarista e poi ha attuato il passaggio di rito – dal rito latino al rito bizantino -, due anni dopo.
Ma, appunto, la liturgia del quotidiano si compone anche di ansie, preoccupazioni, limitazioni improvvise e inaudite di libertà, nei confronti delle donne per marcare un confine invalicabile tra preminenza del patriarcato culturale e soggezione necessaria ed imposta di chi appartiene all’altro sesso o a nessun sesso predeterminato e codificato.
Si è aperta la porta non di una cattedrale, ma di un carcere, per la giornalista Cecilia Sala, ventinovenne, arrestata in Iran il 19 dicembre. La notizia è stata diffusa soltanto l’altro ieri.
Mi associo personalmente, convintamente, come direttore responsabile di questa testata, all’appello per la sua immediata liberazione. Al di là di ogni, più che giusta e doverosa, allerta umanitaria per le sue condizioni, non può essere accettabile, in modo particolare, un’incarcerazione priva di motivazioni espresse, da vagliare e dalle quali potersi difendere. Ed è necessario che l’Ambasciatrice d’Italia in Iran, che ha potuto fortunatamente fare almeno visita alla giornalista italiana, sia resa edotta di ogni spiegazione al riguardo.
Abbiamo scritto di Cecilia Sala nel novembre del 2021, qui. Ci preoccupano le sue sorti, ci sta a cuore il suo lavoro.
Che la speranza sia comunque un lume ben acceso nella notte, non così facile a spegnersi, è attestato dalla storia recente del Monastero di Bose, che, nell’estate del 2025, festeggerà due anni dall’approvazione delle sue nuove Costituzioni, a norma delle quali è stato eretto in monastero sui iuris dal Vescovo di Biella. Costituzioni che, ad esempio, prevedono che possa essere eletta Priora anche una sorella, una donna.
In occasione del nostro numero 800 vorremmo dare la parola ad un caro amico monaco di Bose, per capire se l’essere comunità di quella realtà monastica possa intrecciarsi, in qualche modo, con il fare comunità intorno a questo nostro settimanale, insieme all’Associazione culturale Casa Alta che ne è la traduzione progettuale, fattiva, per così dire – a proposito di “sorelle” – la “sorella gemella”.
Bose è il terzo lato del nostro triangolo. Per quanto ci riguarda, un lato imprescindibile – senza il quale il triangolo non sarebbe tale - proprio in ragione della sofferenza e della resurrezione che ha segnato la sua storia recente e per la strada che ha tracciato nel nostro Paese.
Nel luglio dell’anno che finisce, in occasione della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, abbiamo visto con i nostri occhi Sabino Chialà, Priore di Bose, ed Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, camminare uno fianco all’altro, quasi a sancire – simbolicamente, già, come per la “porta” - una svolta anche per la Chiesa (cattolica, ma non solo) di Trieste.
Ci diamo appuntamento, dunque, ai nostri prossimi eventi e auguriamo fin d’ora, a tutte le nostre lettrici e a tutti i nostri lettori, i più cordiali auguri di Felice Anno Nuovo.
E buona domenica!