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Matera, Belvedere Guerrecchio - foto tratta da commons.wikimedia.org

Lo Shabbat di tutti: anche di don Milani, padre Balducci, Pasolini e don Di Piazza



di Stefano Sodaro


Nel primo pomeriggio di questa domenica, 15 maggio 2022, V di Pasqua nel calendario liturgico cattolico di rito romano, giunge la notizia della morte di don Pierluigi Di Piazza, che è stato, oltre che testimone delle nostre terre, del nostro tempo, dei nostri sogni, dei nostri ideali, delle nostre utopie lì lì per farsi concreto progetto - e che lui riusciva a tradurre in fatti -, oltre a tutto questo, è stato amico caro, dolcissimo, presente, trasparente, sincero, di molte e molti di noi. Anche di chi qui scrive queste righe, che – interrogandosi sul proprio futuro di vita – gli fece visita in una piovosa serata del gennaio 1996 ed assistette alla prima telefonata, proprio quella sera, che inaugurò la lunga frequentazione tra lui ed il nostro don Mario Vatta.

Così si legge sul sito del Centro “Balducci”, da lui fondato a Zugliano, non distante da Udine (http://www.centrobalducci.org/easyne2/LYT.aspx?Code=BALD&IDLYT=359&ST=SQL&SQL=ID_Documento=4140): Come possiamo lasciarti andare Pierluigi, padre, fratello amatissimo, compagno di viaggio in questi lunghi anni vissuti al Centro Balducci, guida per le nostre coscienze? Ti siamo stati accanto, ti abbiamo seguito a volte con affanno perché la tua mente vivace, profonda, sempre attiva andava troppo veloce per noi, vedeva lontano.

Con costanza e rigore hai costruito percorsi di pace, di giustizia e solidarietà, li hai condivisi con tante persone, hai fatto crescere il Centro Balducci da una intuizione nel lontano 1989 a una realtà conosciuta e apprezzata oggi in tutto il mondo per la sua accoglienza e per la sua forza di diffusione culturale.

La tua vita, vissuta perseguendo una Chiesa povera, aderente al Vangelo, incarnata nella storia, non è stata facile. Abbiamo molto spesso ascoltato la tua sofferenza. Sei stato tanto amato e tanto bistrattato per le tue idee, ma a noi resta la luce delle tue parole pacate che fanno riflettere, che scuotono le coscienze, che spingono a guardare oltre.

Hai dato tanto, tutto per gli altri senza tenere nulla per te, neppure qualche brandello di tempo libero. Ora il tuo tempo, i giorni che Dio ti ha concesso sono finiti e a noi resta lo sconforto della tua assenza.

Addio Pierluigi, …e che l’andare ti sia lieve!


Vennero a Zugliano Leonardo Boff e il Dalai Lama, Jürgen Molmann e Ivone Gebara, Serena Noceti e don Luigi Ciotti.

La sua passione per la scrittura e per la parola era esercizio, gioioso e rigoroso allo stesso tempo, di una dedizione alla causa dell’Altro e dell’Altra, chiunque fosse, purché fosse povero e non arricchito, così come insegnava il suo conterraneo David Maria Turoldo. Lui di Tualis, Turoldo di Coderno.

Ma vengono adesso alla mente ulteriori suggestioni di possibili incroci culturali: gli accenti commossi con cui Pierluigi parlava della sua visita a Barbiana e del momento in cui accettò di indossare, in quella chiesa, i paramenti sacerdotali che furono di don Lorenzo Milani, dopo che Edda gli aveva quasi intimato: «Ma lei è prete sì o no?».

Pensando all’itinerario ecclesiale di don Di Piazza, vien voglia di rileggere, riproponendone addirittura (è uno di quei sogni, eccoli qui) la rappresentazione da qualche parte, in qualche modo – magari proprio nella nostra regione - in Friuli Venezia Giulia -, l’opera di Ignazio Silone L’avventura d’un povero cristiano, che narra di un papa, Celestino V, che tentò d’essere al contempo anche un cristiano, senza riuscirvi e dovendo così rinunciare al papato, la storia rovesciata di ciò che Pierluigi vedeva realizzato con l’elezione di un Papa “qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Del resto fra Pietro dal Morrone, eremita divenuto papa a fine Duecento, e poi ridivenuto semplice monaco, era stato protettore dei francescani spirituali, i cosiddetti “fraticelli”, in forte odore di eresia.

E questo è anche l’anno del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e proprio di Ernesto Balducci, che morì nel 1992, trent’anni fa.

Questa mattina, in piazza San Pietro, Francesco Papa ha decretato Santo l’ispiratore dei Piccoli Fratelli, il padre Charles de Foucauld.

Leggiamo, al riguardo, di un viaggio ad Assisi di Pasolini e del suo incontro, indiretto, con de Foucauld, su “La Civiltà Cattolica”: “Il giorno dopo, il traffico in città era bloccato perché era in visita il papa Giovanni XXIII. La mattina passeggiammo per Assisi tenendoci fuori dalle rotte del corteo papale. Volle che lo portassi nella basilica di San Francesco per vedere gli affreschi di Giotto. Abbiamo visitato la cappella del pellegrino e altri monumenti dell’Assisi minore. Nel primo pomeriggio lo portai al santuario di San Damiano, dove fu colpito dalla semplicità del luogo, tanto più che io avevo incominciato a parlargli del rapporto di san Francesco con la povertà. Rimase letteralmente scioccato quando non lontano da San Damiano visitammo una comunità di piccole sorelle di Gesù (la congregazione fondata da Charles de Foucauld). C’era una suora italiana e lui cominciò a farle delle domande. La suora parlò degli emarginati; disse che non si può fare apostolato se non si assume la stessa condizione umana delle persone alle quali ci si rivolge eccetera” (cfr. Virgilio Fantuzzi, “Pasolini sulla via del Vangelo”, La Civiltà Cattolica, vol. III, quaderno 3822, 17 ottobre 2009, pp. 504416).

È noto che dalla visita ad Assisi, e dalla frequentazione con un prete - don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana - nacque in Pasolini l’idea del lungometraggio su Il Vangelo secondo Matteo, girato peraltro non in Israele – dove pure si recò per un sopralluogo -, bensì a Matera.

Ebbene proprio nel materano, a Pisticci, si svolgerà venerdì prossimo, 20 maggio, lo “Shabbat di tutti”, l’evento di cui è regista Miriam Camerini (https://www.lucaniafilmfestival.it/), nell’ambito della rassegna “Tracce ebraiche” del Lucania Film Festival.

Quello “Shabbat di tutti” che è diventato, per il sottoscritto, un po’ il codice teologico dei linguaggi dell’incontro conviviale, in cui non si parla soltanto, ma si mangia e si canta e si prega, e la consumazione assieme del pasto che accoglie il Sabato ebraico si estende – secondo la mia personale interpretazione – a rivedere l’intera nostra vita quotidiana come rendimento di grazie per chi amiamo e per ciò che amiamo (http://www.settimananews.it/teologia/le-spalle-della-teologia-verra/).

Credo che non potrò – neanche se volessi farlo per qualche assurdo ascetismo ritenuto assai perbene - impedirmi di pensare a Pasolini e Irazoqui e a Susanna Colussi, madre di Pasolini (sepolta accanto a lui nel cimitero di Casarsa), che il figlio volle come Madonna piangente sotto la croce (https://www.artribune.com/attualita/2014/09/pasolini-il-vangelo-secondo-matteo-tributo-a-un-film-monumento/), in una scena girata – come si diceva – interamente a Matera.

La laicità era dimensione fondamentale del prete Pierluigi Di Piazza: ricordiamo la sua amicizia, cordiale ed intensa, con Margherita Hack. Il suo essere prete era attitudine a celebrare la cena festosa del Regno di Dio, forse dunque davvero - nel suo caso – un “che cosa” di grazia rivelativa, di sogno realizzato, piuttosto che un “chi” a rischio di devozionismo alienante.

Con Francesco papa la teologia della liberazione è divenuta normale, pacifica, quasi scontata, proposta di incarnazione tra i più poveri, tra chi soffre, tra chi non ha voce, per tutta la Chiesa. Don Pierluigi Di Piazza ne gioiva. Noi con lui.

Sarà dunque anche con lui, laggiù, in terra di Matera, che celebreremo quello Shabbat - tempo di Dio e dell’Uomo - che è appunto “di tutti”.

Ma poi non smetteremo, perché - come scrive proprio Miriam Camerini su questo numero odierno del nostro settimanale - possiamo rinunciare a tutto, ma non all’amore. Aggiungiamo noi: qualunque forma e dimensione e variazione cromatica abbia.

Buona domenica sera.

Buona settimana.