Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Il Monte Ararat visto da Yerevan, foto di Serouj Ourishian, tratta da commons.wikimedia.org


La montagna



di Dario Culot



Sulla cima di una montagna, davanti a un vasto e spettacolare panorama a 360°, mi è venuto questo pensiero: se la terra fosse grande come un mappamondo, lo strato d’aria che permette a tutti noi di vivere non sarebbe più spesso di un foglio di cellophan che avvolge il mappamondo. Eppure questo strato quasi insignificante permette la vita sulla terra; e forse proprio perché l’aria è gratis non le diamo gran valore e continuiamo a inquinarla, come del resto inquiniamo tutta la terra;[1] ad esempio, immettiamo plastica dappertutto, nell’aria, sul suolo, nei mari e attraverso la catena alimentare torniamo in parte pure a mangiare micro particelle di plastica, ovviamente senza accorgercene. Surriscaldiamo l’aria e i mari, e poi ci stupiamo se la natura risponde con grandi alluvioni o grandi siccità. Forse dovremmo preoccuparci di più della pericolosità di ciò che facciamo ogni giorno, piuttosto che della pericolosità dei vaccini, che in questo periodo hanno impaurito tante persone. Ma non lo facciamo. E ora, pur di non restare quest’inverno senza riscaldamento, anche se tutti ormai sanno che non si dovrebbe regredire ai combustibili fossili, torneremo di corsa a usare il carbone, e chi se ne frega dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Poi pensavo anche che chi ha costruito il mondo non è sicuramente l’uomo, perché l’uomo avrebbe fatto pagare ai suoi simili ogni boccata d’aria. Visto che respiriamo circa 15 volte al minuto basterebbe farci pagare un centesimo per ogni respiro (siamo circa 8 miliardi) ed ecco che si diventa miliardari. Ormai già cercano di privatizzare l’acqua, per guadagnare. Privatizzare l’aria è più difficile, perché non la si può separare nettamente in base a confini determinati, mentre l’acqua è localizzata in punti ben precisi di un territorio, cui si possono mettere confini. Ma forse un giorno si riuscirà anche a privatizzare l’aria e qualcuno guadagnerà un sacco di soldi.

Che strani pensieri vengono in montagna. A dire il vero, mi hanno chiesto tante volte: “ma cosa trovi di bello ad andare in montagna? È solo sudore e fatica. E poi perché vai al mattino presto e da solo, che è altamente sconsigliato?” Alcune cose le posso spiegare facilmente: vado al mattino presto perché così, anche sulle frequentatissime Dolomiti, quando la maggior parte della gente comincia a salire io sto già scendendo, e in tal modo riesco a salire di solito anche le cime più frequentate in assoluta solitudine (la gente in vacanza comincia a muoversi dopo le 9 del mattino). Poi, scendendo presto, si evitano di solito i temporali che quasi sempre arrivano di primo pomeriggio. So anche che non è consigliato andare da soli, ma siccome è difficile trovare un compagno più o meno della stessa età, più o meno di pari energie, che abbia più o meno lo stesso passo, che sappia parlare ma anche stare in silenzio, le scelte di solito sono molto limitate: o stai a casa, o vai da solo. Fin qui è facile rispondere, ma per il resto faccio fatica a trovare le parole per spiegare perché la montagna mi piace. Posso cercar di dire qualcosa qui, ma sono solo parole banali, scialbe, insufficienti e manchevoli. Ci provo comunque.

Dico troppo se penso che in montagna credo di aver potuto fare qualche esperienza della trascendenza? Proprio grazie alla solitudine e al silenzio è possibile percepire qualcosa che non è possibile percepire su nessuna spiaggia affollata, in nessuna città che è sempre troppo rumorosa e caotica. Di fronte a certi panorami che ti si aprono all’improvviso, a un cielo stellato come in città è impossibile vedere per l’inquinamento luminoso (e temo che pochi giovani abbiano veramente visto cos’è una stellata, cos’è la Via Lattea che è veramente lattea), a una fioritura incredibilmente vasta che ti toglie il respiro, vien da pensare a quella rozza guida che accompagnando il suo cliente, raffinato cittadino, sa solo dirgli: «Quando vi trovate solo davanti a una immensità come questa, non vi sembra che qualcosa parli? Non si tratta di ascoltare con l’orecchio, ma è come se voi siete infinitamente piccolo, e tutto il resto infinitamente grande. Allora le piccole cose del mondo sembrano nulla»[2]. Insomma, solo percependo la nostra piccolezza è possibile cominciare a pensare che noi apparteniamo alla Terra, e non che la Terra appartiene a noi.

Effettivamente solo camminando per i monti ho provato quella sensazione descritta da Edward Schillebeeckx, teologo domenicano: l'uomo in certi momenti si rende conto che esiste un di "fuori" sicuramente più grande di lui[3]. Ma questo non succede mai nel caos frenetico di una città; forse potrà succedere anche in mezzo al mare, ma bisogna trovarsi su una barca solitaria, di sicuro non sulle spiagge affollate della riviera romagnola, veri carnai dove se uno annega i vicini neanche se ne accorgono.

Avete mai visto un tramonto di quelli giusti sulle Dolomiti? Ci sono solo pochi minuti per cogliere in silenzio quegli attimi unici e magici che solo le Dolomiti sanno regalare, perché solo sulle Dolomiti si può vedere l’enrosadira, e per di più solo alcune volte nel corso dell’anno: gli ultimi raggi del sole accendono le pareti delle montagne che si ergono ad anfiteatro, davanti ai vostri occhi, con un colore che diventa sempre più intenso, rosa, poi rosa verso il rosso e violetto; giù, in fondo valle, è già ombra completa, che preannuncia l’imminente arrivo della notte. Ma l’occhio non perde tempo verso la valle, perché è attirato, direi calamitato, solo da quelle alte guglie, che incontrastate e uniche dominatrici di quell’incredibile scenario della natura, sembrano in quel momento ancora più vicine. Quei pinnacoli, via via che diventavano più incandescenti, sembravano ribellarsi alla loro secolare immobilità; ancora un fremito, ancora un sussulto, e vien da pensare che quelle cime possano cominciare a vivere, uscendo dalla loro materia in cui un dio malvagio le ha costrette pietrificandole, per scendere poi verso di voi. Ma come se anche il sole avesse percepito una simile possibilità, l’incanto improvvisamente si spegne, e ancora una volta le ribellione muore, velocemente com’è nata, in un colore neutro, che nulla ha più di vivo.

Se riuscite a vedere, anche una sola volta nella vostra vita, un tramonto del genere vi resterà un ricordo indelebile, un’esperienza direi del trascendente.

E queste esperienze del trascendente in montagna possono essere tante e diverse. Un noto scrittore di montagna ha descritto magnificamente un’altra esperienza della trascendenza da lui vissuta personalmente, e sempre mentre era solo. Mauro Corona, in un giorno d’inverno stava tornando da una lunga camminata lungo le sponde solitarie del torrente Vajont (BL), dove per chilometri il peso della neve aveva incurvato le piante lungo entrambe le rive creando una lunghissima galleria di alberi con arabeschi di indescrivibile bellezza; ed ecco «uno spesso strato di ghiaccio teneva a basso volume la voce del torrente. Pareva di camminare in un altro mondo, sospesi per aria, in Paradiso. Quasi all’uscita della valle c’è un larice alto e scontroso; è cresciuto storto, non ama compagnia, vuole stare da solo. Sulla punta del larice si era posato un ciuffolotto. Il sole, ormai al tramonto, entrava da occidente nel varco di roccia illuminando come una lama infuocata larice e uccellino. L’albero era diventato un arcobaleno, il ciuffolotto una palla incandescente. Sospeso a venti metri d’altezza, pareva lui stesso un pezzettino di sole. Per effetto della luce radente attorno al suo corpicino s’allungava un alone rosso-viola d’incredibile fulgore. In cinquant’anni non avevo mai visto una cosa simile. Nella valle la natura era ammutolita. Non un rumore, un fruscio, una voce. Solo quella pallina lassù, come una stella sulla punta del larice, emetteva qualche pit pit. Provai una pace e una serenità senza tempo. Fui costretto a sedermi. Ero frastornato da quella visione. Non durò molto, qualche minuto in tutto. Poi il sole si allontanò e il ciuffolotto volò con lui. L’ambiente di colpo si fece gelido, le ombre della sera vennero a dirmi che tutto era finito.

Il giorno dopo raccontai questo strano fenomeno all’amico Ottavio. Ascoltò in silenzio. Conclusi dicendo che, forse, il ciuffolotto sul larice era Dio. Meravigliato del mio forse, il vecchio bracconiere rispose: “Era lui, chi vuoi che sia stato, era lui”»”[4].

Oppure ecco un’altra esperienza analoga: «Sul finire della scuola, una sera sono uscito a camminare da solo e ho sentito gli uccelli cantare fino a raggiungere il culmine di una sinfonia corale che si può sentire solo in quel momento dell’anno, all’alba o al tramonto. Ricordo ora l’emozione della sorpresa con cui quel suono è entrato all’improvviso nelle mie orecchie. Mi sembrava di non aver mai sentito prima cantare gli uccelli, e mi chiedevo se essi cantavano così tutto l’arco l’anno senza che io l’avessi mai notato prima. Continuando a camminare mi sono imbattuto in alcuni biancospini con una fioritura che ardeva di vita e di nuovo ho pensato che non avevo mai visto uno spettacolo simile o sperimentato una simile delicatezza in precedenza. Se mi avessero improvvisamente trasportato fra gli alberi del Giardino dell’Eden e avessi sentito cantare un coro di angeli non sarei potuto restare più sorpreso. Poco dopo sono arrivato lì dove il sole calava sui campi la cui erba sembrava danzare. Un’allodola è sbucata all’improvviso dal terreno dietro l’albero dove mi trovavo riversando il suo canto sopra la mia testa, per sparire subito verso terra ma continuando ancora a cantare prima del riposo serale. Come il tramonto si affievoliva, tutto intorno ammutoliva in una pace assoluta, mentre il velo del crepuscolo cominciava a ricoprire la terra. Ricordo ancora la sensazione di soggezione scesa su di me. Ero propenso a inginocchiarmi per terra come se mi trovassi in piedi davanti a un angelo; a malapena osavo gettare uno sguardo verso il cielo perché sembrava che ci fosse solo un sottile velo davanti al volto di Dio»[5].

Ma anche lasciando perdere la trascendenza, che uno sia in montagna, o che stia percorrendo il Cammino di Santiago si accorge di quanto poco gli serve per vivere, senza ansia, in assoluta tranquillità. Tutto quello che gli serve uno se lo porta con sé nello zaino: un po’ di cibo, qualcosa da bere, un libro, pochi cambi di vestiario, la macchina fotografica, gambe, ah sì, perché se cominciano a far male le ginocchia o i piedi non si va molto lontani. E con quel poco uno si sente un signore. In città sarebbe visto come un barbone o un disadattato, comunque come uno che ha urgente bisogno di una doccia. Un altro scrittore montanaro, Paolo Cognetti, ha descritto perfettamente questa situazione,[6] e rubo perciò anche le sue parole: «camminare è un atto di rivolta, verso la cosiddetta società e i suoi valori: mentre camminiamo il denaro, la proprietà, il successo, il potere non servono a niente, e le gerarchie cui siamo abituati saltano del tutto». Sei un generale abituato a comandare migliaia di uomini? Lì non comandi nessuno. Sei un vescovo abituato a gente che si genuflette davanti a te? Lì non si genuflette nessuno, e nessuno ti bacia l’anello. Sei un premio Nobel della fisica? Lì, con quel titolo, non impressioni nessuno. In città, senza soldi sei condannato a un’esistenza miserabile, perché chi ha più soldi vive nei posti più belli, nelle case più ampie, può scegliere fra più cose. Lì se arrivi in rifugio avrai un posto come tutti gli altri, e le poche cose che potrai scegliere hanno sempre lo stesso prezzo per tutti. La montagna ci rende tutti uguali; ecco perché camminare è rivoluzionario.

Poi la montagna, come l’aria che respiriamo e che entra fin nel profondo dei polmoni, è gratis, è di tutti ma non per tutti, perché per apprezzarla è richiesta un po’ di fatica, e molti preferiscono arrivare in rifugio in auto o in funivia, evitando con cura ogni fatica. Ma in quei posti raggiunti da tanta gente, perché troppo facilmente accessibili, non c’è ancora la vera montagna; lì è come essere in spiaggia a Rimini, o in un luna-park contrabbandato per montagna. Anche la montagna può essere rovinata dall’intervento dell’uomo, che apre strade, piste di sci, innalza piloni per seggiovie e funivie che richiedono l’abbattimento di grandi boschi, illumina artificialmente il posto in modo tale che non si può più vedere la Via Lattea, e così anche la montagna diventa finta. Ma per quanto l’uomo riesca a rovinare anche la montagna, che ogni anno mostra di più la sua fragilità con le sempre più frequenti frane e cadute di sassi, la vera montagna si sgretola comunque più lentamente di noi uomini, resta lì apparentemente sempre uguale e nessuno può portarcela via, e quello che offre lo offre volentieri a tutti allo stesso modo, gratis per tutti. E non è così che si comporta Dio? Non è come in spiaggia dove bisogna pagare la sdraio, l’ombrellone, il metro quadrato di sabbia che si vuol occupare, eccetera. E se uno vuol andare in barca, o ha un amico che lo porta o deve almeno noleggiarne una: qui bastano le proprie gambe.

La montagna offre anche spazio ai propri pensieri, che sembrano trovare finalmente lo spazio giusto e il tempo giusto, lento, per meditare e incasellare qualche gemma di sapienza, senza fretta, senza ansia. Insomma, il passo lento ma costante calma sempre, calma tutti.

Camminando, infine, uno costruisce sé stesso, perché impara a conoscersi. Capisce i suoi limiti,[7] ma anche le sue possibilità che a volte nemmeno lui sospettava di avere.

Ecco, per tutti questi motivi mi piace andare in montagna; ma neanche questo è ancora tutto, e mi rendo conto di non essere capace di descrivere meglio e di spiegare tutto.

Comunque ormai è tempo di tornare in città. Spero che abbiate tutti potuto fare almeno qualche giorno di vacanza, dovunque voi siate stati, in città, al mare o in montagna, e siate ora tutti pronti ad affrontare con rinnovata energia il resto dell’anno che verrà, e che non si prospetta per niente facile.




NOTE

[1] È bene riportare il racconto di Greenpeace: “La terra esiste da quasi 4.600.000 di anni. Si potrebbe paragonare la sua vita a quella di un uomo di 46 anni. In questo caso, dei primi sette anni non si sa assolutamente nulla; poco si conosce fino ai suoi 42 anni, quando cominciò a fiorire. I dinosauri comparvero all’età di 45 anni, e i mammiferi otto mesi prima dei 46. Continuando così, l’uomo moderno esisterebbe solo da quattro ore, e da un minuto è iniziata la rivoluzione industriale. In questi 60 secondi egli è riuscito a trasformare un paradiso in una discarica di rifiuti, ha causato l’estinzione di 500 specie di animali e si trova sull’orlo di una guerra che potrebbe portare all’annientamento di questa oasi di vita nel sistema solare.”

[2] Rudolf O., Il sacro, SE, Milano, 2009, 38.

[3] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia,1976, 692.

[4] Corona M., Nel legno e nella pietra - Apparizione, ed. Mondadori, Milano, 2003, 95s.

[5] Mi scuso per la traduzione non all’altezza (quanto è difficile tradurre!), ma - per chi vuole - metto qui il testo originale: One day during my last term at school I walked out alone in the evening and heard the birds singing in that full chorus of song, which can only be heard at that time of the year at dawn or at sunset. I remember now the shock of surprise with which the sound broke on my ears. It seemed to me that I had never heard the birds singing before and I wondered whether they sang like this all year round and I had never noticed it. As I walked I came upon some hawthorn trees in full bloom and again I thought that I had never seen such a sight or experienced such sweetness before. If I had been brought suddenly among the trees of the Garden of Paradise and heard a choir of angels singing I could not have been more surprised. I came then to where the sun was setting over the playing fields. A lark rose suddenly from the ground beside the tree where I was standing and poured out its song above my head, and then sank still singing to rest. Everything then grew still as the sunset faded and the veil of dusk began to cover the earth. I remember now the feeling of awe which came over me. I felt inclined to kneel on the ground, as though I had been standing in the presence of an angel; and I hardly dared to look on the face of the sky, because it seemed as though it was but a veil before the face of God (Bede Griffiths, The Golden String - London: Fount, 1979, 9).

[6] Cognetti P., Camminare è un atto di rivolta, “Il venerdì” 4.6.21, 75)

[7] Poi ci sono anche quelli senza cervello che vanno ad alta quota con le infradito, oppure a metà percorso – non avendo calcolato le proprie forze - chiamano i soccorsi. E poi anche si arrabbiano se fanno loro pagare il soccorso prestato.


Numero 680 - 25 settembre 2022