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Ad un anno dalla guerra in Ucraina: lo Statuto di Roma



di Dario Culot

È ormai passato un anno da quando è iniziata la guerra fra Russia e Ucraina, e come in tutte le guerre sembra abbastanza certo che si siano commesse delle atrocità. Quasi 2500 anni fa era stato acutamente osservato che quando una guerra si prolunga degenera di solito in un puro gioco della sorte, su cui nessuno dei belligeranti può più esercitare il controllo. Quando gli uomini s’imbarcano in una guerra fanno infatti per prima cosa ciò che dovrebbero fare per ultimo: passano subito all’azione; solo quando vengono a trovarsi in difficoltà si decidono a far ricorso alle parole[1]. Stando così le cose è chiaro che l’esito della guerra resta ignoto e che la storia non insegna.

Quanto durerà ancora la guerra? Non si sa: quello che si sa con certezza è che nulla è scontato in una guerra, e che è sempre più facile iniziare una guerra che terminarla. Inoltre è assodato che uno zar sconfitto non potrebbe restare più al comando in Russia, e Putin sa di non poter sopravvivere a una sconfitta[2]. Quindi hanno ragione i nostri pacifisti a dire che se gli ucraini rifiutano ostinatamente di arrendersi la guerra continuerà[3]. Ma è giocoforza che gli ucraini debbano arrendersi se non riceveranno più armi dall’Occidente, quindi Putin deve sperare (più che sulle sue forze) sulla scarsa tenuta psicologica dell’Occidente davanti ai costi (non paragonabili a quelli che paga l’Ucraina) che pur ci sono anche per noi. Nel breve periodo Putin ha sbagliato pensando che l’Occidente si sfaldasse subito (essendo di per sé già sostanzialmente decomposto[4]) e gli lasciasse mano libera pur di non veder minacciati i propri interessi economici (gas, petrolio, carbone); sul lungo periodo, però, è ancora tutto da vedere (i segni di stanchezza s vedono dappertutto, in particolare in Italia). In ogni caso, nessuno – neanche fra i pacifisti - può assicurare che con una resa e lasciando alla Russia di Putin le terre già conquistate si assicurerà una pace definitiva. Esattamente come negli anni ’30 le nazioni cosiddette democratiche non sono riuscite a contrastare la diffusione del fascismo e l’aggressività famelica dei regimi fascisti,[5] e sono riuscite a coalizzarsi e opporsi efficacemente solo allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Ovviamente ci sarebbe anche un altro modo per arrivare subito alla pace, che però nessun pacifista ha mai preso in considerazione: basterebbe che la Russia smettesse di occupare i territori ucraini da lei stessa riconosciuti tali con l’accordo del 1994 e occupati con la forza nel 2022. Perché i pacifisti battono solo sulla resa dell’Ucraina?

È chiaro per tutti che il principio della pace nel mondo è validissimo, ma il problema è come trasformare il postulato della pace in una realtà effettiva. Il pacifismo a tutti i costi, che invoca solo l’appeasement, porta in realtà verso la guerra. Analogamente tollerare con indifferenza stati di fatto intollerabili non porta di sicuro la pace, ma al massimo una moratoria prima della prossima violenza.

Insomma, la prima domanda che tutti dovremmo porci, visto che il dilemma dovrebbe ormai essere chiaro a tutti, è il seguente: la guerra è da evitare a tutti i costi, anche al costo di rinunciare a lottare per la propria libertà? Se diciamo sì, mettiamo pur in conto di far arrivare i carri armati russi fino a Trieste, e oltre. Se diciamo no, dobbiamo continuare ad armare l’Ucraina e armarci pure noi (avendo scoperto che, in realtà, la nostra difesa è quanto mai dimagrita[6]). Non vedo terze soluzioni.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’ONU e l’Europa sono riuscite a sfornare grandi ideali universali di pace, giustizia, ecc., ma poi è sotto gli occhi di tutti la incapacità pratica di realizzarli. Una prima spiegazione la si trova già ai tempi del concilio Vaticano II: «La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi al solo semplice rendere stabile l'equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di una dispotica dominazione, ma essa viene definita con tutta esattezza "opera della giustizia"» [7]. Ora, anche se è risaputo che dove non c’è giustizia non c’è mai pace, anche se questi due valori in astratto vanno sempre assieme, in pratica essi assai difficilmente vanno assieme. Tutti invocano la pace[8] fra Russia e Ucraina, ma la giustizia?[9] Come mai nessuno ne parla? Facile per noi, fuori della mischia tranne che per qualche disagio economico, parlare di pace. Ma se sono pacifico del tutto permetto che l’aggressore russo ottenga benefici dall’ingiustizia commessa aggredendo uno Stato sovrano, mentre se permetto all’Ucraina di riappropriarsi con la forza dei territori che erano suoi,[10] perché questo è giusto, permetto automaticamente l’uso della violenza[11]. La guerra, offensiva o difensiva, implica sempre violenza. Mi sembra di poter dire che è impossibile essere al tempo stesso uomo di giustizia e uomo di pace: se sono pacifico al 100% permetto anche l’altrui ingiustizia, mentre se voglio giustizia non posso essere pacifico al 100%. Perciò ci si rende conto che la forza militare può impedire il nostro sterminio, ma non definire e risolvere il problema[12].

Assurdo invece sostenere – come fanno tanti pacifisti - che gli ucraini, gli unici che veramente soffrono la guerra resistendo al buio, al freddo, alle sue distruzioni, sarebbero dei burattini nelle mani degli Usa e della Nato[13]. Chi sostiene questo non pensa che, se gli ucraini non avessero voluto combattere e morire, se non avessero dimostrato questa forte fierezza e questo coraggio, le armi inviate dall’Occidente non sarebbero servite a nulla, tranne che come bottino di guerra dell’attaccante, esattamente com’è avvenuto in Afghanistan quando gli occidentali hanno deciso di ritirarsi. In una settimana l’esercito regolare afghano, addestrato per anni e anni dagli occidentali, si è sciolto quale neve al sole e i talebani (si dice poco più di 50.000 – mentre la Russia ha attaccato con più del triplo e con ben altre armi) si sono impadroniti dell’intero territorio.

La presidente della Commissione europea von der Layen ha sollecitato l’ONU a creare un tribunale speciale per i crimini commessi in Ucraina e quanto meno per il crimine di aggressione perpetrato dallo Stato russo contro lo stato sovrano dell’Ucraina.  Si cerca cioè di far pressione sulla Russia per vie legali, ma credo che anche questa sia un’arma sostanzialmente spuntata.

All’Aja (Olanda) già esiste una Corte penale internazionale (CPI), permanente, costituita in base al cd. Statuto di Roma[14] del 17.7.1998. L’Italia, che è uno degli oltre 120 Stati firmatari, ha autorizzato la ratifica della convenzione internazionale con legge 10.10.1999, n.409.

Lo Statuto della CPI definisce per la prima volta[15] cosa s’intende per crimini di genocidio (art.6), crimini contro l’umanità (art.7), e crimini di guerra (art. 8). Dopo la Conferenza di revisione di Kampala del 2010, la competenza è stata estesa anche al crimine di aggressione (art. 8-bis), ovvero l’attacco ingiustificato alla sovranità di uno Stato, quando è compiuto in difformità alle previsioni della Carta delle Nazioni Unite. Sarebbe su questa competenza che punta la von der Layen.

Ora, anche solo soffermandosi sul’articolo 8 della convenzione, che fissa in dettaglio i crimini di guerra sui quali la Corte ha giurisdizione, è possibile che vengano raccolte in questa guerra sufficienti elementi per contestare vari capi d’imputazione[16].

Come si può vedere, le possibilità in astratto sono tante. Il problema principale, però è che la Russia ha firmato ma non ratificato lo Statuto di Roma nel 2000. Dopo che nel novembre 2016 la CPI aveva pubblicato un rapporto su una sua indagine preliminare in riferimento alla situazione creatasi in Crimea fra Russia e Ucraina, che già faceva pensare all’esistenza di un conflitto armato fra i due Stati, la Russia ha notificato un decreto presidenziale firmato da Putin con cui dichiara di non voler più aderire allo Statuto. Quindi la Russia non è ufficialmente Stato Parte, anche se si può discutere se un presidente ha il potere di cancellare unilateralmente un trattato internazionale.

A sua volta neanche l’Ucraina ha ratificato lo Statuto di Roma, anche se ai sensi dell’art.12 dello Statuto può comunque accettare l'esercizio della giurisdizione della Corte per i fatti avvenuti sul suo territorio[17].

La Russia non è comunque l’unico Stato importante a non aver firmato. Spicca pure la mancanza delle firme degli Stati Uniti, [18] della Cina e dell’India, e se è per questo non hanno firmato neanche Bielorussia, Egitto, Iran, Israele (mentre la Palestina ha firmato). Tutti questi Stati si ritengono evidentemente al di sopra delle leggi internazionali e dell’ONU e le loro ragioni non devono essere sindacate da nessun giudice terzo. Solo loro hanno diritto di decidere chi deve essere punito e chi no. Per questo si sentono liberi di bombardare, o comunque colpire e uccidere (ad es. con droni) chi, secondo essi, se lo merita. Questo tipo di azioni non ha nulla a che fare con la guerra tradizionale e men che meno col diritto internazionale, ma manifesta piuttosto l’arbitrio di chi possiede sufficiente capacità tecnica per colpire chiunque e dovunque, e sufficiente peso e potere politico per non essere messo sotto accusa. 

Dunque, anche se questa convenzione rappresenta probabilmente l’idea più evoluta della giustizia penale internazionale, riuscendo a coniugare i diversi principi dei sistemi di common law (anglosassoni) e di civil law (latini), ci si trova innanzi a limiti e ostacoli molto difficili da superare, soprattutto perché i più importanti Stati al mondo (Stati Uniti, Russia, Cina e India) non hanno aderito.

Ai sensi dell’art.4.2. dello Statuto, la Corte può infatti esercitare le proprie funzioni ed i propri poteri, quali previsti nel presente Statuto, sul territorio di qualsiasi Stato Parte, e uno Stato diventa parte solo dopo la ratifica.

Inoltre non è neanche possibile costituire un tribunale speciale com’è avvenuto per i casi della Yugoslavia nel 1991 e del Ruanda del 1994,[19]  - prima cioè dello Statuto di Roma - perché per l’istituzione occorre una risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite,[20] dove la Russia ha potere di veto. Inimmaginabile pensare che la Russia, che non ha firmato la convenzione, accetti un’eccezione proprio contro di sé.

È vero che a sensi dello stesso articolo 4 è anche possibile che la Corte abbia competenza sul territorio di uno Stato non parte, in base a un accordo speciale (ex artt.12 e 98 dello Statuto), che l’Ucraina potrebbe chiedere. Ma anche in tal caso il percorso della giustizia penale internazionale resterebbe un estenuante percorso ad ostacoli.

Innanzitutto ci sono ostacoli di natura processuale. Giusto per citarne uno, è ampiamente dibattuto nella prassi interna ed internazionale la questione concernente l’individuo accusato di crimini internazionali, ossia se lo stesso possa godere di immunità dovuta all’incarico statale che ricopriva al momento della commissione del crimine, ovvero se debba rispondere della commissione di un crimine internazionale comunque a titolo personale, anche se quando ha dato l’ordine ricopriva un incarico istituzionale. La giurisprudenza italiana (Corte di Cassazione, Sez. Un., 11 marzo 2004, n. 5044)  ha affermato che in presenza di crimini internazionali, l’immunità funzionale degli organi di Stato non possa essere invocata, concludendo pertanto nel senso della prevalenza della regola della giurisdizione universale dei giudici interni per crimini internazionali dell’individuo rispetto a quella sull’immunità  ratione materiae ( «per ragione della materia»). Non in tutti gli Stati si pensa però allo stesso modo, ed è quasi impossibile che i gerarchi russi finiscano processati in Italia. Ora, immaginiamo anche per un momento che Putin o qualche gerarca russo in transito in Italia vengano arrestati in base a un mandato di arresto della CPI: quale ritorsione potrebbero subire i nostri connazionali che si trovano in Russia?

Poi ci sono le evidenti e spesso insormontabili difficoltà investigative, perché occorre individuare per ogni caso qual è il singolo individuo penalmente responsabile (lo Stato di appartenenza non è chiamato in causa), e provare il dolo al momento della commissione del crimine.

Ad esempio, per riuscire a dimostrare che c’è stato crimine di genocidio non basta dimostrare l’elevato numero di morti. Per ottenere una condanna per genocidio occorre riuscire a dimostrare che gli atti siano stati commessi con il preciso intento di “distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.” L’Accusa – in un eventuale processo- deve cioè poter provare questa intenzione genocidiaria. La prova certa potrebbe essere data solo trovando qualche documento governativo in cui viene dato l’espresso ordine genocidiario. Certamente vedendo la firma di chi ha sottoscritto il documento si potrebbe procedere, ma anche se questo documento esistesse e non fosse stato tempestivamente eliminato da chi si sente in giro d’aria, è inimmaginabile che la Russia lo produca, ed è impossibile per l’Accusa recuperarlo, visto che l’inchiesta penale internazionale si regge prevalentemente sulla collaborazione degli Stati o di enti esistenti in quello Stato. L’Accusa internazionale potrebbe perquisire direttamente gli archivi di uno Stato solo quando questo fosse collassato e di fatto non esistesse più. Non è il caso della Russia.

Certo il procuratore internazionale può agire anche in base all’art.14.1 dello Statuto, secondo cui uno Stato Parte può sottoporre al Procuratore una situazione nella quale uno o più crimini di competenza della Corte appaiono essere stati commessi richiedendo al Procuratore di effettuare indagini su questa situazione al fine di determinare se una o più persone particolari debbano essere accusate di tali crimini. L’Europa (Italia compresa) si è mossa in questo senso, e certamente anche l’Ucraina ha tutto l’interesse a far intervenire la CPI.

Astrattamente attacchi in aree dove non ci sono obiettivi militari ma solo civili ed emerge che la strategia è quella di prendere di mira i civili nelle aree urbane (facendoli morire di freddo o di sete), può essere una prova importante di questo intento di agire commettendo il crimine previsto dall’art.8 lett.b) punto XXV. Ma al di là della difficoltà di raccogliere prove, sarebbe assai difficile individuare i singoli individui responsabili: chi erano i piloti o chi ha impostato l’attacco dei missili? Quali ordini avevano? Chi ha dato loro gli ordini? È vero che uno Stato che non è Parte ha comunque l’obbligo di collaborare con la Corte in rispetto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza, ma è chiaro che questo non potrà mai accadere con Russia o Stati Uniti o Cina i quali – oltre a non essere firmatari della convenzione,-  sono membri stabili del consiglio di sicurezza con potere di veto.

La Corte, non molto tempo fa, ha emesso mandati d’arresto per tre persone: due ufficiali russi e un collaborazionista georgiano per crimini di guerra commessi nella aggressione compiuta dalla Russia sulla Georgia nell’ormai lontano 2008. Ma per procedere effettivamente all’arresto di queste persone occorre di nuovo la collaborazione della Russia. Dopo 15 anni ancora non è successo nulla. Dubito perciò che questi mandati possano servire da monito per gli ufficiali e i militari russi che stanno eventualmente compiendo crimini analoghi in Ucraina. Evidentemente hanno buone possibilità di non essere individuati; ma anche se fossero individuati sarà estremamente difficile procedere al loro arresto se non escono dal territorio russo.

Questo non deve stupire: pensiamo solo al fatto della difficoltà di far arrestare il camionista tedesco che, dopo aver investito e ucciso il noto ciclista Rebellin è scappato in Germania; e qui si tratta di un reato comune, non di un crimine di guerra.

Da ultimo si può tristemente sottolineare come sembra impossibile che Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica possano trovare una base comune per spingere i governi russo e ucraino alla pace;[21] troppo distanti sono le rispettive posizioni. E ormai c’è guerra aperta anche fra la Chiesa ortodossa russa e quella ucraina; Chiesa autocefala riconosciuta da Costantinopoli la seconda, Chiesa invece scismatica secondo Mosca[22].

Di fatto, alcune Chiese ortodosse si sono schierate con i rispettivi governi, e rinnovando la tradizione costantiniana, si sono mosse come cappellane del potere costituito, facendo prevalere l’appartenenza nazionale; ma una Chiesa nazionale che diventa nazionalista dimostra di essere troppo politicizzata e comunque ha completamente fallito la sua missione spirituale.

È una realtà che nessuna Chiesa è riuscita a incidere per la pace. Pure il papa, che si era offerto di andare in Russia non ha ottenuto neanche risposta. Vuol dire che i governi ritengono che le Chiese non hanno in realtà nulla da dire.

Forse si può concludere dicendo che sarebbe prudente preparare la pace in tempi di pace, cioè si dovrebbe da subito lavorare in prospettiva futura, perché quando scoppia la guerra è troppo tardi.

 

 

 

NOTE

[1] Questa constatazione non si trova in un articolo di oggi o di qualche giorno fa riguardante la guerra Russia-Ucraina; è stata scritta circa 2450 anni fa, da Tucidide, Guerra del Peloponneso, Libro I, 78.

Insomma, ‘Topolino apprendista stregone’ diventa realtà: uno scatena la guerra e mette in moto forze che poi non riesce a controllare.

[2] Cfr. l’intervista allo scrittore russo Mikhail Shishkin su La Lettura del “Corriere della sera” 30.10.2022, p.19: “la democrazia è vista come una dittatura senza zar, debole, caotica, anarchica; la maggioranza pensa che solo uno zar possa aiutare la Russia. Ma lo zar attuale è vero o falso?  L’unico modo per stabilirlo sono le vittorie. Se ottiene la vittoria come Stalin è reale; se viene sconfitto come Gorbaciov è un falso zar. Perciò per Putin è essenziale legittimarsi con la vittoria, anche a costo di usare le armi nucleari. Anche nel dopo Putin non è immaginabile una democrazia: ci sarà al più una guerra civile e in elezioni libere sarà eletto non un democratico, ma un patriota. E l’Occidente finirà per appoggiare qualunque dittatore prometta di controllare le armi nucleari… Pochi sono in Russia coloro che approvano i valori europei; Puskin li chiamava coloro che il diavolo ha condannato a essere nati in Russia con una coscienza e un’anima: nel 1917 avevano all’inizio vinto la guerra civile, ma di lì a poco la vera nazione russa, cioè i 150 milioni di braccianti analfabeti, ha ristabilito l’ordine zarista e l’intelligentsia marcia – come la chiamavano invece Lenin e Stalin,-  è stata sterminata o è emigrata.”

[3] In Britannia, il generale calèdone (oggi Scozia) Calgaco cerca di infondere coraggio alle sue truppe prima della battaglia contro i romani (poi persa) con queste parole: “Al di là (di noi, di questa terra) non c'è più nessuna gente, niente se non flutti e scogli e, più ostili, i Romani, la cui arroganza invano cercheresti di evitare tramite l'ossequio e la moderazione. Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla loro sete di totale devastazione vanno a frugare anche il mare. Avidi se il nemico è ricco e arroganti se è povero. Gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare. Solo loro bramano possedere con pari smania ricchezza e miseria. Rubano, massacrano, rapinano, e con falso nome lo chiamano impero. Laddove fanno il deserto, lo chiamano pace (Tacito, De vita et morbus Iulii Agricolae, §30).

E anche Cicerone ammoniva che la pace imposta da una parte all’altra è schiavitù: «Il nome della pace è dolce… ma fra la pace e la schiavitù vi è moltissima differenza. La pace è sicura libertà, la schiavitù invece è il peggiore di tutti i mali, da respingere non solo con la guerra ma anche con la morte» (Filippiche, parte 3, 1).

O, ricorrendo ancora a Tucidide, Guerra del Peloponneso, Libro I, 141: «Grande o piccola che sia, ogni richiesta presentata come un ordine da un proprio pari in luogo di una normale trattativa ha comunque il medesimo valore: schiavitù».

[4] Pensiamo al recente Qatargate, che non ha fatto altro che confermare la nostra corruttibilità.

[5] Non è che le sanzioni economiche imposte contro l’Italia hanno fatto retrocedere il fascismo dall’occupazione dell’Etiopia. Una politica di negoziato, di ricerca continua del compromesso con il nazionalsocialismo era vana, essendo esso intrinsecamente aggressivo, e i suoi obiettivi politici illimitati. Se non c’è reazione dell’opinione pubblica russa all’aggressione decisa dal governo, se il governo russo si pone gli stessi obiettivi illimitati per tornare alla Grande Russia e al peso che aveva lo zar in Europa, non vedo grande spazio per negoziare.

[6] Infatti è emerso che, se mandiamo in Ucraina le difese antiaeree che possediamo, restiamo noi sguarniti.

[7] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes – 29.6.1966, §78.

[8] Non basta neanche invocare la pace tramite la diplomazia, perché solo l’evolversi delle operazioni sul campo stabilisce fino a dove può arrivare la diplomazia. Se sono certo di vincere vado avanti costi quello che costi. Solo quando capisco di essere in stallo, che nessun contendente riesce a vincere perché le forze sono più o meno alla pari accetterò i negoziati. Questo lo diceva già Tucidide quasi 2500 anni fa (dal Libro V della Guerra del Peloponneso di Tucidide, Garzanti, Milano 1974, 372 ss.), quando ha riportato l’incontro fra i rappresentanti della minuscola isola di Melo (colonia di origine spartana rimasta fino a quel punto neutrale durante la guerra di Atene contro Sparta, e non disposta a inchinarsi alla potenza imperiale ateniese) e l’ambasceria di Atene (forte del fatto che il suo possente esercito era già sbarcato sull’isola). Gli ateniesi avvertono: «Siete consapevoli quanto noi che i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda, i più potenti agiscono, i deboli si flettono» (§89). I Meli pensano che il fatto di essere dalla parte del giusto li salverà, perché avranno la dea-fortuna dalla loro (§ 104). Rispondono cinicamente gli Ateniesi che nel cosmo divino, come in quello umano urge «eterno, trionfante, radicato nel seno stesso della natura, un impulso: a dominare ovunque s’imponga la propria forza. È una legge che non fummo noi a istituire, o ad applicare primi ... l’ereditammo che già era in vigore e la trasmetteremo perenne nel tempo; noi che la rispettiamo, consapevoli che la vostra condotta, o quella di chiunque altro, se salisse a tali vertici di potenza, ricalcherebbe perfettamente il contegno da noi tenuto in questa occasione» (§ 105).

Certo, se i Meli si fossero arresi non ci sarebbe stata alcuna guerra e non sarebbero stati sterminati. Ma la pace imposta dal vincitore sarebbe stata giusta?

[9] Un’Ucraina conquistata dalla Russia e insoddisfatta da una pace imposta con le armi dalla Russia può fare acquiescenza, ma non può riconoscerla come pace giusta. E se dopo simile pace l’Ucraina si sente sfavorita non c’è dubbio che, prima o poi, cercherà di cambiare l’ordine impostole, perché una pace imposta da una potenza superiore che ha sconfitto la nazione più debole potrà essere cambiata solo esercitando la propria forza, quando la nazione più debole si riterrà abbastanza forte da ribellarsi.

[10] Visto che l’avversario non molla l’osso spontaneamente, non essendo in grado di bere l’amaro calice di una pace senza aver conseguito obiettivi almeno per lui accettabili rispetto a quelli dichiarati all’inizio della guerra di aggressione.

[11] Per fare la pace l’Ucraina chiede: ritiro dei russi alla linea del 24.2.22 + restituzione dei beni ucraini in Crimea + processo per i responsabili invasione; invece la Russia chiede: riconoscimento delle conquiste territoriali (quali?) + cambio di regime a Kiev. Sarebbe da chiedere ai pacifisti nostrani: e allora cosa suggerito concretamente di fare per arrivare a una soluzione pacifica?

La soluzione pacifista di chi non vuole inviare armi in Ucraina dicendo che così finirebbe la guerra, farebbe in realtà finire l’Ucraina e concede la vittoria all’aggressore. Non c’è niente da fare. Finché i pacifisti tacciono su chi ha iniziato la guerra, su chi ha minacciato di fare uso di armi nucleari, su chi si è annesso un territorio di un altro Stato sovrano dopo averne garantito per iscritto (nel 1994) la sua integrità, fanno anche involontariamente solo il gioco di Putin.

Rifiutare il soccorso a persone in stato di bisogno è già una specie di guerra, e anche il silenzio o il totale disinteresse può essere un’arma di guerra. Per di più gli stessi pacifisti di oggi usano due pesi e due misure: come mai di fronte ad altre invasioni (tipo Turchia verso il popolo curdo) sono rimasti inattivi e silenziosi?

[12] Amos Oz, Giuda, Feltrinelli, Milano 2014, 122s.

[13] Così dicono, del resto, gli ayatollah iraniani davanti alle piazze piene di donne che in realtà lottano per la libertà (loro e indirettamente nostra), visto che sopportano arresti, spari negli occhi e nelle parti intime e perfino l’impiccagione.

[14] Il 17 luglio 1998, a Roma nell’aula della Fao, con 120 voti a favore su 148 Stati votanti venne approvato lo Statuto della Corte Penale Internazionale, in seguito conosciuto come lo Statuto di Roma. Roma è stata probabilmente una scelta voluta per richiamarne il collegamento simbolico con la città eterna, culla del primo diritto (romano) allo ius gentium, da cui si è originato il diritto internazionale moderno. Il testo della convenzione è reperibile in https://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Statuto-della-Corte-Penale-Internazionale-1998/178.

[15] Si è cioè seguito il principio fondamentale (sempre fissato già dai romani) secondo cui nulla poena sine lege  (senza previa legge non si può sanzionare).

[16] Estraendo – fra i tanti - dai seguenti crimini, non c’è che l’imbarazzo della scelta:

a) infrazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, vale a dire uno dei seguenti atti posti in essere contro persone o beni protetti dalle norme delle Convenzioni di Ginevra:

i) omicidio volontario;

b) altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all'interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali vale a dire uno dei seguenti atti:

i) dirigere deliberatamente attacchi contro la popolazione civile in quanto tale o contro civili che non prendono direttamente parte alle ostilità;

ii) dirigere deliberatamente attacchi contro beni civili, cioè beni che non siano obiettivi militari;

iv) lanciare deliberatamente un attacco nella consapevolezza che avrà come conseguenza incidentale la perdita di vite umane tra la popolazione civile o lesioni a civili o danni a proprietà civili, ovvero danni estesi, duraturi e gravi all'ambiente naturale che siano manifestamente eccessivi rispetto al complessivo concreto e diretto vantaggio militare previsto;

v) attaccare o bombardare, con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o costruzioni che non siano difesi e che non costituiscano obiettivi militari;

viii) trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati, o deportazione o trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all'interno o al di fuori di tale territorio;[16]

ix) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, contro monumenti storici, ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali luoghi non siano utilizzati per fini militari;

xiii) distruggere o impadronirsi di beni del nemico, a meno che la confisca o la distruzione non siano imperativamente richieste dalle necessità della guerra;

xxii) commettere stupro;

xxv) affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili, privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso impedire volontariamente l'arrivo dei soccorsi come previsto dalle Convenzioni di Ginevra.

[17] Cfr. l’elenco degli Stati Parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale in https://it.wikipedia.org/wiki/Statuto_di_Roma.

[18] Sempre ‘se è per questo,’ il presidente Bush nel 2001 aveva rifiutato di firmare la convenzione che permetteva il controllo dei paradisi fiscali, che servono notoriamente solo per il riciclaggio e l’evasione fiscale; aveva anche annullato unilateralmente il Protocollo di Kyoto del 1997 sulla riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera e il trattato del 1972 sul controllo e la limitazione di missili balistici intercontinentali (Ziegler J. – già relatore speciale per le Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione,-  La privatizzazione del mondo, Marco Tropea, Milano, 2003, 41-43).

[19] I giudici erano di varie nazioni in rappresentanza dei 5 continenti. Il tribunale deve processare tutti i cittadini ruandesi che si sono macchiati di crimini contro l'umanità e di altri crimini in violazione della convenzione di Ginevra. È stato anche stabilito che le giustizie nazionali possono giudicare i ricercati ruandesi presenti sul proprio territorio (cosa avvenuta in Belgio, Francia e Svizzera).

[20] Chiari invece i vantaggi della CPI: è permanente e non costituita ad hoc; la procedura è prestabilita; vige il principio che i reati sono stati tutti definiti prima che questa corte inizi un qualsiasi giudizio. Vige anche il principio di complementarietà: la Corte cioè interviene solo qualora gli Stati “non vogliano o non possano” giudicare i colpevoli, per unwillingness (cioè ‘difetto di volontà’), per ritardi ingiustificati, non indipendenza e non imparzialità (art.17).

[21] Anche se forse non basterebbe l’accordo fra queste due nazioni; per fermare durevolmente la guerra sarebbe probabilmente necessario un accordo di pace che sostituisse un trattato mai concordato alla fine della guerra fredda fra Russia e USA + Nato.

[22] L’ultimo motivo di scontro è il monastero delle grotte (Kyivo-Pecherska lavra, dove lavra è il nome dei monasteri più importanti della Chiesa ortodossa, che si contano sulle dita di una mano) dichiarato in passato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Qui, in Ucraina, è nata la religione ortodossa, trasferitasi in seguito a Mosca. Ora, le grotte sono gestite dalla Chiesa ortodossa ucraina ancora legata a Mosca. Sembra che il governo ucraino voglia passare la gestione alla Chiesa autocefala ucraina.