Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Foto di pubblico dominio

Miriam Camerini a Trieste - foto di Gianni Passante


Papa Ratzinger e la scrutatrice della mia anima



di Stefano Sodaro




Le due vesti bianche dentro il Vaticano, corrispondenti a due nomi pontificali, a due appellativi di “Santità”, ma dei quali si precisa – con un po’ di imbarazzato fastidio – che uno appartiene al Papa propriamente tale, mentre l’altro al cosiddetto “Papa Emerito” oggi defunto, consegnano un dato che proietta la potenza del simbolo in una direzione dalla quale non sarà più possibile indietreggiare. Il due al posto dell’uno. L’et et al posto dell’aut aut. Quel relativismo, la cui presunta dittatura è stata così appassionatamente condannata dal Card. Joseph Ratzinger alla messa “Pro eligendo Romano Pontifice” del 18 aprile 2005, si è quasi – per così dire – fatto beffe di cotanta damnatio e ha relativizzato, appunto, l’unicità della figura romana biancovestita. Possono ormai essere due, non più necessariamente, obbligatoriamente, invariabilmente, dogmaticamente una.

Una soluzione ci sarebbe stata, ma non è stata percorsa: mantenere il simbolo coerente al dogma e far vestire al Vescovo di Roma emerito abiti episcopali e non pontifici. Ma siccome non si dà Vescovo di Roma che non sia Papa – anzi il Papa è Papa solo in quanto Vescovo di Roma - il cortocircuito logico sembrò inevitabile, sopraffacendo anche la ragionevolezza monista. Che altro si sarebbe potuto e dovuto fare? Quale altro appianamento?

Forse, detta in tutta modestia, una sola cosa sarebbe stata possibile: legiferare per tempo sullo status del papa non più tale, prevedendo la sua obbligatoria destinazione ad una sede titolare diversa da quella romana. Di Betsaida, ad esempio?

Come che sia, Benedetto XVI ha messo l’intera Chiesa Cattolica universale di fronte al dato ormai incontrovertibile che dal papato ci si può dimettere. Verità antica ed indiscussa, ma vivente nella pura teoria, giammai nella pratica. Tanto da considerarsi, in fondo, ecclesiologia eretica se praticata, mentre è accaduto esattamente il contrario. E con la bizzarria della nozione di “Papa Emerito” si è pericolosamente sconfinati nell’eresia del “doppio Papa”.

Per la sensibilità del sottoscritto, il genio teologico di Benedetto XVI corrisponde soltanto al gesto della rinuncia. Il massimo dellinnovazione dentro il massimo della conservazione.

L’incidente di Ratisbona, il motu proprio “Summorum Pontificum” che riabilitò - benché in forma straordinaria - la messa preconciliare, la revoca della scomunica ai vescovi ordinati da Lefebvre, tra cui il negazionista della Shoah Richard Nelson Williamson, gli “appunti” (da emerito) sulle cause della pedofilia, secondo lui da ascrivere al ’68 ed alla liberazione sessuale, il libro scritto (sempre da emerito) assieme al Card. Sarah sul celibato prima che uscisse l’Esortazione Apostolica di Bergoglio successiva al Sinodo Speciale sull’Amazzonia, sono tutti fatti oggettivi che hanno rischiato di far deflagrare l’alienazione della Chiesa rispetto al suo essere “lumen gentium”.

Sul teologo Joseph Ratzinger prima del suo trasferimento a Roma nel 1981 ci sarebbe invece molto - e di diverso - da dire, se solo si pensa che fu tra i fondatori di “Concilium” (anche se poi se ne pentì).

Ed il rigore della scuola teologica pre-romana – non oseremmo dire “anti” -, precedente cioè alla venuta del Cardinale Arcivescovo di Monaco di Baviera presso il Palazzo del Sant’Uffizio, ha verosimilmente avuto un’importanza centrale nel riuscire a porre l’atto più innovatore che si potesse conoscere all’interno di un assetto istituzionale massimamente conservatore: rinunciare. È noto che ancora oggi vi sono alcuni teorizzatori dell’impossibilità di un venir meno del Papa una volta eletto, quasi fosse uno status ontologico, metafisico, quasi fosse stato impresso, in chi esca dal Conclave vestito di bianco, un “carattere papale” superiore a quelle episcopale, ciò che – invero – è eresia, almeno, e con certezza, dopo il Vaticano II.

Si cercò, così, di limitare al massimo le conseguenze dell’inaudita rinuncia, ma qualcosa si era rotto, fratturato, incrinato per sempre: l’Uno.

Avere a che fare con un Due al massimo vertice della Chiesa Cattolica significa accorgerci tutti ancora adesso, oggi, qui, – cattolici e non – che le nostre identità sono multiple. Che la nostra anima può incontrarne un’altra, con cui corrispondere e davanti alla quale non poter essere imputati di alcuna trasgressione o infedeltà né a se stessi né ad eventuali legittimi partner, anzi. In altre parole: l’alterità è spazio interiore, tutto nostro, prima ancora che esteriore. 

Temi del tutto ostici alla nostra cultura vincente, come i legami poliaffettivi – declinati, per esempio, secondo la legislazione poligamica islamica, oppure secondo la proposta di legge poliandrica sudafricana, per non parlare della realtà sempre più diffusa del “poliamore” – potrebbero trovare ben altra accoglienza nella nostra psiche, o “anima” se preferiamo, quando ci accorgessimo che perfino le vesti talari bianche sono indossate in Vaticano da due persone diverse e che uno corrisponde ormai a due.

Fuori di metafora: chi scruterà le nostre profondità, le nostre interiorità, se non una presenza altra – femminile per un uomo, maschile per una donna, ma non necessariamente, lo si ipotizza (simbolicamente, rieccoci qua) solo per increspare il mare piatto dell’Uno -, che si ponga, però, al di fuori dei nostri affetti codificati e consolidati e che però senza dubbio ci ama ed è riamata dentro un universo simbolico parallelo per il solo fatto di ascoltarci ed accoglierci come siamo?

Chi scruterà le nostre anime?

Il maschilismo gerarchico cattolico vive nell’agonia di una fine già decretata, anche solo ponendo mente alle pratiche delle altre Chiese Cristiane. Che accadrà quanto presbitere e vescove scruteranno le anime dei maschi cattolici? “Non avverrà mai!”, sentiamo già tuonare. Ma anche la duplicazione di vescovi biancovestiti in Vaticano non sarebbe mai dovuta avvenire…

L’anno che si apre porti allora la gioia di sentirci deboli, amanti delle minuscole invece che delle maiuscole. Degli amori frammentati come la fractio panis dell’Eucarestia. 

E un piccolo consiglio per i maschi ce lo sentiamo di suggerire: cercatevi “scrutatrici d’anima” (Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che viene si intitola un volume di Carlo e Rita Brutti, edito nel 2019 dall’Istituto Aberastury), che vi/ci facciano capire quanti sia decisivo decentrarsi per scoprire chi siamo. Ne va della vita. Ne va della possibilità di respirare quel poco di ossigeno, senza il quale muore la speranza.

Buon Anno.

Buona domenica.