Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano
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Viaggio in Italia
di Stefano Agnelli
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24. Viaggio nel delirio da febbre
Viaggio nel delirio. Da febbre alta, non spaventatevi. Perché anche il delirio, qui inteso come lucido sogno strano e surreale, mentre ero semi-sveglio, ad occhi aperti, è un luogo dove sostiamo per un certo periodo di tempo, seppure nostro malgrado, un luogo dove il nostro Io più profondo, o chi per lui, ci invia spesso messaggi, simbolici e complessi, che non sappiamo quasi mai interpretare.
Mi sono svegliato completamente solo un ora fa, ho preso una cara vecchia Tachipirina “Mille” che, con un nome simile, pare uscita direttamente da “Quota Novanta” e dalla propaganda fascista sulla Lira, e ora la febbre è ridotta ad un misero ed impiegatizio 37,4, dagli oltre trentotto gradi qual era. Al risveglio mi sono ritrovato, come mi succede a volte, da semi-sonnanbulo, seduto sul letto, girato di lato, con i piedi saldamente appoggiati a terra, in perfetto equilibrio, e lo strano sogno che avevo fatto, in stato di semi incoscienza, era ancora ben vivo dentro di me.
Intirizzito dal freddo – durante la notte spengo la caldaia - ho indossato l’adorato piumino blu con cappuccio, che insieme al berretto sardo di velluto marrone a coste, contraddistingueva il mio vagare solitario per le strade di Ferrara, durante il primo anno di insegnamento in un Istituto professionale, quando, ancora sconvolto dall’irruenza degli alunni, percorrevo a piedi i pochi chilometri che mi separavano dalla mia casa, alla ricerca di un po’ di tranquillità mentale. Forse non è un caso che lo abbia nuovamente indossato ora. La mente infatti è ancora parzialmente prigioniera dell’onirico, e questo aiuta la scrittura. Batto velocemente sulla tastiera del PC, le parole sono un torrente in piena: una Fiumana – termine caro al Verga, ma anche a Pellizza da Volpedo, il geniale pittore de “Il quarto stato” – che soltanto adesso pare voler rallentare, mentre i gorghi del pensiero si sciolgono sotto l’effetto di una corrente creativa impellente.
Ho dunque sognato ad occhi aperti poco fa. A lungo, con immagini vivide – alla faccia dell’HD – e a colori. Nel sogno indossavo un completo da basket giallo, ed aspettavo un treno locale per Ro ferrarese, il paese in cui sono cresciuto, che in realtà non ha nemmeno una stazione. Sedevo su di una panchina in cemento e mia sorella mi chiamava, sostenendo che stavamo perdendo il sopraccitato treno. Devo averlo poi comunque preso, perché mi sono ritrovato proprio in centro a Ro, seduto su di un muretto, con addosso un paio di infradito, ma con i pantaloncini del mio completo preferito, appoggiati sullo stesso muretto, vicino al bar della Mercedes – nel senso di anziana proprietaria, del tutto estranea alla nota casa automobilistica di Colonia - sostituiti da un paio di jeans sdruciti. Passa una ragazza piuttosto scialba, in short e maglietta con un orrendo cappellino da croupier, a visiera trasparente di colore verde - probabile reminiscenza della mitica partita di tennis all’addiaccio, tra Fantozzi ed il ragionier Filini. Porta al guinzaglio tre piccoli cani meticci, che si avventano come furie sui miei pantaloncini, sbranandoli letteralmente, nonostante cerchi di fermarli, mentre la ragazza se ne sta indifferente. Le urlo allora che mi deve almeno trenta euro, ma lei risponde che i cani non sono suoi e, ignorando le mie proteste, piuttosto insistenti, si allontana quasi correndo.
A questo punto una signora sconosciuta, comparsa dal nulla che, a quanto pare, ha assistito alla scena, mi indica la casa della proprietaria dei cani, e altrettanto dal nulla, come particelle elementari dal mare di Dirac, appaiono poi due signori del paese a me ben noti, di cui uno piuttosto corpulento, che mi aiutano a costruire una rudimentale automobilina a pedali, che pare sia assolutamente necessaria per poter arrivare alla mia nuova meta.
Neanche avessimo un’officina, in pochi istanti realizziamo lo strampalato veicolo, e l’uomo più magro vi sale abilmente, invitandomi a fare altrettanto. Si parte, ma arrivati all’angolo del cortile, il veicolo si blocca, trattenuto da una catena, che il mio socio prontamente elimina, svitando l’attacco al muro della stessa. Peccato che ora, lanciati ad una velocità folle ed impensabile, per tale mezzo meccanico, e trascinando il moncone della catena, produciamo un forte rumore di sferragliamento sull’asfalto, oramai chiaro e consunto dagli anni, a cui pare proprio non esservi alcun rimedio. Infine giungiamo al nostro obiettivo, ma per entrare nella casa della padrona dei tre botoli ringhiosi, occorre passare per una scuola. Qui le aule sono enormi, con pochi ragazzi dai volti familiari, probabilmente miei ex alunni del periodo trascorso alla scuola media – più correttamente, secondaria di primo grado – mentre nel cortile, mangiando una mela, sosta il mio alunno più amato e indisciplinato di quel decennio. Ora mi ha raggiunto la signora di poco fa, l’informatrice, e restiamo qualche minuto a ridere e scherzare con i ragazzi radunati all’esterno. Dopo i saluti di rito, la mia nuova compagna di avventura, mi indica la casa a fianco, sostenendo che la mia futura benefattrice si trova al suo interno. Passo per un labirinto di siepi che pare opera dello stesso Dedalo, ricordandomi di tenere sempre la destra ad ogni svolta, ed infine giungo davanti alla porta della casa in questione, per scoprire che, al piano terra, vi è un negozio di ferramenta ed elettrodomestici. La proprietaria la conosco, ci conosciamo da sempre, mi viene incontro, le spiego il problema, ma tutto cade nel vuoto. Non avrò nessun risarcimento. Ora siamo in salotto e parliamo di letteratura, le chiedo il nome di almeno tre poeti futuristi, e lei mi risponde “Zang, tumb, tumb”, in perfetto stile dissacrante marinettiano. Inizia quindi a parlarmi di “Zia Mame”, libro che non ho mai letto, ma che avrei sempre voluto leggere. Viene servito un tè leggero, e riprendiamo a discutere di libri, parlando inglese e confrontando le trame dei romanzi di Peter Cameron e William Somerset Maugham. La signora pare davvero rianimarsi dal torpore dei primi istanti del nostro incontro, si mostra entusiasta della trama di “Quella sera dorata”, e mostra di preferire nettamente lo scrittore statunitense, rispetto a quello britannico, mentre il sottoscritto esalta “Il velo dipinto”. Poi, d’improvviso, così come era iniziato, il sogno finisce e mi ritrovo intirizzito e in mutande, sul bordo del letto. Penso proprio che ora chiuderò il PC e tenterò di riprendere il sonno, possibilmente senza deliri da febbre. Buonanotte futuro lettore.