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Europa

di Dario Culot

La settimana prossima ci saranno le votazioni per il Parlamento europeo, e forse merita spendere qualche parola in proposito.

Verso la fine del secolo scorso, in Europa andava per la maggiore l’idea che Dio fosse morto, per dirla alla Nietzsche. O meglio: lo spazio sacro faceva al più parte del foro interiore, ma non aveva più grande importanza – come nei secoli precedenti - nel foro esteriore, e quindi nella vita pubblica. Si era convinti che tutti i Paesi del mondo si sarebbero lentamente, ma inesorabilmente spostati verso questa nuova visione laica.

Ma non è andata così. Non solo i Paesi musulmani si muovo in direzione opposta a quella che si pensava in Europa, ma nello stesso Occidente non è andata così.

Innanzitutto noi semplicisticamente accomuniamo, quando parliamo di Occidente, Europa e Stati Uniti.  Ma se l’Europa è l’erede della razionalità dell’Illuminismo e dei principi della Rivoluzione francese (soprattutto libertà e uguaglianza; fraternità[1] un po’ meno), gli Stati Uniti non sono come l’Europa, proprio per motivi storici.

I primi migranti verso gli Stati Uniti erano dei protestanti fondamentalisti, talmente intransigenti da non poter convivere in Europa con gli altri protestanti: da qui scontri anche violenti che avevano consigliato di cambiar aria per poter vivere liberamente la dura religione che essi sostenevano[2].

Circa duecento anni fa, quando dalla costa dell’est gli americani hanno cominciato a espandersi verso il lontano ovest (il mitico Far West), il movimento veniva giustificato come un destino manifesto: era Dio che aveva dato quella terra e voleva che gli americani la occupassero. Anche se negli USA si parlava di frontiera, lo spazio (del resto immenso) che si apriva verso ovest non aveva nulla a che vedere con le frontiere europee: lì lo spazio era estensibile a piacere e accaparrabile senza problemi; qui in Europa ogni frontiera doveva essere ben fissata al fine di dare sicurezza ad ogni Stato ed evitare guerre con lo Stato vicino che occupava l’altro spazio appena al di là del confine. In realtà, anche in America quello spazio enorme era oggettivamente già occupato da altri, in primo luogo dai pellerossa. Ma questo non è stato minimamente preso in considerazione: gli altri non erano in grado di opporsi alla superiore tecnologia dei bianchi e alla missione che essi dovevano compiere. E questa idea di missione divina e liberatoria verso il Far west[3] non si è fermata neanche dove lo spazio era già occupato dai messicani: infatti intorno agli anni ‘40 del 1800 gli Stati Uniti hanno tolto con una guerra al Messico quasi 2/5 del territorio messicano (oggi questi territori formano gli Stati americani di California, Texas, Arizona, Nevada, New Mexico, Utah; in tutto circa mezzo milione di kmq). Anche qui gli altri non potevano pensare di opporsi al disegno divino.

Insomma, gli Stati Uniti si sono un po’ sentiti come gli israeliti con l’Esodo biblico: anch’essi erano convinti che Dio avesse dato loro la terra fra il Giordano e il mare, e la dovevano occupare per mandato divino: gli altri che già abitavano lì non esistevano. Ho un po’ semplificato, ma sostanzialmente le cose stanno così.

Insomma, negli USA, a differenza dell’Europa, Dio non è mai stato accantonato, ma è rimasto sempre ben presente: basta pensare al fatto che ancora oggi, sui dollari, sta scritto “In God we trust” (“In Dio noi confidiamo”). Gli USA hanno nel Dna questa convinzione di essere chiamati da Dio a fare ciò che fanno.

E ancora oggi sono molto più integralisti di noi europei[4]. Però ci sono segnali che anche da noi in Europa il futuro avrà di nuovo a che fare sempre di più con la religione, e di questo c’è traccia ormai evidente in vari partiti politici. Sembra che si stia sollevando in politica una marea che pian piano riporta in alto le tradizioni nazionalistiche, che con l’Unione europea si pensava dovessero diminuire. E in questa scia la religione viene recuperata (pensiamo al classico “Dio, Patria e famiglia”), perché la religione[5] - si sono accorti molti nostri politici - è un ottimo collante capace di attirare voti: evidentemente questo atteggiamento risponde a un’idea che ha radici molto profonde, di cui la gente sente ancora bisogno senza neanche probabilmente rendersene conto.

In realtà, succede spesso che si contrabbanda come fede religiosa anche l’accettazione acritica di ciò che è perfino contraddittorio con i vangeli. Perciò, quando vedo il presidente Trump farsi fotografare impugnando con decisione la Bibbia, e lo scaltro Salvini baciare e levare in alto la corona del rosario, mi torna in mente una pagina di Hans Urs Von Balthasar che tratta dei “mammalucchi cristiani” i quali pensano di dover “correre in aiuto all’onnipotenza di Dio” sperando che questo giovi per “conquistare il mondo” (più corretto sarebbe dire: per recuperare una manciata di voti)[6].

Comunque torniamo ora alle nostre imminenti elezioni.

Sappiamo che in tutto il mondo, ogni Parlamento è un’assemblea rappresentativa ed elettiva: cioè fa leggi e dà fiducia all’esecutivo, cioè al governo, oppure lo fa cadere togliendo la fiducia, in base al principio della separazione dei poteri.

In Europa il Parlamento non fa direttamente nessuna delle due cose, perché le leggi le fa la Commissione, le grandi decisioni le prende il Consiglio (dei primi ministri o degli altri ministri dei 27 Paesi dell’Unione europea), e il Parlamento non può togliere la fiducia alla von der Leyen (o a chi sarà, dopo di lei)[7].

E allora, il Parlamento europeo che fa? Confronta le proposte della commissione alla luce degli interessi nazionali, prima che diventino direttive o regolamenti[8]. La Commissione ha le proprie sotto-commissioni che dialogano col Parlamento sui vari argomenti su cui poi si andrà a legiferare. Certamente il Parlamento può fare pressioni sulla commissione: se tutto il Parlamento votasse compatto una determinata posizione, è difficile per la commissione non prenderne atto. Ma legalmente non può ancora fare molto di più: prima di diventare una vera assemblea rappresentativa ed elettiva c’è tanta strada ancora da fare.

Ma sintetizzando al massimo, i parlamentari europei sono – per usare una parola che non è proprio apprezzata - semplicemente i lobbisti del proprio Paese.

Mi spiego meglio: c’è una condizione essenziale per avere un mercato comune come quello che abbiamo in Europa, con circa 450 milioni di abitanti e quindi di consumatori.

Spesso sentiamo critiche del tipo: l’Europa è fatta solo di burocrati che si dilettano a fissare assurdi limiti per i particolati (PM) nell’aria, o a dire come devono essere fatte le prese elettriche, o a stabilire che le reti pesca devono avere certe dimensioni. Ma le misure standard comuni per tutti hanno un senso ben preciso, perché servono se si vuol avere un mercato comune. È chiaro che se voglio comprare un frullatore tedesco non posso poi trovarmelo con un tipo di spina elettrica che non va bene nelle nostre prese o con un voltaggio diverso dal nostro.

Ora, anche i molluschi devono – ad esempio - avere certe misure: nel Mediterraneo sono costituzionalmente più piccoli di quelli atlantici. Se i parlamentari italiani non partecipano ai lavori, o se non hanno alcuna competenza in materia per cui tacciono, è scontato che i parametri saranno quelli oceanici, perché i Paesi nordici – che hanno parlamentari più preparati - decidono senza sapere che i molluschi nostrani sono naturalmente più piccoli, visto che noi non glielo abbiamo detto, e a loro la nostra differenza non interessa. Poi, è inutile lamentarci se le misure vanno bene agli altri Paesi ma non a noi.

Ecco perché occorre votare gente preparata che sa difendere gli interessi italiani. Invece da noi l’appuntamento elettorale europeo è un sondaggio sulla politica nazionale piuttosto che sul futuro dell’Europa. Perciò votando Meloni o Schlein non votiamo bene, perché sappiamo che queste persone non andranno mai al Parlamento europeo, e andranno dei rincalzi. Chi andrà al loro posto quando loro rinunceranno? Dovrebbe essere detto chiaro e tondo, e anche subito; invece non lo sappiamo perché non ce lo dicono chiaramente.

Altrettanto chiaro che, anche votare personaggi che hanno avuto l’onore della cronaca sui giornali, ma che non hanno competenze specifiche per cui faranno scena muta trattando degli argomenti specifici, non è votare bene.

Insomma, dovremmo chiederci quali competenze specifiche avranno gli eletti, da poter utilizzare una volta eletti a Bruxelles? Parlano almeno una lingua straniera? Neanche questo viene normalmente pubblicizzato. Tocca a ciascuno di noi indagare prima di votare e scoprirlo.

Qualche ingenuo potrebbe pensare che comunque gli eletti potrebbero far modificare qualche provvedimento europeo già in vigore, che però non va bene all’Italia. Ma a parte il fatto che per diventare legge l’iter di un provvedimento europeo ci mette dai 3 ai 10 anni di estenuanti discussioni,[9] non basta che un parlamentare italiano si alzi e dica: “Scusate. Ci siamo sbagliati, bisogna correggere”. Per modificare un atto occorre di nuovo una maggioranza, quindi occorre avere contatti e conoscenze con parlamentari di altri Paesi perché gli italiani da soli non fanno maggioranza, e chi arriva lì per la prima volta non conosce normalmente nessun collega straniero. Deve appena cominciare ad ambientarsi e ad allacciare i rapporti. Inoltre, come detto, i tempi burocratici per legiferare sono assai lunghi.

Nemmeno è sufficiente votare uno perché si sa che è un buon cristiano, oppure perché si sa che è un buon laico mangiapreti. Il motivo è sempre lo stesso: quali competenze potrà far valere in Europa?

Se, come diceva l’arcivescovo Marcinkus quando dirigeva lo IOR, la Chiesa non si può mandare avanti con le “Ave Marie”, neanche l’Europa va avanti solo pregando.

In ogni caso è essenziale andare a votare, perché non votando dimostriamo il più totale disinteresse sulle competenze dei nostri parlamentari europei, magari mandati lì dai nostri partiti in un posto ben pagato ma considerato sine cura (cioè un incarico che richiede scarso impegno) come premio dopo essere stati trombati e aver dimostrato fedeltà al partito, per cui – a quel punto - saranno inevitabilmente gli altri a decidere anche per noi che sdegniamo l’Europa. Perciò, se votare non è più un obbligo giuridico, dovrebbe essere tolta ogni possibilità di critica e di mugugno a chi non è andato a votare, sotto pena di sanzione pecuniaria. Per quanto domenica prossima ci si trovi davanti a un vero dilemma, e quindi sembrerebbe meno faticoso restarsene a casa che andare alle urne, mai come questa volta tocca a noi tutti esercitare un pensiero critico, votare dopo aver pensato e soppesato, ricordando che mai tutto il bene sta da una parte e il male tutto dall’altra. Non credo, cioè, esista il partito ideale.

L’Europa da una parte è un miracolo (si gira senza passaporti; c’è un mercato unico fra ben 27 Paesi[10]); dall’altra è meno di quanto pensiamo (i cicli scolastici sono diversi; la giustizia, le pensioni, i sistemi tributari sono diversi). C’è ovviamente ancora molto da fare. Ma per il prossimo futuro dell’Europa, cioè nella prossima legislatura, saranno da prendere alcune grandi decisioni. Ad esempio:

(A) è meglio un’Europa ancora più larga ma sempre meno omogenea, oppure più ristretta ma più solida? Quali devono essere i confini dell’Europa? In passato, ricordate, si pensava di far aderire anche la Turchia; oggi non più, ma si pensa ai Balcani, dove però il fuoco cova ancora sotto la cenere. Bene o male oggi in Europa sono condivisi vari ideali: libertà, uguaglianza, separazione dei poteri, capacità di critica e di mettere in discussione le decisioni delle istituzioni. Però abbiamo visto che, più si allarga l’Europa, più difficile è mantenere compattezza e coerenza su questi valori.

(B) Per garantire la concorrenza interna nessuno deve avere posizioni dominanti[11]. Da noi perciò sono cresciute le piccole e medie imprese, che però si devono ormai confrontare con i colossi di USA, Cina e India. Il nostro Draghi giustamente si è posto questo problema nel suo rapporto di aprile: è ancora attuale impedire monopoli alle imprese europee? In effetti uno di taglia piccola che deve inserirsi in uno scontro selvaggio con un gigante ha ottime probabilità di perire.

(C) E, vista la situazione geopolitica attuale, s’ha da fare un esercito europeo? Nell’insieme spendevamo più della Russia – che però ora si va trasformando in un’economia di guerra - però spendevamo male perché ognuno provvedeva per sé. Almeno dal punto di vista razionale una spesa comune sarebbe indispensabile.

Ma su questo punto ci sono domande più a monte: conviene avere un esercito europeo più forte o una Nato più forte? Ancora nessun Paese occidentale in senso stretto ha raggiunto il 2% del Pil nelle spese della difesa (tranne la Grecia). L’Italia, per raggiungere l’obiettivo dovrebbe impegnare almeno altri dieci miliardi all’anno. Solo i Paesi dell’est, che erano sotto l’Urss, l’hanno fatto. Ci sarà un motivo? Forse si sentono minacciati, ben memori della pregressa esperienza e vogliono proteggersi? Ma noi, che forse erroneamente non ci sentiamo minacciati, siamo disposti a investire di più nella difesa, sottraendo ovviamente i soldi da altri parti? Ci culliamo nell’idea che per 70 anni ci è andata bene, ma dimentichiamo che abbiamo vissuto sotto l’ombrello protettivo degli USA, che hanno speso al posto nostro anche per la nostra difesa. Comodo accusare gli Stati Uniti di essere militarmente assertivi, non voler spendere un euro in più, ma al tempo stesso pretender di essere sicuri.

La Francia è l’unico Paese europeo ad avere armi nucleari, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Cederebbe il comando nucleare a persone di altri Paesi? Difficile da immaginare.

E allora, per concludere: i candidati che avete pensato di votare, cosa pensano al riguardo di tutti questi punti? E cosa pensano su altri punti che riguardano l’Europa futura e anche il nostro futuro? Intendono battersi per aumentare i poteri del Parlamento? Intendono battersi per mettere fine al voto all’unanimità nel Consiglio sulle grandi questioni? È oramai chiaro che questo è assurdo:[12] sarebbe come se il governo USA dovesse chiedere l’unanimità dei 50 Stati prima di decidere. Intendono appoggiare l’idea di un’Agenzia europea per le migrazioni?

Avete ancora una settimana per informarvi.

Come si vede, non c’è stata campagna elettorale europea, ma solo campagna elettorale per contare quanto pesano dentro all’Italia i nostri partiti nazionali. 

 


NOTE

[1] E questi sono sicuramente valori cristiani.

[2] La lettera scarlatta (The Scarlet Letter), pubblicato nel 1850, è un classico della letteratura statunitense scritto da Nathaniel Hawthorne, e ben rappresenta come si viveva nella Nuova Inghilterra puritana e retrograda del XVII secolo.

[3] Pensiamo a Zorro, il prototipo dell’eroe americano, che libera la California dall’oppressione messicana. Non a caso viene contrapposto al sergente Garcia, messicano, un impiastro pasticcione che fissa il prototipo dell’uomo di potere, incapace di fare il bene dei cittadini.

[4] Pensiamo anche nel campo cattolico, come c’è stata una lunga discussione fra i vescovi cattolici (per lo più tradizionalisti), dove i più volevano togliere pubblicamente al presidente (cattolico) Biden la possibilità di accedere alla comunione in chiesa, visto che non si era schierato apertamente contro l’aborto.

[5] Almeno dal punto di vista formale, cioè sbandierando Bibbia e rosari.

[6] Von Balthasar, H., Chi è il cristiano, Queriniana, Brescia, 1966, 112.

[7] Il presidente della Commissione europea viene scelto dai leader nazionali del Consiglio europeo, ovviamente tenendo conto dei risultati delle votazioni per il Parlamento europeo. Il Parlamento, a sua volta, deve confermare a maggioranza il presidente designato, e in teoria può respingere la proposta del Consiglio.

I vari commissari designati sono tenuti a presentarsi prima di un'audizione del Parlamento. Ricordiamo il caso di Rocco Buttiglione.

[8] Le direttive, per trovare applicazione nei singoli Stati devono essere recepite da un provvedimento legislativo di ogni singolo Paese. I regolamenti si applicano direttamente così come sono in tutti i Paesi.

[9] Come ben sa chi abita in un condominio, non è facile mettere d’accordo 27 posizioni.

[10] Quando qualcuno sostiene che l’Italia non ha guadagnato nulla entrando in Europa, basterebbe ricordargli che il nostro boom economico, soprattutto legato alle piccole imprese, è stato possibile grazie alla possibilità di entrare in un mercato nel quale quelle imprese piccole, da sole, mai sarebbero potute entrare.

A questo va aggiunto un tasso d’interessi ragionevole, che se fossimo rimasti sdegnosamente autonomi, col debito pubblico che abbiamo, ci avrebbe portato al fallimento.

[11] Il caso della fusione Lufthansa e quello di Ita sono emblematici al riguardo.

[12] Malta ha poco più di mezzo milione di abitanti, eppure col suo veto potrebbe bloccare gli altri 450 milioni. Lo stesso con il Lussemburgo e ogni altro piccolo Stato.



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