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Víctor Manuel Fernández, nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede - foto tratta dalla rete



La bomba della nuova nomina

di Dario Culot



Arrivo un po’ in ritardo, ma questa è una breaking news, è una notizia bomba. Chi dice che la Chiesa non si muove mai? Per secoli i papi hanno represso il dissenso attraverso l’Inquisizione, trasformata poi in Sant’Uffizio e infine in Congregazione per la dottrina della fede[1]. Ancora nel 1600[2] il Sant’Uffizio aveva mandato al rogo Giordano Bruno, un domenicano.

Oggi, pur sollevando l’ira dei conservatori, papa Francesco nomina come prefetto dell’ex Sant’Uffizio un vescovo riformista. Da settembre l’ex-Congregazione, dall’anno scorso “Dicastero per la dottrina della fede”,[3] avrà un nuovo prefetto: l’argentino Victor Manuel Fernández,[4] teologo aperto alle riforme[5] e pertanto inviso ai conservatori che ancora ricordano con piacere e nostalgia Ratzinger (prefetto dal 1981 al 2005), il quale – non potendo più mandare la gente sul rogo,- aveva comunque represso il dissenso con decine e decine di interventi,[6] sanzionando - in piena sintonia con la Chiesa del passato,- chi propugnava innovazioni progressiste, come la teologia della liberazione, le aperture in tema di omosessuali, in tema di contraccezione, di fine vita[7]. Ma papa Francesco è arrivato a dire per iscritto, senza fare nomi, che in passato la Congregazione è arrivata “a usare metodi immorali” perché “più che promuovere il sapere teologico, si perseguivano gli errori dottrinali”[8]. Al primo posto, piuttosto che la salvaguardia dall’ortodossia, deve essere messa l’evangelizzazione (da cui la preminenza di quel dicastero), la quale annuncia un Dio che ama, perdona, salva, libera, promuove le persone e le chiama al servizio fraterno. Nell’auspicato nuovo indirizzo c’è anche un incoraggiamento alla ricerca teologica[9]. Si sollecita pure l’ascolto del popolo di Dio, cioè dei laici, nel sinodo in corso, il quale dovrebbe rispondere alla domanda: “come si fa ad essere fedeli al Vangelo nel mondo di oggi?”

Oggidì è per noi quasi incredibile sentire che la Chiesa condannava a morte chi non condivideva la sua linea teologica. Come mai questa violenza?

Innanzitutto, perché la Chiesa, da quando ha avuto potere, ha avuto anche il terrore di perdere l’autorità. Per fare un semplice esempio basta ricordare la reazione di fronte alla pena di morte: san Tommaso sosteneva tranquillamente che il credente che interpreta il messaggio di fede in maniera difforme dal magistero commetteva peccato di eresia, sicché ben poteva essere tolto dal mondo con la morte[10]. Piuttosto recentemente si è detto che “La questione è gravissima: se ogni esecuzione capitale è un delitto, un omicidio abusivamente legalizzato (come molti teologi e anche episcopati ora dicono) la Chiesa, per tanti secoli, se ne è resa complice. Se qui davvero ci si è sbagliati, le conseguenze per la fede sono rovinose, coinvolgendo l’autorità della Chiesa e della Scrittura stessa”[11]. Siamo sempre lì: il terrore di perdere autorità. Solo papa Francesco, facendo modificare sul punto anche l’art. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, ha affermato che la pena di morte è inammissibile alla luce del Vangelo. Non credo che con questa affermazione e modifica a 180° la Chiesa abbia perso autorità.

Sta di fatto che, per secoli, la Chiesa, sostenendo di possedere la Verità assoluta grazie alla Rivelazione, ha esercitato un potere in maniera arrogante, e chi è arrogante nel sostenere il proprio punto di vista diventa facilmente prepotente; e dalla prepotenza alla violenza il passo è assai breve. Era stato sant’Agostino a gettare le basi della dottrina che legittima l’uso della violenza ai fini della conversione, richiamandosi al vangelo (Lc 14, 23): “va e costringi a entrare chiunque passerà per strada;”[12] inoltre aveva dettagliatamente presentato come eccezioni al divieto astratto di uccidere il caso in cui l’ordine di uccidere viene da una legge giusta in senso generale (quando il pubblico potere iustissimae rationis imperio, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, punisce con la morte i colpevoli), e il caso di coloro «qui auctore Deo bella gesserunt» (coloro che han fatto la guerra per comando di Dio)[13]. Dunque i cristiani erano autorizzati a uccidere in nome di Dio e nel fare questo avevano la coscienza tranquilla. E anche San Tommaso – come si è visto prima - aveva seguito questa strada. L’idea si fondava sulla convinzione che le autorità pubbliche hanno il dovere morale di perseguire la giustizia, anche a proprio rischio e a rischio di coloro per i quali sono responsabili. Insomma, per secoli il cattolicesimo ha covato l’idea tragica di poter compiere il male nell’illusione che serva a un bene più grande. La gente uccide facilmente per il denaro o il potere, ma gli assassini più spietati sono quelli che uccidono per le proprie idee,[14] indifferente se politiche o religiose. Anzi, è stato correttamente osservato che mai si ammazza con tanto gusto come quando si uccide in nome del proprio Dio unico: che si chiami con il Tetragramma, o Allah, o Signore, non fa alcuna differenza[15]. Lo si è visto in passato nell’ebraismo, nel cristianesimo e lo si vede ancora oggi in varie parti dell’islam.

Visto che per fortuna da noi è cambiata la cultura (soprattutto grazie all’illuminismo),[16] oggi leggiamo sgomenti che papa Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura nel processo ecclesiastico alle streghe, in data 15.5.1252 con Bolla Ad extirpanda,[17] ed il rogo venne giustificato come comandato dalle Sacre Scritture (Es 22, 17; Lv 20, 27; Gv 15,6). Invece, stando ai vangeli, Gesù non ha mai ucciso od ordinato di uccidere nessuno. E questo la gente l’ha intuito o capito anche contro l’insegnamento del magistero o dei grandi teologi, che possono anche sbagliare. V’immaginate quale credibilità potrebbe avere oggi Gesù Cristo, che ha sempre e solo parlato di un Padre amorevole, se fosse venuto alla luce anche un solo episodio in cui, durante la sua vita terrena, avesse imprigionato anche un’unica persona torturandola a morte (ovviamente nel rispetto della legge e a fin di bene)?

La gente, ben prima dell’istituzione Chiesa, aveva forse notato che, quando andiamo per strada vediamo che, normalmente, le persone non ci accapigliamo. L’homo sapiens ha quindi una grande capacità di aggregazione e di tolleranza. Invece se facciamo incontrare dei lupi di branchi diversi, sicuramente assisteremo a uno scontro cruento. Com’è che la comunità umana non ha fatto la fine dei lupi? Probabilmente perché ha presto tolto di mezzo gli individui troppo aggressivi giustiziandoli. La selezione non è avvenuta per via naturale, ma giustiziando gli individui troppo anti-sociali che creavano problemi, evitando così che si riproducessero. Se i violenti venivano eliminati, va anche aggiunto che la società ha spesso graziato i deviazionisti. Da una parte essi sono pericolosi, ma dall’altra sono indispensabili per far progredire. Se a un certo punto non c’è qualcuno che propone una strada diversa, rispetto a quella seguita dalla maggioranza, tutti restano sempre fermi allo stesso punto. Ma di solito anche i dissenzienti finiscono per pagare un prezzo piuttosto alto, anche se non sempre finiscono giustiziati: pensiamo a Galileo Galilei, o pensiamo al dottor Ignác Semmelweis che a Vienna, nel 1847, sosteneva che i medici dovevano lavarsi bene le mani prima di avvicinarsi a una partoriente;[18] per anni i suoi colleghi lo hanno deriso, l’ospedale lo ha licenziato e alla fine questo profeta – che aveva affermato un principio oggi accettato dalla medicina in tutto il mondo,-  è caduto in depressione e finito in manicomio e lì è miseramente morto. Dunque, non era solo la Chiesa a intervenire pesantemente su chi cercava di cantare fuori del coro.

Non mi risulta che la Chiesa abbia ancora chiesto perdono per aver ucciso Giordano Bruno, che fra l’altro apparteneva al clero. Sul perché esattamente Giordano Bruno sia stato giustiziato non sono in grado di dire molto, perché non conosco bene né la sua teologia, né i motivi indicati nella sentenza della sua condanna a morte da parte dell’Inquisizione. Ma, da quel poco che so, posso dire questo: secondo la Chiesa Dio aveva creato un universo finito, con al centro l’uomo che – essendo creato a immagine e somiglianza di Dio,- aveva anche il diritto di dominio su tutta la natura finita. Questa teoria costituiva un principio non negoziabile, e nessuno poteva azzardarsi a dire qualcosa di diverso.

Invece questo illustre teologo aveva precorso i tempi, superando perfino l’eliocentrismo di Copernico e Galileo, perché pensava che l’universo fosse infinito.

Faccio notare che oggi, nel 2023, la fisica è propensa a ritenere che non viviamo immersi solo in tre dimensioni (altezza, larghezza, lunghezza), ma in undici, otto delle quali sono arrotolate su sé stesse. Il nostro universo, poi, sarebbe solo uno dei tanti, distribuiti come bolle di champagne cosmiche[19]. Non chiedetemi di spiegare molto di più perché anch’io faccio molta fatica a cercar di comprendere queste idee.

Ma non solo: questo illustre pensatore, anticipando di qualche secolo Darwin, aveva sostenuto che la superiorità dell’uomo era dovuta non tanto all’esistenza in lui dell’anima, ma alla forma del suo corpo, in cui le mani erano libere mentre si muoveva sul terreno, per cui a differenza degli altri animali poteva lavorare, quindi costruire, quindi realizzare una nuova e diversa civiltà.

Faccio notare che l’antropologia, in questi anni, è giunta ad analoghe conclusioni:[20] un gorilla mangia verde (foglie, lattuga) con poco valore calorico, per cui mangia tutto il giorno senza aver tempo per altro. Lo scimpanzè mangia frutta che non ha proteine ma solo acqua e zuccheri, però va saltuariamente in gruppo anche a caccia per acquisire proteine. Tuttavia non può raccogliere le bacche perché pollice e indice sono troppo separati; la sua mano è semplicemente un gancio per attaccarsi ai rami. L’ominide australopiteco aveva già mani che poteva utilizzare come pinze, per cui ha cominciato a raccogliere bacche che trovava sugli arbusti o il grano selvatico che cresceva fuori della foresta umida; perciò non aveva più bisogno di salire sugli alberi perché le bacche stavano alla sua altezza, e soprattutto il beneficio della luce del sole (al di fuori della selva, nella savana) gli ha dato ulteriori benefici. Ma il poter aggrapparsi a una sbarra chiarisce che la nostra origine è arboricola. Né un gatto, né un cane, né un leone, né un orso possono farlo. L’orso e il leone possono al più arrampicarsi, ma non dondolare appesi a un ramo. L’uomo è quindi simile alle scimmie. Siamo semplicemente riusciti a evolvere meglio grazie alle modifiche della parte superiore del corpo: innanzitutto la mano; poi anche il cervello. Noi siamo anche l’unica specie che lancia oggetti con precisione. La mira è stata essenziale per l’evoluzione, nel senso che ha fatto sviluppare il sistema nervoso e la muscolatura. Gli scimpanzé non sono capaci di intagliare non per carenza cognitiva, ma perché mancano della coordinazione necessaria: non hanno sviluppato la muscolatura e il sistema nervoso come l’ominide. Però le orme dell’australopiteco (Lucy) di tre milioni e mezzo di anni fa, sono esattamente uguali a quelle dei nostri bimbi nella sabbia. Dall’australopiteco si è arrivati all’homo erectus che aveva ormai una forza sufficiente per usare un bastone ed estrarre cibo dalle piante interrate (cipolle, patate). Miglior cibo ha permesso l’aumento di peso e grandezza del nostro cervello. E avanti così,[21] fino ad arrivare all’homo sapiens (cioè noi) circa 100.000-150.000 anni fa.

Dunque, oggi possiamo dire che Giordano Bruno aveva probabilmente ragione e la Chiesa aveva torto. Ma era un dissenziente troppo avanti per il suo tempo, per cui lo hanno ammazzato. Nel campo religioso questo succedeva spesso ai vari profeti, perché – come diceva l’abbé Pierre, occorre sapere che l’incidente lavorativo del profeta è quello di farsi tagliare la testa[22]. Non a caso anche Gesù rientra perfettamente nella media statistica.

Guardate invece come con poche parole, a mio avviso assai più vicine al messaggio del Vangelo e più convincenti di mille disquisizioni teologiche fatte dal Sant’Uffizio nelle sue condanne, un altro autore cristiano - senza neanche richiamarsi espressamente al Vangelo,-  ha fatto capire nel suo romanzo come una condanna a morte è sempre sbagliata:

«Merita la morte!»

«Sì, la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono prevedere tutte le conseguenze»[23]. Non a caso, poi, nel romanzo, non avendo ammazzato il Gollum che avrebbe meritato la morte, proprio questo “cattivo” sarà determinante, anche se involontariamente, nella riuscita dell’impresa dell’anello.

Se le persone religiose avessero sempre seguito l’istinto del loro cuore dove soffia lo spirito di Dio, anziché il dogma della Verità assoluta nella convinzione di averla ormai raggiunta, ci sarebbe stata risparmiata la vista degli eretici cristiani bruciati sul rogo,[24] nonché di milioni di innocenti massacrati in guerre intraprese in nome della santa religione[25].

Mentre per ogni autorità il buono appartiene al passato,[26] oggi siamo ormai ben consapevoli che non è sempre così. L’autorità religiosa ha per troppo tempo guardato indietro, al passato, sicura di sapere già tutto. I vangeli non contengono però un messaggio che viene dal passato e che si è esaurito, perché hanno in sé un messaggio che viene dal futuro, per il futuro di tutti.

Chi guarda solo al passato, magari con rimpianto, chi crede che i bei tempi passati (quando si diceva la messa in latino in una chiesa piena di fedeli, quando si cantava solo in gregoriano, quando si accettava ogni insegnamento del magistero) fossero i migliori, non può vedere Dio, perché Dio è sempre avanti, è sempre proteso verso il nuovo, verso il futuro: il nostro è il Dio che viene (Ap 1, 4.8). Chi si rifugia nel passato della religione sarà perciò anche una brava persona pia e religiosa, ma non farà mai l’esperienza del Signore perché il Dio di Gesù apre al nuovo, fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5). Se gli apostoli avessero tenuto lo sguardo fisso sul passato, su Gesù morto e sepolto, si sarebbero auto-esclusi dal futuro e non avrebbero percepito il Dio che viene: è accaduto qualcosa che ha fatto credere ai discepoli che Gesù riprendeva contatto con loro, e questo ha sconvolto la loro vita perché hanno improvvisamente ritrovato la parola, si sono sentiti tornare alla vita, come lui. Il ritorno alla vita di Gesù si è imposto malgrado la loro incredulità come un'esperienza di cui alla fine non potevano più dubitare[27]. Ma evidentemente erano ben predisposti, erano aperti al futuro.

Non si può vivere senza distinguere i tempi: se il passato, che sembra il solo a conservare tesori perduti, diventa presente perché lo si rimpiange di continuo, se il futuro è senza futuro, in realtà si sta vivendo solo in un presente senza speranze e prospettive, immobilizzati in un passato senza avvenire;[28] cancelliamo così ogni possibilità di attivarci ed estinguiamo ogni desiderio che per sua natura è proiettato in avanti[29]. Come sia pericoloso fermarsi ossessivamente sul proprio passato, incapaci di guardare al futuro, ce lo dimostrano più volte sempre gli apostoli: Giuda si fa divorare dal passato e si suicida; Pietro accantona il tradimento nel passato e concede al futuro la possibilità di riscatto. Insomma, si dovrebbe ricordare che il passato è l’ultimo rifugio degli sconfitti o dei vecchi.

Perciò non è più possibile credere a un Dio che benedice il presente soltanto se è simile al passato, a un Dio che diffida della primavera[30]. Oggi, più che mai, occorre inventare modalità nuove, ma questo non può avvenire da parte di coloro che si aggrappano al passato cercando di trattenerlo, bensì solo da parte di quelli che sono fedeli alla vita che procede incessantemente. Chi non è disposto a cambiare sé stesso si chiude all’esperienza di Dio, del Dio che viene[31]. Chi non si apre continuamente al Dio che viene rimane un guardiano al museo del Dio che era, un Dio che sembra costruito apposta per la nostra paura d’invecchiare, e in nome del Dio che era (lo aveva già detto Gesù) perseguiterà i profeti del Dio che viene. Non è così che ha fatto per secoli la Congregazione per la dottrina della fede? Ecco perché abbiamo bisogno, anche nel Dicastero per la dottrina della fede, di persone nuove capaci di aprirsi al nuovo.

Buon lavoro, perciò, al nuovo prefetto Victor Manuel Fernández!

 

 

 

 

NOTE

[1] Il Sant’Uffizio, denominato Suprema Sacra Congregazione, era stato istituito nel 1542 da papa Paolo II per combattere le eresie, e derivava dai tribunali della Santa Inquisizione, iniziati nel 1200 con papa Innocenzo III. La direzione delle indagini veniva cioè accentrata in Roma. Appena nel 1965, papa Paolo VI ha ritenuto opportuno cambiare il nome Sant’Uffizio che suonava piuttosto sinistro con quello di Congregazione per la dottrina della fede. Dall’anno scorso è stato ridotto a Dicastero. Vedi successiva nota 3.

[2] L’ultima condanna a morte in Italia, da parte dell’Inquisizione e quindi per eresia, è del 1761.

[3] Che, pur essendo ancora un ufficio di estrema sensibilità per misurare dove sta andando la Chiesa, è sceso dal primo al terzo posto dopo la riforma della Curia romana dell’anno scorso, preceduto dalla Segreteria di Stato e dal Dicastero per l’evangelizzazione.

[4] E si dice, ghost writer (cioè scrittore fantasma che sta dietro a) delle Encicliche di papa Francesco.

[5] Il giornalista americano O’Connell G, “America” parla di designazione significativa perché la nomina indica chiaramente la determinazione del papa nel continuare il cammino di rinnovazione teologica e pastorale della Chiesa cattolica, portando a compimento gli insegnamenti del concilio Vaticano II, che l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – cardinal Ottaviani,- aveva disperatamente cercato di frenare.

Su “La Croix” il giornalista Loup Besmond de Senneville afferma che papa Francesco ha optato per una netta rottura.

[6] Papa Benedetto XVI, con il suo predecessore, hanno silenziato oltre cinquanta teologi. Un elenco incompleto dei tanti teologi colpiti da censura si trova in Gumersindo Lorenzo Salas, Una fede incredibile nel secolo XXI, Massari, Bolsena, 2008, 196. Insomma, papa Benedetto XVI che molti oggi ricordano per la sua sorridente mitezza fu in realtà un teologo portatore di un pensiero rigido e inflessibile. Eppure, nel 1968 Ratzinger stesso aveva sottoscritto un documento firmato da ben 1360 teologi cattolici di 53 paesi. La Dichiarazione di Nijmegen diceva: «Qualsiasi forma di inquisizione, per quanto sottile, non solo danneggia lo sviluppo di una teologia sana, ma provoca anche un danno irreparabile alla credibilità della Chiesa come comunità nel mondo moderno»; quello stesso documento chiariva che l’opera d’insegnamento del papa e dei vescovi «non può e non deve soppiantare, ostacolare e impedire il compito di insegnamento dei teologi in quanto studiosi» (Citato in John Allen, Pope Benedict XVI: A Biography of Joseph Ratzinger, New York, Continuum, 2005, 67). Forse era un sosia del papa colui che ha sottoscritto questo documento?

[7] Forse dimenticando che il primo problema per la Chiesa non sono più gli eretici, ma la fuga dei fedeli.

[8] Riportato da Scaramuzzi I., Un teologo riformista all’ex Sant’Uffizio. Il Papa: basta condanne, “La Repubblica”, 2.7.2023, 16.

Vedi per il testo spagnolo l’articolo di Stefano Sodaro sul n.720 di questo giornale.

[9] Non ben accetta prima di questo papa, come ha ricordato il teologo benedettino Elmar Salmann, conferenza tenuta a Trieste il 3.12.2011, presso il centro Veritas.

[10] Tommaso d’Aquino, Summa theologiae,  II-II, 11, 3, in www.documentacatholicaomnia.eu

[11] Messori V., Pensare la storia, ed. Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1992, 415.

[12] Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, ed. Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 100. «Per Agostino l'uso della violenza per il bene altrui si giustifica con l'attitudine naturale del padre che castiga il figlio per educarlo» (Minois G., La Chiesa e la guerra, 2003, ed. Dedalo, Bari, 600).

[13] Sant’Agostino, La città di Dio (Augustinus, De civitate Dei), I, 21, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[14] De Mello A., Shock di un minuto, ed. Paoline, Milano, 1995, 15.

[15] Maggi A., Religione del libro o fede nell’uomo, relazione tenuta in Ancona, 2010, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

[16] Dico questo, perché la storia dimostra che, almeno in passato, l’istituzione Chiesa si è trovata ad essere spesso l’ultima carrozza del treno che tirava anche disperatamente il freno a mano: ancora nella prima metà del 1800, la locomotiva era il teologo riformato svizzero Alexandre Vinet, il quale sosteneva che libertà di coscienza e libertà di culto sono la stessa cosa, mentre negare la libertà di culto equivaleva a negare la libertà di pensiero. Oggi, date per pacifiche queste linee di pensiero, nell’ambiente cattolico c’è perfino chi presenta un po’ sfrontatamente la Chiesa come fosse stata da sempre la paladina della libertà dell’uomo, come se avesse da sempre difeso «il valore della libertà religiosa basato sulla dignità dell’uomo inteso come essere che cerca la verità» aggiungendo impudentemente che, senza la libertà religiosa, «ogni altra libertà diventa monca, una parodia di se stessa» (Negri L. e Cascioli R., Perché la Chiesa ha ragione, ed. Lindau, Torino, 2010, 28), o che «La libertà religiosa oltre ad essere un diritto sacro costitutivo di ogni persona… implica non solo la libertà di culto, ma anche libertà di pensiero, di coscienza» (in “Vita Nuova” n.1/ 2011, 3). Peccato che proprio ai tempi di Vinet il magistero della Chiesa bollasse questi valori, oggi fatti propri, come princìpi diabolici, sanzionando perfino con la scomunica chi li propugnava (vedasi ad es. Sillabo dei principali errori della nostra età, promulgato da Papa Pio IX l’8.12.1864: il Cap.III, XV condannava la libertà di religione; il Cap.X, LXXIX condannava la libertà di opinione e pensiero).

[17]In www.icar.beniculturali.it/ , cercando poi Magnum Bullarium Romanum/Innocenzo IV/ parte II/XXVII/ p.552 (testo solo in latino).

[18] Questo medico aveva notato che rispetto alle donne morte inopinatamente in casa, dopo il parto, le morti in ospedale erano più alte del 100-150%. Di qui l’intuizione.

[19] Vedi l’intervista all’astrofisica Vaudo Scarpetta Ersilia, in Il Venerdì di Repubblica, 30.6.2023, 61.

[20] Millás Juam José y Arsuaga Juan Luis, La vida contada por un sapiens a un neandertal, Penguin Random House, Barcelona (E), 2021,43ss., 65s.,126 e 137.

[21] Fra l’altro non vedo alcuna umiliazione nel dire che noi siamo derivati per evoluzione dalla scimmia, visto che non solo il 95% del Dna è ancora comune, ma soprattutto visto che la Bibbia dice che noi deriviamo dal fango: un gradino ancora più basso.

[22] «Occorrono particolari qualità di cuore e di mente per riuscire a contestare l’ortodossia ricevuta dalla propria tradizione…cercare di rimettere a fuoco le istanze fondamentali. Eppure, è questo il ruolo solitario, pericoloso e provocante che tocca in sorte al profeta» (Freyne S., Gesù il pellegrino, “Concilium”, n.4/1996, 50).

[23] Tolkien J.R.R., Il Signore degli anelli, ed. Bompiani, Milano, 2000, 94 (Parte I, Cap. II).

[24] Il Vaticano riconosce che i tribunali della Chiesa cattolica misero al rogo poco meno di 100 persone; molto di meno di quanto fecero i protestanti. Per lesattezza: 4 in Portogallo, 59 in Spagna, 36 in Italia; in Atti del Simposio Internazionale del grande Giubileo dell’Anno 2000, ed. Libreria Vaticana, Città del Vaticano, 2004, 786ss. Ma chi ci assicura che quelle statistiche sono corrette? Altre fonti parlano di varie centinaia di persone, e non mi sembra che sostenere che i protestanti hanno fatto peggio giustifichi i cattolici.

[25] De Mello A., Il canto degli uccelli, ed. Paoline, Milano, 1986, 194.

[26] Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011, 54.

[27] Moingt J., Dio che viene all’uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 336s.

[28] Ricordiamoci del giusto Zaccaria, pio e religioso, ma al quale viene tolta la parola (Lc 1, 20) perché non è aperto al soffio dello Spirito, non è aperto al futuro

[29] Galimberti U., Il futuro impossibile, “Repubblica” 3.1.2008.

[30] Gauthier R., Preghiere per le esigenze del cuore, ed. Cittadella, Assisi, 1998, 45.

[31] A questo proposito è opportuno ricordare quanto ha affermato papa Francesco davanti alla CEI, quando ha ricordato com’è sbagliato il ripiegamento “di chi cerca nel passato le certezze perdute” (riportato da Politi M., Il Papa non assolve i vescovi e ribalta la linea della Cei, “Fatto Quotidiano”, 20.5.2014, 10).