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Cristiani credenti

di Dario Culot

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Visto che nei miei scritti mi discosto assai spesso dall’insegnamento ufficiale della Chiesa, visto che tutti hanno ormai capito che per me non ci si può dire credenti cristiani per il solo fatto di credere ai dogmi e di obbedire al magistero, visto che non condivido neanche pienamente il “Credo” della Chiesa cattolica (la base minima per dirsi cristiani), mi è stato chiesto di chiarire meglio cosa è richiesto – secondo me - per potersi definire cristiani.

Ci metterò un po’ di tempo (cioè più di qualche articolo), perché non è facile rispondere in poche battute. È chiaro che la mia risposta sarà un punto di vista, ragionato ma pur sempre un punto di vista, senza pretesa di dover convincere o convertire nessuno. Parto dal principio che è giusto imbattersi in opinioni differenti in argomenti così complessi, perché mai la verità sta da una sola parte e tutto il torto dall’altra.

Risposte sempre uguali date solo per tradizione, perché così si è detto per secoli, non è dunque una soluzione: non dimentichiamo che le stesse Scritture ammoniscono che la teologia non è fede, e lo sono ancora meno le religioni, i riti, le celebrazioni, il culto in genere, che – come già diceva il profeta Amos (5, 21-25),- possono coesistere con la più radicale miscredenza[1].

L’arcivescovo americano di Kansas City, Naumann ha fatto notare che neanche lui ha l’autorità per insegnare cosa s’intende per cattolico, insegnamento che è appannaggio esclusivo dei singoli vescovi, per cui intenzionalmente o meno – se rispondo - starei usurpando l’autorità dei vescovi. In sintesi, questo vuol dire che nella Chiesa i laici non contano molto e che solo la gerarchia detiene il ‘timbro ufficiale’ per stabilire chi è cattolico e chi no, chi è dentro e chi è fuori. Questa linea di pensiero, però, contrasta - a mio avviso - con quanto affermato dal concilio Vaticano II, il quale aveva fatto alcune affermazioni mai veramente accettate dalla classe sacerdotale, del tipo: “i laici hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa,”[2] il che fa pensare che senza questo apporto i pastori sono spesso incapaci di raggiungere una completa efficacia. Perciò mi prendo la libertà di rispondere.

Per prima cosa, mi pare evidente che, sull’essere o meno cristiani, quello che è chiaro per me non è chiaro per chi mi ha interpellato, e quello che è chiaro per chi mi ha interpellato non è chiaro per me.

(A) Per me la prima cosa chiara è che, se siamo convinti che Vangelo significa Buona Novella, questa deve essere buona; sempre, non saltuariamente. Se allora Dio è Amore, e amore vuol dire dare felicità, mi sembra consequenziale affermare che qualsiasi messaggio imposto viene in realtà dalla religione, ma non può venire da Dio, perché l’amore è di per sé a forma libera e non sorveglia nessuna porta d’ingresso[3]. Gesù ha messo al centro della sua Buona Novella la vita, con le sue contraddizioni, le sue passioni, i suoi errori. Il Vangelo sottolinea più volte che Gesù è venuto per darci la vita, per insegnarci a vivere. Se non trasformiamo il Vangelo in vita, possiamo anche chiudere la Chiesa. Perciò mi sento attratto da una religione gioiosa e serena (l’immagine è ben resa nella foto iniziale di Maria col bambino), mentre scappo da una religione austera, triste, quasi cupa (l’altra immagine di Maria piangente) che ci vuole immersi in “una valle di lacrime”.

Allora devo far notare che, prima dell’ultimo concilio, il magistero aveva a lungo calcato la mano su una spiritualità listata a lutto[4]. Eppure, stando ai vangeli, Gesù preferiva accompagnare le persone verso la gioia, per questo ci ha proposto il Regno di Dio come una festa, un banchetto dove si mangia, si beve e ci si diverte, senza distinguere fra corpo e spirito. La religione, invece, ha preferito accompagnare le persone verso la perfezione individuale dell’anima e la santità,[5] rappresentando il corpo come qualcosa che facilmente ci fa cadere nel peccato, mentre l’anima fa una fatica immensa ad elevarsi per cercar di staccarsi dal corpo.

Abbiamo perfino sentito dire che Gesù, consapevole fin dall’inizio del duro compito che lo aspettava (già in culla era onnisciente) aveva irradiato solo lugubre serietà e non aveva mai riso in vita sua[6]. Per forza, penserà più di qualcuno, se sapeva da subito che sarebbe finito crocifisso non poteva di certo sprizzare gioia. Ma dai vangeli, risulta invece che la sua profonda spiritualità non è entrata affatto in conflitto col piacere e con la felicità: il Vangelo è un inno alla gioia, non al lutto. Basta ricordare come proprio nei vangeli si afferma che Gesù veniva accusato di apprezzare un po’ troppo la buona tavola e il buon vino (Mt 11, 19) che porta allegria e gioia, per cui è difficile pensare che in queste numerose riunioni conviviali non abbia mai riso.

(B) La seconda cosa che mi è chiara, dopo la lettura dei vangeli, è che in essi si affrontano due modi fondamentalmente diversi di intendere e vivere la religione:

1. La religione che ha il suo centro nei riti sacri.

2. La religione che ha il suo centro nel dar vita e felicità alle persone.

La prima era la religione dei capi giudei. La seconda era la religione di Gesù. Ebbene, è naturale che se la gente andava con Gesù, la conseguenza inevitabile sarebbe stata l’abbandono del Tempio, delle sue cerimonie e, ovviamente, della sottomissione del gregge ai capi religiosi. Questo è quanto hanno visto con assoluta lucidità i sacerdoti e gli anziani del Sinedrio. Il che, in definitiva, equivaleva a dire: “a questo punto, o lui, o noi”. In altre parole: la religione del Tempio che ha il suo centro nei riti, da una parte, e la religione di Gesù che ha il suo centro nella condotta etica, dall’altra, sono incompatibili[7]. Perché? Perché nella religione rituale c’è sempre il pericolo concreto che eseguendo scrupolosamente il rituale si finisca col porre tutta la concentrazione e l’attenzione nella forma, per cui c’è il rischio che la forma del rituale diventi sostanza, finisca cioè per costituire un fine in sé stesso[8]. Il rituale, in effetti, esige l’osservanza della forma con assoluta fedeltà: un errore, e s'invalida l'efficacia di tutto l'atto.

Ma così finisce col prevalere la pratica formale mentre sparisce completamente di vista l’etica[9] e l’umanità. Certamente l’osservanza del rituale sacro produce pace nella coscienza dell’uomo religioso, e colui che ha la sua coscienza in pace automaticamente si disinteressa delle altre esigenze alle quali non presta grande attenzione. Ancora oggi, non è raro vedere l’effetto di questo travisamento: tanti sedicenti credenti sono più impegnati nell’osservanza del rituale che nelle esigenze delle altre persone con cui si rapportano, per cui succede assai spesso che le persone più fedeli al rituale sono anche le persone la cui umanità lascia più a desiderare. Insomma, i rituali possono nutrire l’illusione che ci si avvicini a Dio seguendo rigorosamente i dettagli del rituale stesso,[10] ma non trasforma gli osservanti in veri cristiani.

(C) La terza cosa che mi è chiara è che, con la cacciata dal Tempio, Gesù dimostra di non accettare quel culto a un dio che chiede insaziabilmente agli uomini, un dio che vuole i sacrifici. Nella cacciata dal Tempio (Gv 2, 13-16) Gesù elimina il culto a Dio, allontanando sia i venditori sia gli acquirenti: erroneamente, dunque, si parla di cacciata dei soli mercanti dal Tempio. Il Tempio presenta un’immagine di Dio che è falsa, quella di un dio che sfrutta gli uomini. Il culto nella casa di Dio era diventato un mezzo per sfruttare soprattutto la povera gente, tant’è che Gesù rimprovera solo i venditori di colombe (Gv 2, 16), cioè l’animale di minor prezzo usato appunto per la purificazione dei poveri (Lv 5, 7), che avevano pochi soldi. E subito dopo la cacciata, avendo Gesù dimostrato che nel Tempio non c’era Dio, ma imperava mamona, cosa succede? Gli si avvicinarono i ciechi e gli storpi, considerati impuri per natura e indegni quindi di entrare nel santuario ed egli li guarisce (Mt 21,14): ecco che gli esclusi dalla religione si possono finalmente avvicinare.

Dunque Gesù dimostra chiaramente che quel culto sacerdotale basato sui sacrifici era per lui superato, il che gli ha attirato ovviamente l’odio della classe sacerdotale che ha deciso di ucciderlo (Mc 14, 1).

In che senso il Tempio è superato? Quando Gesù si scontra duramente con i capi religiosi, dice che il Padre lo aveva “consacrato”. Gesù, utilizza la stessa parola (in greco, il verbo hagiazō) (Gv 10,36) che l’Antico Testamento utilizza per parlare della “consacrazione del Tempio”. Col che, il vangelo ci fa intendere che ‘la persona di Gesù’ sostituisce ‘l’edificio del Tempio’.

Se il Tempio era prima considerato la casa di Dio, con Gesù è l’uomo che diventa la casa di Dio. Stando ai vangeli, Gesù non è andato mai a pregare al Tempio, l’unico luogo dove - secondo il magistero di allora - Dio era presente in terra. Su questa linea anche la nostra chiesa diventerà la casa del popolo di Dio, il luogo dove si radunano i credenti (simile alla sinagoga, potremmo dire, se il termine non richiamasse troppo l’ebraismo), e di certo non è il luogo dove Dio abita. Per quanto molti cristiani pensino il contrario, la chiesa non è la casa di Dio, neanche per i cattolici: è solo il luogo dove i credenti si riuniscono; è la casa dedicata dagli uomini a Dio.

Il Dio che Gesù ci presenta è un Dio completamente diverso dal dio del Tempio. È un Padre, e un padre non chiede il pane ai suoi figli, ma è lui che si fa pane per i figli. Non è un Signore che chiede le offerte, ma è lui che si offre per potenziare la vita dell’uomo, e lo fa gratuitamente, perché Dio non ha bisogno di niente (At 17, 25). Gesù non tollera che l’amore gratuito del Padre venga fatto oggetto di commercio[11] nel Tempio. Unendosi invece Dio ad ogni uomo, ogni uomo diventa Tempio di Dio; Dio è presente in ogni uomo (cfr. Gv 13, 20). Gesù ha chiarito che non c’è più un Tempio dove Dio si manifesta, ma gli uomini che lo accolgono diventano l’unico santuario dal quale si irradia l’amore di Dio. Qual è la differenza tra il vecchio Tempio, quello costruito con pietre a Gerusalemme, e il nuovo costituito da persone in carne e ossa? Mentre prima il Tempio era segno visibile della presenza di Dio invisibile, ora la costruzione non serve più perché Dio è presente sempre. L’Apocalisse afferma (Ap 3, 12) che il nuovo Tempio è il Cristo glorificato, e gli uomini sono pietre vive di Cristo Tempio. Inoltre nel vecchio santuario c’erano tante condizioni rigide per l’ammissione, visto che non tutti potevano avvicinarsi[12]. A molte persone l’accesso era proprio impedito per cui non poetvano avvicinarsi al Signore. Quindi il vecchio santuario di fatto escludeva tante persone dalla comunione con Dio. Con Gesù, Dio ci è intimo, non più distante da noi: ognuno di noi è la casa santuario del Padre; con l’incarnazione Gesù ha portato Dio da noi. La distanza fra Dio e l’uomo è stata eliminata, e dove c’è l’uomo lì è pure Dio, non essendo possibile fare alcuna esperienza del divino separandosi dall’umano[13]. Il nuovo santuario non è statico, non sta fermo in cima alla collina, non attende che le persone vengano da lui; ogni uomo è Tempio di Dio; ogni uomo cammina e può andare incontro a un altro. “Andate dunque” (Mt 28, 19) Gesù raccomanda alla fine ai suoi discepoli; cioè uscite, andate a incontrare gli altri, non rimanete chiusi nel vostro egoismo, né rinchiusi in casa per paura” (Gv 20, 19). Non basta dire: “aspettiamo, qualcosa capiterà”, perché non capiterà nulla se noi non lo rendiamo possibile: l’azione di Dio non può esprimersi nella storia finché non diventa azione di noi uomini. Siamo noi a doverci muovere, ad andare.

Inoltre, con la lavanda dei piedi Gesù ha appena dimostrato che ognuno, col suo comportamento attivo (non con l’insegnamento), deve farsi servitore misericordioso dell’altro. Come visto sopra con la cacciata dal Tempio, Gesù ha cominciato la sua attività proprio verso coloro che non erano ammessi nel santuario, verso quelli che la religione escludeva in nome di Dio, dimostrando la falsità di questa dottrina.  

Anche Paolo, ricorda che siamo noi il Tempio del Dio vivente (2Cor 6, 16), e negli Atti degli apostoli (At 7, 48 e 17, 24) Stefano e Paolo ribadiscono che Dio non abita in costruzioni o templi fatte dall’uomo, sì che oggi non lo si trova neanche in nessun edificio-chiesa, per quanto grande e splendida esso possa essere.

Col che, Gesù ha cambiato completamente la religione. Perché essere una persona religiosa non consiste più nell’avere una buona relazione con il Tempio, con i preti e le loro cerimonie, bensì assomigliare il più possibile a Gesù, alla sua vita, alle sue abitudini. La religione di Gesù non è più la religione dell’obbedienza ai rituali sacri, bensì la religione della bontà che si dà da fare per alleviare la sofferenza e far felice la vita delle persone[14] che incrociano il nostro cammino.

E allora, se veramente crediamo che ogni singola persona, e non più il Tempio, è sacra, perché tanti che si ritengono veri cristiani trattano con più rispetto alcuni oggetti (un’immagine, un luogo sacro) che le persone?

(D) Il quarto punto che mi pare chiaro è che nella religione insegnataci si è insistito molto sul criterio del merito: solo osservando la legge l’uomo merita l’amore di Dio. Inutilmente Gesù aveva già avvertito i suoi discepoli dal “guardarsi dalla dottrina dei farisei e sadducei” (Mt 16, 12), cioè dalla dottrina del merito: l’infallibile magistero di allora era riuscito a convincere la gente che l’amore di Dio ognuno se lo doveva meritare con fatica attraverso determinati stili di vita, attraverso le preghiere, attraverso le offerte (che finivano nella tasche dei sacerdoti del Tempio). Ancora per la dottrina cattolica ufficiale di oggi l’amore di Dio va meritato: devi essere bravo, devi essere obbediente, devi osservare la legge e soprattutto obbedire ai rappresentanti di Dio in terra.

Ma ci sono molte persone che per la loro situazione, per la loro condizione, non possono osservare questa legge, si sentono fuori dalla legge e allora sono perduti per sempre? No, perché la grossa novità proposta da Gesù è che l’amore di Dio non va più meritato, ma va accolto come dono gratuito, perché il Dio di Gesù non guarda ai meriti delle persone, ma guarda ai loro bisogni, e siamo tutti bisognosi. Quindi non esiste un Dio che, guardando ai meriti delle persone, discrimina quelli che non sono a un livello tale da meritare il suo amore. Perciò la prima caratteristica che balza agli occhi  è che, con Gesù, il rapporto con il Padre è basato esclusivamente sull’accoglienza del suo amore, mentre non c’è più un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge.

Guardiamo infatti all’episodio della guarigione dell’infermo alla piscina. Gesù non dice all’infermo “alzati e cammina”. Ma “alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina” (Gv 5, 8). Ci si può chiedere perché mai questa persona, inferma da trentotto anni, deve prendere la sua barella. Per il semplice fatto che la legge divina proibiva di farlo: era giorno di sabato e di sabato non si può fare nessun lavoro. Non si può portare nessun peso. Farlo era un sacrilegio secondo la religione, ma agli occhi di Gesù l’inosservanza della legge diventa un’azione di fede. Non è allora vero che Dio premia gli osservanti e castiga i trasgressori[15]. Gesù dice che Dio è Amore, e l’amore non premia e non castiga, ma semplicemente viene offerto. È l’uomo però a doversi attivare (prendere il giaciglio) per accogliere questa offerta d’amore che gli arriva gratuitamente addosso, mentre se non si attiva l’offerta non diventa efficace. Non è vero quello che ci hanno insegnato: che Dio ama i buoni, ma odia i cattivi peccatori. L’amore non ha nulla a che fare col merito, esattamente come l’amore non ha nulla a che fare col denaro: l’amore non si merita e non si compra. Forse non avete mai sentito questa splendida massima cinese, che però mi sembra molto più vicina a Gesù di tanti insegnamenti cattolici: «Amami quando lo merito di meno, perché è allora che ne ho più bisogno!»

Nella religione insegnataci tutto quello che viene da Dio in qualche maniera bisogna pagarlo, bisogna comprarlo, bisogna meritarlo perché nulla nella religione è gratis: tutto ha un prezzo. Invece, Gesù presenta una sorgente, un’acqua che sgorga gratuitamente a disposizione di tutti: ecco il dono di Dio. «Sei tu forse più grande del padre nostro Giacobbe che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?» chiede la samaritana al pozzo (Gv 4, 12). La donna in effetti conosce il dono di Giacobbe, cioè il pozzo che richiede lo sforzo per attingere l’acqua, ma non conosce il dono di Dio, cioè la sorgente, dove l’acqua sgorga gratuitamente per tutti.

Nella religione insegnataci si abbinano indissolubilmente concetti come osservanza della legge divina e premio, inosservanza e castigo, merito e demerito, santità e impurità. La forza della religione, infatti, sta nella minaccia di un Dio che premia i pochi osservanti della legge divina, ma castiga duramente i molti peccatori. La religione prende forza dalla legge divina. La forza della religione sta nel creare il peccato per poi rivendicare a sé la capacità di toglierlo: ma se si toglie il peccato crolla la religione[16]. Ecco perché ogni religione – che giustamente non vuole crollare,- espone, anzi impone, un’immagine di un Dio terribile che incute timore, non amore. Solo leggendo con occhi nuovi il Vangelo di Gesù si inizia a capire che Dio è amore per tutti e non viene affatto attratto dai meriti dei singoli. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”, viene ribadito fin dall’inizio del cristianesimo (1 Gv 4,10; cfr. anche Rm 5,8). L’amore è come l’acqua del mare che arriva sulla spiaggia, senza che la spiaggia abbia alcun merito.

Certo che se Dio non castiga tutti i malvagi e non premia i pochi che riescono ad osservare le sue leggi, allora non c’è più religione. È vero, con Gesù non c’è più religione, incomincia la fede[17].

Ad identica conclusione si arriva seguendo il racconto del giudizio finale, quando coloro che sono esclusi dal regno credono di aver servito Dio mediante le loro pratiche religiose, o chiamandolo: Signore! Signore! (Mt 7,21), o ancora essendosi sacrificati; perciò pensano di aver acquisito molti meriti. Però non si sono messi al servizio del prossimo (Mt 25, 44), non hanno usato misericordia verso gli altri, e proprio per questo restano esclusi non avendo il Signore chiesto di essere servito, ma è lui stesso che è venuto per servire (Mt 20, 28), affinché gli uomini abbiano vita in abbondanza: tutto questo resta un bel monito per quanti sono concentrati nelle proprie devozioni, ma sono poi incapaci di vedere le situazioni di necessità degli altri[18]. Quanti sedicenti cattolici sono ancora sempre intenti ad aggiungere una maglia al fitto tessuto di perfezione e di merito con cui si avvolgono interamente e al quale non cessano di lavorare?[19]

Di fronte a questa  frequente incompatibilità fra la religione insegnataci e il Dio come si presenta nei vangeli, trovo i motivi principali per dire che non riesco ad accettare l’idea che non si possa essere cristiani se non si prega tutto il giorno compunti pentendosi dei propri peccati, se non s’insiste a tempo debito e indebito esortando e soprattutto minacciando (2Tm 4, 2) pene eterne per i peccatori, se non si crede a tutti i dogmi insegnati dal magistero, se non si combatte il male come veri soldati di Cristo[20]. Non credo che il cristiano abbia il compito di combattere il male, le tenebre, perché basta allargare il proprio debole cono di luce attorno a sé, come fa una piccola candela, e già le tenebre arretrano da sole. E per ottenere questo basta rapportarsi in maniera misericordiosa e generosa con chi incrocia la nostra strada. Ricordate? “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13; 12,7).

Non occorre neanche affaticarsi per scalare il cielo. Con l’incarnazione è Dio che scende e raggiunge gli uomini, e non c’è bisogno che siano gli uomini a cercar di salire per raggiungere Dio (questo, invece, è il proprium della religione). Ripeto che Dio comunica vita a tutti gli uomini, e non in base ai loro meriti. Dio comunica gratuitamente amore a tutti gli uomini, e non solo a coloro che sono già puri e santi. Non è neanche vero che l'uomo deve essere puro per accogliere degnamente il Signore, ma è l'accoglienza del Signore che rende l'uomo puro. A questo punto gli elementi negativi che ci ostacolano non devono preoccuparci: sarà Dio a occuparsene (Gv 15, 1: nella parabola dei tralci e della vite, è il Padre-vignaiolo a provvedere a liberare i rami da tutto ciò che impedisce la fruttificazione), per cui il cristiano deve vivere in piena serenità[21]. Non c’è allora da fare nessuna lotta fra bene e male; non c’è da comportarsi da soldati di Cristo contro il male, menando fendenti a destra e a manca con il proprio spadone. Non c’è da fustigarsi per acquisire meriti attraverso la sofferenza, non c’è da offrire le proprie sofferenze al Signore.

Semplicemente ogni mattina, quando ci si alza, l’unica domanda da porsi è: posso fare oggi qualcosa per regalare un po’ di serenità agli altri, per far star bene chi incontriamo? Chiaro cioè che una nuova relazione con Dio comporta innanzitutto una nuova relazione con gli altri uomini. È chiaro che, nel momento in cui riconosco che l’amore di Dio mi giunge gratuitamente, necessariamente cambia anche la mia relazione con gli altri uomini: se io sento che Dio mi ama incondizionatamente e gratuitamente non farò più tanto il difficile con l’altro; come posso io rifiutare l’amore ad un’altra persona perché non la ritengo degna del mio amore? Gratuitamente si riceve, gratuitamente si dà. Se invece io credo di dover meritare l’amore di Dio, allora anche gli altri devono meritare il mio amore, e mi sento giustificato se penso che non amo l’altro perché non se lo merita. Ma il messaggio di Gesù è esattamente il contrario: è vero che l’altro forse non se lo merita, ma siccome ognuno è amato immeritatamente e gratuitamente, così nessuno non può fare a meno di amare l’altro, anche se non lo merita. E tanti di noi che, professandosi veri cristiani, sventolano il rosario col crocifisso, come si comportano con gli stranieri?

A questo punto è anche abbastanza facile capire perché, se si preferisce una religione listata a lutto, ci si trova a disagio con la Buona Novella, cioè col Vangelo: queste persone assai pie e assai religiose non sanno più di che dio parlare se non devono più portare la propria croce, se questa vita non si svolge più in una valle di lacrime, se non occorre più digiunare, sacrificarsi per meritare il paradiso, pregare intensamente per riuscire ad ottenere qualcosa di positivo da un Dio lontano che non si accorge dei nostri bisogni, se non c’è più il diavolo tentatore sempre pronto a indurci in peccato, se non dobbiamo in continuazione pentirci dei nostri peccati. Per questa religione cupa tutti gli uomini sono peccatori per cui nessuno può stare alla presenza di Dio, e se non accumula tanti meriti, mai potrà sperare di salvarsi: occorre scalare il cielo con fatica. Ricordo che il Catechismo di san Pio X (art.964) poneva fra i grandi peccati contro lo Spirito Santo la “presunzione di salvarsi senza merito”[22]. Sempre in quest’ottica di penitenza e mortificazione che ci faceva acquisire tanti bollini di merito, la Chiesa aveva istituito il digiuno e l’astinenza dalla carne di venerdì,[23] e l’inosservanza al precetto costituiva peccato mortale;[24]  il che vuol dire – come ha più volte ricordato il biblista Alberto Maggi - che se ti soffocavi di venerdì mentre stavi mangiando un bel paninazzo col prosciutto, finivi all’inferno per tutta l’eternità,[25] mentre se lo stesso succedeva il giorno prima o il giorno dopo conservavi intatta la possibilità di finire in paradiso. Analogamente la Chiesa aveva istituito il precetto con l’obbligo di andare a messa (in ottemperanza alle prescrizioni del terzo comandamento), ma molti credevano che per andare in paradiso bastasse andare a messa nei giorni di festa, anche se non capivano nulla del rito celebrato in latino. In realtà si è fatto credere che il centro della religione cristiana fosse il rito e non il contenuto che avrebbe dovuto portare alla metànoia,[26] al cambiamento del proprio comportamento quotidiano.

                                                                                                                                               (continua)

 


 

NOTE

[1] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, Paideia, Brescia, 1999, 31.

[2] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo - Gaudium et spes, del 7.12.1965, §37.

[3] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 212.

[4] Pensiamo solo agli abiti talari (oggi un po’ in disuso), di colore nero, e nella nostra cultura il nero non è certamente sinonimo di allegria.

[5] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 218: Tutti comprendono la santità come la separazione da ciò che è impuro. Naturalmente la santità – cui tutti dovevano aspirare - è asessuata: pensiamo a Maria, sempre vergine. Pensiamo alle sante: credo che solo santa Rita da Cascia fosse sposata, ma anche lei si è ritirata in convento quando è rimasta vedova.

[6]  «Gemete, peccatori, sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso [ghélos] si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza» (Gc 4,9) Oppure: “Leggo che egli ha pianto, mai che abbia riso”. Così scriveva in modo lapidario un autore medievale, che si celava sotto il nome di Ambrogio, per cui è conosciuto come lo Pseudo-Ambrogio, negando che le labbra di Cristo siano state sfiorate dal sorriso.

[7] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 31.

[8] Ad e., se nell'eucarestia il prete non pronuncia le giuste parole, l'atto non ha valida efficacia Come insegna la dottrina, i sacramenti conferiscono poi la grazia ex opere operato (nn. 1127-1128 Catechismo Chiesa Cattolica), cioè in forza della celebrazione del culto. Il celebrante può essere anche indegno, ma il rituale deve essere esattamente rispettato.

[9] Buber M., L'eclissi di Dio, ed. Passigli, Firenze-Antella, 2001, 91: Per etica intendiamo il sì e il no dell'uomo di fronte agli atteggiamenti e alle azioni possibili, la radicale distinzione tra di essi, la quale, proprio per questa sua radicalità, non li afferma e li nega secondo l'utilità o il danno per gli individui e le società, ma secondo il valore o il disvalore insito in loro stessi.

[10] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 127.

[11] Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 186.

[12] La famosa dogana pastorale di cui ha parlato anche papa Francesco con riferimento alla nostra Chiesa: Omelia di Papa Francesco in Santa Marta, il 25.5.13, riportato parzialmente in “La Repubblica”, 26.5.13, 21.

[13] Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010,175.

[14] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 29.

[15] Nell’atto di dolore, al termine della confessione, si diceva che peccando abbiamo meritato i castighi divini, avendo offeso Dio.

[16] Maggi A., Disobbediente fino alla morte, incontro in Assisi, 2002, in www.studibiblici.it

[17] Maggi A,. Gesù un Dio profondamente umano, incontro a Tradate 2008, in www.studibiblici.it

[18] Maggi A., Parabole come pietre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 129 s.

[19] Mauriac F., La farisea, ed. Oscar Mondadori, Milano, 1970, 82.

[20] Come s’insegnava sempre ai miei tempi: art.577 Catechismo maggiore di Pio X, che in questo seguiva Paolo, proclamatosi per primo vero soldato di Cristo - 2Tm 2, 3.

[21] Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 163.

[22]Cfr. Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 12s. Non mi risulta che questo Catechismo sia stato abrogato.

[23] Gli artt.486 e 786 del Catechismo di Pio X facevano rientrare fra le mortificazioni anche il digiuno, obbligatorio per tutti i cristiani in base all’art.487. Ora, se la Buona Novella è che Dio è amore offerto gratuitamente a tutti, la buona novella che la Chiesa ha diffuso in tutto il mondo, legata invece ai meriti e alla sofferenza, appare inconciliabile con l’amore gratuito di Dio. Se la Buona Novella è che Dio vuole la nostra felicità (Mt 5, 12; Gv 15, 11), la buona novella che la Chiesa ha diffuso in tutto il mondo, legata alla penitenza e alle mortificazioni, resta inconciliabile con l’amore gratuito di Dio.

[24] Ai precetti della Chiesa si deve obbedire perché facilitano l’osservanza dei comandamenti (470 del Catechismo di Pio X)  Basta trasgredirne gravemente uno solo per finire all’inferno (art.472).

L’art. 1249 del codice canonico stabilisce: Per legge divina, tutti i fedeli sono tenuti a fare penitenza, ciascuno a proprio modo; ma perché tutti siano tra loro uniti da una comune osservanza della penitenza, vengono stabiliti dei giorni penitenziali in cui i fedeli attendano in modo speciale alla preghiera, facciano opere di pietà e di carità, sacrifichino se stessi compiendo più fedelmente i propri doveri e soprattutto osservando il digiuno e l'astinenza a norma dei canoni che seguono. Va fatta penitenza nei giorni stabiliti come indicato dal catechismo, anche a norma del can. 1250, il quale ricorda che sono giorni e tempi di penitenza nella Chiesa universale, tutti i venerdì dell'anno e il tempo di Quaresima. Quindi secondo il can. 1251: Si osservi l'astinenza dalle carni o da altro cibo, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, in tutti e singoli i venerdì dell'anno, eccetto che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità; l'astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri e il venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo.

[25]L’inferno è il luogo di pena eterna delle anime che sono morte in stato di peccato mortale (Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 48). Ma vedi cosa si è detto il mese scorso a proposito dell’Inferno.

[26] “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15), e quel convertitevi in greco è per l’appunto metanoia, cioè cambiare di 180° il proprio comportamento e modo di pensare, seguendo il Vangelo. Ma seguire il Vangelo è difficile, perché è difficile condividere con gli altri, camminare insieme agli altri, manifestare ogni giorno misericordia e compiere ogni giorno gesti di amore. Più facile credere che si andrà in paradiso andando a messa di domenica, e poi ‘liberi tutti’.



Pubblicato il volume di Dario Culot (qui sotto la copertina) che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/