Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Gli eritrei in Messico e Rodafà a Bose


di 

Stefano Sodaro

 

Ieri, proprio ieri 18 marzo 2023, don Tonino Bello, indimenticabile vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, avrebbe festeggiato 88 anni. Il prossimo 20 aprile saranno trent’anni dalla sua morte.

Chi prosegue sul suo cammino? Da chi sono riprodotti i suoi passi nel fango della nostra storia? La risposta non vorrebbe essere scontata. Guardiamoci attorno.

Giovedì scorso è morto a Trieste Franco Rotelli, compagno di Franco Basaglia in quella rivoluzione psichiatrica che fu una rivoluzione filosofica, culturale, di interpretazione del mondo.

Alla sera di venerdì, poi, compare la notizia dell’emissione di un mandato di cattura internazionale nei confronti del Presidente della Federazione Russa per crimini di guerra.

Spostiamo lo sguardo all’Estremo Occidente invece che Oriente. Che cosa accade al confine tra Messico e Guatemala? E nel Darien, al confine tra Panama e Colombia?

Qualcuno sa che, nel 2018, erano stati censiti 3.677 cittadini eritrei in Messico? Ripetiamo: 3.677 cittadini eritrei in Messico. Non proprio il viaggio più semplice e, soprattutto, non proprio il più immediato e diretto.

Andiamo avanti, anche a costo che ci manchi il fiato.

A quest’ora, tra una settimana, don Enrico Trevisi, parroco cremonese, avrà già ricevuto, nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, l’ordinazione episcopale per l’imposizione delle mani del Vescovo di Cremona mons. Antonio Napoloni, conconsacranti il Vescovo emerito di Trieste ed attuale Amministratore Apostolico mons. Giampaolo Crepaldi ed il Vescovo emerito di Cremona mons. Dante Lafranconi. Domenica 23 aprile il vescovo Trevisi farà quindi ingresso a Trieste, nella Cattedrale di San Giusto, quale Vescovo diocesano e cesserà così anche l’ufficio dell’attuale Amministratore Apostolico della diocesi giuliana. Per la cronaca, il nostro Rodafà sarà sabato prossimo in Cattedrale a Cremona.

A che modelli pastorali sentiamo di fare riferimento? Beh, il nome di Tonino Bello viene quasi da sé. Ma anche il nome di mons. Lorenzo Bellomi che – tra i pochi della CEI del tempo – era tra i vescovi che volevano bene al loro confratello pugliese, così fastidioso, inopportuno e fantasticamente poetico. Adesso è tutta una corsa agli applausi, ma in quegli anni proprio no.

E poi viene alla mente un altro nome, in Italia pressoché sconosciuto: quello di padre Pedro Pantoja, apostolo dei migranti centroamericani, morto di Covid nel dicembre 2020. Per chi conosce lo spagnolo, meritano la visione https://www.youtube.com/watch?v=xZprNKxJHbw e https://www.youtube.com/watch?v=bP-LwKg8iHE, mentre il video struggente dei suoi funerali è rinvenibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=rwm4hmLya2c.

Ora torniamo alle nostre latitudini con un annuncio che ci riguarda direttamente.

Con chi vorrà, festeggeremo, diciamo, “solennemente” il nostro numero 700 dello scorso 12 febbraio venerdì 30 giugno e sabato 1° luglio 2023 presso il Monastero di Bose.

Invitiamo a segnalare fin d’ora il proprio eventuale interesse a partecipare all’indirizzo: ilgiornaledirodafa@virgilio.it

Venerdì 30 celebreremo, sotto la direzione di Miriam Camerini che promuove da tempo tale iniziativa, lo “Shabbat di tutti”, e sabato 1° luglio ci confronteremo assieme, in particolare, sulla figura di Alice Weiss, madre ebrea di don Lorenzo Milani – del quale ricorreranno il 27 maggio i cento anni dalla nascita -, che era triestina, ma della quale Trieste sembra quasi inconsapevole. Sarà presente la studiosa Stefania Di Pasquale.

Ma non vogliamo eludere la domanda di cui sopra: don Tonino Bello ora, adesso, in questo preciso momento, in chi vive?

La proposta ermeneutica, speriamo non troppo azzardata e pretenziosa, del qui presente direttore di questo settimanale online è che la sua riattualizzazione si stacchi da vesti episcopali, ambienti curiali e discorsi ormai – ahinoi – resi innocui ed assuma, invece, volto femminile, magari toni da contralto, per pronunciare parole nuove, mai udite prima, in contesti forse non più ecclesiali e nemmeno cattolici.

C’è ancora una pagina da scrivere di quella stagione storica della Chiesa italiana. Ma sarà una pagina nuova.

Cioè?

Semplicemente rileggiamo il n. 111 del Documento Finale del Sinodo per l’Amazzonia – che il Papa non solo non ha archiviato, affermando anzi, in Querida Amazonia, di aver voluto “presentare ufficialmente quel Documento, che ci offre le conclusioni del Sinodo e a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia, perché ci vivono, ci soffrono e la amano con passione. Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente.

Il n. 111, dunque, ancora una volta:

Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia. A volte trascorrono non solo mesi, ma addirittura diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della Riconciliazione o celebrare l’Unzione degli Infermi per i malati della comunità. Apprezziamo il celibato come dono di Dio (cfr. Sacerdotalis Caelibatus, 1) nella misura in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Santo Popolo di Dio. Esso stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibatario. Sappiamo che questa disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio” (PO 16), sebbene vi sia per molte ragioni un rapporto di convenienza con esso. Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, san Paolo VI ha mantenuto questa legge, esponendo le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la motivano. Nel 1992, l’esortazione post-sinodale di san Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina (PDV 29). Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen Gentium 26,  l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento.

Chissà se tra i 3.677 eritrei presenti in Messico vi sia già qualche diacono sposato pronto a diventare prete secondo la disciplina orientale?

Oggi è il 19 marzo: auguri, tanti e di cuore, a tutti i papà.

Buona domenica.