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SInagoga di Trieste - foto di Stefano Sodaro

Se Jesus Christ è ancora Superstar


di Stefano Sodaro



Dopo cinquant’anni, il celeberrimo film di Norman Jewison – con Ted Neeley e Carl Anderson -, che ripropose nel 1973 l’opera musicale di Lloyd Webber, con i testi di Tim Rice, viene ancora riattualizzato in teatro, come accaduto mercoledì scorso a Bologna, per la regia di Massimo Giorgio Piparo (https://www.jesuschristsuperstar.it/), con enorme successo. Per la cronaca, ed al fine di prevenire obiezioni critiche (peraltro del tutto appropriate) di natura musicologica sull’anteriorità del musical rispetto al lavoro cinematografico, è stato proprio il regista, presente – e proprio con Ted Neeley – a Trieste lo scorso 8 maggio alla chiusura del Festival del Giornalismo “Link”, a dichiarare di essersi voluto mantenere “fedelissimo al film”, come del resto già la stampa aveva osservato in occasione dello spettacolo del 2015 al Teatro Politeama “Rossetti” sempre di Trieste (https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/01/21/news/ted-neeley-la-mia-vita-da-jesus-christ-superstar-1.10709572).

Ma ciò che ha colpito, al di là della storia dell’opera, è la capacità di entusiasmare anche chi oggi non ha più di venticinque anni.

Le chiese si vuotano e i teatri si affollano. Forse qualcosa da ripensare, da parte dei rappresentanti religiosi – di qualunque religione -, effettivamente c’è.

La recente riforma del Messale Romano per la Chiesa Cattolica Italiana, ad esempio, ha ancora di più allontanato le parole della liturgia dalla ferialità ed ordinarietà della vita (fino ad un Gesù, che nel canone della Preghiera Eucaristica II, si consegna “volontariamente alla passione”, con una sottolineatura – prima della riforma assente – che, per quanto corretta teologicamente, vena quasi di masochismo l’eventuale approccio al Cristo-dei-preti in un ragazzo, od una ragazza, che entri oggi, più o meno per caso, in una chiesa mentre si celebra la messa. Per non parlare di una estetica liturgica divenuta incapace di comunicare alcunché.

A Bologna lo scorso mercoledì non si notava una partecipazione solo “leggera”, superficiale, divertita, felice, ilare, gioiosa, per la bellezza della musica e la bravura degli interpreti. C’era qualcosa di molto più intenso e profondo. Qualcosa di Altro.

Qualcosa che crea un raccordo, a decenni di distanza, con quella cultura critica, con quel ripensamento delle tradizioni bevute come una specie di ansiolitico sociale, che caratterizzò gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, ormai relegati in una sorta di damnatio memoriae.

Il Sessantotto fonte di ogni male, ad esempio, è un ritornello ripetuto sino alla noia. E dentro l’ostracismo culturale ci stanno ancora oggi – è inutile nasconderselo e si possono fare tutte le commemorazioni che vogliamo - don Milani, Pier Paolo Pasolini, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, le conquiste delle donne, la loro teologia.

Persino il Concilio Vaticano II è stato omogeneizzato sino all’avvento di Francesco papa.

Eppure Jesus Christ è oggi, nel 2022, ancora (forse di nuovo, forse sorprendentemente) Superstar.

Musica, parole, coreografie, costumi, un sapere emozionale e non emotivo, sono le componenti indispensabili di una nuova spiritualità che non ha niente a che vedere con la New Age, ma il cui bisogno è urgentissimo. Ne va della stessa parola, di tre lettere, corrispondente a Dio.

Oggi per il calendario cristiano d’Occidente è Pentecoste.

Sarà il caso di prendere in mano il volume di Donatella Tronca, appena uscito per viella, dal titolo Christiana choreia. Danza e cristianesimo tra Antichità e Medioevo.

È tempo che ci si entusiasmi anche per “Jesus Christa Superstar”, posto che in spagnolo “Jesusa” è nome proprio d’uso corrente.

E se le chiese si vuoteranno, amen. Sarà davvero ora di una Chiesa in usc

Buona domenica.





Ted Neeley e Yvonne Elliman in una foto promozionale per Jesus Christ Superstar (1973) - tratta da commons.wikimedia.org