Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Donne a servizio del Vangelo


di 

Adriana Valerio

 

La Prof.ssa Adriana Valerio, delegata arcivescovile per il Laicato, ha presentato al Sinodo di Napoli questo documento sulle donne che, dopo ampia discussione, dovrà essere approvato nel prossimo mese maggio per poi diventare operativo. 

Ringraziamo molto Adriana Valerio, Socia Onoraria dell’Associazione Culturale “Casa Alta” - di cui è Presidente il nostro Direttore -, per averne gentilmente concesso la pubblicazione sul nostro settimanale. 

I.  Le nuove istanze culturali e giuridiche

 

I profondi mutamenti culturali e sociali avvenuti durante il Novecento hanno trasformato radicalmente non solo l’assetto geo-politico dell’Occidente, ma anche i tradizionali paradigmi culturali e la visione antropologica, facendo nascere una nuova sensibilità verso i diritti fondamentali della persona umana. L’espressione «I diritti delle donne sono diritti umani», formulata ufficialmente soltanto nella Dichiarazione di Pechino del 1995, condensa un percorso di secoli che qui non analizziamo. Certamente il modificarsi dell’orizzonte di senso in un mondo secolarizzato, dei comportamenti svincolati dalla tutela ecclesiastica e della legislazione civile a difesa dei diritti dei cittadini[1] hanno interrogato la tradizionale visione cattolica sulla donna mettendo in discussione le categorie teologiche che avevano relegato il ruolo femminile nella sfera meramente privata e in una condizione di subalternità all'uomo.

L’inferiorità naturale della donna ha dominato la visione antropologica che nel corso dei secoli è diventata predominante, basandosi sull'ideologia androcentrica che considerava la donna come maschio mancato e pensava che il maschile fosse l’unica e più adeguata definizione di tutto l’umano al punto da ritenere incompatibile la rappresentazione del Trascendente attraverso le categorie della femminilità. Infatti, malgrado non sia mai stata messa in discussione la fondamentale uguaglianza tra donna e uomo in termini di medesima dignità, il principio che l’imago Dei invenitur in viro non in muliere («L’immagine di Dio si trova nel maschio, non nella donna») ha costituito per secoli l’impalcatura della teologia scolastica secondo cui la donna era inadeguata a rappresentare Dio, dal momento che la sua natura la segnava inferiore: fisiologicamente (il corpo femminile è imperfetto e impuro), moralmente e giuridicamente, per cui doveva essere sottoposta a tutela maschile, nella famiglia, nella società, nella Chiesa. Per molti secoli le società e le comunità religiose cristiane si sono strutturate, conseguentemente, secondo articolazioni patriarcali e piramidali che hanno condotto a esclusioni e a discriminazioni.[2] Non va dimenticato, tuttavia, come, accanto a interpretazioni del testo sacro utilizzate per affermare una gerarchia creazionale tra i sessi, che comportava la superiorità maschile e la sottomissione femminile, siano presenti nella tradizione cristiana segnali di letture favorevoli che consideravano le donne non funzionali all'uomo (aiuto), ma socie; non sottomesse, ma compagne. La storia, in tal senso, offre testimonianze straordinarie di collaborazione tra donne e uomini nella vita spirituale e pastorale, nonostante la cultura dominante, e consegna anche il ricordo di ruoli autorevoli che le donne hanno potuto esercitare nella comunità ecclesiale come diaconesse, badesse, fondatrici, madri spirituali o mistiche, per fare qualche esempio[3].

Nell’attuale contesto culturale, nel quale sono caduti molti pregiudizi sulle donne e si è affermata l’eguaglianza di tutti gli esseri umani, cosa è cambiato nella Chiesa? L’allontanamento di tante donne dalla vita ecclesiale dipende forse dal permanere di posizioni teologiche tradizionali e prassi anacronistiche legate ai secoli passati  che si percepiscono in stridente contrasto con il messaggio e la vita di Gesù. Per questo, ripensare a Gesù di Nazareth, al suo messaggio, al suo modo di relazionarsi con le persone, può aiutare a riscrivere una modalità diversa di pensare la comunità dei credenti.

 

II. Le provocazioni del vangelo

 

1.           Il maestro di Galilea. Nel contesto religioso del giudaismo del Secondo Tempio, Gesù si presenta come un profeta che predica nelle sinagoghe con tale singolare libertà e autorevolezza da offrire nuove interpretazioni della Legge. A differenza di altri maestri, instaura rapporti diretti e personali con la gente che incrocia lungo il suo cammino, tanto uomini quanto donne; ma con queste ultime non sarà un semplice incontro perché qualcuna lo seguirà «per città e villaggi» (Lc 8,1)[4] dalla Galilea fino alla fine della sua breve vita a Gerusalemme (Mc 15,41[5], Mt 27,55-56). Con loro - e con altre ancora con le quali si imbatte - entra in un dialogo empatico, offre ascolto e partecipazione affettiva, consente spazi di azione, rivolge messaggi di salvezza, annuncia le esigenze del Regno di Dio e chiede scelte radicali procurando non poco imbarazzo ai discepoli che faticano a comprendere il suo atteggiamento libero (Gv 4,27).

2.           Le donne al seguito. Le discepole non appaiono una categoria a parte né secondaria; al contrario, con Gesù condividono vita, attese e comportamenti, corrono il rischio dell’imprevisto, lo seguono e si sentono accolte da un uomo che risponde ai loro profondi bisogni: le malattie sono sanate (Mc 1,29-31), i corpi sono liberati dalla condizione di impurità che discrimina (Mc 5,1-24 e par.; Lc 7,36-50), le parole sono accolte ed esaudite (Mc 7,24-30 e par.), le esigenze della persona prevalgono sulle pratiche della Legge (Lc 13,10ss.)[6]. Con la sua prassi e le sue parole Gesù dà concretezza alla pari dignità creaturale di uomini e donne.

3.           Il superamento di ogni esclusione. Nei racconti che i vangeli tramandano, Gesù appare come colui che supera le barriere religiose ed etniche: nessuno può essere più considerato profano o impuro. Il corpo femminile non è più il luogo dell’esclusione e della discriminazione dal momento che ogni donna è chiamata a rispondere in maniera radicale a realizzarsi nell’orizzonte della carità condivisa. A un sistema che contrappone degni a indegni, giusti a peccatori, conterranei a stranieri, prossimi a lontani, uomini a donne, Gesù pone come alternativa una comunità inclusiva di amici in reciproco servizio, un sodalizio fraterno che non fa distinzioni di sesso, una nuova famiglia di congiunti non segnati da legami di sangue, ma raccolta intorno all’adesione al suo messaggio. Egli pone le donne nella prospettiva escatologica dell’avvento di un Regno imminente che ridimensiona le convenzioni sociali e le istituzioni umane. Per questo incontriamo donne libere nei movimenti che, lungi dall’essere messe a tacere, appaiono intraprendenti e autonome, capaci di modificare ruoli tradizionali e relazioni sociali. Essere discepole comporta una condizione anomala e trasgressiva che non sfugge agli stessi discepoli che ne rimangono sorpresi (Gv 4,27).[7]

4.           Il superamento della lettura gerarchica del sacro. Il dialogo, probabilmente simbolico, di Gesù con la donna di Sicar (Gv 4) viene presentato all’interno di istanze critiche nei confronti del Tempio, luogo che separa e allontana per la presenza di una forte demarcazione gerarchica e valoriale degli spazi sacri e profani che confinava le donne nella zona più esterna. Il vero culto che propone Gesù non separa e non fa sentire indegni, perché proviene da Dio come dono e non dall’essere umano bisognoso di purificazione. L’ora del compimento della missione di Gesù, presente nel vangelo di Giovanni, così come l'annuncio del Regno imminente richiamato dai Sinottici, mostrano un Dio che va incontro alla persona, oggetto del suo amore misericordioso, per santificarla. Il Regno di Dio è uno spazio che non tollera confini, aperto a ogni essere umano, perché non tiene in conto i privilegi, ma accoglie i bisogni che aprono alla dimensione spirituale, la radice più profonda dell'esistere.

5.           L’immagine di Dio Padre-Madre. Il Regno annunciato nella sua radicalità parla di un Dio che sa capire e amare, che ascolta i gemiti e accoglie il dolore dell’umanità, che è a fianco delle persone sofferenti, pronto a ribaltarne i destini e a liberarle dalla loro oppressione (Lc 4,16-20, cfr. Is 61,1-2). Se il Dio onnipotente, dominatore sugli esseri umani che devono a Lui sottomissione e timore, è lo specchio di strutture patriarcali e piramidali delle antiche società arcaiche, l’immagine di Dio presentata nei vangeli riprende alcune figure e metafore femminili utilizzate soprattutto nel filone profetico della tradizione giudaica. La misericordia, come dimensione divina che richiama l’utero femminile (Is 49,15)[8], la cura materna come rappresentazione simbolica di Dio (Is 46,3[9]; Is 66,13; Os 11,4; Sal 131,2), la forza vitale e generatrice di vita della Ruah che soffia liberamente, e la Sapienza creatrice, che governa l’universo e tutto rinnova, sono presenti nella cultura ebraica, ma riprese e vivificate da Gesù attraverso la narrazione di rielaborati simbolismi femminili. Dio è la Sapienza preesistente alla creazione (Gv 1 cfr. Sir 24) e che invita a banchetto (Lc 14,12ss. cfr. Pr 9,1-5); è la chioccia che protegge (Mt 23,37 cfr. Es 19,4); è la donna di casa che cerca ciò che è perduto (Lc 15,8-10); è il Padre-Madre che accoglie incondizionatamente il figlio smarrito e che non esige sottomissione, ma, nella sua misericordia, abbraccia senza condannare (Lc 15,11-31).

E se l’adultera e la prostituta si collocano nel contesto di una cultura basata su criteri di moralità androcentrica e di giudizio che condannano e puniscono, il profeta di Nazareth applica per loro un altro registro che guarda alla capacità di amare e di perdonare: l’adultera non è stigmatizzata (Gv 8,1-11), la peccatrice non è biasimata (Lc 7,36-50), la donna con perdite di sangue non è allontanata (Mc 5,25-34 e par.), la straniera non è considerata nemica (Mc 7,24-30 e par.; Gv 4).

6.           La maschilità inclusiva di Gesù. Non sorprende che l’identità di Gesù, uomo non violento, si coniughi con quelle modalità dell’esperienza femminile da lui conosciute e ammirate, quando offre il pane durante l’ultima cena o si mette a servizio degli altri con la lavanda dei piedi (Gv 13,14-15). Questi due gesti, infatti, sono profondamente presenti nella vita delle donne che nutrono con il proprio corpo, che preparano il cibo e che, a quei tempi, insieme agli schiavi, avevano il compito di lavare i piedi a chi entrava in casa. Gesù con il gesto di spezzare il pane e distribuirlo, così come con l’occuparsi degli altri con gesti di cura, non comprime la propria maschilità, ma la completa nella misura in cui dà valore a quelle esperienze femminili spesso considerate servili e profane, indicandole come modelli di vita per ogni seguace. Gesù è il cibo che, attraverso la mensa eucaristica, nutre la comunità configurandola come luogo emblematico di accoglienza e di superamento di ogni ingiusta disuguaglianza; è il profeta e il messia escatologico che rifiuta il potere («E non chiamate nessuno padre sulla terra», Mt 23,9) in nome della reciprocità dell’amore («Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri», Gv 13,34) e della solidarietà nel servizio: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc10,42-44).

7.           Discepole e apostole a servizio del Regno. Gesù non solo parla alle donne, ma è anche pronto ad ascoltarle, conferendo dignità alle loro persone al punto di eleggere una donna, Maria Maddalena, a sua testimone come Risorto. È lei, l’apostola del Cristo inviata agli altri ad annunciare il suo essere Vivente (Gv 20,17)[10], apostola degli apostoli, come amavano definirla gli antichi Padri. E non prostituta pentita come un'erronea tradizione ha consegnato alla storia[11].

8.           Dopo Gesù: missionarie nelle comunità paoline. Questa apertura nei confronti delle donne che troviamo nei vangeli, la riscontriamo nell'esperienza delle prime comunità. Quello che sorprende di Paolo di Tarso, uomo inevitabilmente condizionato dalla cultura patriarcale dell'epoca, è il riconoscere la collaborazione delle donne con le quali instaura relazioni di condivisione pastorale. Le donne di cui parla Paolo hanno ruoli attivi nelle comunità nascenti: impegnate nel campo della carità, del diaconato, della catechesi, dell’evangelizzazione, della missione e dell’apostolato. Ciò emerge con evidenza nel capitolo conclusivo della lettera ai Romani (Rom 16,1-17) dove Paolo saluta ben dodici donne, di cui dieci chiamate per nome. Veniamo così a conoscere la diacona Febe, una guida autorevole della comunità di Cencre, alle porte di Corinto, la missionaria Priscilla che con il marito Aquila affianca Paolo nella missione a Efeso, mettendo a disposizione la casa e svolgendo un importante lavoro di catechesi nella nascente chiesa domestica; l’apostola Giunia, inviata in missione con non poche pene e sofferenze; le evangelizzatrici Trifena, Trifosa e Perside, che hanno faticato per il Signore. E infine, Maria che ha lavorato tanto, la madre di Rufo che Paolo considera come sua madre, Pàtroba, Giulia, la sorella di Nereo e Olimpas. A queste donne menzionate con rispetto e gratitudine vanno aggiunti i nomi delle missionarie di Filippi Evodia e Sintiche che con Paolo hanno combattuto per il vangelo (Fil 4,2-3) e delle benefattrici Apfia (Fm1,2), che lo ospita a Colossi, e Ninfa, che lo accoglie nella casa di Laodicea per celebrare la cena del Signore (Col 4,15). Ci troviamo, dunque, in presenza di donne attive e autonome che svolgono mansioni di guida, di presidenza e di apostolato, in comunità dove si esercitavano differenziati carismi e ministeri. Anche le donne, come gli uomini, erano investite dai doni dello Spirito (carismi) messi a disposizione per l’edificazione della comunità.

Questa vivace presenza femminile, tuttavia, viene presto ridimensionata. Nelle comunità post-paoline, infatti, allontanatasi l’attesa della fine imminente del mondo, si afferma sempre di più un’organizzazione gerarchica a guida maschile (1Tim 2,12ss), anche a motivo di un lento processo di sacerdotalizzazione dell’esperienza cristiana e di clericalizzazione nella leadership delle comunità che vedrà la sua piena affermazione durante la Riforma gregoriana e dopo il Concilio di Trento, permanendo fino al Vaticano II.[12]

La concezione gerarchico sacrale del ministero come fonte esclusiva del potere e con essa la pregiudiziale culturalmente misogina che ha attraversato la Chiesa cattolica non ha impedito, per fortuna, che emergesse comunque una presenza forte e significativa delle donne nella sua storia: martiri, eremite, monache, badesse, fondatrici, mistiche, profetesse, carismatiche, religiose, madri spirituali, missionarie, predicatrici, teologhe, laiche impegnate, e altre ancora, hanno animato la vita ecclesiale lasciando segni concreti di esperienze di vita spirituale oltre che di esercizio dell’autorità. Così le donne, insieme agli uomini, sono state e sono soggetti della traditio, in un divenire storico di continua rimodulazione dell’annuncio cristiano, e che, essendo molto viva anche nella diocesi di Napoli, è da recuperare e valorizzare.

9.           La svolta del Concilio. Fino a Giovanni XXIII si registra una costante resistenza del Magistero nell’accettare i principi della Rivoluzione Francese e nell’accogliere le richieste dei movimenti liberali e socialisti relativi all'applicazione del principio di uguaglianza, alla necessità di una riscrittura dei ruoli e al riconoscimento dei diritti sociali (istruzione e lavoro) e politici (il voto attivo e passivo) per le donne. Temendo la messa in discussione dell’assetto sociale, il Magistero preferì difendere la visione tradizionale e patriarcale della famiglia, rimarcando la centralità della sfera privata quale luogo dell’identità della donna e il suo ruolo ausiliario.

Con l’enciclica Pacem in terris dell’11 aprile 1963, papa Roncalli operò un capovolgimento di prospettiva, riconoscendo i movimenti di emancipazione femminili come un importante e positivo segno dei tempi. L’enciclica segnò l’attenzione sul rapporto tra la pace, la libertà e la dignità dell’essere umano, fondamenti del convivere pacifico dei popoli e della costruzione dell’unica famiglia umana. Anche nella donna, entrata a pieno titolo nella vita pubblica, «diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica».[13]

Il Vaticano II confermò questa apertura e Paolo VI chiamò nella III e nella IV sessione ventitré uditrici (tredici laiche e dieci religiose) e una ventina di esperte (perite) a prendere parte ai lavori del Concilio per offrire il loro contributo di riflessione. Il Concilio esplicitò l'apertura nei confronti delle donne nella costituzione pastorale Gaudium et Spes, affermando che l’essere umano, maschio e femmina, è a immagine di Dio[14], schierandosi contro ogni discriminazione sessuale[15], sostenendo «l’uguale dignità personale sia dell’uomo che della donna»[16] e il dovere di tutti di «far sì che la partecipazione propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e promossa».[17] Tali riconoscimenti si inserivano all’interno di una nuova e positiva considerazione dei laici, non più membri di una Chiesa «società gerarchica di ineguali», bensì soggetti in una Chiesa intesa come comunionalità del popolo di Dio in cammino. Di non minore importanza, è stato l'accesso delle donne alle Facoltà Teologiche, consentendo inusitati spazi di studio, di confronto, di libertà.


III. Una comunità di donne e uomini in cammino: proposte operative.

 

Tante volte papa Francesco ha sollevato la questione del superamento del clericalismo affinché la Chiesa ripensi se stessa rinnovandosi e ha aperto alle donne alcuni spazi prima a loro preclusi, nominandone un discreto numero in posizioni anche rilevanti nell’assetto istituzionale della Chiesa.[18] Per il papa una Chiesa povera e aliena dal potere e il processo da lui avviato di un superamento dell’egemonia clericale consentirebbero «di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa [...] nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali».[19] Con il motu proprio Spiritus Domini del 10 gennaio 2021 papa Francesco ha modificato il canone 230 del Codice di diritto canonico, consentendo l’accesso delle donne ai ministeri istituiti di Lettorato e Accolitato.

«Se vogliamo parlare di Conversione sinodale degli organismi di partecipazione non ci si può limitare a qualche piccolo aggiustamento o a generiche esortazioni moraliste a una maggior collaborazione per sgombrare invidie e gelosie dai nostri rapporti. Si tratta innanzi tutto di ridare centralità al tema dell’uguaglianza nella dignità battesimale. […]  I laici rappresentano la dimensione costitutiva della Chiesa con un’enorme responsabilità nell’evangelizzazione, che talvolta però viene limitata, dice il Papa, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene (i laici) al margine delle decisioni (EG 102). Cosa che vale ancor di più per il ruolo delle donne la cui presenza nella Chiesa deve essere più incisiva soprattutto nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti » (EG 103)[20].

Le parole dell’Arcivescovo don Mimmo Battaglia si inseriscono perfettamente in questo cammino sinodale voluto da papa Francesco e che, attento alla valorizzazione del laicato e, dunque, delle donne, apre a cambiamenti e a nuove prospettive.

Negli ultimi decenni la questione femminile è stata profondamente ripensata all’interno delle singole Chiese: antropologia, linguaggio, memoria storica, esperienza di Dio, vissuto ecclesiale si sono arricchiti di nuove valenze grazie anche al contributo nel campo della riflessione teologica apportato dalle donne che hanno avviato in maniera sistematica un processo di revisione della lettura della Bibbia e della tradizione ecclesiale offrendo nuovi criteri interpretativi.[21]

Eliminare ostacoli anacronistici nei confronti delle donne, permettere di «essere presenti nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni» (EG 103) non è una rivendicazione di potere, ma un’esigenza della Chiesa, che è e deve essere, per fedeltà a Gesù, comunità di persone con pari dignità e valore, fondata sul servizio e sull’amore, nella quale ciascun/a battezzato/a avverte la propria responsabilità nella missione della Chiesa e vi partecipa con dedizione (Gal 3,27-28). La Comunità cristiana, annunciatrice del Regno di Dio, regno di condivisione e amore, impegnata nel mondo come lievito nella pasta a combattere ogni discriminazione e oppressione, tradisce la propria missione e finisce per non essere credibile se al suo interno non pratica quanto annuncia e, inoltre, attua discriminazioni incomprensibili per le donne e gli uomini del nostro tempo, contristando lo Spirito e mortificando la profezia.

Il racconto della creazione (Gen 1,27) impone agli esseri umani di essere in  relazione, di attivare un movimento di rispetto, di apertura e di accoglienza, che non è senza fatica – perché la diversità implica sempre una grande fatica - ma che è necessario per arricchirsi reciprocamente e per realizzare il progetto divino di una società di fratelli e sorelle uniti dall'amore.

Essere aderenti al messaggio evangelico, essere creature nuove in quanto battezzate in Cristo, richiede uno sforzo di volontà e di creatività che porti a valorizzare ogni componente della comunità ecclesiale. I laici, e tra essi le donne, sono per la Chiesa una ricchezza, un’occasione di rinnovamento e di conversione al messaggio evangelico grazie a quei carismi che ciascuna persona possiede e che devono potersi tradurre in ministeri. In questo senso vanno recuperati non solo quei ruoli che le donne hanno esercitato nella storia del cristianesimo, ma vanno anche creati nuovi ministeri nel quadro di una pastorale comunitaria rinnovata, in grado di passare dalla supplenza e dalla collaborazione alla corresponsabilità.

La presenza delle donne nelle parrocchie di Napoli è notevole e offre un apporto importante alla pastorale diocesana. Siamo, però, anche a conoscenza di tante difficoltà e resistenze che spingono ad avanzare alcune proposte operative da attuare nella Diocesi. Pur nella differenziazione di luoghi e situazioni, occorre potenziare quei ministeri già attivati, oppure pensarne di nuovi, per meglio rispondere alle necessità locali eventualmente dando vita a esperienze pilota:

 

1.           Le laiche nelle parrocchie.  Sperando di coinvolgere anche gli uomini in attività pastorali da condividere con le donne, queste ultime possono reinterpretare i ruoli tradizionali inserendoli in esperienze cristiane autentiche, affinché la comunità ecclesiale diventi un crocevia sul territorio per sanare e ricomporre relazioni personali e sociali. Già sono oggi significativamente presenti in alcuni servizi pastorali come catechesi e preparazione nei corsi prematrimoniali, nelle opere di carità e nella liturgia (lettrici, cantore, ministre straordinarie dell'eucarestia), nelle associazioni e nei movimenti come socie e dirigenti. Tutto questo va però potenziato in un’ottica non di semplice collaborazione, ma di corresponsabilità con il clero e di partecipazione attiva negli organismi pastorali delle parrocchie.

Proponiamo il potenziamento, per esempio, là dove non ci fossero, di alcuni ministeri o figure nell’ambito della celebrazione liturgica, dell’evangelizzazione e della gestione della parrocchia:

 

a. ostiario [22]

b. accolitato

c. lettorato

d. animazione di comunità nella preghiera e nella preparazione ai sacramenti

e. guida nella lectio divina e nella liturgia delle ore

f. presenza nei consigli pastorali

g. direzione e gestione amministrativa della parrocchia

h. gestione e animazione di gruppi parrocchiali e aggregazioni laicali

i.  animazione di centri di ascolto aperti sul territorio

l. ministero della Visitazione, di vicinanza alle madri in difficoltà e alle donne vittime di violenza

 

Ogni parrocchia si interroghi, facendo una ricognizione e una sorta di censimento su quante sono le donne e quanti gli uomini impegnati nei ministeri e coinvolga sempre più i laici (donne e uomini) non per clericalizzarli, ma per declericalizzare la Chiesa, come auspica lo stesso papa Francesco che nel clericalismo vede una «vera perversione della Chiesa», perché ne stravolge la natura evangelica[23]. I laici, che trascorrono la loro quotidianità nella famiglia, nei luoghi di lavoro, nella vita sociale, culturale e politica, possono portare nella Chiesa la voce, i bisogni, le gioie e i dolori del mondo e testimoniare nei vari ambiti di vita la luce del Vangelo per realizzare una Chiesa sempre più estroversa e i uscita.

 

2.            Religiose e consacrate

Pur facendo riferimento al ricco e ampio documento «Vita consacrata. Tra memoria, profezia e speranza nella diocesi di Napoli», riteniamo importante sottolineare come religiose e consacrate non vadano considerate «collaboratrici domestiche ecclesiali», in posizione di subordinazione o supplenza. Il loro lavoro nella Diocesi è già ricco e prezioso, ma riteniamo che sempre più debbano essere valorizzate per i loro carismi e competenze, chiamate a essere corresponsabili nella vita della Chiesa.

Oggi, religiose e consacrate svolgono molte e differenziate funzioni che, però, rimangono instabili, non istituite, provvisorie o di supplenza. Per questo, occorre riconoscere loro una ministerialità stabile, istituita e autorevole secondo il criterio di una ministerialità diffusa che risponda alle esigenze del territorio.

Nella Chiesa di Napoli occorre offrire maggiore riconoscimento ai ministeri che le religiose svolgono nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, costituendo una risorsa se impiegate, là dove non lo fossero, come catechiste, missionarie, animatrici di comunità, amministratrici, evangelizzatrici, curatrici pastorali di parrocchia, guide spirituali, presidenti nella celebrazione delle esequie, nelle celebrazioni penitenziali (sacramenti della cura e della guarigione) e nella celebrazione del battesimo con mandato giuridico del vescovo[24].

 

3.           Narratrici di speranza. La presenza sul territorio.

Occorre formare le donne non solo in una prospettiva intra-parrocchiale, ma anche con uno sguardo all’esterno, dando testimonianza nei luoghi dove la gente vive: in famiglia, a scuola, all’università, nella strada, negli ospedali, nelle carceri, nelle periferie urbane. Per questo, bisogna dare spazio alle donne nelle strutture di accoglienza sul territorio e sviluppare culture della solidarietà, educando non solo all’ascolto nella reciprocità, ma anche alla lotta all’egoismo e alla denuncia di ogni violenza e sopraffazione, nel ricostruire il tessuto sociale con aiuto alle famiglie e alle madri in difficoltà, nella vicinanza alle persone sole, anziane e diversamente abili, nella presenza nei luoghi del dolore e dell’emarginazione, quali ospedali e carceri.

Una maggiore presenza femminile può aiutare a riconoscere la dignità e l’unicità di ciascun individuo, a combattere pregiudizi e stereotipi, a valorizzare i talenti e i carismi di ogni persona in un atteggiamento di servizio e non di potere, per rendere credibile l'azione evangelizzatrice e pastorale. 

«Mettere al centro dell’azione pastorale il principio della relazione come criterio operativo e regolativo vuol dire credere e impegnarsi in una cura più vera e più fondata della formazione come promozione dell’umano, dell’accoglienza reciproca, del rispetto reciproco... Abitare lo spazio della relazione vuol dire abbandonare ciò che pretende di etichettare se stessi e gli altri, gli ambienti in cui viviamo, vuol dire accogliere la sfida di lasciarsi smascherare, lasciarsi voler bene, lasciarsi accompagnare»[25].


IV. Creare una nuova cultura: visibilità e formazione.

 

Occorre, dunque, assumere la differenza tra donna e uomo nella pari dignità personale come criterio ecclesiologico per una piena attuazione dei principi di uguaglianza e comunione che hanno la loro origine nel battesimo.

La differenza di genere è un importante criterio ecclesiologico. Le proposte elencate e quelle che seguono a prima vista sembrerebbero riguardare solo le donne, ma la posta in gioco è molto più alta: una Chiesa che mortifica le vocazioni e i doni dello Spirito, i carismi e i ministeri di più della metà dei suoi membri è una comunità che non realizza la sua missione, che non annuncia il Regno. In una Chiesa così squilibrata, stanno male anche gli uomini. Sarà importante, per questo avviare anche percorsi di scoperta della maschilità, evidentemente in crisi, e intraprendere un lungo processo di formazione per favorire un necessario cambiamento culturale sensibile a quelle che oggi vengono chiamate questioni di genere. Alcune proposte per favorirlo:

 

Nella Facoltà Teologica:

a. Inserire nelle materie di insegnamento le acquisizioni bibliche, storiche e teologiche che in questi ultimi cinquant’anni sono state evidenziate negli studi delle teologhe e dei teologi sensibili a queste tematiche.

b. Valorizzare e far entrare nel circuito accademico e pastorale l’apporto che le donne hanno dato nella costruzione del cristianesimo, relativamente alla storia della spiritualità e della pietà, al ruolo che hanno svolto nelle istituzioni monastiche, al loro contributo nella riflessione teologica.

c. Creare un centro di ricerca, promozione e valorizzazione della cultura delle donne attivando un corso di alta formazione teologica in studi di genere.

d. Incrementare l’organico accademico con la presenza di studiose competenti e favorendo lo studio della teologia nelle donne.

e. Fare in modo che ci siano sempre presenze femminili competenti in convegni, seminari, presentazioni di libri e tavole rotonde per evitare derive autoreferenziali maschili.

f. Fare in modo che le due sezioni (Capodimonte e Posillipo) collaborino per una maggiore valorizzazione delle donne presenti nel corpo docente e degli studi di genere.

 

Nell’Istituto di Scienze Religiose e negli organi formativi

a. Aggiornare le materie di insegnamento inserendo contenuti più idonei nel valorizzare la presenza femminile e la prospettiva di genere.

b. Potenziare lo studio e l’insegnamento delle donne offrendo loro spazi significativi di ricerca e di docenza.

 

Nella Diocesi

La Diocesi si impegna a superare ignoranze e stereotipi favorendo:

a. L’attivazione di azioni che educhino al superamento di discriminazioni e diseguaglianze attraverso centri di formazione sul territorio per donne e uomini.

b. La creazione di cicli di lezioni permanenti su una corretta interpretazione della Bibbia che superi ignoranze e pregiudizi alla base di discriminazione nei confronti delle donne.

c. Un’attenzione maggiore al linguaggio inclusivo da tener presente nella liturgia e nei documenti. Ogni rito o norma dovrà superare in maniera graduale ma irreversibile anche nel linguaggio ogni forma di nascondimento, discriminazione o esclusione del femminile.

d. Dare visibilità alle tante donne (fondatrici, mistiche, benefattrici, operatrici di carità, artiste...) testimoni di fede e di solidarietà ad esempio nella storia della città, attraverso l’attivazione di un sito web, «Donne in dialogo nella Chiesa di Napoli», che presenti non solo le tante protagoniste, ma anche i luoghi che hanno fondato e vissuto (monasteri, educandati, conservatori, ritiri, ospedali, scuole). Il sito avrebbe lo scopo di evidenziare la partecipazione preziosa delle donne che, insieme con gli uomini, hanno dato (e danno) un contributo significativo nel tessuto culturale e religioso della città, in dialogo con esponenti di altre culture e tradizioni, laiche e religiose.

e. Attivare corsi di formazione alla leadership favorendo un percorso che abiliti a competenze specifiche di guida spirituale di accompagnamento nelle realtà ecclesiali. La figura della madre spirituale potrebbe essere quanto mai appropriata nei seminari. In tal modo si darebbe pienezza all'autorità femminile.

f. Come già avviene in altre parti di Italia, si può affidare alle donne, religiose o laiche, la cappellania di ospedali e altre realtà.

g. Sull’esempio di quanto papa Francesco sta attuando in Vaticano, inserire un maggior numero di donne negli organismi diocesani (Curia) e con compiti di responsabilità.

h. Ripensare il modello formativo nei seminari sia per rivedere l’immagine del femminile che viene proposta sia per favorire il lavoro di autocoscienza che anche il maschio è chiamato a fare per diventare soggetto umanamente maturo[26].

 

Nell’incontro con le altre donne

La Chiesa di Napoli si riconosce compagna di viaggio delle tante donne, credenti e non credenti, appartenenti ad altre Chiese o ad altre religioni, che vivono nella nostra città, accomunate sia da drammatiche questioni che riguardano la difesa dei diritti (nella famiglia e sul lavoro), la violenza sessuale e ogni forma di sopruso e discriminazione, sia dall'aspirazione alla costruzione di una società più umana e rispettosa delle dignità delle persone. La Diocesi si fa promotrice di un convegno annuale, che potrebbe chiamarsi «Donne in dialogo. Confronti, culture, arti», in vista di costruire un luogo di incontro permanente tra le donne del Mediterraneo presenti nella città di Napoli.

 

V. Conclusione: il sogno di una Chiesa inclusiva

«Impostare il lavoro in maniera sinodale significa imparare a pensare insieme le possibilità concrete per il coinvolgimento di altri, sentendo insieme, partendo dal noi e non per noi stessi. Come imparare a camminare valorizzando le differenze, i carismi molteplici, i talenti? Come aiutare le nostre comunità a maturare, a diventare case accoglienti, scuole di comunione? Come prendersi cura della relazione, della prossimità, dell’accoglienza di tutti a partire dai più deboli e dai giovani?».[27]

Oggi la posta in gioco è il modello di Chiesa. Come occorre passare da una antropologia della complementarietà a una della reciprocità, così bisogna rivedere i tradizionali modelli ecclesiologici secondo i principi della comunione e della corresponsabilità, affinché donne e uomini possano svolgere variegati ruoli ministeriali, relativamente a carismi e vocazioni.  Partendo dal presupposto che la Tradizione non può essere l’alibi per non decidere, perché è una realtà viva che si rinnova per la presenza dello Spirito che conduce verso un Regno annunciato, ma non ancora realizzato, quale immagine di Chiesa si può prefigurare, quali prospettive devono aprire i cuori e gli orizzonti della nostra mente? Quali passi è necessario fare? La comunità ecclesiale si impegni a:

a. superare le sedimentazioni storiche che hanno favorito la pregiudiziale misogina prendendo sul serio i principi di uguaglianza e di fraternità-sororità, attraverso un modello inclusivo di partecipazione di ogni credente per recuperare, attraverso quell’annuncio del Regno che trasforma la vita, una modalità diversa di vivere la vita comunitaria, in spirito di umiltà e corresponsabilità. Tutti, donne e uomini, sono chiamati a mettere a frutto carismi e ministeri e, insieme, a «salvare il mondo»;

b. abbandonare una visione sacrale ancora legata allo schema puro/impuro e la persistenza di una visione della corporeità femminile associata alla sfera dell'impuro;

c. valorizzare il genere femminile conferendo alle donne ruoli riconosciuti e autorevolezza, non in supplenza, ma in reciproca corresponsabilità;

d. ripensare al ministero ordinato aperto alle donne è un tema aperto e dibattuto nella Chiesa universale. Lo stesso Papa Francesco, a riguardo del diaconato alle donne, ha istituito una commissione di studio in Vaticano il 25 novembre 2016. La Chiesa di Napoli, aperta all’azione dello Spirito e in comunione con la Chiesa Universale, non fa mancare la sua riflessione in merito.

e. interrogarsi sul perché anche le donne si allontanano sempre più dalle parrocchie non riconoscendosi in tale proposta di vita ecclesiale.

 

Non è sufficiente essere donne per essere portatrici di istanze di cura e di accoglienza: anche per le donne occorre attivare un processo di educazione all’auto-consapevolezza della propria dignità.

Le donne possono, comunque, rappresentare un’importante leva di cambiamento e di trasformazione se, partendo dalla propria posizione svantaggiata, danno voce a coloro che soffrono denunciando le discriminazioni che emarginano, gli abusi di potere che umiliano, le dinamiche di violenza che sono ancora presenti nella nostra società; se, partendo da quella che la filosofa Hannah Arendt chiama cultura della nascita, riescono a convertire la cultura della morte, che segna il nostro Occidente, in cultura della vita, che sola può rompere ogni logica di morte e di guerra, ogni rigida ripetizione dell’identico.

I valori simbolici del femminile (accoglienza della vita, cura, empatia ecc.) non sono appannaggio di un sesso perché sono nel patrimonio genetico di ognuno (cosi come i valori simbolici del maschile). Le donne ne sono portatrici privilegiate per invitare ognuno a assumerli; d’altra parte lo stesso Gesù di Nazareth li ha indicati come fondamentali per ogni suo discepolo chiamato a costruire e a rinascere infinite volte.

 

 

 


NOTE

[1] L’uguaglianza è un principio, non una descrizione fattuale: non dice che uomini e donne siano uguali, ma che, pur nella loro diversità, godono di uguale dignità umana e di uguali diritti.

[2] Situazioni quanto mai attuali che si ripropongono oggi drammaticamente in altre parti del mondo (Afganistan, Iran ecc.)

[3] Pensiamo alle badesse medievali, che, insignite di mitra e pastorale, erano investite di poteri semiepiscopali, alle cosiddette madri divine che, fino al Concilio di Trento, hanno guidato nella fede comunità miste, alle mistiche e ai loro insegnamenti spirituali ai quali hanno attinto tanti credenti.

[4] «Egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando il lieto messaggio del regno di Dio. Con lui c’erano i dodici e alcune donne che egli aveva guarito da malattie e liberato da spiriti maligni: Maria Maddalena, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li servivano (diekónoun) con i loro beni».

[5] «Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria  Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano (diekónoun), e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme».

[6] «Stava insegnando nella Sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare dritta. Gesù la vide. La chiamò a sé e le disse: “Donna, sei liberata dalla tua malattia”. Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio […] E questa figlia di Abramo […] non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».

[7] «Giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna».

[8] «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?». Papa Luciani riprese l’immagine quando affermò all'Angelus del 10 settembre1978: «Dio è papà; più ancora è madre».

[9] «Ascoltatemi, o casa di Giacobbe, e voi tutti, residuo della casa d’Israele, voi di cui mi sono fatto carico dal giorno che nasceste, che siete stati portati fin dal grembo materno!».

[10]  «Va’  dai miei fratelli e di’  loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro».

[11]  Sarebbe opportuno, in tal senso, che la predicazione attuale nella diocesi di Napoli tenesse conto delle acquisizioni esegetiche su Maria Maddalena senza avallare le erronee interpretazioni di peccatrice pentita. Il 10 giugno 2016, papa Francesco ha elevato al grado di festa la memoria di Maria Maddalena ponendola sullo stesso piano di quelle dedicate agli altri apostoli.

[12] Una storia conosciuta e ancora attuale nella quale non entriamo.

[13] Pacem in terris, 22.

[14] GS 12

[15] GS 29

[16] GS 49

[17] GS 60

[18] Gabriella Gambino e Linda Ghisoni sottosegretarie del dicastero dei Laici Famiglia e Vita; suor Alessandra Smerilli segretaria del dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale; suor Nathalie Becquart sottosegretaria del Sinodo dei Vescovi, prima donna con diritto di voto; Francesca di Giovanni sottosegretaria della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede (ora in pensione); Catia Summaria procuratrice di giustizia presso la corte d’appello vaticana; Barbara Jatta direttrice dei Musei Vaticani; suor Raffaella Petrini segretaria generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; suor Carmen Ros Nortes sottosegretaria al dicastero per i Religiosi; la professoressa argentina Emile Cuda segretaria della Pontificia Commissione per l’America Latina; la slovena Natasa Govekar direttrice della Direzione teologico-pastorale del Dicastero per la comunicazione; la brasiliana Cristiane Murray vicedirettrice della sala stampa vaticana; la professoressa tedesca Charlotte Kreuter Kirchof vicecoordinatrice del Consiglio per l’economia. E ha annunciato (Avvenire, 7 luglio 2022) «nominerò due donne al Dicastero per i vescovi».

[19] Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 104.

[20] Don Mimmo Battaglia, Di che cosa stavate discutendo per la strada? Chiamati da Dio a servizio del mondo, n. 4, Lettera Pastorale, Napoli  1 ottobre 2022.

[21] Vedi per esempio la collana Exousia. Ripensare la teologia in prospettiva di genere del Coordinamento Teologhe Italiane, edizioni San Paolo, e la collana internazionale, interconfessionale, e interreligiosa La Bibbia e le donne, ed. Il Pozzo di Giacobbe.

[22] Il ministero è stato istituito, per esempio, nell’arcidiocesi di Campobasso-Bojano in Molise, come «servizio ministeriale legato alla carità, all'accoglienza, alla gioia di ricevere e preparare ogni cosa perché le [...] comunità non siano anonime e la gente non resti sparsa per tutta la chiesa»: Gian Carlo Bregantini, La Vita, Fioritura dell'Accoglienza. Lettera Pastorale per la Diocesi di Campobasso-Bojano per la famiglia che educa alla vita, Centro Pastorale Diocesano, 4 novembre 2011, p. 54

[23] Papa Francesco, dialogo del 5 settembre 2019 con i gesuiti di Mozambico e Madagascar.

[24] Cfr. Andrea Grillo e Donata Horak, Le istituzioni ecclesiali alla prova del genere. Liturgia, sacramenti e diritto, San Paolo, Roma 2019

[25] Don Mimmo Battaglia, Di che cosa stavate discutendo per la strada? Chiamati da Dio a servizio del mondo, n. 6, Lettera Pastorale, Napoli 1 ottobre 2022.

[26] Le domande sulla propria mascolinità, sulla difficoltà di accettare l’alterità, sulle pulsioni alla violenza, sull’attrazione al dominio, sulla propria immaturità affettiva toccano nel profondo le capacità del seminarista, e dunque del clero, di costruire relazioni sane con il genere femminile.

[27] Don Mimmo Battaglia, Di che cosa stavate discutendo per la strada? Chiamati da Dio a servizio del mondo, n. 7, Lettera Pastorale, Napoli 1 ottobre 2022.