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Mosaico nella Basilica di San Paolo Fuori Le Mura, immagine tratta da commons.wikimedia.org

Anniversario in tempore belli di metafisica elezione papale

di Stefano Sodaro



Mentre migliaia di corpi, privi di vita, giacciono sulle strade e sui marciapiedi delle città ucraine, noi ci affanniamo, davvero con grande fatica ed ansia, a dimostrare la coerenza perfetta e la razionalità intrinseca delle nostre convinzioni – piuttosto astratte, dal momento che noi siamo qui e loro sono lì (e lì non al confine, bensì proprio sotto le bombe) -, sia che depongano, tali nostre convinzioni, nel senso di supportare con armi la resistenza del popolo ucraino contro l’invasione dell’esercito russo per ordine di Vladimir Putin, sia che affermino il valore della nonviolenza.

Intanto, però, la gente muore. Con sofferenze tali che vien voglia di spegnere radio e televisione e di non leggere i giornali.

Nove anni fa apprendemmo, invece, proprio dai mezzi di comunicazione dell’avvenuta elezione del Card. Bergoglio al soglio di Pietro. Avevamo il nuovo Papa, dopo le dimissioni di Benedetto XVI. Dimissioni, tuttavia, ancor oggi assai problematiche per un adeguato inquadramento teologico, dal momento che il vescovo Joseph Ratzinger mai viene identificato così – meno che mai chiamato -, abita in Vaticano, veste di bianco e riceve stuoli di prelati che si inginocchiano davanti a lui chiamandolo “Santità”.

Che sia dunque la metafisica il nostro problema teologico irrisolto?

Le parole allucinanti del Patriarca di Mosca sulla natura metafisica della guerra in atto consentono di porci un interrogativo: noi siamo alieni dai pericoli della metafisica? Anzi siamo immuni, decontaminati, dalla metafisica stessa?

Perché anche il “papa doppio” è un derivato metafisico: vi si scorge l’impossibilità, da un lato, di riconoscere praticamente il secolare, scolastico, insegnamento dogmatico (cattolico), di per sé del tutto pacifico, quanto alla possibile rinuncia dell’ufficio petrino, e, dall’altro, però, l’insostenibile configurazione di un duplice papato, effettivo ed emerito, che fa persino baluginare, nelle derive papolatriche purtroppo ancora presenti – e non solo tra i cattolici praticanti -, un doppio Dio, attuale ed onorario. Un doppio riferimento verticale, apicale. Lassù, ove il Vescovo di Roma partecipa, per quanto in forma vicaria, niente di meno che della signoria di Gesù Cristo.

La violenza delle armi – ha sostanzialmente sostenuto Sua Santità Kirill Patriarca di Mosca e di Tutte le Russie – si rivolge contro l’abiezione metafisica, appunto, dell’amore omosessuale. Perché anche l’amore sarebbe questione metafisica. E dunque metafisico - rieccoci al punto di partenza - anche tutto il nostro intero armamentario concettuale: metafisici siamo e metafisici restiamo.

E forse l’empasse diplomatico della Santa Sede – almeno per quanto è dato da osservare esternamente – in queste ore, di guerra paurosa, ha a che fare con una “metafisica del papato”, che, invece, nella crisi dei missili cubani del 1962, appariva un cascame, soggetto infatti dal Concilio quantomeno ad un ripensamento.

Abbandonare la metafisica non è cosa semplice. E certamente non è raccomandata da alcuna autorità religiosa.

E qui compare il cortocircuito culturale con la concretezza, ben materiale prima che teorica, delle nostre vite. Mangiare, bere, respirare, curarsi, ripararsi dal freddo, partorire non sono questioni metafisiche, da affrontare a tavolino o seduti in divano, e non sopportano alcuna metafisica di rincalzo.

Il 13 marzo 2013 sembrava di sognare in Piazza San Pietro. Il nome pontificale, mai osato prima, di “Francesco”. La provenienza latinoamericana, e gesuitica, del nuovo Papa. “Fratelli e sorelle, buonasera”. Più di qualcuno ha pensato al film Mission. Del resto mons. Romero è effettivamente ed ufficialmente diventato santo.

Purtroppo, dopo nove anni, le sere e le giornate non sono più buone.

Vien da chiedersi se l’augurio di “buon pranzo”, che Francesco ripete anche all’Angelus odierno, sia invocazione di una bontà intricata con gli universali aristotelici e tomistici o non sia, piuttosto, la semplice, ma necessaria – vitale -, preoccupazione di apparecchiare la tavola per chiunque abbia bisogno di sfamarsi.

Che domenica sarà oggi a Mariupol’, a Kiev, a Odessa, a Lviv, a Kharkiv?

Forse, invece di sgomitare per dimostrare che abbiamo ragione noi a dire questo o quello, potremmo fare silenzio e lasciarci dilaniare dalle urla di dolore di chi abita lì.