Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Dignitas infinita

di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/



La Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede “Dignitas infinita circa la dignità umana” del 2.4.2024, approvata da papa Francesco, ha affrontato tutte le questioni oggi più pressanti che riguardano la bioetica: aborto, maternità surrogata, fine vita e la cosiddetta “teoria gender” (la quale afferma, secondo l’interpretazione dei suoi critici, la differenza fra sesso e genere), ma anche alcune questioni attinenti all’etica sociale: povertà, migranti, guerre, violenza sulle donne, ecc. Com’era prevedibile a monte di questo documento c’era già l’Enciclica Fratelli tutti[1] e la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae[2] e anche altri documenti magisteriali.

In poche battute, per quel che riguarda la bioetica:

a) Al §47 si ribadisce che la dignità di ogni essere umano ha un carattere intrinseco e vale dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale. Di fronte alla mentalità che prende sempre più piede ma che non distingue più tra il bene e il male, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla verità e di chiamare le cose con il loro nome: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita.

b) Ai §§48ss. si afferma che La Chiesa prende posizione contro la pratica della maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio: la dignità del bambino viene lesa perché lo stesso diventa un mero oggetto; la dignità della donna viene lesa perché con tale pratica, la donna si distacca del figlio che cresce in lei e diventa un semplice mezzo asservito al guadagno o al desiderio arbitrario di altri. Questo contrasta in ogni modo con la dignità fondamentale di ogni essere umano e il suo diritto di venire sempre riconosciuto per sé stesso e mai come strumento per altro.

c) ai §§51ss. si afferma che, ancorché sia assai diffusa l’idea che l’eutanasia o il suicidio assistito siano coerenti con il rispetto della dignità della persona umana, si deve ribadire con forza che la sofferenza non fa perdere al malato quella dignità che gli è propria in modo intrinseco e inalienabile, ma può diventare occasione per rinsaldare i vincoli di una mutua appartenenza e per prendere maggiore coscienza della preziosità di ogni persona per l’umanità intera.

d) ai §§55ss. la teoria del gender è considerata pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Non è possibile separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare.

Il giornalista Matteo Matzuzzi, su Il Foglio del 9.4.2024, commenta che sulla bioetica nulla cambia nella Chiesa, perché c’è una continuità strettissima coi pontefici precedenti.

Nell’intervista sul Corriera della sera del 9.4.2024, l’arcivescovo Paglia – presidente della Pontificia Accademia della vita - fa invece notare che il Dicastero ha abolito l’uso dei termini principi non negoziabili[3] tanto caro al papa Benedetto XVI. Inoltre sottolinea l’ampiezza di tutti i temi che riguardano la persona, senza selezionarne alcuni a danno di altri. Sicuramente c’è qualche forte presa di posizione che non si era sentita in precedenza. Ad es. «va denunciato come contrario alla dignità umana il fatto che in alcuni luoghi non poche persone vengano incarcerate, torturate e perfino private del bene della vita unicamente per il proprio orientamento sessuale» (§55).

A questo punto mi permetto alcune osservazioni:

1) Leggendo il documento c’è l’immediata impressione di trovarsi davanti a una serie di divieti, a un elenco di cose negative che la Chiesa condanna e che – a volte - vorrebbe che anche lo Stato condannasse.

Ad esempio, quando si dice che ci dovrebbe essere una proibizione universale per la maternità surrogata si chiede che tutti gli Stati del mondo legiferino in tal senso. Ma devo dar ragione alla radicale Emma Bonino (intervistata a sua volta su il Corriere della sera del 9.4.2024), secondo la quale il peccato non può e non deve essere trasformato in reato.

Richiamo sul punto anche un’osservazione accurata del costituzionalista Stefano Ceccanti che mi ha colpito: siamo sicuri che ci sia continuità fra il documento odierno ed il documento conciliare Dignitatis Humanae che si cita ripetutamente (ad es. al §16)? Il §1 del documento conciliare aveva distinto fra affermazione di principi e ruolo limitato della legge statale. Alla nota 28 del documento odierno viene richiamata proprio questa lontana Dichiarazione conciliare che al §1 sottolineava sostanzialmente l’immunità dalla coercizione. Ma allora questo principio come si concilia con i sopravvisti §§47,48 e 51 su aborto, maternità surrogata, eutanasia e suicidio assistito, in cui, almeno a prima vista, si chiede che la legge, cioè il diritto penale statale, faccia propri questi giudizi negativi della Chiesa?

Mi sembra scontato che un elenco di divieti e condanne accontenterà di certo coloro che già in precedenza erano fermi su queste idee, ma sarà rifiutata tout court da coloro che abbracciano altre idee. E non era sempre questo papa a parlare di dialogo e di negoziato? Qui non ce n’è traccia, e il documento è squisitamente assertivo.

Ora, dal punto di vista religioso, mi sembra che se la relazione del cristiano con Dio si basa sull’amore, su una relazione affettiva, necessariamente deve escludersi in radice ogni relazione legale. Non è lecito perciò trasformare in norma statale vincolante nessun principio ricavabile dai vangeli. Ancor di più questo deve valere se il principio non è indicato espressamente nei vangeli, ma lo si ricava solo dalla dottrina.

Per fare un esempio pratico: la Chiesa non ha preso alla lettera neanche le chiare parole di Gesù al giovane ricco e angosciato, riportate poco dopo il divieto per l’uomo di ripudiare la propria donna: «Va, vendi quanto possiedi e dallo ai poveri» (Mc 10, 21). Questa frase semplice e chiara, se presa alla lettera, dovrebbe essere considerata come un alto principio universale di vita morale, e invece il valore della povertà non è mai stata trasformato in norma giuridica vincolante proprio perché il passo non è mai stato interpretato alla lettera neanche da parte delle stesse autorità ecclesiastiche, tanto che in Vaticano esiste ancora oggi lo Ior[4].

Invece a volte nella Chiesa vale la regola inversa: non sempre ciò che è reato è peccato. Mentre nella società civile la proprietà è un valore protetto da norme giuridiche, nei vangeli, essa non assurge a mai valore in sé, ma resta un mero strumento. Stando ai vangeli, perciò, nulla può essere finalizzato ad essa. Al proprietario è stato semplicemente affidato un pezzetto di mondo, e lui ha l’onere di curarlo per sé, ma anche per gli altri. Tanto è vero che colui il quale si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui. Trasformato in pratica questo principio astratto vuol dire che, se uno deve sfamarsi e sfamare i propri figli, non commette peccato se ruba a chi ha più del superfluo ciò che gli è necessario per sopravvivere, perché solo la dignità dell’uomo, non la sua proprietà, è un valore[5]. Inutile aggiungere che questo principio riaffermato anche dal concilio Vaticano II non è stato poi preso come norma vincolante e attuato neanche nella Chiesa: avete forse visto i conventi vuoti e abbandonati messi a disposizione dei senza tetto?

Dunque continuo a pensare che è ottima cosa tenere ben separati i principi giuridici dai principi religiosi, ed evitare di trasformare i principi evangelici cui dobbiamo tendere in leggi statali.

2) Nel tentativo di coordinare fede con ragione, si fa intendere che la fede non può essere separata dalla difesa della dignità umana. Quando la dignità umana è minacciata e spetta ai cattolici difenderla ovunque essa sia minacciata (§§1 e 2). Benissimo! Ma c’è da chiedersi: cosa è la dignità umana? È qualcosa di complesso, per cui non è semplice rispondere. Non basta il richiamo all’art.1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (§2): «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», che fra l’altro è un documento laico. Il documento vaticano offre come base per la dignità umana anche degli elementi religiosi, quali la creazione dell’uomo a immagine di Dio, la rivelazione della nostra natura nell’incarnazione di Cristo (§2).

Ma se la Chiesa pensa di essere l’unica promotrice della dignità umana, che altri manipolano, siamo sicuri di questa sua capacità esclusiva? Quando la dignità nega l’autodeterminazione, comprime la possibilità di far riferimento alla propria coscienza, non si corre il rischio di comprimere lo stesso concetto di dignità?

Ad esempio, ho più di qualche dubbio a sostenere in maniera decisa – come fa il documento vaticano -  che la vita è sempre dono di Dio (§§22, 49, 57), per cui la sua soppressione volontaria va sempre contro la dignità dell’uomo (§52), ad esempio nel caso in cui questo dono è così sfigurato che forse la scelta di finirla lì non rompe il nostro rapporto con Dio. Certo non è facile decidere cosa fare quando la vita non è più vita, ma è solo sofferenza senza speranza. Ma non confondiamo la vita col respiro alimentato artificiosamente dalle macchine, capaci di allontanare artificialmente la morte senza però far riguadagnare la vita. Torturare con terapie dolorose rispetta forse la dignità dell’uomo?

Il 20.12.2006, a Roma, moriva Welby, quel povero cristo che, immobilizzato da anni nel letto, respirava solo grazie ai macchinari artificiali e aveva chiesto soltanto che la natura facesse il suo corso mettendo fine alle sue sofferenze: il funerale religioso gli è stato negato. Perché? Perché ovviamente la vita è sacra e nessuno può decidere se e quando porvi termine. La nostra Chiesa madre ha dimostrato al cospetto del mondo che, ancora dopo duemila anni, il bene della legge (la sacralità della vita) è più importante del bene dell’uomo, che quindi non è affatto sacro. Invece, alla luce della parabola del samaritano, forse sarebbe stato opportuno chiedersi: è sacra la vita o è sacro l’uomo? Se è sacro l’uomo in primo luogo va salvaguardata la sua dignità. Ma viene sempre salvaguardata la dignità quando una persona è inchiodata al letto con tubi e tubicini senza i quali la natura farebbe il suo corso naturale? E non può essere che il prolungamento artificiale della vita diventi semplicemente un punto d’onore per i medici curanti e per i familiari che non vogliono lasciar andare il loro caro? Se non è sacro l’uomo in concreto, ma solo la vita in astratto, preparatevi tutti a vivere con tubicini e macchinari molto, molto a lungo, perché in nome di un ideale astratto l’uomo sarà ridotto a elemento biologico che continuerà a vivere intubato, solo perché la vita è sacra. Mi sembra che in questi casi, per onorare Dio che ha creato la vita, si disonori l’uomo, e inutilmente Gesù ha chiarito che il sabato è fatto per l’uomo, e non viceversa (Mc 2, 27).

Quando poi si concepisce ogni opinione diversa della propria come contraria alla dignità umana si corre il rischio di criticare ponendosi a propria volta in posizione criticabile, perché la propria opinione diventa ideologia[6].

Certo va condannato il cambiamento di sesso se forzato; trovo anch’io rischiosissimo permettere a dei minorenni di cambiare sesso, ma trovo altrettanto rischioso vietare per legge a degli adulti che, perfettamente sani di mente, sostengono di sentirsi costretti in un corpo al quale non sentono di appartenere, per cui chiedono di avere un corpo che rispecchi la loro identità sessuale. Da tempo suor Teresa Forcades sostiene che intervenire chirurgicamente affinché la persona possa esprimere ed essere riconosciuta nella sua identità sessuale soggettiva non è violenza, bensì liberazione. In effetti penso che anche in questo caso è sbagliato generalizzare, decidendo in base a modelli etici astratti, e sia preferibile guardare piuttosto caso per caso, ascoltando l’interessato.

Lo stesso, mi sembra, si dovrebbe fare con l’aborto. Gesù non ha mai parlato dell’aborto nei vangeli. Per il pio osservante della legge la donna che lo pratica è sempre un’assassina che va severamente condannata: fine del discorso. “Bisogna aver il coraggio di chiamare le cose col proprio nome, senza se e senza ma” urlavano ai tempi di Gesù le pie persone religiose davanti all’adultera “e questa donna è un’adultera peccatrice che ha violato la legge per cui va lapidata!” “Bisogna avere il coraggio di chiamare le cose col proprio nome” dice ancora oggi la Dignitas infinita davanti a una donna che ha abortito “e questa donna che uccide deliberatamente è un’assassina, va indicata per quello che è e dovrebbe essere trattata come omicida dalla legge!” L’omicidio è previsto dall’art.575 del codice penale, e la legge dovrebbe essere osservata. La gerarchia ecclesiastica in Italia e i devoti osservanti pretendono e insistono che quel che la dottrina cattolica indica come peccato sia trasformato in reato e come tale ci sia la condanna da parte dello Stato: si tratti di aborto o eutanasia. Ma innanzitutto in questo modo, com’è stato già giustamente osservato,[7] il tema della trasgressione religiosa passa in secondo piano, perché si «secolarizza» il caso. Poi, se guardiamo ai vangeli, Gesù non si è mai avvicinato agli uomini attraverso categorie astratte, ma sempre e solo nella loro concretezza,[8] perché quando si tratta di scegliere fra la legge astratta ed il bene dell’uomo, Gesù si schiera sempre a favore del secondo: pensate all’episodio di Zaccheo, ladro e imbroglione (Lc 19, 2-10);[9] pensate alla samaritana del pozzo, che aveva avuto molti uomini (Gv 4, 7-26); pensate all’episodio dell’adultera (Gv 8, 3), dove i moralisti urlanti vedevano solo un caso che rientrava in precise disposizioni punitive di una legge astratta.

Mi trovo, allora, a mio agio con la delicatezza con cui frate Giovanni Vannucci ha parlato dell’aborto: l’aborto non si può considerare come una categoria, come qualcosa in cui ci si comporta o così o colì, disciplinandolo con una legge. C’è una persona che sta soffrendo, una persona che sta male, una persona che è di fronte a una decisione durissima. C’è quella persona, quella donna. Questo dice Giovanni Vannucci (e avrei voluto sentire lo stesso dal Dicastero): dobbiamo stare vicini a quel caso concreto, perché ciascuno di noi è un messaggio unico che Dio manda al mondo, una parola irrepetibile che ha pronunciato, e che non ripeterà mai più:[10] ognuno di noi è veramente unico. Nella parabola del buon samaritano, s’incontra non un caso astratto di scuola, ma una persona concreta: è quella persona che è caduta, sta per terra, sta male… Quindi in questo senso anche l’attenzione verso la sofferenza è un’attenzione concreta, vera. Non si può rendere astratto l’amore; non si può neanche rendere astratto l’aborto. Pertanto, anche il problema dell’aborto non è un problema teorico, ma sempre concreto. È il problema di questa donna che dolorosamente, tragicamente, decide di non portare avanti una vita. “Io spero” - dice sempre il Vannucci - “che l’umanità giunga domani ad avere rispetto più profondo di ogni vita che nasce, ma anche di ogni tragedia di donna che porta nel suo seno un figlio che può essere non desiderato, che può essere venuto attraverso delle esperienze tragiche, che può implicare delle conseguenze dolorosissime, se venisse portato avanti. Mi sono incontrato molte volte con donne che vivevano fino allo spasimo il problema: abortisco, non abortisco? Erano problemi concreti, legati ad una particolare figura umana. Se noi tracciamo delle linee teoriche, ci troveremo a discutere per tutta l‘eternità e non avremo risolto nulla, ma comunque saremo passati vicino a quest’aspetto dolorosissimo dell’umanità con indifferenza”[11].

È indubbio che eliminando una vita s’instaura un meccanismo di morte dentro alla persona che ha fatto questa scelta, spesso solo per egoismo, tornaconto, pensando solo a sé stessi. Ma non si può intervenire nella vita con principi assoluti o dogmatici o moralistici o legalistici. Combattere una battaglia astratta può anche farci sentire veri soldati di Cristo, ma attenzione – dice sempre fra Giovanni Vannucci[12]– che così le forme della nostra vita cristiana diventano architetture vuote quando non si calano nella concretezza del reale. Noi cristiani predichiamo i cardini della nostra fede, ma poi, quando incontriamo concretamente il prossimo (come succede al prete ed al sacrestano del Tempio nella parabola del buon samaritano) restiamo a cavallo, facendo finta di non vedere la sofferenza che ci passa accanto. Invece di entusiasmarci per progetti astratti, occorre scendere da cavallo, e stringere nelle proprie mani il volto di chi soffre in concreto, perché il cristianesimo non è e non deve essere un’ideologia, ma una partecipazione alla vita guidata dal cuore. Quelle persone pie che hanno trasformato la lotta contro l’aborto in una battaglia personale hanno anche trasformato il cristianesimo in una ideologia. Cristo dice: “Non giudicate!” (Mt 7, 1) e ci dice invece: “Amate!” (Gv 13, 34) E amandovi risolverete tutto, cambierete il mondo. Aggiunge ancora il Vannucci: “Quando vengono imposte proposizioni precise, verità astratte, leggi sempre più accurate e sempre più esatte valevoli per tutti, quando la religione si degrada in questi piccoli annunci, in queste piccole casistiche, in queste piccole e limitate visioni della realtà si prova solo tristezza. Come sarebbe bello vivere se ci venissero date solo delle indicazioni che alimentassero in noi la speranza e la fiducia nella vita. Dalla Chiesa ci si dovrebbe aspettare annunci di pace, di vita, di serenità, di fiducia nella vita. E se ci fossero delle denunce dovrebbero essere delle denunce globali, non per giudicare, ma per additare certi mali che fioriscono continuamente in seno all’umanità”[13]. Quanto sarebbe bello vedere una Chiesa fatta di perdonati, non di giusti, non una Chiesa-tribunale. Una Chiesa abitata da gente che sa perdonare perché perdonata, che giudica con amore, senza ferire, guardando avanti, che indica una strada. Quando vivremo del perdono che ci riempie il cuore, diverremo icona di Dio per l’uomo contemporaneo che cerca, nel suo profondo, amore e luce in una società che ama solo i bravi e i giusti e dimentica la verità della nostra fragilità[14].

E a chi come papa Benedetto XVI che, condannando ogni aborto indicava, come esempio di verità oggettiva, l’esistenza indiscutibile della dignità dell’uomo fondata sul fatto che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 26), e che tutti sono uguali perché tutti discendono da Adamo ed Eva,[15] obietto solo questo: da quanto esposto si direbbe che la Chiesa abbia sempre conosciuto e difeso questa verità oggettiva dell’uguaglianza fra tutti gli uomini. Mi si dovrebbe allora spiegare perché papa Leone XIII, nella Enciclica Quod Apostolici[16] del 28.12.1878, considerava un vero e proprio attentato all’ordine costituito sostenere l’aberrante tesi socialista secondo cui tutti gli uomini sono uguali per natura, visto che Dio stesso ha disposto che siano disuguali. I casi sono due: o la verità oggettiva sfuggiva a papa Leone XIII o è sfuggita a papa Benedetto XVI; lo Spirito Santo che, come ci assicura il magistero, mai abbandona l’istituzione vaticana ha invece necessariamente tradito o il primo papa o il secondo.

Dunque, nella Dignitas infinita vedo troppi giudizi trancianti. Quanto mi piacerebbe vedere la nostra Chiesa liberarsi da verità dottrinarie spacciate per infallibili e immutabili, come se Dio in persona avesse parlato; avere una Chiesa capace solo di proporre e non imporre, come nel sogno di don Angelo Casati,[17] il quale diceva: “vorrei che le chiese fossero come l’albero che non chiede agli uccelli da dove vengono e dove vanno… Dà ombra, cibo e poi lascia che volino via”. Sull’albero dell’istituzione Chiesa, invece, c’è ancora tanto vischio che cerca di catturare gli uccellini senza più lasciarli liberi di volare via. Eppure i maghi e i pastori accorsi alla nascita di Gesù sono di lì a poco spariti, non si sa verso dove, senza venir sequestrati da Gesù.

Un’ultima annotazione merita la severa reprimenda sulla guerra (§§38s.): non esiste più la guerra giusta, e nessuna guerra è mai la soluzione del problema. Ancor peggio quando s’invoca il nome di Dio per giustificare la guerra e la violenza. Per costruire la pace è perciò necessario uscire dalla logica della guerra. Ma di questo parleremo un’altra volta.

 


NOTE

[1] In www.vatican.va.

[2] Dichiarazione sulla libertà religiosa – Dignitatis Humanae del 7.12.1965

[3] Il termine venne usato per la prima volta dalla Congregazione per la dottrina della fede, in data 24.11.2002, con la nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici (così D’Agostino F., Quali valori sono non negoziabili, “Avvenire” 7.12.2012, 33).

[4]L’istituzione ecclesiastica gestisce banche e gioca anche in Borsa (Sorge B., La Chiesa nel 2012,  in suppl. “Speciale Concilio Vaticano II,  “Famiglia Cristiana”, n.42/2012,16).

[5] Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes §69 – del 7.12.1965: Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui. Quindi, il discorso del parroco di Mestre sul fatto che rubare ai ricchi non necessariamente è peccato (discorso che tanto scalpore ha suscitato nei media: vedasi, ad esempio, “La Repubblica” dell’8.4.2013, 15; “Famiglia Cristiana” n.16/2013, 27), non è un’idea estemporanea e balorda di un prete schizzato, ma si fonda su un documento ufficiale della Chiesa, sostanzialmente dimenticato.

[6] Ideologia è il complesso delle motivazioni teoriche usate per legittimare interessi e poteri reali.

[7] Franco M., La crisi dell’impero vaticano, ed. Mondadori, Milano, 2013, 101.

[8] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 59.

[9]Anche il comportamento di Gesù che si autoinvita a pranzo a casa del ricco pubblicano Zaccheo, senza prima imporgli un recupero penitenziale, sarà ritenuto imbarazzante dalla Chiesa primitiva (e non solo dai benpensanti di allora che subito mormorarono – Lc 19, 7). Come mai Gesù non ha chiesto a Zaccheo di cambiare mestiere? Era un mestiere per collaborazionisti e ladri, che rendeva il pubblicano impuro. Se Gesù non glielo ha chiesto, ci penserà la Chiesa primitiva e allora, secondo la tradizione (v. www.treccani.it), il pubblicano ormai pentito sarà nominato vescovo di Cesarea e quindi, avendo cambiato mestiere,salverà la faccia e la reputazione della chiesa (Maggi A., Colui che viene a me io non lo caccerò fuori, conferenza tenuta a Cuneo il 10 novembre 2013, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze). Ecco un alto caso di evaporazione della narrazione evangelica, a cura degli zelanti custodi dell’ortodossia. Il Vangelo viene così edulcorato e il messaggio evapora.

[10] Orlandi M., Giovanni Vannucci, custode della luce, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 56.

[11] Idem, 60 s.

[12] Idem, 62.

[13] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 21 ss.

[14] Commento al vangelo di Curtaz P., Popolo di perdonati, domenica 17.3.2013, in www.tiraccontolaparola.it.

[15] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 35ss.

[16] Enciclica reperibile in https://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals.index.html.

[17] Interventi di Casati A., Gratuità e gratitudine, 2009, in www.sullasoglia.it.