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Una definizione di Dio?


di Dario Culot

Rilievo di Dario - Persepoli, Iran - immagine tratta da commons.wikimedia.org

4. - Fermandoci ancora sul concetto di Dio[1] e sul fatto che Dio è e resta un mistero, mi trovo perfettamente d’accordo con quanto diceva l’astronoma Margherita Hack,[2] la quale si proclamava atea, ma aggiungeva di sapere perfettamente che la scienza e la ragione non sono in grado di dimostrare scientificamente con certezza né che Dio esiste, né che non esiste. Chi sostiene di sapere con assoluta certezza che Dio esiste o non esiste si rivolge solo a sé stesso per confermarsi in quella che è soltanto una sua opinione.

Riassumendo e sintetizzando, se mi venisse chiesto di dare una definizione del Dio in cui credo, mi fermerei alle parole di don Carlo Molari:[3]

- ogni volta che pensiamo, avvertiamo che la Verità in azione nella nostra mente è più grande delle nostre idee;

- ogni volta che amiamo ci rendiamo conto che il Bene che ci attira supera di gran lunga quello che siamo in grado di offrire;

- ogni volta che progettiamo la giustizia sappiamo di non poter mai realizzarla pienamente: la Giustizia con la G maiuscola è sempre più esigente e ben al di là delle nostre limitate capacità realizzative.

Questa è l’esperienza della trascendenza che ci rinvia all'idea della Realtà ineffabile, che nelle religioni viene chiamata Dio[4]. Insomma, Dio non è un’idea precisa perché resta sempre un mistero. Pensiamo solo all’insufficienza dei termini usati per definire Dio.

Forse è giunto il momento di prendere definitivamente atto che l’onnipotenza è un attributo che non viene mai dato a Dio nella Bibbia, mentre c’è da aggiungere che l’immagine di un Dio che può far tutto ciò che vuole (come è stato inteso comunemente il termine onnipotente[5] fino ad oggi) ha creato enormi problemi di fede, perché non spiega logicamente l’esistenza del male. Quando prendiamo in considerazione un solo attributo divino, il resto ci appare spesso strano e perfino contraddittorio: se Dio è onnipotente, come permette il male? Se Dio è amore, come può condannarci?

Vediamo subito anche l’insufficienza del termine ‘Persona’ per definire Dio. È cioè difficile accettare l’idea che Dio, al suo interno, resti uno anche se in Lui ci sono tre persone distinte: Padre, Figlio e Spirito santo. Infatti tre entità personali sono per noi tali solo se sono tre entità limitate,[6] se ciascuna mantiene la sua volontà distinta, la sua coscienza distinta. Tanto più che non esiste una sorta di divinità astratta (Dio) nella quale s’inseriscono tre divinità (persone concrete): quando ci parlano di unità-trinità di Dio si riesce solo a immaginare questo Dio come una capsula spaziale entro la quale si trova un equipaggio di tre persone (Padre, Figlio e Spirito santo), che fra di loro si relazionano e poi parlano all’esterno, alla base-terra, con una voce sola. Ma il cristianesimo esclude che vi siano tre assoluti, tre eterni, tre creatori. Se poi Dio si manifesta come un Io autonomo rispetto alla creazione e alle creature, sarà magari anche persona, ma se il termine persona è già riservato alle tre persone all’interno di Dio, come fa Dio – che contiene in sé queste tre persone, questi tre ‘Io’ - essere a sua volta ulteriore persona? Un ulteriore Io?

 

 

Quindi, per tutto il resto che non so e non sono in grado di sapere, mi affido semplicemente a quanto ci ha spiegato Gesù, il quale ci ha spiegato come si comporta Dio, non chi è Dio, e ci ha solo detto che Dio ci ama e che possiamo fidarci di Lui. Inoltre bisogna rendersi conto che compete sempre al singolo individuo:

- avere consapevolezza di una sua dipendenza totale e continua da queste forze più grandi di lui, che lo sostengono e lo alimentano,

- stare in atteggiamento di apertura verso queste forze di vita che lo investono.

Probabilmente solo con simile atteggiamento si riesce a capire che c’è una Verità che stimola la ricerca e può diventare in noi luce; che c’è un Bene grande che stimola l’amore e che in noi può diventare amore nuovo; che c’è una Giustizia che in noi può diventare progetto nuovo mai ancora pensato[7].

Se uno fa così, a mio avviso è già credente, perché si apre all’azione di Dio e nel suo cammino può far fiorire novità di vita. Che poi prevalga la vita, o meno, è compito affidato alle nostre mani, ma non ci è data alcuna garanzia. Le nostre mani sono deboli, anche se sappiamo che la Forza che la sostiene è molto più grande di noi. Questa è l’unica garanzia che abbiamo.

Sintetizzando, in realtà non esistono prove sufficienti dell’esistenza di Dio, ma solo indizi. Gli indizi sono quelli che mettono su una determinata pista. Le prove sono quelle che determinano l’esito definitivo del processo, confermandoci o negandoci di esser stati sulla pista buona. Senza indizi brancoliamo nel buio più totale e imbocchiamo facilmente direzioni sbagliate. Senza prove restiamo però nel dubbio. Faccio allora pienamente mia la considerazione di Éric-Émmanuel Schmitt,[8] secondo cui ci sono solo tre categorie di individui intellettualmente onesti che, alla domanda se credono che Dio esista, replicano così: il credente che dice “Non lo so, ma credo di sì,” l’ateo che dice “Non lo so, ma credo di no,” e l’indifferente che dice “Non lo so e la cosa non mi interessa”. Io mi metto nella prima categoria, e sono convinto che anche il cristiano più convinto e preparato non può dire molto più di questo.

“Non sono sicuro” dice Socrate all’inizio del Fedone quando afferma di credere che la terra sia rotonda[9]. Crediamo di sapere, ma poi potrebbe risultare che ci siamo sbagliati. Fra il socratico “so di non sapere”, e il dogmatismo che la Chiesa ha usato per secoli non piacendole sentirsi dire che non sempre aveva ragione, preferisco Socrate. Certo, si può dialogare, e da poco anche la Chiesa ha cominciato a parlare di dialogo, ma - come diceva sempre Socrate - se dal dialogo non si esce con nuovi punti di vista, e quindi almeno un po’ trasformati, non c’è stato alcun dialogo. Finché uno resta convinto di possedere già tutta la verità e di essere nel giusto, non è possibile alcun dialogo.

Ecco, credo che anche nella spiritualità dovremmo umilmente avvicinarci con un approccio socratico, non turbandoci se restiamo con in mano più domande che risposte, se cambiamo opinione, perché non dobbiamo pensare che la teologia sia stata dettata da Dio in persona, l’unico che potrebbe darci risposte certe ed eterne. La teologia è stata costruita da uomini come noi,[10] in base alle esperienze degli uomini, e le esperienze - e quindi anche le conclusioni che se ne traggono - cambiano col passare del tempo. Perciò la teologia può fornirci al massimo le risposte migliori che siamo in grado di dare in quel determinato momento storico, ma con la consapevolezza che nuove esperienze potranno indurci a modificarle ancora e ancora[11]. Certezze assolute non le avremo mai, come invece in passato ci ha fatto credere la Chiesa affermando di poterci offrire la Verità assoluta. E a chi si strappa le vesti vedendo nei miei discorsi un pericoloso relativismo,[12] ricordo che perfino un papa tradizionalista come Benedetto XVI ha onestamente ammesso che di Dio non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, non appartenendo noi al suo ambito trascendente, perché noi viviamo nel diverso ambito immanente[13]. E anche se l’ambito della trascendenza non è un ambito necessariamente superiore, resta per noi un ambito assolutamente distinto, diverso, al quale noi non abbiamo accesso. Non ci è possibile, non sta alla nostra portata. La caratteristica della trascendenza è dunque l’incomunicabilità[14]. Ecco perché, appartenendo Dio alla trascendenza (n. 37 Catechismo) sta al di là dei nostri limiti di possibile conoscenza, e resta un mistero. Ma allora come può poi la Chiesa pretendere di imporre a tutti un dogma che definisce in maniera definitiva e indiscutibile l’essenza di Dio? Non lo so; dovete chiederlo a papa Benedetto XVI.

Quindi, un’affermazione che mi sento di fare con sicurezza è questa: si resta cristiani anche avendo molti dubbi,[15] anche essendoci fatta un’immagine di Dio che non corrisponde perfettamente ai dogmi del Catechismo. E al contrario, come riconosce papa Francesco, «se una persona dice di aver incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza… se ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui…». Dunque è vero proprio l’opposto: chi non ha dubbi e ha solo certezze non è vero cristiano[16]. Ne consegue che, mentre il gregge non riconosce più nel magistero una innata e intrinseca superiorità (morale e normativa), gran parte del magistero, agganciata alla sicurezza del passato, vorrebbe ancora aver a che fare con fedeli educati all’assenza di giudizio e alla cieca obbedienza ai dogmi. Mi viene qui solo da aggiungere, per chi la pensa così, che se Dio è Amore e al cristiano vien chiesto di amare, sicuramente non sarà la conoscenza dei dogmi a spingerlo ad amare.

Certamente una religione priva di dubbi riuscirà anche a infondere sicurezza e grandi energie. Ma alla fin fine, qual è il rischio per chi segue questa strada della sicurezza, nella certezza di avere in tasca una verità assoluta e immutabile? Semplice: l’autoritarismo e il totalitarismo[17] che la Chiesa ha cavalcato per secoli. Oppure il fondamentalismo[18] dei credenti duri e puri, che normalmente sfocia nell’integralismo,[19] per cui gli uomini finiscono per odiarsi e ammazzarsi per il fatto di adorare il medesimo Dio con riti diversi. Infatti, quando un’istituzione rivendica il diritto assoluto di essere l’unica rappresentante del più alto grado di sviluppo dello spirito del mondo, tutti gli altri sono necessariamente privi di diritti, viaggiano necessariamente nell’errore e ‘devono’ essere corretti, con le buone o con le cattive. Nella religione monoteista è sempre nascosta e pronta a scattare la violenza, per correggere gli erranti.

Sottolineo invece che, stando al Vangelo, mai Gesù ha scomunicato qualche dubbioso, allontanandolo dalla comunità. Non ha cacciato Tommaso quando ha detto di non credere (Gv 20, 25). Non ha cacciato neanche Giuda, pur sapendo che stava per tradirlo. E in realtà il dubbio serpeggiava fra tutti gli apostoli, tanto che alla fine tutti sono scappati. A differenza della Chiesa,[20] Gesù non ha mai escluso nessuno,[21] neanche quelli di altre religioni, e soprattutto non ha costretto questi ultimi a cambiar religione aderendo al suo insegnamento (si pensi al centurione romano di cui ha anzi lodato la fede - Mt 8, 10; Lc 7, 9). Siamo perciò agli antipodi dell’integralismo. Pensiamoci quando noi vorremmo allontanare dall’Italia i musulmani, solo perché non credono al nostro Dio. Ma pensiamo anche a quanti vorrebbero restare nella nostra Chiesa e vengono invece allontanati o tenuti a debita distanza.

Insomma, se vogliamo essere cristiani, accontentiamoci di risposte ragionevoli e di tanti “non so”,[22] non di dogmi che non riusciamo a capire, imposti da chi pretende di avere la verità assoluta in tasca. Dio è e resterà sempre un mistero, e non basterà tutta una vita per avere tutte le risposte che cerchiamo: mettiamoci pure il cuore in pace su questo[23].

                                                                                                                                 (continua)

 


NOTE

[1] Vedi su Dio l’inquadramento e le definizioni dogmatiche ai nn.22ss. del Catechismo di san Pio X.

[2] In Di Piazza P., Compagni di strada, Laterza, Roma - Bari, 2014, 8.

[3] Molari C., Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi, 2008, 44.

[4] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, Massari, Bolsena (VT), 2012, 204. E più poeticamente aveva scritto la teologa Adriana Zarri, antesignana delle nostre teologhe: “Dio senza nome, e noi ti abbiamo dato un nome. Dio senza volto, e noi ti abbiamo dipinto. Dio senza voce, e ti abbiamo fatto dire tante cose; non dirmi nulla, dammi solo una rosa che si sfoglia e le albe pallide. Dio senza tempo, e ti abbiamo fatto un calendario. Dio senza luogo, e ti abbiamo fatto tante chiese, dammi solo un fiore e si apriranno tutti i cieli e le stelle cadranno nelle mie mani come manciate di fiordalisi”.

[5] Art. 26 Catechismo Pio X. Nello stesso senso lo intende Calvino: Gounelle A., Parlare di Dio, Claudiana, Torino, 2006, 133.

[6] Dizionario Devoto-Oli, La Monnier, Firenze, 1967: persona è “l’individuo umano.” Diceva il papa emerito che Dio è persona perché si manifesta contemporaneamente come Io e come Tu. Poi, c’è anche una terza esperienza di Dio, quella dello Spirito nel nostro intimo, della presenza di Dio in noi  (Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 154). Ora, se io sono un io, separato e autonomo, mi rapporto immediatamente a ciò che mi sta di fronte, e da cui sono definito, che è altro da ciò che io sono. Indubbio che per noi, oggi, persona è un individuo autonomo. Riconosco allora che ci sono allora molti altri ‘io’ (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 87), ma sicuramente una persona non può essere contemporaneamente Io e Tu: sarà io o tu. Per me sarò Io, per l’altro sarò tu.

[7] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 31 e 37.

[8] Schmitt E., La notte di fuoco, ed. e/o, Roma, 2016, 199s.

[9] Da notare che anche per Platone la terra è sferica (Platone, Fedone, LIX); evidentemente condivideva l’idea del suo maestro.

[10] Tutto ciò che l'uomo ha pensato con la sua intelligenza è una supposizione. E come si fa a dire che certa costruzione teologica viene proprio da Dio?  In passato si credeva alle streghe malefiche, ma anche questa era un'ipotesi umana, non una conoscenza che veniva direttamente da Dio; eppure le persone pie ed ortodosse erano convinte che anche questa conoscenza venisse direttamente da Dio.

[11] Pensiamo solo a come è cambiato tutto da quando si è capito che l’homo sapiens è frutto di un’evoluzione, e altre specie di ominidi (oggi scomparse) erano presenti prima di lui sulla terra. Certo che, quando questo non si sapeva, le idee potevano essere diverse e si poteva credere alla creazione di Adamo ed Eva già come facenti parte della specie homo sapiens, unica che si pensava fosse mai esistita. Oggi sappiamo che circa 50.000 anni fa l’homo sapiens ha rimescolato il proprio patrimonio genetico con il neanderthal in Europa, prima che il neanderthal scomparisse 40-30.000 anni fa. Invece in Asia l’homo sapiens si è mescolato con il denisoviano. Oggi il sapiens ha circa il 2% di sequenze di Dna neanderthaliano e un po’ meno del 2% di denisoviano (Pagan F., La misteriosa scomparsa nel nostro genoma del cromosoma Y dei cugini Neanderthal, “Il Piccolo”, 26.6.2024, 35).

[12] Perché tacciare di relativismo chi non vede le cose come le vede il magistero? Perché stupirsi se l’angolo visuale cambia da persona a persona? Io posso lamentarmi perché le rose hanno le spine, ma un altro può gioire perché vede che fra quelle stesse spine ci sono bellissime rose: non posso tacciare di relativismo chi non la pensa come me. Se mi avvicino a un tavolo con su scritto il numero 9, io leggo 9. Ma se uno si avvicina dall’altra parte del tavolo vede scritto 6. Chi dice che io sono nel giusto e l’altro no?

Mi piace ricordare questo aforisma musulmano: una volta un dromedario, incontrando un cammello, gli disse: “ti compiango, carissimo fratello: anche tu saresti un bel dromedario se solo non avessi quella brutta gobba in più.”. Il cammello gli rispose: “mi hai rubato la parola. È una sfortuna per te avere una gobba sola. Ti manca poco ad essere un cammello perfetto: con te la natura ha sbagliato per difetto.”. La bizzarra discussione continuò a lungo, e sempre con maggior irosità. Un vecchio beduino, lì vicino, li ascoltava e intanto pensava: “poveretti tutti e due: ognuno trova belle soltanto le gobbe sue. Così spesso ragiona al mondo tanta gente che trova sbagliato ciò che è solo differente.”.

[13] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[14] De Lubac H., Il mistero del soprannaturale, ed. Jaca Book, MI, 1978, 140: siamo su due piani sovrapposti senza comunicazione dal basso in alto, perché i due ordini sono incomunicabili.

[15] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013.

[16] E il dubbio interpella significativamente: “sei disponibile a mettere in una situazione di dubbio tutto te stesso e ricominciare da zero?” Ma per ricominciare bisogna essere dinamici, mai statici. Allora, come diceva un noto scrittore, se hai sempre tutti e tutto vicino, quel tutto rovina, perché non ti muovi. L’esistenza è come una fisarmonica. Affinché suoni, bisogna allontanare i lati opposti e avvicinarli. Di continuo. Solo così suona. Se li tieni sempre lontani o sempre vicini diventa muta (Corona M., Quattro stagioni per vivere, Mondadori, Milano, 2022, 194).

[17] Per autoritarismo s’intende il potere che non riconosce i suoi limiti. Il potere che non tollera contropoteri concorrenti è totalitarismo.

[18] Il fondamentalismo propone un’interpretazione letterale della Bibbia, e poi pretende che le dottrine derivate da questa lettura letterale siano applicate alla vita sociale, economica o politica (allo stesso modo, gli estremisti musulmani pretendono di applicare nella società civile la sharia basata sulla lettera del Corano).

[19] Per integralismo s’intende la certezza assoluta di avere già in tasca la Verità, sì che tutto il resto è non solo da negare ma soprattutto da combattere nella propria famiglia, nella società in cui si vive e possibilmente nel mondo intero.

[20] Non dimentichiamo che Pio IX scomunicò Cavour e sospese «a divinis» fra’ Giacomo Poirino, reo di averlo assolto sul letto di morte senza averlo prima costretto a rinnegare lUnità dItalia (Corriere della sera, sez, cultura, del 1.6.2010; v. anche www.lastampa.it del 20.4.2011 - Cavour ultimo atto).

Più recentemente, nel 1974, l’abate Giovanni Franzoni, abate del monastero benedettino San Paolo fuori le mura, fu sospeso a divinis, per aver sostenuto la libertà di coscienza dei cattolici nel referendum sulla legge sul divorzio, e nel ‘76 ridotto allo stato laicale per aver annunciato che avrebbe votato Partito comunista alle elezioni politiche di quell’anno, pur non condividendo l’ideologia ateistica di quel partito. Ovvio che se avesse votato nel segreto dell’urna, senza dire nulla, sarebbe rimasto abate. Allontanato dalla basilica, molti fedeli lo seguirono e iniziarono a riunirsi in uno stanzone di via Ostiense distante cinquecento metri da san Paolo: nacque così la prima Comunità cristiana di base, che dovette affrontare molti problemi, teologici e istituzionali, del tutto nuovi, sorti per una ragione molto semplice: era una comunità emarginata ed esclusa, rispetto alla Chiesa ufficiale. Emarginazione ed esclusione – temi decisivi dei prossimi Sinodi! – furono, dunque, il contesto in cui si doveva cercare di vivere, per quanto possibile, e con tutti i limiti, la gioia dell’Evangelo e l’impegno di Comunità cristiana immersa nelle contraddizioni della storia. La Chiesa ufficiale spesso innesca la cultura dello scarto, tanto vituperata da papa Francesco.

[21] Mosè, emarginando il lebbroso, voleva preservare la comunità dai rischi: occorre osservare la legge prima di tutto. Gesù segue la strada della misericordia e dell'integrazione: vuole reintegrare (salvare) gli emarginati, e non ci pensa un secondo a toccare e guarire il lebbroso. Ma così facendo «Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45). Questo significa che, oltre a guarire il lebbroso, Gesù ne ha preso su di sé anche l’emarginazione che la legge di Mosè imponeva (cfr. Lv 13,1-2.45-46). Gesù non ha paura del rischio di assumere la sofferenza dell’altro, ma ne paga fino in fondo il prezzo (cfr. Is 53,4).

Sono due logiche di pensiero e di fede: anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche, cioè quella dei dottori della legge, ossia allontanare il pericolo emarginando la persona contagiata che può contagiare gli altri, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, preferisce salvare i perduti, abbraccia tutti e accoglie tutti. Pensiamo solo al problema Lgbt.

La strada della Chiesa non è sempre stata quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questa strada non significa sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nell’ovile, ma accogliere come è stato accolto il figlio prodigo; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. Perciò la strada della Chiesa dovrebbe essere quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio su tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; per questo papa Francesco ha detto che la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie”; è quella di adottare integralmente la logica di Dio; è quella di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32) (Papa Francesco, Omelia per i nuovi cardinali del 15.2.2015, in www.vatican.va).

[22] Ad esempio, se Dio è infinita bontà come si spiega il dolore dei bambini ammalati?

[23] Solo restando nell’ambito dellimmanenza possiamo parlare di Dio, nel senso che possiamo vedere un volto di Dio, ma non sapremo mai chi o cosa cè dietro a quel volto. Di più: Dio è tale solo per noi creature, ma non per sé stesso; lidea di adorazione è inerente al concetto di Dio, ma sarebbe un'assurdità dire che Dio adora sé stesso (Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa delluomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 56 e 77: Dio non dice mai «Io sono il mio Dio!», ma «Io sono il vostro Dio». Dio è il nostro Dio. Ma indipendentemente da noi, in sé e per sé, che cosa Egli è? Senza di noi e senza la nostra relazione con Lui non sarebbe Dio. Dio non è Dio di sé stesso; lo è solo mediante la creatura. In realtà, dunque, non sappiamo neanche il suo nome.