Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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“Sentinella, quanto resta della notte?”

Riflessioni di un ultra ottuagenario

terza puntata




di Pietro Duosi

“La sentinella risponde:

«Viene il mattino, poi anche la notte;

se volete domandare, domandate,

convertitevi, venite!». (Isaia 21,11)

Vi ho detto, all’inizio di questo incontro, che a una età abbastanza avanzata (avevo superato i trenta anni) ho incontrato la musica classica e da allora non l'ho più abbandonata. Ma quando avrò avuto più o meno 10 anni entrò in casa mia (non so come) un vecchio Long Play a 78 giri, che riportava inciso da un lato l’Appassionata e dall’altro la Patetica e la Sonata al Chiaro di Luna, tutte composizioni di Beethoven.

Mi fece una impressione enorme. Ricordo che la sera, prima di addormentarmi, mettevo su il disco e lo ascoltavo a bassissimo volume per non disturbare la famiglia che dormiva e lo facevo girare anche più volte. Ma fu solo dopo i trent’anni che iniziai uno studio (non di lettura tecnica del pentagramma, ma solo di ascolto e memorizzazione dei diversi brani musicali) che mi ha consentito di apprezzare e non abbandonare più la musica.

Ricordate Amadeus, il bellissimo film di Milos Forman?

All’inizio Salieri, grande rivale di Mozart, parlando di una composizione dell’autore che egli disprezzava sul piano umano, ma di cui riconosceva l’ingegno assoluto, dice:

- “Sposta una sola nota e la musica si immiserisce, cambia una sola frase e la struttura crolla”.

- E ancora: “Sulla pagina sembrava... niente. Un inizio semplice, quasi comico. Appena un palpito, con fagotti, corni di bassetto... come lo schiudersi di un vecchio cofano... dopo di che, a un tratto, ecco emergere un oboe, una sola nota sospesa e immobile, finché un clarinetto ne prende il posto, addolcendolo con una frase di una tale delizia...! Quella non era la composizione di una scimmia ammaestrata. No, era una musica che non avevo mai udito, espressione di tali desideri, di tali irrefrenabili desideri... mi sembrava di ascoltare la voce di Dio”.

Come avrei potuto vivere senza il conforto e la ricchezza della musica? Da allora la musica mi è stata compagna nei momenti belli e tristi della vita e quando ho frequentato l’Abbazia di Praglia e ho sentito i monaci cantare il gregoriano ho creduto che il Cielo scendesse in terra.

Ma torniamo ai temi più strettamente religiosi e spirituali che sono l’oggetto di questo scritto.

Ho precisato di avere avuto una formazione laica, ma so per certo che sono una persona alla ricerca di Dio, sia pur pieno di dubbi.

Perché mano a mano che cresceva la conoscenza dell’Antico Testamento, mi sembrava e mi sembra tuttora che in esso ci siano troppe cose che non quadrano: la Torah ci fornisce di Dio molto spesso una visione di giudice terribile e impietoso, bellicoso e vendicativo, più orientato a mettere alla prova il Suo popolo che a perdonarlo. Come non restare sbalorditi di fronte alla nascita del cosiddetto peccato originale, con la presenza del Demonio fin dall’origine dei tempi in quel Paradiso Terrestre che avrebbe dovuto ospitare solo Adamo ed Eva? E la decisione di Dio di distruggere le Sue creature con la terribile punizione del Diluvio Universale? E la prova cui Dio sottopone Abramo con il figlio Isacco? Non è puro sadismo? E la storia crudele e inspiegabile di Giobbe, ridotto alla rovina per una semplice scommessa fatta da Dio con Il Diavolo? Ed è pur vero che quando Giobbe chiama Dio a giustificarsi, riottiene il 1.000%, delle sue ricchezze (senza peraltro ottenere alcuna risposta del perché della tortura inflittagli) ma intanto chi ha pagato per questa follia? Mogli, servi, schiavi, bestiame, tutto quello che Giobbe possedeva è stato sacrificato per poter glorificare la fede di Giobbe. Non è inaccettabile tutto ciò?

Ricordate il dialogo fra Alesa e Ivan nei Fratelli Karamazov di Dostojewskj: «Ascoltami: io ho preso come esempio i soli bambini perché la cosa risultasse più evidente. A tutte le lacrime umane di cui è imbevuta la terra intera, dalla crosta fino al centro, non accennerò neanche, ho ristretto il mio tema di proposito. Io sono una cimice, e confesso in tutta umiltà che non riesco proprio a comprendere a quale scopo sia stato tutto congegnato così. Gli uomini stessi, dunque, sono colpevoli: era stato dato loro il paradiso, hanno voluto la libertà e hanno rapito il fuoco al cielo, sapendo che sarebbero diventati infelici; quindi non c’è motivo di compiangerli. Oh, il mio povero spirito terrestre ed euclideo mi permette solo di sapere che il dolore esiste, che non ci sono colpevoli, che ogni cosa scaturisce direttamente e semplicemente da un’altra, che tutto scorre e si equilibra; ma, già, questi non sono che vaneggiamenti euclidei, lo so bene, e non posso adattarmi a vivere in base ad essi! Cosa importa che non ci siano colpevoli, che ogni cosa scaturisca direttamente e semplicemente da un’altra e che io sappia tutto questo! Ciò di cui ho bisogno è una condanna suprema, o finirò con l’annichilire. Ma non dev’essere una condanna in una dimensione indefinita e remota, chissà dove e chissà quando, ma qui sulla terra, e tale che vi possa assistere io stesso. Io ho creduto e voglio vedere anch’io, e se per quel giorno fossi già morto, mi si resusciti, perché se tutto dovesse avvenire senza di me, sarebbe un’ingiustizia troppo grande. Di certo non ho sofferto semplicemente per concimare con il mio essere – con le mie colpe e le mie sofferenze – la futura armonia di non so chi. Io voglio vedere con i miei occhi il daino ruzzare accanto al leone e l’ucciso alzarsi ad abbracciare il suo uccisore. Io voglio essere presente quando tutti apprenderanno di colpo perché tutto sia stato così. Su questo desiderio poggiano tutte le religioni della terra, e io credo. Ma ecco, da quest’altra parte, i bambini: che ne farò? È questo il problema che non posso risolvere. Per la centesima volta ripeto: le questioni sono molte, ma ho preso in considerazione soltanto i bambini, perché solo così è irrimediabilmente chiaro ciò che sento il bisogno di dire. Ascolta: ammesso che tutti debbano soffrire per conquistare con la sofferenza l’eterna armonia, ma cosa c’entrano qui i bambini? Rispondimi, ti prego! Non si capisce assolutamente a che scopo debbano patire anche loro e perché debbano conquistarsi con le sofferenze quell’armonia. Per quale motivo sono serviti anche loro per concimare la futura armonia a vantaggio di altri? Io comprendo la solidarietà del peccato, tra gli uomini, e comprendo anche la solidarietà nella espiazione: ma la solidarietà nel peccato non coinvolge i bambini, e se la verità risiede davvero nel fatto che anche loro sono solidali con i padri in tutti i delitti di cui questi si sono macchiati, una tale verità non è certo di questo mondo e mi riesce incomprensibile. Qualche burlone potrà anche dire che tanto il bambino crescerà e avrà il tempo di peccare, ma di certo non è cresciuto quel bambino di otto anni sbranato dai cani! Oh! Alëša, io non sono blasfemo! Lo so bene che ci sarà un originario sconvolgimento dell’universo quando tutti, in cielo e sotto terra, si fonderanno in un unico inno e tutto ciò che vive o ha vissuto griderà: “Tu sei giusto, Signore, perché si sono svelate le Tue vie!”. Quando la madre abbraccerà il carnefice che fece straziare suo figlio dai cani, e tutt’e tre proclameranno tra le lacrime: “Tu sei giusto, Signore!”, allora certo sarà il trionfo della conoscenza e tutto si spiegherà. Ma ecco, è proprio questo che mi blocca, è proprio questo che io non posso accettare. E mentre sono sulla terra mi affretto a prendere le mie misure. Vedi, Alëša, se vivrò anch’io fino a quel momento, o se resusciterò per vederlo, potrà realmente accadere che anch’io esclami con gli altri, vedendo la madre abbracciare il carnefice del suo bimbo: “Sei giusto, Signore!”, ma io questo non lo voglio esclamare. Finché sono ancora in tempo, corro ai ripari e perciò rifiuto del tutto la suprema armonia. Essa non vale neanche una sola lacrima di quella bambina torturata che si batteva il petto con il suo piccolo pugno e pregava il “buon Dio” nel suo fetido anfratto, versando le sue lacrime invendicate. Non la vale, perché quelle lacrime sono ancora da riscattare. E dovranno essere riscattate, altrimenti non ci potrà mai essere neanche l’armonia. Ma come, come le riscatterai? È forse possibile? Vendicandole in seguito? Ma a che mi serve vendicarle, a che mi serve l’inferno per i carnefici, a che può rimediare l’inferno, quando i bambini sono stati già martirizzati? E che armonia è questa, se c’è l’inferno? Io voglio perdonare, voglio abbracciare, e non che si continui a soffrire. E se le sofferenze dei bambini sono servite a completare quella somma di sofferenze che era necessaria per il raggiungimento della verità, io affermo fin d’ora che tutta la verità non vale un simile prezzo. Insomma, non voglio che la madre abbracci il carnefice che fece straziare suo figlio dai cani! Si guardi bene dal perdonarlo! Lo perdoni per sé, se vuole, perdoni pure il carnefice per la sua smisurata sofferenza materna, ma non ha il diritto di perdonare la sofferenza del suo bambino straziato; si guardi dal perdonare il carnefice, anche se lo perdonasse il bambino stesso! Ma se è così, se non si ha il diritto di perdonare, dov’è l’armonia? C’è nel mondo intero un essere che possa perdonare e che ne abbia il diritto? Io non voglio l’armonia, non la voglio per amore verso l’umanità. Preferisco che le sofferenze rimangano invendicate. Rimarrei piuttosto con il mio dolore invendicato e con il mio sdegno insaziato, anche se avessi torto! Troppo poi si è esagerato il valore di quell’armonia, l’ingresso costa troppo caro per le nostre tasche. E, perciò mi affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso. E, se sono un galantuomo, ho l’obbligo di restituirlo il prima possibile. E così faccio. Non è che non accetti Dio, Alëša, ma Gli restituisco nel modo più rispettoso il mio biglietto» (255-256).

Infatti, come giustificare la sofferenza dei bambini? Quale Dio crudele può mai accettare simili sacrifici? So bene che ci sono teologi e pensatori che tentano di farlo, ma credo che questo sia il massimo del tradimento dell'idea di Dio che l'umanità ha elaborato.

Ma quanti dubbi nascono anche dal secondo testamento. Perché Dio, per salvare la sua creazione ha dovuto sacrificare in maniera così orribile il proprio figlio? Non c'erano modi diversi, meno radicali, meno atroci? Cosa nasconde questa vocazione insana della cultura giudeo cristiana che pretende sacrifici con vittime innocenti?

E poi, dopo duemila anni che Gesù si è fatto uomo, in che cosa è cambiato il comportamento dell'uomo, il suo spirito, la sua disponibilità a considerare il prossimo come fratello? La storia umana, anche dopo la nascita di Gesù, è una storia di barbarie, omicidi, aggressioni, violenze, sopraffazioni. La storia umana è una storia di guerre, per soddisfare la volontà di potenza di pochi e provocare dolore e morte di molti. La stessa Chiesa in questa inversione di ruoli si è distinta per accanimento (crociate, lotte fra sette cristiane, reati contro la morale, disprezzo del buon vivere). E la storia umana ai tempi nostri ha elaborato e realizzato il più folle abisso di crudeltà, la persecuzione e la strage degli ebrei, in cui la Chiesa ha giocato fin dalle origini un ruolo importantissimo e incancellabile.

E allora? Come si può elaborare una sana Teodicea, la compresenza di Dio con il Male?


Alla prossima settimana.