Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org
OMNIA PROBATE
(Vagliate tutto / Ritenete il buono)
Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose
n° 39
L’ULTIMA MORTE?
Maria Bonino
di Guido Dotti
Maria Bonino - foto tratta dalla rete, si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti
Se morirò lasciatemi qui. Ho la febbre e mi sento tutta rotta. Speriamo che sia malaria. E se no… Se la mia morte fosse l’ultima, non mi dispiacerebbe poi tanto morire.
Da una sua lettera del 16 marzo 2005, citata nel sito della Fondazione Maria Bonino.
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“Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”, aveva scritto Etty Hillesum prima di finire inghiottita nelle tenebre della Shoah. Maria Bonino questo desiderio lo ha sentito con forza e ha cercato di esaudirlo con tutte le sue forze: essere balsamo soprattutto per i bambini africani malnutriti. Lo ha desiderato a tal punto da dedicare le sue doti umane e le sue competenze mediche, la sua passione e la sua generosità, le notti e i giorni della sua esistenza alla cura dei più piccoli. Per molti di loro è stata anche più di un balsamo, di un sorriso nell’ora del dolore: è stata la speranza rinata, la vita ritrovata, l’orizzonte aperto su un futuro migliore.
Non è da tutti accettare senza eccessivi rimpianti la propria morte a condizione che sia l’ultima: speranza assurda, diremmo noi che non sappiamo cosa significa battersi giorno e notte per la vita degli altri, arginare a mani nude l’onda travolgente di un’epidemia mortale, sperare che ogni febbre che arroventa il corpo di un bambino sia “solo” malaria. Eppure Maria Bonino non si sentiva straordinaria, semplicemente percepiva di essere riuscita a vivere quanto aveva desiderato e ne era grata, consapevole che l’unica condizione per arrivarci era stata quella di non tirarsi indietro: “Ho ripetuto tante volte in questi anni che la vita è la realizzazione del sogno della giovinezza, è stato per molta parte così e ne ringrazio il Signore”. Forse è questo che significa “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13), per le persone che si è imparato ad amare. Ma chi vive questo dono di sé non applica mai questa frase a sé stesso anzi, è infastidito se qualcuno glielo fa notare.
Personalmente ho qualche motivo in più per sentire familiare questa vita straordinaria nella sua ordinaria semplicità: sono coetaneo di Maria e vivo da cinquant’anni a pochi chilometri dal luogo dove è nata, ma quando io vi arrivavo, lei ne partiva per l’Università e nell’anno in cui rispondevo definitivamente sì alla mia vocazione, Maria si laureava e intraprendeva la risposta alla sua chiamata. Eppure non l’ho mai incrociata, neanche nei suoi periodici rientri in Italia, e di questo mi rimane il rimpianto. Queste poche righe sono il modo che ho di dire a Maria l’unica parola che avrei voluto dirle di persona: “Grazie!”.
Maria Bonino (Biella 09.12.1953 – Luanda 24.03.2005), pediatra, dal 1981 inizia ad alternare l’esercizio della sua professione in Italia con periodi sempre più prolungati di servizio in Africa. Dal 1992 la sua attività in Africa diventa sempre più importante e frequente, a cominciare dalla Tanzania. A inizio 2001 si sposta dapprima in Uganda e infine in Angola. È lì, nell’ospedale di Uige che osserva e denuncia – inascoltata dalle autorità sanitarie – morti sospette per febbri emorragiche che si riveleranno essere dovute al virus di Marburg. Infettata a sua volta, muore a Luanda nel marzo 2005, dove ora è sepolta. Il Presidente della Repubblica Napolitano l’anno successivo le conferirà la Medaglia d’oro al merito della Sanità pubblica.
Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org