Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Chiesa armena cattolica di Sohrol, in Iran - ricostruita da Samson Makintsev (Sam Khan) nel 1840 - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Che cos’è il Cristianesimo?



di Dario Culot



Sono sempre più convinto che il centro del cristianesimo stia nel fare, nel curare, nell’assistere (come c’insegna la parabola del buon samaritano), nell’accogliere, nel condividere (come c’insegna la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci). Però mi sono state fatte due obiezioni pesanti.

1. se questo è il tuo centro, Gesù diventa inutile, perché puoi fare tutto questo anche senza Gesù e anche un ateo può farlo; ma può esistere un cristianesimo senza Gesù?

2. si può essere cristiani da soli, e non in comunità, visto che per fare e condividere si può essere anche da soli?

Vi dico subito che non so rispondere con sicurezza, e posso offrire solo qualche spunto di riflessione.

La Chiesa dovrebbe essere il luogo deputato a dare tutte queste spiegazioni, ma difficilmente troverete risposte che vi soddisfino appieno.

1. È vero: la lettera agli Ebrei esprime questo dinamismo di fede in rapporto a Gesù. Nel capitolo 3 si dice: “Perciò, fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo”. E analoga espressione la troviamo al capitolo 12 dove si dice: “Anche noi, dunque, circondati da una così moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”. Ecco, quindi, che noi ci riferiamo a Gesù come punto di riferimento per la nostra fede in Dio. Papa Francesco ha detto che la meditazione è per tutti, ma quella del cristiano deve portare a Gesù.

Sembra dunque che, senza Gesù, non possa esserci il cristianesimo. Ma è proprio così?

Credo che tutti voi conosciate Gino Strada e il suo enorme lavoro fatto con Emergency per tutte le vittime delle guerre, indistintamente senza guardare da che parte stavano. Ebbene, anche se quest’uomo si dichiarava ateo e non teneva lo sguardo fisso su Gesù, a mio giudizio è stato molto più cristiano di tanti vescovi che sembrano più attratti dal potere e dalle celebrazioni sacre. Perché? Perché la distinzione fra ateo e credente non è una distinzione di linguaggio, ma di essenza. E allora – come detto in altre occasioni - l’uomo avido di potere, anche se religioso, anche se sacerdote, anche se papa, è ateo, perché desidera qualcosa che è fuori dell’onda di Dio, perché è fuori dall’onda di amore servizievole di cui ci ha parlato sempre Gesù. L’uomo desideroso di successo, di affermazione di sé stesso, di ricchezza, o che cerca di rendere la Chiesa una vera e propria potenza al pari degli altri Stati, quest’uomo – anche se religioso, anche se papa - non è credente, perché cerca il potere e chi cerca il potere, proprio strutturalmente, ontologicamente, è ateo. Invece chi cerca di servire, chi impegna le sue qualità (carisma, 1Cor 12, 4-11) per dare all’uomo la possibilità di crescere nella verità, nella conoscenza e nella libertà, costui, anche se dice di essere ateo, ontologicamente è credente[1] e segue (magari anche inconsapevolmente) il messaggio di Gesù. E chi lo segue, può essere considerato sempre un inviato da Dio.

Sicuramente non era cristiano neanche quell’ignoto giovane cinese di piazza Tienanmen che, in maniche di camicia, da solo, con in mano il sacchetto della spesa si era messo davanti a una colonna di carri armati fermandoli. Non sappiamo neanche il suo nome ma, come ha detto il teologo Paolo Ricca, costui è stato veramente un’icona della Chiesa cristiana, perché col suo corpo si è inserito fra i contendenti. Ogni singolo cristiano che vuole veramente la pace (non limitarsi a pregare per la pace in un posto sicuro come fa la maggior parte dei pacifisti nostrani che si dichiarano cristiani) deve mettere il proprio corpo, evidentemente con tutti i rischi che questo comporta[2].

Se condividiamo queste affermazioni, è evidente che si può essere credenti non cristiani, ma anche cristiani (e per di più cattolici) non credenti. Pertanto, ogniqualvolta uomini e donne, non importa in quale emisfero della terra e qualunque sia la loro bandiera, lottano per ciò che costituisce la causa di Gesù (la giustizia, la pace, la fraternità, la riconciliazione, la vicinanza di Dio, il perdono …il Regno di Dio), essi possono essere considerati di fatto cristiani, anche senza saperlo, anche senza essere battezzati, anche se non corrono tenendo lo sguardo fisso su Gesù. Al contrario, non ogni volta che le persone si dicono cristiane o si proclamano seguaci di Gesù realizzano l’amore, la giustizia…la causa di Gesù. Talvolta è perfino in nome di Gesù che si oppongono alla sua causa[3]. Insomma, non ci si deve preoccupare tanto degli atei e neanche delle altre confessioni religiose, ma piuttosto di coloro che si definiscono credenti cristiani ma poi non agiscono come tali[4].

Nella parabola del buon samaritano, Gesù indica come modello di credente chi assiste l’uomo ferito, per l’appunto, un “samaritano”, cioè un “uomo sacrilego”[5] mentre gli uomini pii e religiosi – che sprezzantemente considerano il samaritano un eretico perduto e senza Dio - hanno visto ma sono passati oltre. E allora, come in varie occasioni ha insegnato il prof. Castillo, la parabola sta ad insegnarci che la fedele osservanza delle regole e dei riti religiosi provoca un effetto devastante: tranquillizza la coscienza persino nel caso in cui ci si trova nella situazione limite di vedersi davanti un moribondo indifeso. Detto più brutalmente: la religione, con le sue regole, riesce ad annullare il Vangelo. Lo stiamo vedendo in continuazione: “uomini di Chiesa” che si disinteressano della sofferenza di coloro che muoiono di fame e di miseria. L’osservanza dei riti basta per tranquillizzare le coscienze di quei tanti che si proclamano orgogliosamente cristiani, mentre, come ben sappiamo, la misericordia, la bontà e l’aspirazione alla giustizia ci complicano la vita e ci creano continui problemi. Non stanno in questo molte delle contraddizioni nelle quali vive sprofondata tanta gente di Chiesa?

Poi, sempre stando ai vangeli (cfr. in particolare il cap.17 di Giovanni) non è vero che Gesù ha affidato i suoi seguaci a Pietro, agli apostoli, ai loro successori, e quindi al magistero della Chiesa: nel momento cruciale in cui pronuncia le parole di commiato, a chi affida i suoi discepoli? Esclusivamente al Padre. Non li affida alla Chiesa, non li affida ad una dottrina o a leggi divine insegnate dal magistero ecclesiale, ma non li affida nemmeno a sé stesso, il che appare in contraddizione con quanto detto sopra a proposito della lettera agli Ebrei. Gesù «affida coloro che crederanno in lui al Padre, cioè a quella realtà misteriosa che è al di là di tutte le cose, che è all’origine e al termine di tutte le cose e che noi uomini non possiamo mai nominare senza ridurlo alla nostra piccolezza mentale di uomini. “Li affido a Te, consacrali nella verità, siano una sola cosa, come Io e Te siamo una sola cosa”; e vedete, in queste parole di Cristo, egli stesso scompare: noi siamo stati affidati alla presenza invisibile del Dio vivente. Lo stesso Gesù si dilegua in questa realtà del Dio vivente: io sono una sola cosa con il Padre. E anche tutti i discepoli sono chiamati a divenire una sola cosa con il Padre»[6].

Perciò mi vien da pensare che tutte le persone che crescono nella vita e fanno crescere gli altri, che crescono in sensibilità e la fanno crescere negli altri, entrano in contatto con questa onda del Creatore e lo manifestano. Lo manifesteranno in culture diverse, con immagini diverse, ma tutti quelli che lavorano per il bene degli uomini, tutti questi sono in sintonia con Dio[7] pur senza mantenere lo sguardo fisso su Gesù. Insomma, il Regno di Dio non è un club esclusivo dove si entra solo spendendo il nome del fondatore del club. Il Regno apre le sue porte a tutti, senza discriminazioni. Forse non si sarà cristiani, ma comportandosi in quel certo modo si è comunque credenti dell’unico e vero Dio.

Ma non è che Gesù diventa inutile, perché camminando nella sequela di Gesù, abbiamo la certezza che la propria vita viene comunque fondata sulla roccia – come dicono le Scritture. Poi possono sicuramente esserci molte altre vie per essere graditi a Dio, ma tutte queste altre vie devono avere sempre come obiettivo il bene dell’uomo, la fratellanza e la condivisione, senza le quali prevale il proprio ego e questa prevalenza fa crescere anche le disuguaglianze.

È così, oppure no?

2. Si può essere cristiani da soli, e non in comunità? Papa Francesco afferma che in realtà è impossibile credere da soli[8]. Il cristianesimo è un cammino personale fatto in comunità. È vero, perché la trasmissione della fede passa anche attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. Del resto, anche il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri testimoni, e la Chiesa è quella comunità, che – in un modo o nell’altro - è riuscita a conservare viva questa memoria[9]. Gesù stesso fa un chiaro riferimento a una comunità, seppur piccola, quando dice che dove due o tre convertiti si riuniscono nel suo nome sarà sempre presente (Mt 18, 20). Anche nell’episodio dei due di Emmaus (Lc 24, 13-35), che si recano senza indugio a Gerusalemme per raccontare agli altri cos’era successo e per capire se è stato tutto vero o tutto un sogno, il confronto dei due con il resto della comunità (ancora rinchiusa per paura a Gerusalemme) conferma ai singoli che la loro non è stata una visione. Sembra fondamentale, dunque, che il singolo si confronti con la comunità, perché nell’episodio di Emmaus sono presenti questi elementi: l’amore per il prossimo (l’attenzione per il forestiero che ti passa accanto), l’ascolto della parola, l’eucarestia (lo spezzare il pane) e la comunità (la Chiesa). Però si deve anche notare che mentre i due stavano andando desolatamente verso Emmaus, non potevano certamente essere definiti credenti. Essi erano stati vicini a Gesù, ma avevano seguito la vicenda dall’esterno, con un certo distacco: quando l’han visto cadere sono rimasti male ma se ne sono andati. Poi, mentre se ne andavano da soli (non in comunità) incontrando il risorto sono stati come attraversati da una nuova luce interiore e grazie all’esperienza di quell’incontro sono arrivati alla fede.

Perciò mi sembra anche di poter affermare, senza ombra di smentita, che la fede autentica non deriva da un’appartenenza collettiva, ma nasce e si sviluppa sempre e solo da un impegno personale, come viene confermato nei vangeli che si incentrano sulla conversione del singolo, mai del gruppo. Il gruppo, come comunità, non ha nel cristianesimo una funzione privilegiata, a differenza di quanto riteneva il popolo di Israele in base all’Antico Testamento. Chi risponde positivamente all’offerta di amore di Dio sarà anche eletto, ma la sua comunità non diventa per questo una comunità di eletti; e anzi, nessuno diventa eletto perché partecipa a una comunità particolare. Dio agisce a livello di individui, quindi si può essere cristiani solo in quanto individui, non in quanto comunità; tant’è vero che il credente cattolico non si distingue dagli altri, né è migliore degli altri solo perché appartiene alla Chiesa. Sarà migliore solo se si sarà convertito come individuo e se si comporterà di conseguenza. Sicuramente – come ben si vede nella società odierna - non può esistere alcuna comunità veramente cristiana quando i singoli di quella comunità non incarnano e non diffondono individualmente i valori spirituali che Gesù ha raccomandato di praticare. Definirsi allora cattolico solo perché si va a messa di domenica non segna automaticamente una diversità virtuosa. Il fatto di andare a messa dimostra semplicemente che si pratica una religione, non ancora che si è cristiani. E anche se a messa l’intera comunità si definisce cristiana, in realtà non lo è se i singoli componenti non lo sono, o meglio, se non lo dimostrano all’esterno della chiesa, attraverso il loro comportamento individuale. Del resto, non è mai successo nel mondo che una struttura collettiva fosse capace di rendere i singoli uomini più buoni in quanto gruppo.

Ma allora quando uno poi non segue l’insegnamento del magistero e non obbedisce all’autorità ecclesiastica, quando si stacca da solo da quella che è la comunità (chiesa), come può pensare di essere ancora cristiano?

Alla luce del vangelo di Giovanni la Chiesa ha per secoli affermato di essere l’unico ovile istituito da Dio: infatti, si leggeva che Gesù chiamava tutte le pecore, anche quelle di altri ovili, e tutte sarebbero diventate pecore di un unico ovile con un unico pastore (Gv 10, 16): il papa di Roma. Dante aveva ben reso quest’idea ormai già radicata nella società di allora:

Avete il novo e ‘l vecchio Testamento,

e ‘l pastor della Chiesa che vi guida:

questo vi basti a vostro salvamento[10].


Dunque la Chiesa romana ha preteso per secoli e secoli di essere lei l’unico ovile, condannando col Concilio di Firenze all’inferno tutti coloro che non entravano nel recinto del suo ovile (extra ecclesiam nulla salus, fuori della Chiesa non c’è salvezza, come nessuno si è salvato dal diluvio se non era sull’arca di Noè). Nessuno poteva salvarsi se non si sottometteva e non obbediva ai legittimi pastori della Chiesa.

Eppure, stando ai vangeli, Gesù non ha chiamato gli apostoli affinché andassero per il mondo sottomettendo la gente e obbligandola ad obbedire ai capi religiosi e a restare nella comunità. La missione degli apostoli consisteva nell’essere modelli di sequela nella loro relazione con Gesù. Da qui la secca proibizione imposta loro da Gesù: non potevano fare quello che facevano i capi delle nazioni: dominare e comandare; né potevano impegnarsi a ciò che fanno i grandi: imporre la propria autorità (“Tra voi non sarà così” - Mc 10, 43; Mt 20, 25-26; Lc 22, 35-36). Al contrario dovranno essere servitori e schiavi. Nell’ultima cena, tre prescrizioni sono state decretate da Gesù: coloro che lo seguivano dovevano lavare i piedi gli altri, ossia “farsi servitori”; dovevano darsi totalmente, come Gesù che si è fatto cibo e bevanda per tutti; dovevano amare gli altri, vivere cioè sempre così, giacché in questo sta compreso l’amare Dio. Ebbene, se questo è ciò che deve distinguere i seguaci di Gesù, i suoi apostoli e rappresentanti, chi ha avuto il potere di disporre nella Chiesa la divisione fra chierici che comandano e i laici che non devono far altro che sottomettersi e obbedire? Sottomettere anche il proprio pensiero. Sottomettere la propria volontà, la propria coscienza. Sottomettere il proprio comportamento. Sottomettere tutto ciò che è fondamentale nella vita. Chi ha fondato e suffragato una simile Chiesa? Dove sta scritto questo e chi ha avuto l’autorità per imporlo?[11] La risposta mi sembra scontata: nessuno.

Per di più ci si è accorti che la Vulgata (cioè il Nuovo Testamento latino usato come unico testo ufficiale fino al Concilio Vaticano II[12]) aveva tradotto “diventeranno un solo ovile e un solo pastore”, mentre – avendo oggi tutti accettato ormai il più antico testo greco, compresa la Chiesa cattolica - la traduzione esatta doveva essere ed è: «diventeranno un solo gregge e un solo pastore». Dunque, per secoli e secoli il magistero infallibile della Chiesa cattolica ha fatto dire a Giovanni esattamente il contrario di quello che Giovanni aveva detto: Giovanni aveva detto che Gesù liberava dagli ovili, iniziava un nuovo cammino verso la libertà fuori da tutti i recinti, per quanto sacri fossero; la traduzione errata aveva invece fatto dire a Gesù, manifestazione visibile di un Dio invisibile, che Dio stesso aveva voluto istituire un nuovo recinto sacro, e la Chiesa romana se ne era prontamente impossessata. Ma che Gesù non sia venuto a rinchiudere nessuno in un nuovo recinto ce lo conferma lui stesso (Gv 10, 9), quando dice che ogni pecora è libera di entrare e, soprattutto, di uscire.

Ma allora può il singolo concretamente staccarsi dalla comunità e rimanere cristiano? Cosa succede se, ubbidendo alla propria coscienza, disobbedisce liberamente e consapevolmente alla autorità della comunità? Al proprio vescovo? Al proprio legittimo pastore? Succede che quel singolo esce dalla comunione che intorno a quella autorità si costituisce. In concreto, se l’autorità è quella di una chiesa (di qualunque chiesa, di qualunque segno confessionale, perché il principio d’autorità – che qui è in gioco – è operante in qualunque organismo umano), si esce dalla comunione di quella chiesa. Per andare dove? Non c’è una meta: l’esigenza non è di andare da qualche parte, ma di uscire da un quadro nel quale ci si sente fuori posto o, semplicemente, non ci si ritrova più. È questa un’uscita dalla Chiesa di Cristo? In nessun modo, al contrario: quella uscita è possibile, come atto di fede, proprio perché si sa (ogni cristiano lo sa) che la Chiesa di Cristo è sempre più grande di qualunque comunità (chiesa) storica, grande o piccola che sia. Uscire da una chiesa non implica necessariamente entrare in un’altra, come ha fatto Pietro uscendo dalla grande Chiesa di Gerusalemme per passare a quella piccola di Maria. Si può anche essere “cristiano senza chiesa”, che poi non è affatto “senza chiesa”, ma solo senza chiesa visibile. Dio resta sempre al centro, ma quel vescovo – anche se ti dice che sei fuori perché gli rifiuti obbedienza - non rappresenta più il segno visibile di quel Dio invisibile. Veniamo osservati e valutati nel mondo per come viviamo il Vangelo, non per come obbediamo al vescovo, che fa parte di una struttura importante, ma non esaurisce in sé né Dio, né la Chiesa, né le Scritture. E il Vangelo deve prevalere sempre, anche sull’insegnamento del magistero, perché è necessario che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura[13].

Certamente non è facile, ma non è impossibile. Si può essere perfino cristiani da soli, almeno per un tempo, per quanto arduo possa essere. È accaduto tante volte. Accadde al profeta Elia che a un certo punto confessa: «Sono rimasto solo» (I Re 18, 22; 19, 14), come del resto rimase solo Gesù (Giovanni 16, 32), l’apostolo Paolo (2Tm 4, 16), e innumerevoli cristiani della diaspora in tutti i secoli e anche oggi[14].

E questa stessa libertà, che a noi appare strana, c’è sempre stata nell’ebraismo:

“Dieci rabbini discutevano su una questione di fede: nove contro uno. A un certo punto i nove, non riuscendo a persuadere il decimo, gli dissero: «Dal momento che i nostri argomenti non ti persuadono, ti persuada un argomento divino. Se abbiamo ragione noi questo muro si muoverà. Se hai ragione tu, il muro resterà fermo». Il muro si mosse, ma il rabbino dissenziente replicò loro: «Questo è un miracolo, ma non è un argomento». Più tardi il rabbino incontrò lo Spirito del Signore che lo rimproverò: «Tu mi hai rinnegato!» «No, Signore,» rispose il rabbino, «sei Tu che mi hai dato la ragione, ed allora, servendomi della ragione io non ti rinnego, ma anzi ti onoro»”[15].

Che poi oggi sia impossibile credere solo perché l’ha detto il vescovo, rinunciando alla propria ragione, lo aveva detto non solo un personaggio del calibro di Gandhi[16] ma perfino papa Benedetto XVI, il quale ha riconosciuto che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana[17].

È così, oppure no?


NOTE

[1] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed, Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 147s.

[2] Come detto Paolo Ricca, da me richiamato nell’articolo sull’Ucraina al n. 669 di questo giornale, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-669-10-luglio-2022/dario-culot-ancora-sullucraina-considerazioni-religiose.

[3] Casaldàliga P. e Vigil J. M., Spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 170 s. Nello stesso senso: Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 260 s., secondo il quale chi fa il bene e si oppone al male è già sulla strada della salvezza, che è collegata a tutto il mondo umano e non al solo fatto di essere credenti.

[4] Gallo A., Così in terra come in cielo, ed. Mondadori, Milano, 2010, 96.

[5] Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 2,2.

[6] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 120.

[7] Mateos J. e Camacho M., Marco, ed. Cittadella, Assisi, 1996, 236 s.

[8] Cfr. Enciclica Fratelli tutti, § 8, del 3.10.2020: da soli si rischia di avere miraggi, per cui vedi ciò che non c’è; § 32: nessuno si salva da solo.

[9] La parola biblica è stata consegnata a una comunità, non è solo tua. Occorre il confronto, non sei tu solo a gestirla.

[10] Paradiso, V, 76-78.

[11] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2019, 230.

[12]Decretum de libris sacris et traditionibus recipiendis dell’8.4.1546 del Concilio di Trento, con cui si esclude anche l’uso del testo greco.

[13] Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, Dei Verbum, 18.11.1965, §21: È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura.

[14] Così Ricca P., Autorità della chiesa, autorità della coscienza, in “Riforma” - settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi – del 19 giugno 2020.

[15] Analoga fu la posizione di Lutero, quando venne chiamato a discolparsi, dopo essere stato scomunicato nel 1521: «Se non vengo confutato attraverso la testimonianza della Scrittura o in base a un chiaro motivo – poiché soltanto al papa o ai concili io non credo; è certo che essi hanno ampiamente sbagliato e sono anche entrati in contraddizione fra loro – allora sono vinto dalle parole della Scrittura da me citate. E poiché la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio, io non posso e non voglio ritrattare nulla…voglio onorare il papa se lui mi lascia libera la coscienza e non mi costringe a offendere Dio » (Denzler G., Il Papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 88s. e 93).

[16]La fede deve essere rafforzata dalla ragione; allorché diventa fede cieca, muore (Attenborough R., Le parole di Gandhi, ed. Tea, Milano, 1989, 79).

[17] Ratzinger J., Dio e il mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 40.


Numero 692 - 18 dicembre 2022