Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


n° 32 

SAPER DIRE NO

Konstantinos Kavafis



di Guido Dotti

 

Kavafis nel 1929 ad Aelssandria, foto tratte da commons.wikimedia.org

Per alcune persone viene il giorno

in cui il grande Sì o il grande No

devono dire. Si vede subito chi ha pronto

il grande Sì dentro di sé, e nel pronunciarlo

accresce la propria stima e convinzione.

Chi rifiutò non si pente. Se glielo richiedessero

“No” direbbe ancora. Eppure lo rovina

quel no – il giusto no – per tutta la sua vita.

 

Konstantinos Kavafis, Che fece … il gran rifiuto.

 


“Che fece … il gran rifiuto”. Così, in italiano, Kavafis intitolò questa sua poesia, citando il verso 60 del III canto dell’Inferno di Dante. Ma, significativamente, il poeta greco pone dei puntini al posto della famosa espressione “per viltade” usata da Dante per spiegare l’origine del rifiuto. A Kavafis non interessava quel particolare, che la maggior parte dei commentatori di Dante interpreteranno come indizio decisivo per identificare in papa Celestino V l’ignavo incontrato alle soglie dell’inferno. Al poeta greco stava a cuore, invece, riconoscere la dignità di chi sa dire “no – il giusto no” anche a costo di rovinarsi l’intera esistenza.

Siamo allora più vicini all’imperativo evangelico “il vostro parlare sia ‘sì, sì’, ‘no, no’” (Mt 5,37), anche se Kavafis va oltre il comandamento del mantenere la parola data anche senza giuramento, quale che sia la posizione assunta (affermativa o negativa). Il riferimento al “giusto no” e la stigmatizzazione di chi “ha pronto il grande Sì dentro di sé” per accrescere l’autocompiacimento ci collocano piuttosto nella linea tracciata dall’ingiunzione contenuta nel libro dell’Esodo: “Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo così da stare con la maggioranza, per ledere il diritto” (Es 23,2).

Ecco la dignità di chi, posto di fronte a una scelta radicale, chiamato dagli eventi o dal consesso sociale a esprimersi, a schierarsi, è disposto a una scelta controcorrente di cui non si pentirà. Ed è significativo che per Kavafis chi si accoda al parere più conveniente ha già “pronto” dentro di sé il grande sì. Più sofferta, invece, sia prima che dopo averla assunta, è la decisione di chi oppone un rifiuto a ciò che considera un’ingiustizia, un “ledere il diritto”. Una decisione irremovibile, che non viene meno neanche se venisse offerta la possibilità di un ripensamento, magari soppesando meglio i vantaggi personali che deriverebbero da un aderire al “grande sì”. In questo senso, forse, il significato dell’aggettivo “grande” è diverso se riferito al “sì” o al “no”. Nel primo caso rimanda al “grande” numero di chi abbraccia una certa scelta e, quindi, al “grande” vantaggio che se ne può trarre: una grandezza quantitativa. Il “grande no”, invece, evoca una grandezza qualitativa, morale, che accetta anche di andare incontro a “grandi” e gravi conseguenze.

Pochi versi di una poesia ci offrono un prezioso criterio di discernimento per scelte che nessuno può prendere al nostro posto.

        

 

Konstantinos Kavafis (Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – 29 aprile 1933), poeta e giornalista greco, vide la sua fama crescere dopo la morte: è ora considerato tra i massimi poeti greci del Novecento.

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