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Naufraghi nel mare di Lampedusa - foto di Matteo Penna tratta da commons.wikimedia.org










Immigrazione: che fare?



di Dario Culot



Oggi tenterò di andare sul pratico: se domani l’Europa[1] decidesse di predisporre una normativa unica sull’immigrazione per tutti gli Stai membri, a mio avviso c’è una pre-condizione assoluta, che dovrebbe essere ovvia, ma che forse non lo è per tutti: ci deve essere un limite o meno all’immigrazione in Europa di extracomunitari? Se ci pensate bene, tutto il resto dipende dalla risposta che si dà a questa prima domanda.

A. Se seguiamo il vangelo, e/o i nostri alti principi giuridici a tutela dell’individuo, anche straniero,[2] se crediamo alla pari dignità di ogni persona umana e all’imperativo di considerare ogni essere umano come un fratello, la risposta non può che essere un sonoro “NO!”

Solo se la risposta è un bel “no” si può parlare veramente di vera fratellanza e di solidarietà, perché se lo Stato (cioè tutti noi) si dichiara disposto ad essere solidale con un milione di immigrati, ma poi al milionesimo e uno immigrato dice di no, non è solidale. Se lascia entrare dieci milioni di immigrati, ma poi al dieci milionesimo e uno dice di no, non è solidale.

Però poi, una volta lasciati entrare tutti questi ‘fratelli’, come vivono i nuovi arrivati, cosa mangiano? Evidente che non basta lasciarli entrare. Se non diamo loro un tetto e da mangiare, moriranno facilmente di fame e di stenti, e quindi non siamo solidali. Inoltre, se non lavorano e non diamo loro da mangiare, dovranno arrangiarsi anche a costo di ricorre a mezzi illeciti e compiere reati[3]. E se non lo faranno perché sono profondamente onesti, e cercheranno disperatamente un lavoro, verranno sfruttati da qualche italiano per la raccolta di pomodori o di frutta, spostandosi di qua e di là, e accettando quel tipo di lavoro che quasi nessun italiano ormai accetta di fare.

Del resto, quando erano gli italiani ad emigrare in Svizzera, facevano proprio quei lavori che gli svizzeri non volevano più fare: lavori di basso livello e sottopagati. Teniamo anche presente che il titolo di studio di questi stranieri normalmente non è riconosciuto in Italia. E se si ammalano? Dobbiamo assicurare assistenza sanitaria, almeno a un livello minimo. Ma tutto questo va organizzato: occorre mettere in preventivo molto denaro, molte persone, molti immobili, molte strutture sanitarie. E dopo aver dato gratuitamente un tetto, da mangiare e aver assicurato le cure minime essenziali, continuiamo così, cioè li lasciamo ciondolare con le mani in mano anche se sono giovani e pieni di forze? Oppure li facciamo lavorare obbligatoriamente per la società? Ma al momento attuale non si può imporre obbligatoriamente alcun tipo di lavoro perché manca una legge in tal senso[4]. Li obblighiamo a imparare l’italiano, perché altrimenti non riusciamo a comprenderci? Non si può, perché non si può costringere un adulto ad andare a scuola, e neanche un minore dopo i 16 anni. Questo sempre in base ai nostri alti principi di diritto, perché la libertà individuale per noi è un sacrosanto diritto (ma andiamo allora a vedere, una volta che li abbiamo fatti liberamente entrare, se sono ‘liberi’ quando non possono far altro che raccogliere pomodori e frutta, vivendo in baraccopoli, o se forse stavano meglio prima di partire dai loro Paesi). E comunque, anche il lavoro sociale e l’insegnamento dell’italiano dovrebbe essere organizzato di sana pianta. E se finora non siamo riusciti ad organizzare il lavoro dei carcerati in Italia (che non superano le 60.000 persone), e la scuola funziona come sappiamo, come pensiamo di riuscire a organizzare tutto questo[5] per un milione o più milioni di persone, e in breve tempo?

B. Se la risposta invece è “Sì, ci deve essere un limite” ci si dovrà chiedere subito dopo: quale limite fissiamo, e soprattutto cosa si fa per imporne il rispetto? L’inosservanza richiede necessariamente una sanzione, perché una mancanza di sanzione sarebbe un chiaro segnale per dire che l’immigrazione clandestina è vietata in teoria, ma di fatto è aperta illimitatamente a tutti.

a) Una sanzione amministrativa (pagamento pecuniario, come prevede attualmente l’art.10bis del D.L. 21 ottobre 2020, n.130, conv. in L. 18.12.2020, n.173 sull’immigrazione) è inefficace al 100%, per lo straniero e dannosa per la nostra collettività, perché nessun immigrato clandestino, senza lavoro e residenza stabili, avrà mai i soldi per pagare la sanzione. Siamo davanti a un tipico esempio in cui, con una norma, si è pensato di sostituire la realtà. Invece è come pestare l’acqua in un mortaio, un lavorare amministrativamente a vuoto, con aggravio di spese per i cittadini: il vigile che redige il verbale, l’ufficiale giudiziario che va disperatamente alla ricerca dello straniero privo di residenza, per pignorargli…cosa? visto che l’immigrato non ha niente. Si perde solo tempo e denaro. Per di più l’immigrato irregolare fa di solito perdere le proprie tracce, sì che l’iter amministrativo girerà vorticosamente su sé stesso ma a vuoto, rinnovando periodicamente l’inutile tentativo di rintracciarlo e farsi pagare, fino al sopraggiungere della prescrizione. Mesi, se non anni, di lavoro amministrativo buttati via, con tanti funzionari pubblici che hanno impegnato il loro tempo per niente.

b) Il foglio di via (cioè l’intimazione a lasciare l’Italia entro un breve periodo) è inefficace al 100% perché normalmente lo scopo dell’immigrato clandestino è arrivare qui in Europa, e quindi ottenuto lo scopo perché dovrebbe andarsene? Soprattutto se sa che non gli succede niente o al massimo gli intimano di pagare una multa che non pagherà mai. Quei pochissimi che sarebbero anche disposti a tornare a casa non hanno comunque i soldi per pagarsi il viaggio di ritorno, visto che col foglio di via non ricevono alcun biglietto di ritorno, per cui devono arrangiarsi. Ma se fin qui sono arrivati a piedi, non hanno certamente alcuna intenzione di rifare a piedi la via del ritorno. Inoltre, di solito non hanno neanche i documenti, per cui non possono prendere né navi, né aerei, e se cercano di andarsene via terra saranno rimandati indietro in Italia dall’autorità dello Stato confinante col nostro[6].

c) L’unico provvedimento efficace per chi entra illegalmente senza documenti sembrerebbe allora il carcere, ma com’è noto questo tipo di sanzione non solo appare eccessivo (perché nella mentalità corrente non è un criminale chi ha la sola colpa di essere nato nel posto sbagliato del mondo e cerca di migliorare il suo tenore di vita), ma soprattutto qualsiasi reato evapora quando diventa collettivo. Ricordate gli anni ’70? Se uno da solo occupava i binari di una stazione veniva arrestato, processato e condannato. Ma quando l’occupazione veniva fatta da centinaia e centinaia di persone, nessuno veniva più arrestato, processato e condannato. Semplicemente era come se il reato non esistesse più perché ogni reato è pensato per il singolo, mai per una massa[7].

d) Altri suggeriscono l’espulsione coattiva dopo regolare procedimento giudiziario,[8] perché i nostri avanzati principi giuridici prevedono che tutti debbano poter ricorrere al giudice per la tutela dei propri diritti e interessi. Di certo l’espulsione annulla lo sforzo del migrante clandestino. Purtroppo però, anche l’espulsione è inefficace al 99% e costosissima per l’1% quando cioè viene coattivamente eseguita e si rimanda lo straniero a casa sua in aereo (unico modo per non passare attraverso altri Stati e per essere sicuri che effettivamente torni a casa dove non vuol tornare), con abbondante scorta di polizia (almeno due poliziotti per rimpatriato), e spesa considerevole (il costo mediamente non va sotto i 3.000-5.000 euro per straniero rimpatriato).

Ma qui diventa fondamentale rendersi conto che, se l’immigrato non ha un documento di riconoscimento con sé, l’espulsione è normalmente impraticabile (tanto che neanche Salvini è riuscito nell’intento pur avendo roboantemente promesso di rimpatriare 600.000 irregolari[9]). Qui sta il problema più grosso: il Paese d’origine dell’immigrato, infatti, rifiuta normalmente di accoglierlo, e chiede che sia l’Italia a dimostrare che quello è veramente un suo cittadino[10]. Anche in questo caso, poi, c’è il problema della reperibilità dell’immigrato per poter eseguire l’espulsione, perché durante i vari gradi di giudizio questi normalmente si rende irreperibile. Il primo presupposto perché l’espulsione sia realizzabile è che, quando il provvedimento di espulsione è finalmente eseguibile, si rintracci lo straniero. In alcuni Stati asiatici la causa di opposizione all’espulsione viene discussa davanti al giudice solo se lo straniero si presenta in aula; in caso di rigetto della sua istanza, il provvedimento del primo giudice è immediatamente esecutivo e lo straniero viene immediatamente preso in carico dalla polizia per l’espulsione coatta. Ma da noi non è possibile, innanzitutto perché l’istituto della contumacia prevede che l’interessato possa scegliere di non presentarsi in giudizio davanti al giudice. Inoltre è possibile proporre appello avverso un provvedimento negativo, per cui a quel punto il straniero appellante deve poter restare in Italia per continuare a tutelare il suo diritto a presentarsi ancora una volta davanti al nuovo giudice[11]. Passano così mesi se non anni. Qui siamo davanti a leggi non studiate per gli immigrati, che nel caso specifico tutelano sicuramente lo straniero, ma non l’interesse dello Stato,[12] e quindi della collettività.

e) Infine, c’è la formula “aiutiamoli a casa loro”, anche perché avendo noi Occidente a lungo colonizzato e depredato quegli Stati ci sentiamo in debito verso di loro. Questa soluzione, presentata da qualcuno come una sorta di panacea che risolverebbe tutti i problemi, allo stato attuale è utopia. Innanzitutto – come si visto parlando della teologia della liberazione,- è vero che siamo in debito verso la maggior parte dei Paesi poveri, ma come ha detto un arguto straniero: “Il miglior modo per aiutarci è che restiate voi a casa vostra”[13]. Non si riferiva, ovviamente, al volontariato internazionale, ma all’accaparramento di risorse materiali a prezzi di saldo fallimentare da parte di importanti realtà produttive occidentali (ma ormai anche asiatiche), sia pubbliche che private. Si pensi ad esempio al coltan, minerale essenziale per le moderne tecnologie, per il controllo dei cui giacimenti sono in corso guerre locali, con i contendenti sostenuti da chi quei giacimenti intende sfruttare;[14] oppure si pensi al landgrabbing (accaparramento dei suoli[15]) di cui si discute ormai anche su riviste come Limes, la più importante rivista italiana di geopolitica. Pensare che improvvisamente tutti facciano i bravi, che i grandi finanzieri decidano improvvisamente di seguire quanto dettato nell’Enciclica Fratelli tutti, che finisca la distruzione delle foreste la quale costringe un sacco di gente a spostarsi[16] causa i successivi cambiamenti climatici e la desertificazione, non è molto realistico, e abbiamo detto che nessuna norma può sostituire la realtà. In ogni caso, prima di risolvere con un enorme piano Marshall i problemi a casa loro, passerebbero anni se non decenni; sarebbe poi tutto da vedere se i nostri soldi finirebbero nelle tasche di governanti corrotti o a favore delle popolazioni[17] (un po’ come si discute qui da noi sulla fine che faranno i soldi del Recovery fund), e comunque non si risolverebbero i problemi di migliaia e migliaia di persone che già premono alle nostre frontiere, dove vivono in condizioni sub-umane. Per di più, sempre nuove masse continuerebbero ad arrivare prima che venga realizzato a casa loro il nostro piano Marshall. Un sistema di aiuti in loco richiederebbe un previo riequilibrio dei rapporti fra economie forti e quelle dei Paesi che chiamavamo “in via di sviluppo”[18]. Una maggior equità negli scambi richiederebbe un abbandono da parte di chi è il più forte di una mentalità predatrice[19]. Tutto questo, però, è più facile a dirsi che a farsi.

La pluralità dei valori e delle difficoltà in gioco nel nostro mondo che è sempre più complesso e interconnesso porta, proprio come previsto dal noto sociologo ed economista Max Weber vissuto a cavallo del 1800-1900, a un dualismo nel trovare le soluzioni, che egli già distingueva come etica dei principi - anche detta etica delle convinzioni – ed etica della responsabilità. La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che vanno perseguiti a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del sindacalista o del rivoluzionario, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze. Il religioso applica la solidarietà, costi quel che costi;[20] il sindacalista vede solo l’interesse del lavoratore; il rivoluzionario taglierà senza alcun scrupolo un po’ di teste, pur di raggiungere il suo obiettivo. Insomma, niente vie di mezzo; si deve andare decisi fino in fondo e scegliere: o bianco o nero.

Si segue invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenze del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce. La politica, che deve tener conto non solo del sindacalista ma anche dell’industriale, non solo del credente ma anche dell’ateo,[21] deve necessariamente seguire questo secondo tipo di etica.

Il cristiano che ritiene di dover far entrare in Europa tutti quelli che vogliono venire, perché dobbiamo considerarli tutti fratelli, perché tutti gli uomini hanno pari dignità, perché la terra e i beni sono di tutti, applica l’etica dei principi. Ma la politica non può farlo, proprio perché non può perdere mai di vista le conseguenze del suo agire, e deve mediare fra i diversi valori e diversi interessi, spesso anche contrapposti. Perciò la politica non potrà mai sposare ad occhi chiusi un'accoglienza ingenua ed illimitata di migranti.

È la dura realtà a dimostrare – anche al di fuori del campo dell’immigrazione,- come sia utopica e irraggiungibile l’uguaglianza per tutti e in tutto il mondo. Vediamo un esempio pratico: sappiamo che il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, deve essere uguale per tutti (art.32 Cost.). Però, visto che i vaccini per il Covid non si possono inoculare nello stesso momento a tutti, né ci sono al momento neanche vaccini sufficienti per tutti, occorre fare una scelta. Allora, chi vacciniamo per primi? I detenuti nei carceri sovraffollati oppure i medici negli ospedali? I giovani o i vecchi?[22] È chiaro che nessun sistema sanitario al mondo sarà mai in grado di soddisfare la pretesa (il diritto?) di tutto per tutti. Eppure questo sembra affermare la Costituzione, ma in pratica non è così. Oppure pensiamo a quest’altro caso: il giudice è un cittadino come tutti gli altri che ha quindi il diritto di partecipare alla vita politica della comunità in cui vive. Ma, c’è un ma: prima di essere cittadino è un giudice; pertanto non è solo un cittadino; anzi, prima di tutto è un giudice che, proprio a causa della sua funzione, ha dei doveri che gli altri cittadini non hanno. Col che i suoi diritti politici vanno subordinati ai suoi doveri funzionali, perché egli non solo deve essere, ma deve anche apparire imparziale davanti alla sua comunità. Con quale spirito un cittadino di estrema destra potrebbe accettare come suo giudice una persona che ha ampiamente e pubblicamente già dichiarato di essere di estrema sinistra? O ancora un esempio che riguarda tanti: a causa del Covid, il diritto di andare in classe a scuola si scontra col diritto di tutela della salute, e alla fine un diritto prevale a scapito dell’altro. Dunque si parte in astratto tutti uguali, ma non si arriva tutti insieme al traguardo tenendoci fraternamente per mano, e la realtà esterna ci dimostra di essere sempre più complicata di quanto ci si aspetta.

Non credo, perciò, che si possa risolvere questo immane problema dell’immigrazione in base all’etica dei principi, per cui non penso che si possa dichiarare il “liberi tutti,” eliminare tutte le frontiere in base all’alto principio che ci dichiara tutti fratelli. Certo, posso sentire tutti miei fratelli, ma col mio reddito io potrò accogliere un’altra famiglia, forse due abbassando di tanto il mio tenore di vita, ma se sono quattro, quaranta, quattrocento? Per cui, anche se mi rendo conto che una chiusura rigida e totale delle frontiere costituisce un tradimento dei nostri valori fondanti e di colpevole complicità rispetto alla catastrofe umanitaria in corso, anche se mi sento a disagio perché è inutile decantare i nostri grandi ideali universali se poi non si riescono a rispettare i diritti di ogni singolo individuo, anche se mi rendo conto che la Giustizia e il Bene che ci propone il Vangelo non potranno mai essere raggiunti se c’è una legge che limita gli ingressi, devo razionalmente propendere per la tesi esposta sub B. Quei bellissimi principi evangelici per cui siamo tutti fratelli possono restare principi programmatici cui dobbiamo tendere, ma con i piedi ben appoggiati per terra:[23] l’Europa (ma qualsiasi nazione) non resisterebbe a un ingresso costante ed incontrollato di persone dalla cultura e dalla mentalità assai diverse dalle nostre. Parlare di una società che accoglie tutti senza alcun limite è parlare di una società che non è mai esistita, che sarebbe già perfetta, e nella quale non dovremmo più impegnarci per alcun cambiamento. A ben vedere, la stessa nostra Costituzione, più che una Carta dei diritti è una Carta dei doveri, perché spesso i richiami a certi che appaiono diritti sono in realtà richiami teorici a bei principi astratti (come si è visto sopra con le vaccinazioni), mentre sta a tutti noi attivarci per poter un domani realmente essere in grado di far godere questi diritti a tutti.

C’è poi un ulteriore grosso problema che interpella chi, da cristiano, pensa all’accoglienza: cosa si fa concretamente quando c’è gente che vuol entrare in Europa senza rispettare le regole che prima delle immigrazioni massive tutti rispettavano? Se questa moltitudine di stranieri comincia a premere o a infiltrarsi con una certa forza (dovuta magari al solo fatto che sono massa), è accettabile che la nostra polizia reagisca al confine usando a sua volta la forza? Perché è chiaro che uso della forza significa in qualche modo violenza[24]. Facile criticare la violenza della polizia croata che, di fronte alle nostre rimostranze, giustamente chiederebbe: ‘ma insomma, li dobbiamo fermare o li lasciamo passare? Se li dobbiamo fermare, e non capiscono con le buone che non devono passare, glielo facciamo capire con le cattive, oppure facciamo solo la faccia feroce e poi li lasciamo passare?’ È lo stesso problema che dovevano affrontare già i romani, quando ricacciavano con la forza le tribù che da fuori premevano sui confini e cercavano di attraversarli per entrare in territorio romano. I romani ritenevano così di esercitare il legittimo diritto di difesa dei propri confini. L’impero è rimasto in piedi finché i romani sono stati i più forti. Quando le tribù straniere sono loro diventate più forti, hanno invaso l’impero, che è caduto[25].

Ora, sappiamo che nessun atteggiamento violento, nessun uso della forza è accettabile per chi vuol vivere da vero seguace di Cristo. Per chi applica l’etica dei principi (tutti fratelli, tutti possono entrare) non esiste neanche la legittima difesa[26]. Gesù stesso non la ritenne una soluzione percorribile, non solo a parole (Mt 5, 39: “ma io vi dico di non opporvi al malvagio”), ma anche con i fatti, tanto che non eliminò Giuda pur sapendo che stava per consegnarlo ai suoi mortali nemici che l'avrebbero ucciso. Non si difese, pur avendo ormai capito che Giuda l’avrebbe fatto uccidere. Gesù non solo non si difese, ma accolse l’odio su di sé amando fino alla fine. Gesù è sempre stato un Messia di pace, anche a costo di morire lui, mentre per legittima difesa avrebbe legalmente potuto uccidere l'aggressore. E il vangelo aggiunge anche che “a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello, e a chi desidera un prestito da te, non voltar le spalle” (Mt 5, 40s.). Ma chi di voi, anche se si proclama credente cattolico, crede veramente in un Dio che vince non uccidendo, ma facendosi uccidere? Assai pochi, io credo. Essere veramente cristiani – che non ha nulla a che vedere con l’andare a messa di domenica, come invece molti continuano a pensare perché qualificano come credenti solo coloro che vanno a messa - è assai assai più dura. Gesù ha pagato di persona questa sua convinzione.

Sicuramente nel mondo ci sono state molte persone che hanno seguito questo insegnamento evangelico: anche essere martiri vuol dire aver lasciato ai persecutori la violenza; oppure pensiamo a Gandhi, il quale aveva detto che si sarebbe fatto cristiano se non avesse poi visto come si comportano in realtà i cristiani. Lui era convinto che la legittima difesa è un diritto, ma non è la soluzione. Solo l'Amore annienta il male. Il male nutre sempre il male, mentre solo l'amore lo soffoca, lo annienta. Per questo Gandhi ha detto: "la non violenza è la più forte arma mai inventata dall'uomo"[27]. Pensiamo anche alle parole scritte in questo diario: “Mio Dio, questi sono tempi tanto angosciosi… tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi… forse possiamo contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini”. Questo potrebbe sembrare un accorato appello cristiano, ma è stato trovato nel diario di una donna ebrea internata ad Auschwitz [28]. Invece non sappiamo con certezza chi ha scritto quest'altro pensiero, rinvenuto nel lager di Ravensbruck; potrebbe essere stato un cristiano, ma forse anche un non-cristiano: "Signore, ricordati non solo degli uomini di buona volontà, ma anche di quelli di cattiva volontà. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto. Ricordati invece dei frutti che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire: la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio, la generosità e la grandezza di cuore che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito. E quando questi uomini giungeranno al giudizio, fa' che tutti questi frutti che abbiamo fatto nascere siano il loro perdono!"

È anche vero che, a leggere attentamente, dai vangeli possiamo ricavare con sicurezza l’idea che Gesù ha rinunciato alla legittima difesa quando la violenza era diretta nei suoi confronti, e questi altri grandi esempi sono collegati a persone rinchiuse in un campo di concentramento dove erano oggettivamente impossibilitate a difendersi. La cacciata dal Tempio di venditori e compratori (Gv 2, 15) sembra però negare l’idea che Gesù abbia escluso in toto e a priori ogni uso della forza: lì non ha usato solo parole, ma ha anche impiegato la forza. Diamo pur atto che Gesù, nel compiere quel gesto violento, non ha causato male fisico a nessuno, ma ha espresso in maniera inequivoca una condanna eloquente del sistema religioso su cui si reggevano il Tempio e il sacerdozio. Però c’è da chiedersi: cosa avrebbe fatto Gesù se, rientrando in casa, avesse trovato un gruppetto di uomini che violentava sua madre?[29] Avrebbe reagito per difenderla con la forza? Sarebbe rimasto passivamente a guardare perché non si deve mai usare la forza contro le persone, condannando così ogni forma di violenza?[30] Avrebbe cercato solo con le parole di dissuadere gli stupratori? Nessuno ovviamente può rispondere.

Come riconosce un noto teologo[31] lo stesso Gesù – vedendo che la casa di Dio era stata ridotta a mercato,- ha ritenuto che la sola parola non bastava, per cui giunge a questa distinzione: una cosa è la legittima difesa quando l’aggressione riguarda la nostra persona o i nostri beni, un’altra cosa è quando sono in gioco i diritti, l’onore, la libertà di altre persone, siano esse parenti oppure no. Mentre il cristiano può rinunciare a un suo diritto – anche a quello della legittima difesa – può cioè «patire qualche torto» (1Cor 6,7), non può invece accettare passivamente che vengano lesi i diritti del suo prossimo (vicino o lontano che sia). Il cristiano può rinunciare alla propria autodifesa, ma non può rinunciare a difendere le vittime di una violenza o di un’ingiustizia di qualunque genere. Il cristiano può, come l’apostolo Paolo, «non fare uso dei suoi diritti» (1Cor 9,12.15), ma deve difendere con tutte le sue forze i diritti degli altri. Nel caso sopra citato a titolo di esempio (la violenza alla propria madre, alla moglie o a una sua figlia), per questo teologo non c’è spazio per alcun dubbio: si deve intervenire proprio come credenti, in difesa non già dell’onore ferito di marito o di padre, ma dell’integrità fisica e psichica, della dignità e della libertà di sua moglie o di sua figlia. Ovvio che intervenire significa qui usare violenza. Ma allora fino a che punto si può arrivare? Si può anche uccidere l’aggressore?

E nel caso dello straniero che cerca di superare il confine, anche di forza, le cose si complicano ulteriormente perché si deve stabilire chi è vittima di una violenza: non è forse lui la prima vittima dell’ingiustizia planetaria?[32] Non è forse lui il primo a dover essere difeso? Ma se è ben vero che lui ha diritto a vivere una vita dignitosa e alla sua integrità psicofisica, chi sta dall’altra parte del confine ed economicamente vive meglio di lui, non ha anche lui dei diritti, oppure lo carichiamo solo di doveri? Per fare un esempio stupido ma attuale: io non posso arrivare in Italia dalla Siria senza mettermi in quarantena per il Covid; un siriano che arriva regolarmente fa lo stesso: questa condotta serve a garantire la salute di tutti. Perché tanti siriani che arrivano insieme irregolarmente dovrebbero sottrarsi all’obbligo, mettendo in pericolo la salute di tanti e vanificando il sacrificio di questi tanti che hanno per mesi ottemperato a rigide prescrizioni?[33] E allora perché non posso oppormi con la forza se gli stranieri cercano di entrare illegalmente con la forza? Non difendo un mio altrettanto sacrosanto diritto?

Non è facile tracciare la linea di confine,[34] e anche il nostro esperto teologo riconosce che siamo sempre sul filo del rasoio, e finisce col seguire una linea di pensiero condivisibile in astratto, dicendo che la violenza può essere posta al servizio di un progetto di liberazione (come, a esempio, nelle guerre di liberazione), così come può servire a opprimere. Altrettanto condivisibile è l’affermazione secondo cui, col tempo e con l’esperienza, gli uomini hanno capito che anche quando libera, la violenza incatena. Chi l’adopera una volta, ne diventa succube per sempre. E chi oggi l’adopera per liberare, domani facilmente l’adopera per opprimere. Questo è successo tante volte nella storia, anzi succede quasi sempre ancora oggi. Il fatto è che ogni violenza, anche quella che libera, non è in grado di generare la vera libertà, che è la libertà dalla violenza. Perciò più che contare sulla violenza “che libera”, dovremmo cercare di liberarci dalla violenza e dall’illusione che essa sia veramente risolutiva. Ma anche concordando su tutte queste affermazioni di principio, non abbiamo risolto il nostro problema pratico: cosa diciamo di fare alla polizia croata?

Come avrete ormai capito, in tutta questa situazione dove non è facile prendere decisioni, non oso mettermi fra i veri seguaci del Vangelo perché, anche se son conscio del rischio di tradire il Vangelo, non penso che saprei rinunciare alla legittima difesa (ovviamente se ne avessi la possibilità), anche per salvare solo me stesso. Ma qui devo chiedere a tutti coloro che, in base all’etica dei principi, farebbero passare il confine a tutti quanti, essendo la terra di tutti: voi sareste disposti ad accettare anche tutte le conseguenze negative di questa vostra scelta? Sareste cioè in grado di dare allo straniero che è arrivato fin da noi e vi chiede il vostro cappotto, anche il vostro vestito, e magari anche quello di vostra moglie e dei vostri figli? Perché bisogna essere coerenti: se annullate la legittima difesa ai confini, ritenendo che tutti gli stranieri abbiano il sacrosanto diritto di entrare in Europa perché con l’entrare non mettono in pericolo alcun nostro diritto, dovete annullare anche ogni possibilità futura di legittima difesa da parte vostra, quando cioè gli stranieri saranno insediati qui da noi. Se invece cominciate a dire che, oltre un certo limite (ma quale?) si deve poter reagire e opporsi (ma in che modo), avete solo spostato il problema dai confini - dove il fenomeno può in qualche modo essere ancora controllato - all’interno del Paese dove sarà molto più difficile tener la situazione sotto controllo. E poi, se riconosco allo straniero il suo inalienabile “diritto” di entrare e muoversi[35] nello spazio territoriale europeo, anche usando un po’ di forza, come si fa a negare ai sostenitori di Trump il “diritto” di entrare nello spazio del Campidoglio? Anche quegli invasori esercitavano, con un po’ di forza, il diritto di entrare in uno spazio che, essendo simbolo di democrazia, è di tutti.

“No, la situazione è diversa” obietterà qualcuno. “Gli immigrati non hanno niente, non hanno casa, e scappano da situazioni disastrose, mentre gli americani che hanno invaso il Campidoglio no”. E allora perché, se uno di quelli che ho lasciato entrare liberamente qui in Italia non ha casa e dorme per strada, non dovrebbe anche poter entrare in casa mia, visto che stringendoci un poco ci sarebbe spazio per tutti? Non vedo infatti grande differenza fra un barbone nostrano[36] che vive al freddo per strada e uno straniero che vive al freddo davanti ai confini europei. Non è neanche vero che tutti gli stranieri cerchino asilo e non miglioramenti economici, visto che, ad es. 2016, i richiedenti asilo sono stati solo 64.000[37] su oltre 181.000 immigrati, per cui la maggior parte degli stranieri che arrivano in Italia arrivano proprio per motivi economici, cioè partono per scelta e non per necessità. E allora torniamo sempre allo stesso punto: mettiamo un qualche limite, sì o no? E se sì, dove? E soprattutto, come lo facciamo rispettare?

Forse, invece di focalizzarci sui diritti degli altri, dovremmo cominciare a concentrarci prima sui doveri (per tutti, anche per gli stranieri), perché non si vive di soli diritti e perché con i soli diritti si scivola rapidamente verso il caos, e il massimo del diritto diventa il massimo dell’ingiustizia[38]. Chi pretende di avere gli stessi diritti dei cittadini europei non può sottrarsi, in primo luogo, ai doveri che gli stessi cittadini devono rispettare. Se picchio mia moglie commetto un reato. Il Corano (Sura delle donne IV, 38) dice che gli uomini sono superiori alle donne e che picchiare le mogli disobbedienti è lecito. Nel 2007 un giudice (per di più, donna) del tribunale tedesco di Francoforte ha stabilito che le botte, se inflitte da un marito musulmano alla moglie musulmana, non possono essere considerate violenze insopportabili poiché i due coniugi appartengono ad una religione e ad una cultura che riconoscono agli uomini il diritto di imporre la propria volontà anche ricorrendo a punizioni corporali. Ora, se io mi prendo una seconda moglie, vengo condannato per bigamia. Un musulmano può avere fino a quattro mogli. Perciò, se passa liberamente il confine con tutte le sue mogli, noi dovremmo accettare in silenzio questo che è un suo diritto in base alla sua cultura? Ma se questi signori pretendono i nostri stessi diritti, non dovrebbero avere anche i nostri stessi doveri? Io, pur godendo di innumerevoli diritti, non posso andare in nessun Paese straniero, neanche in Europa, senza documento d’identità, perché devo dimostrare chi sono. Se non ho con me i documenti al confine mi cacciano indietro, e nessuno direbbe che sono stato leso nella mia dignità psico-fisica. Perché migliaia di stranieri dovrebbero poter eludere questo dovere? Forse perché non fanno in tempo a procurarsi questi documenti in quanto scappano frettolosamente per necessità? Ma abbiamo visto che la maggior parte di essi non scappa per necessità.

Come si può intuire, i problemi sono tanti e non ci sono soluzioni semplici. Per di più è difficile affrontare l’argomento con norme generali perché le condizioni particolari sono troppo varie.

Ma a questo punto, penso di poter dire che gli stranieri non abbiano un diritto illimitato ad entrare in Europa illegalmente, come io non ho il diritto di entrare illegalmente in nessuno di quei Paesi dai quali essi provengono. Penso piuttosto che noi, vista la situazione in cui vivono, abbiamo il dovere di fare qualcosa per ovviare a situazioni di grave degrado o di grande difficoltà, avendo la possibilità di farlo ed essendo rimasti indifferenti per troppo tempo. Ciò non per riconoscere un diritto agli altri, ma dovendo noi adempiere al dovere di solidarietà politica, economica e sociale come previsto dall’art. 2 della nostra Costituzione, perché solo così diamo concretezza ai valori che sono indicati nella stessa Costituzione.

Detto questo, e per concludere questo discorso ormai anche troppo lungo, dovremmo allora tutti domandarci: ognuno di noi, credente o non credente, può fare qualcosa (anche insieme ad altri amici e conoscenti) per costruire una società migliore? Per non cadere in utopistici miraggi, mi azzardo solo a fare alcune proposte minime che, come singoli o in piccoli gruppi, possiamo mettere in atto o aiutare a mettere in atto, nella convinzione che anche queste sono soluzioni tampone, limitate e per di più non definitive, visto che l’immigrazione non è occasionale e non cesserà entro breve tempo. Sicuramente la prima cosa da fare, da parte nostra, è superare l’indifferenza,[39] che al momento porta anche la classe politica a non fare nulla. Cioè il nostro essere (credenti o non credenti) ci spinge a ‘sentire’ i problemi sociali attuali, oppure no? Se la risposta è positiva dobbiamo cominciare a muoverci noi dal basso.

Qualcuno, leggendo queste proposte, le troverà anche banali, ma ricordo che alla domanda su cosa si deve fare per cambiare e convertirsi già Giovanni Battista rispondeva con consigli spiccioli, quasi banali, diversissimi dagli alti proclami religiosi che ci aspetteremmo: condividete, non rubate, non siate violenti, chi ha più di quello che gli basta deve condividere; chi ha il potere non deve farsi corrompere approfittando della sua posizione, chi ha il potere di farsi pagare non deve approfittarne (Lc 3, 10-14). Tutto qui? Restiamo stupiti, persino un po’ delusi da suggerimenti che appaiono banalmente normali. Ma anche se questo sembra poco, in realtà è tanto e vale anche oggi: basti pensare che se in Italia tutti pagassero le tasse in poco tempo il nostro debito pubblico scenderebbe a livelli accettabili[40]. Più banale di così. Quando non si vive più centrati esclusivamente su sé stessi, per i propri interessi egoistici,[41] ma si diventa attenti ai bisogni degli altri, già si migliora la società. Allora:

1) Nelle scuole occorrerebbe non solo un gioco del rispetto limitato alle persone Lgbt, ma molto più ampio: comprensivo dei vecchi, dei deboli, degli emarginati e quindi anche degli stranieri perché non vengano più giudicati stereotipatamente come persone malvagie e pericolose. C’è una marea di immigrati che cerca solo migliori condizioni di vita e giungono qui con forte volontà di inserimento sociale nella speranza di poter sviluppare i propri talenti. Il rischio che il “prima gli italiani” si trasformi in un tragico “tutti contro tutti” va combattuto già a scuola. Una situazione di crisi come l’attuale è il miglior brodo di cultura per la nascita dei movimenti suprematisti e integralisti. Perché l’integralismo nasce e cresce quando la gente si sente minacciata, confusa dallo sgretolarsi delle certezze di ieri. La politica, invece, dovrebbe assumere il compito di orientare e educare perché la politica è "l'arte di uscire insieme dai problemi" come insegnava don Milani.

Occorre poi far capire che gli immigrati possono portarci anche note positive[42]. Teniamo ad esempio presente che un aiuto assai importante per quelli che sono ancora a casa loro è dato dalle rimesse valutarie di chi lavora qui. In altri termini, per ogni migrante che trova anche un lavoro spesso sottopagato e rifiutato dagli italiani, o semplicemente riceve modesti oboli da persone di passaggio, c’è una famiglia che può rimanere a casa sua laggiù, senza venire qui. Pensiamo poi che da noi già lavora un esercito di circa 900 mila badanti, il 90% straniere e la metà delle quali non in regola[43]. Se non ci fossero queste straniere, chi si prenderebbe cura dei tanti vecchi (perché l’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo)? Inoltre i lavoratori stranieri contribuiscono al nostro PIL già nella misura di quasi il 10% (146,7 miliardi[44]), e non è poco. Questo dato dovrebbe rassicurarci sul fatto che se uno straniero riesce a venire qui con la famiglia e trova lavoro, non delinque, e paga anche le tasse forse più di tanti italiani.

2) Ciascuno potrebbe partecipare attivamente a supporto di chi gestisce i corridoi umanitari, che se fossero sviluppati aiuterebbero di molto ad eliminare, o quanto meno ad abbattere, le mafie dei passeur.

In Italia ci sono oltre 25.000 parrocchie[45]. Se ogni comunità parrocchiale adottasse una sola famiglia, riusciremmo a sistemare senza particolari difficoltà 25.000 famiglie, cioè almeno 75-90.000 persone, evitando per di più la ghettizzazione che – come si è visto in Francia - dopo una o due generazioni crea ulteriori gravi problemi con questi ex-stranieri ormai diventati cittadini europei: la ghettizzazione non li fa sentire francesi, e ancor meno europei, per cui sono ancora in cerca di un’identità e di un luogo da sostituire al concetto di Patria.

Per conoscere meglio la famiglia adottata e perché questa famiglia conosca gli altri, si potrebbe cominciare con una cena di condivisione in parrocchia o a casa di qualcuno (e magari reiterare la cosa): ognuno porterebbe qualche cibo da condividere, e anche la famiglia straniera potrebbe cucinare qualche suo piatto, per noi esotico. La convivialità è sempre un buon modo per conoscersi, e conoscersi è indispensabile. All’inizio, magari con l’aiuto di un interprete, la famiglia potrebbe raccontare a tutta la comunità la sua storia[46]. Conoscersi è il primo passo, perché una volta che si mangia e si parla a tavola con uno straniero, non lo si riesce più a vedere come un pericoloso nemico.

I bambini, che sono i più veloci nell’apprendere una nuova lingua, dovrebbero giocare in oratorio/ricreatorio per con altri bambini e soprattutto imparare così l’italiano, per essere poi subito inseriti all’asilo o a scuola,[47] (e riuscirebbero a far da interpreti ai genitori nel giro di qualche mese). Fino ai dieci-dodici anni, a un bambino basta giocare tutti i giorni con bambini che parlano italiano, e in una sola estate già parla la nostra lingua. Anche i genitori dovrebbero andare a un corso d’italiano per stranieri. Se le mamme hanno bambini piccoli da accudire e non sanno dove sistemarli quando esse stesse vanno a lezione d'italiano, occorrerebbe istituire - accanto al corso d'italiano - una stanza con baby-sitter volontarie. Anche su questo punto ritengo che i patti dovrebbero essere chiari fin dall'inizio: non solo i maschi, ma anche le femmine devono imparare l'italiano. Devono poter andare al supermercato o dal medico e chiedere qualche informazione da sole; non devono restare recluse in casa, anche se questa era la loro cultura nel Paese d’origine.

Siccome la maggior parte dei migranti irregolari, almeno qui a Trieste, vengono dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dall'Iraq, per cui molti parlano arabo, si dovrebbero intensificare i rapporti con il centro di cultura araba di Trieste, anche per farsi aiutare nella lingua e nel capire la cultura di questi nuovi ospiti[48]. Aiuterebbe questi stranieri anche il fatto di vedere che altri loro connazionali sono già riusciti a inserirsi in Italia.

Penso poi che sia possibile sistemare una singola famiglia (magari con un contratto di comodato precario[49]) in un appartamento di proprietà o preso in affitto dalla parrocchia, e che l’intera comunità parrocchiale possa contribuire al pagamento canone/bollette/generi alimentari di prima necessità, ciascuno secondo le sue possibilità. Dovrebbe poi trovarsi qualche volontario (anche a turno) che si prenda l'incarico di controllare che l'appartamento sia tenuto pulito e che non si causino danni, pena lo sfratto. Questa è una condizione che dovrebbe essere fatta ben capire subito. Parimenti dovrebbe essere spiegato che, come noi osserviamo le loro leggi se andiamo nel loro Paese, è indispensabile che essi osservino le nostre per poter vivere in Europa senza tensioni e contrasti. Se invece tutti gli immigrati vengono inseriti in uno stesso immobile (magari una ex caserma) la ghettizzazione è assicurata, e non si fa il bene né loro, né nostro. Ma soprattutto non si devono lasciare questi stranieri soli, per cui in tanti si dovrebbe fare una capatina a casa loro e scambiare quattro chiacchiere. Parlare è il primo passo per conoscersi e per cancellare reciproci pregiudizi e paure. Il dialogo toglie la paura, l’odio. La cultura della cura fa comprendere l’altro.

In via del tutto provvisoria, magari solo per qualche settimana e/o mese, in attesa dell'appartamento da abitare, chi se la sente e ha un appartamento sufficientemente spazioso potrebbe ospitare una famiglia,[50] anche coabitando. Ricordo che è essenziale per lo straniero avere una residenza (cioè abitare in un appartamento idoneo) perché senza residenza non può ottenere nessun tipo di documenti, e senza documenti non potrà mai ottenere né un lavoro, né assistenza sanitaria (tranne quella d’urgenza).

Il problema principale, per l’appunto, è che questa gente, dopo l’accoglienza iniziale, non deve continuare a vivere a carico della comunità. Occorrerebbe attivarsi presso i nostri politici per riattivare il sistema dei voucher, perché con facilità si presenta l'occasione di qualche lavoretto (anche in parrocchia), mentre più difficile è trovare un lavoro stabile. Col Comune si dovrebbe cercare di incentivare i lavori socialmente utili, sfruttando le competenze professionali dei singoli nuovi arrivati[51] e vedere se i loro titoli di studio possono essere riconosciuti qui da noi, magari con qualche corso formativo integrativo. Insomma, occorre seguire chi arriva e aiutarlo anche a muoversi nella nostra giungla burocratica.

3) Occorre attivarsi presso i nostri politici affinché l’Europa costruisca, organizzi e mantenga dei campi adatti di raccolta, magari anche fuori dei confini europei (in Bosnia; probabilmente più difficile, ma non impossibile, sarebbe farlo in Libia,[52] Tunisia, Turchia), dove le persone però possano vivere in maniera dignitosa. Spendendo e amministrando direttamente i soldi, si darebbe meno denaro anche a quei governi.

Non è invece consigliabile effettuare raccolte di vestiario e/o alimenti da inviare all’estero, perché poi il materiale deve essere trasportato (passando magari attraverso varie frontiere, anche col rischio di dover pagare dazi doganali), immagazzinato e solo a quel punto distribuito in loco (per cui occorre affittare magazzini e aver a disposizione personale). Molto meglio sarebbe raccogliere soltanto denaro da consegnare agli operatori in loco per essere speso in loco, sì da incrementare sul posto l’economia locale, e rendendo così la popolazione del posto più accogliente rispetto all’immigrazione, perché vede che l’economia gira e ci si può guadagnare qualcosa.

Poi occorre aprire in quei campi degli uffici europei per valutare già lì se esiste o meno il diritto di ottenere asilo in Europa, e ovviamente fare in modo che le procedure non durino anni[53]. Identificare già lì tutte le persone, nel campo – gestito dall’Europa - eviterebbe che esse si presentino poi clandestinamente in Europa, magari sotto vari alias, e giustificherebbe una riammissione immediata di chi non ha diritto all’asilo o alla protezione. Poiché esibire i documenti renderebbe più veloce l’iter, si eviterebbe anche che molti stranieri gettino via i loro documenti strada facendo.

Sappiamo che in Libano ci sono campi profughi per palestinesi giunti là nel lontano 1948: come Europa dovremmo riuscire a fare qualcosa di meglio. In Giordania ci sono campi profughi per siriani, organizzati in maniera dignitosa, col sostegno economico degli Stati Uniti perché la Giordania non ha i soldi per farlo. Perché l’Europa non potrebbe fare almeno altrettanto?

Attivarsi presso i nostri politici per far istituire appositi uffici presso le nostre ambasciate europee all’estero affinché curino in loco queste possibilità di ottenere visti per venire legalmente in Europa. Far sapere che tramite il visto ottenuto in loco non ci si deve sobbarcare a viaggi faticosi e pericolosi che magari durano qualche anno, dovrebbe essere un altro incentivo a seguire questa via.

4) Inoltre, visto l’alto numero di minori non accompagnati che arrivano i Italia, e che per legge non possono essere espulsi, le nostre ambasciate dovrebbero effettuare accertamenti e verifiche in loco nei Paesi di provenienza, per capire come arginare questo flusso. Quando è stato fatto, ad es. in Albania, si era scoperto che molti genitori mandavano i figli in Italia perché qui li facevamo studiare gratis. Ma questi minori non erano abbandonati, perché nel Paese d’origine avevano famiglia. Anche su questo punto la legislazione dovrebbe essere aggiornata a livello europeo, e finora non si è fatto nulla. Se le convenzioni internazionali impediscono tout court ogni rimpatrio di minori, devono essere riviste o gli Stati europei che le hanno sottoscritte devono negoziare riserve[54] espresse sul punto. Si parla tanto di ricongiungimento familiare, del fatto che i minori hanno diritto ad essere allevati nella loro famiglia di origine, ma poi facciamo crescere questi minori lontano dalle loro famiglie perché non possono essere rimpatriati, pur avendo una normale famiglia a casa loro. Per di più questi minorenni, appena maggiorenni, vengono comunque abbandonati a sé stessi e diventano normalmente irregolari perché non riescono a trovare un lavoro.

5) Attivarsi perché sia l’Europa – che ha sicuramente un peso maggiore rispetto alla sola Italia - affinché si concludano accordi con gli Stati da cui partono gl’immigrati, sì che coloro che non hanno diritto di restare regolarmente in Europa e che cercano di entrare illegalmente, possano essere riportati pacificamente e velocemente nei rispettivi Stati di cui sono cittadini. Siccome ci sono al momento Stati europei che rifiutano l’accoglienza anche di un solo straniero, i costi di rimpatrio dovrebbero gravare soprattutto su questi Stati per un equo bilanciamento della situazione.

Devono essere riviste e aggiornate anche le convenzioni internazionali marittime. È vero che chi si trova in pericolo in mare deve essere soccorso. Ma lo spirito di queste convenzioni, quando sono state firmate, era di andare in aiuto di natanti che circolavano regolarmente e che, improvvisamente, si trovavano in pericolo per qualche causa non prevista. Nel caso delle migrazioni, le persone che chiamano (con telefono satellitare perché altrimenti non avrebbero campo, e che sanno anche quale numero chiamare il che indica una certa preparazione, perché nessuno di noi saprebbe quale numero chiamare), partono già sapendo che di lì a poco chiameranno i soccorsi. Mi sembra un evidente abuso della normativa, che viene piegata ad altri interessi personali, non presi in considerazione quando le convenzioni sono state pensate e sottoscritte.

6) Manca un ultimo punto importante. Cosa si fa di quella massa di disperati che si trovano attualmente in Bosnia, sotto la neve, senza alcuna sistemazione o in siti comunque inadeguati? Tanti di questi hanno già tentato anche più volte di passare il confine, ma sono stati sempre ributtati indietro, spesso anche con violenza eccessiva, come ormai si è visto in numerose foto e filmati.

Il numero, al momento, in Bosnia non è particolarmente elevato: forse 6-8.000 persone. Ma è chiaro che risolto il loro problema facendoli entrare tutti, la soluzione sarebbe di breve durata perché di lì a poco altri arriverebbero in Bosnia, visto che in Turchia ci sono circa 4 milioni di profughi in attesa e che da lì inizia il cammino verso la Bosnia e l’Europa. Ecco perché, essendo ormai stato appurato che lì, nei campi attuali, le condizioni di vita sono gravemente inferiori agli standard umanitari, io credo che si debba far pressione sui nostri parlamentari europei affinché l’Europa si metta subito a costruire e gestire idonei campi di accoglienza, in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata, in modo che i migranti almeno non debbano vivere nei boschi innevati o per strada. Questo non è un diritto dei migranti che volontariamente si sono messi in questa situazione, ma un dovere nostro proprio in base agli alti principi morali e giuridici che proclamiamo nel mondo con tanto vanto.

Il samaritano non si è chiesto se l’altro se l’era cercata. E se vogliamo essere cristiani dobbiamo agire come lui. Anche il locandiere è necessario, nel senso che si devono cercare alleati per difendere la vita delle persone in difficoltà. Ma il samaritano dice che tornerà, per cui si fa personalmente carico, e non scarica il problema sugli altri: l’Europa, cioè, non deve scaricare sulla Bosnia (l’attuale locandiera) tutti i costi di questi spostamenti di migranti. Questa mi sembra una soluzione minima, alla portata dell’Europa, che si può concretizzare anche in breve tempo.

Come singoli, poi, ben dovremmo diffondere queste informazioni sul come vivono attualmente i migranti ai confini d’Europa, per svegliare la gente con dei giusti scossoni (meglio foto che parole, perché coinvolgono di più), perché solo quando i fatti sono conosciuti non passano più sotto silenzio, e anche gli Stati si vedono costretti ad attivarsi.

Cercar di por termine alle tante guerre che abbiamo innescato e che sono invece la causa prima della fuga di tante persone verso l’Europa, non è purtroppo alla nostra portata. Ma di questo dovremmo ricordarci nelle votazioni politiche.

Chi ha suggerimenti ulteriori e migliori, farebbe bene a esporli nella propria comunità. Occorre però che tutti comincino a muoversi, smettendo di essere spettatori passivi, smettendo anche di credere che lo Stato o l’Europa riescano a risolvere tutto con un solo colpo di bacchetta magica.





NOTE


[1] Sarebbe meglio avere un unico regolamento valido allo stesso modo in tutta Europa. Ma nel frattempo, anche l’Italia potrebbe predisporre una sua legge, tenendo presente che servono però norme che poi possano essere concretamente e utilmente applicate. In altre parole, una legge non deve creare modelli ideologici, ma deve servire per risolvere problemi pratici. Nessuna norma potrà mai sostituire la realtà, per cui anche nel legiferare si deve applicare il principio di realtà e non quello di idealità. Ciò significa che non basta che una cosa sia scritta in una legge perché questa venga applicata. Per capirci: non basta che una legge ci ordini di essere felici per essere tali. Pensiamo allora alla nostra L.29.10.2016, n. 199 sul caporalato: bella legge in astratto, ma in pratica non è cambiato quasi niente. Ecco che papa Francesco può ancora tranquillamente dire che la nostra economia uccide.

[2] L’art. 10 della Costituzione italiana recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

[3] Victoria Donda deputata argentina ha detto giustamente: “Ricordiamoci che gli individui possono commettere delitti, ma sono gli Stati che violano i diritti umani” in Moliola P., La via latino-americana ai diritti, Nelle mani di Golia, ed. Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR), 2012.

[4] Ricordate tantissimi anni fa quando i condomini erano obbligati a liberare dalla neve il marciapiede antistante il condominio? Lo imponeva un regolamento comunale. Ma oggi, l'art.23 della Costituzione afferma che nessuna prestazione personale può essere imposta se non in base alla legge, per cui un regolamento non basta più. Occorrerebbe sollecitare i nostri parlamentari perché venga approvata una legge che obbliga, chi non ha lavoro, a partecipare a lavori socialmente utili (stranieri, ma anche fruitori del reddito di cittadinanza). Non è pensabile assistere e mantenere a spese della collettività chi potrebbe lavorare ma non lavora: ci deve essere corrispettività fra il dare da parte della comunità e il dare da parte del singolo che riceve aiuto. Riempire le buche sulle strade, togliere dalle pinete la processionaria, pulire le città, mettere fiori nelle aiole; sono decine i lavori che potrebbero essere organizzati con un minimo sforzo, e che non richiedono alta specializzazione.

[5] Esattamente come, visto che non riusciamo a spendere i contributi che annualmente ci arrivano dall’Europa per cui dobbiamo in buona parte restituirli, giustamente più di qualcuno si domanda come riusciremo a spendere i miliardi del Recovery Fund.

[6] Esiste ancora il Ritorno Volontario Assistito, curato dal Ministero dell’interno, cioè quel programma che permette agli stranieri di ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio paese di origine in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata? Non lo so. Sicuramente, anche se esiste ancora, è assai poco pubblicizzato e conosciuto.

[7] L’ex presidente del consiglio europeo Donald Tusk ha giustamente ricordato a Putin dopo l’arresto del suo oppositore: “Puoi trattenere in carcere Navalnyj, sua moglie e qualche centinaio di sostenitori, ma nemmeno tu puoi mettere in carcere l’intera nazione” (“la Repubblica””, 24.1.2021, 15) che va a protestare in piazza.

Di fronte allo stesso tipo di problemi, nella vicina Slovenia, è stata presentata una proposta di legge che blocca la possibilità di chiedere asilo quando si è in presenza di una migrazione di massa (“Il Piccolo” 28.1.2021, 17).

Da noi pensate solo alla mostruosa difficoltà del processo che si sta celebrando in questo momento a Lamezia Terme contro la ‘ndrangheta: 325 imputati, almeno 325 avvocati difensori contro uno o due pubblici ministeri; i tre giudici che devono ricordare i nomi e le differenti posizioni di 325 persone, quando una maestra ha difficoltà a ricordare per i primi tempi i nomi dei suoi alunni (normalmente non più di venti). Ricordo, quando facevo il giudice istruttore, che se si arrivava a dover seguire in contemporanea la posizione di più di 50 detenuti, la cosa cominciava ad essere davvero complicata, aumentando anche il rischio di fare errori.

[8] In Italia, poter adire il giudice per far valere un proprio diritto viene riconosciuto a tutti. In altri Paesi si adottano semplicemente misure di polizia. Lo straniero irregolare (facciamo il caso sia afghano) viene caricato manu militari su un aereo militare e trasportato in una base in Afghanistan dove si trovano militari del Paese in cui l’afghano è stato fermato. Arrivato in Afghanistan il trasportato viene semplicemente accompagnato alla porta della base e buttato fuori, senza che lo Stato afghano sia informato: tanto lo straniero si trova ormai a casa sua. Da noi simile tipo di espulsione non solo è illegittima, ma susciterebbe grave scandalo.

[9] È riuscito a far rimpatriare l’1% rispetto a quanto aveva promesso, https://www.ilsole24ore.com/art/migranti-rimpatri-salvini-sono-meno-quelli-governo-renzi-ACmItxZ. Di queste difficoltà era stato avvisato anche in dibattiti televisivi (ad es., dalla Boldrini all’epoca presidente della camera dei deputati); ma Salvini non ci aveva creduto, come non ci avevano creduto tanti suoi elettori.

[10] Perché normalmente il Paese d’origine è appena contento di essersi liberato di tanti giovani pieni di energia ma senza lavoro, che potrebbero causare problemi interni di ordine pubblico. In mancanza di documenti, per l’Italia è normalmente impossibile far riconoscere la cittadinanza di uno straniero. E se non viene riconosciuto come proprio cittadino da quello Stato, non può essere rimandato là perché non lo farebbero neanche scendere dall’aereo. Ricordate, alla fine del 2016, quel tunisino che in Germania aveva investito volontariamente delle persone con un camion, uccidendole, e poi era stato ucciso a sua volta a Monza dalla nostra polizia dopo un breve conflitto a fuoco? (basta digitare su qualsiasi motore di ricerca). Si sapeva da sempre che era tunisino, ma la Tunisia ha risposto in via diplomatica, riconoscendolo come suo cittadino, solo qualche giorno dopo che era stato ucciso in Italia.

[11] In Cina, dove i diritti individuali non sono tutelati come da noi, se l’assistito viene rilasciato su istanza dell’avvocato, ma poi non si presenta davanti al giudice il giorno dell’udienza, è l’avvocato stesso che risponde in prima persona al posto del suo assistito irreperibile (se la legge non è ultimamente cambiata, la cosa funzionava così). Immaginatevi una norma del genere da noi: avremmo carceri piene di difensori di mafiosi e di stranieri.

[12] Ecco un esempio pratico del perché le nostre leggi, per voler tutelare al massimo i diritti individuali, finiscono spesso per non raggiungere lo scopo per cui sono state fatte, e soprattutto per non tutelare neanche l’interesse dello Stato-collettività: una madre italiana, sposata con un tedesco cui era stata affidata la figlia minorenne dopo la separazione, aveva sottratto al padre la figlia portandola in Italia. Avventatamente, pensando che in Germania la legge funzionasse come in Italia, dopo un po’era tornata da sola in Germania. Al confine, la polizia tedesca l’aveva fermata dicendole che non sarebbe stata rilasciata finché la figlia non fosse arrivata lì. Dopo un paio di telefonate, in giornata, qualcuno ha accompagnato la figlia al confine. Il padre l’ha riavuta, la madre è stata subito dopo rilasciata, e nessun giudice è stato neanche investito della questione. Problema risolto in 24 ore.

Cosa sarebbe invece successo in Italia? Al padre sarebbe stato detto di presentare querela per inosservanza del provvedimento del giudice in punto affidamento. In Italia, che si definisce ancora patria del diritto, sia il padre che la madre hanno il sacrosanto diritto di veder risolta la loro bega da un giudice. Di lì a qualche anno si sarebbe tenuto il processo, ma poi c’era ancora l’appello e la cassazione, per cui sarebbe arrivata facilmente prima anche la prescrizione del reato e comunque, nel frattempo, la figlia sarebbe probabilmente diventata maggiorenne, con cessazione dell’affidamento. Per tutelare al massimo la madre che per prima aveva violato la legge, non si sarebbe tutelato il padre affidatario, e neanche l’interesse dello Stato a veder rispettati i suoi provvedimenti.

Forse per dimostrare maggior efficienza di fronte alle lacune legislative, la polizia di frontiera di Trieste ha adottato sul confine orientale il sistema della ‘riammissione informale’ alla Slovenia dal cui territorio lo straniero è arrivato. Ora, è vero che l’art.10 dell’attuale T.U. sull’immigrazione prevede il respingimento in Slovenia di chi ha cercato di entrare nel territorio italiano evitando i controlli di frontiera e senza avere un regolare documento, ma la procedura prevede comunque un formale provvedimento del Questore e l’annotazione su apposito registro; in ogni caso c’è il divieto di riaccompagnare chi ha chiesto asilo o protezione internazionale. Si possono riaccompagnare solo i migranti economici. Ovviamente con una riammissione informale, senza alcun scritto, non è dato sapere se il respinto ha manifestato la sua volontà di chiedere asilo o protezione Soltanto lo scritto, infatti, può lasciare una traccia indelebile. In altre parole, se non viene dato in mano allo straniero un atto scritto, egli non è neanche in grado di dimostrare di essere arrivato in Italia. Inoltre, un volta respinto, nessun avvocato italiano potrebbe autenticare la firma di un cliente all’estero. Per impiantare una causa in Italia lo straniero dovrebbe recarsi da un notaio del posto per rilasciare delega all’avvocato italiano, ma il notaio deve dichiarare di essere certo dell’identità dello straniero sì che, se lo straniero non ha con sé un documento, nessun notaio ovviamente dichiarerà di essere certo della sua identità.

Di fatto, quindi, la riammissione informale si trasforma in un gioco dell’oca: sappiamo bene che questi migranti vengono rimandati dalla Slovenia in Croazia e poi di nuovo in Bosnia, fuori dei confini d’Europa, dove restano accampati in condizioni disumane e da dove tenteranno di rientrare in Italia. Ormai si sa anche che fra il 60-85% degli espulsi subisce per strada violenza fisica o comunque trattamenti inumani (contrari all’art.3 della CEDU) prima di essere risospinti in Bosnia, per far loro capire che non devono cercare di ritornare in Europa. Noi ci smonteremmo dopo le prime bastonate, ma loro no: noi siamo già sazi, senza illusioni, senza speranza. Ma ci sono altri che hanno tanta fame. Fame di vita, fame di futuro, fame di speranza. Certamente non possiamo neanche dare tutta la colpa alla polizia croata che ha la sfortuna di essere in prima linea a dover controllare i confini dell’Europa. Resta inoltre discutibile se la riammissione a catena (dalla Slovenia alla Croazia e dalla Croazia alla Bosnia, fuori dei confini europei) sia imputabile anche all’Italia. Legalmente l’Italia può giustificarsi affermando che la Slovenia è un Paese sicuro facendo parte dell’Europa, e che invece non ha alcuna competenza legale su quello che succede in Slovenia (e ancor meno in Croazia). C’è sempre differenza fra responsabilità legale e responsabilità morale. C’è chi rileva che in tal modo l’Italia elude la normativa europea perché dimostra con la prassi della riammissione di eludere la proclamazione del valore del diritto di asilo, e - sapendo dei trattamenti degradanti che i migranti alla fine subiscono,- sarebbe anche legalmente responsabile per un effetto extraterritoriale delle norme europee: l’Italia dovrebbe perciò dichiarare non sicuri anche la Slovenia e la Croazia, pur trattandosi di Paesi dell’Unione Europea. Si potrebbe obiettare che, dall’altra parte, vi è da parte degli stranieri un abuso di diritto, visto che, sapendo che invocando il diritto d’asilo non si può essere espulsi, tutti sono propensi a invocare questo diritto, anche se non hanno alcun reale motivo per invocarlo. Inoltre dovremmo ricordarci di come ci disturbava il fatto che la Francia ci dichiarasse Paese non sicuro, rifiutando l’estradizione di terroristi condannati definitivamente in Italia, come ad es. nel caso di Cesare Battisti.

Il Tar Friuli Venezia Giulia Trieste, 18 maggio 2003, n. 456 ha ritenuto che, essendo il respingimento un provvedimento ad effetto immediato che esaurisce i suoi effetti con l'accompagnamento alla frontiera e non produce il divieto di reingresso, non c’è violazione del diritto soggettivo della libertà personale. Quindi il trasporto coattivo al confine non costituisce privazione della libertà personale. Con l’attuale procedura, però, resta sicuramente quanto meno la violazione amministrativa nell’informalità della riammissione senza aver seguito la procedura prevista, e va ricordato che ogni provvedimento della nostra pubblica amministrazione deve essere fatto per iscritto, a tutela di chi subisce il provvedimento. Inoltre, se lo straniero ha chiesto asilo o protezione, e la richiesta non è stata formalizzata, può essere contestato il reato di omissione di atti d’ufficio in capo al pubblico ufficiale che ha fatto orecchi da mercante. Ovviamente il fatto sarà difficile da provare, perché sarà la parola dello straniero contro la parola dell’agente di polizia. L’unica obiezione giuridica da opporre allo straniero sarebbe: se aveva tanta paura di restare a casa sua, perché non ha fatto richiesta non appena entrato in Europa (e quindi in Croazia che dal 2013 fa parte dell’Unione europea), o perché non l’ha fatta neanche in Slovenia? Però in tal senso ci dovrebbe essere prima una chiara disposizione europea.

Un’ultima annotazione. L’attuale procedura informale, così concepita, mi sembra sia fatta apposta per salvare le spalle al questore, e lasciare gli agenti nei guai. Infatti sarebbe lui a dover firmare il provvedimento amministrativo di respingimento e ad essere chiamato in causa se non risultasse o si negasse che lo straniero ha chiesto asilo.

[13] In effetti, in quanto occidentali dovremmo fare un bell’esame di coscienza. Politi M., Chiesa e migranti, quali sono le responsabilità del ‘Primo mondo’ sul Terzo, del 1.9.2017: “Dei 181mila profughi, che sono approdati in Italia nel 2016, il 21% proveniva dalla Nigeria. Eppure la Nigeria possiede enormi ricchezze grazie alla produzione del petrolio. Non ci vuole Sherlock Holmes per scoprire il mistero. Basta la testimonianza di Lamido Sanusi, ex governatore della Banca centrale nigeriana: nel solo biennio 2012-2013 sono stati sottratti alle casse pubbliche 20 miliardi di dollari (proventi del petrolio) e incanalati in conti cifrati privati nelle banche occidentali e in paradisi fiscali. Agli Stati, ai governi che oggi si riuniscono allarmati per arrestare la valanga dei disperati, che si riversano sull’Europa, evidentemente sta bene non disturbare i manovratori economici e finanziari”. Altra osservazione: attraverso il Mediterraneo passa di tutto: armi, sigarette, petrolio, esseri umani venduti o da vendere. Noi alziamo la voce contro gli esseri umani che cercano di scappare dalla guerra o dalla fame, mentre i traffici non vengono efficacemente contrastati (Zanotelli A., Prima che le pietre gridino, ed. chiarelettere, Milano, 2018, 75). Vedi anche note successive.

Altro dato – fornito dall’Ufficio Immigrazioni della Prefettura di Trieste, nel 2017 - che dovrebbe farci pensare e che conferma che forse dobbiamo rimproverare noi stessi se l’immigrazione aumenta: una mucca in Europa viene sovvenzionata con €800 all’anno; milioni di persone vivono fuori del mondo occidentale con circa €365 all’anno. Ovvio che l’Europa venga vista come l’Eldorado. Insomma qualche colpa ce l’abbiamo anche noi se in tanti premono alle nostre frontiere.

[14] Sono quasi novanta le multinazionali coinvolte nell’estrazione di cobalto, coltan, oro, diamanti, stagno, gas (Ivardi Ganapini F., Ipotesi sull’uccisione dell’ambasciatore italiano, “Nigrizia” 3.3.2021).

[15] Uno straniero arrivato fin qui ha detto: «Molto tempo fa, quando i primi missionari arrivarono in Africa, noi avevamo la terra e loro avevano la Bibbia. Dissero: “Preghiamo!”. Abbiamo chiuso gli occhi con il dovuto rispetto, e alla fine hanno detto: “Amen”. Abbiamo riaperto gli occhi ed ecco, i bianchi avevano la terra e noi la Bibbia».

[16] Anche gli animali sono costretti a spostarsi, e spostandosi spargono e risvegliano virus e batteri che in precedenza si trovavano da tempo immemorabile in stato di sostanziale quiete in quelle zone. Si pensi al riscaldamento globale che fa sciogliere il permafrost nelle zone artiche, liberando decine e decine di tipi di virus a noi sconosciuti, che prima si trovavano imprigionati nel terreno.

[17] Ad es. il Congo, con tutte le sue ricchezze naturali, dovrebbe aver assicurato il benessere a tutti i suoi cittadini. Invece – come ci ricorda purtroppo la recente uccisione del nostro ambasciatore,- la povertà regna sovrana, mentre una lotta fra bande continua a imperversare da decenni, rendendo difficile vivere in quel Paese.

[18] Basta pensare ai territori indigeni dati in concessione alle multinazionali per attività estrattive o agro-alimentari, con nessun vantaggio per le popolazioni locali che però subiscono tutti i danni. Ogni anno circa 280 difensori di diritti umani e ambientali vengono uccisi in sud America, e i successi sporadici di donne combattive e coraggiose non sono sufficienti per rovesciare la tragica situazione (cfr. Battistessa D., Donna forte e insorgente, ed. Aut Aut, Palermo, 2020, che racconta la storia di alcune di queste donne, alcune anche uccise).

[19] Come chiariva già Niccolò Machiavelli, Il Principe, 15[1], chi vuol essere sempre buono sarà condannato a perire fra i tanti che buoni non sono.

[20] Il religioso pensa che tutti sono fratelli, per cui è contento se l’Europa, che ha cibo in abbondanza, manda il suo surplus in Africa dove non c’è altrettanto benessere. In effetti, quando l’Europa ha un forte surplus di prodotti alimentari li dona a Paesi del Terzo mondo. Ma non è detto che questo sia sempre un bene. L’agricoltore in quelle terre aspetta il frutto della terra pazientando, perché non può affrettare la crescita dei frutti nel proprio campo come facciamo noi in Occidente, e vive di un’agricoltura a livello di sussistenza per sé, vendendo quel poco che gli serve per sopravvivere. Quando gli aiuti alimentari europei arrivano in loco a titolo gratuito, l’agricoltore non riesce più a vendere niente di suo perché viene messo immediatamente fuori mercato sì che, anche se alcuni mangiano gratuitamente grazie ai nostri aiuti, trasformiamo questo agricoltore in un futuro probabile migrante, perché gli abbiamo fatto perdere quel poco che poteva ricavare dalle sue vendite. Lo stesso succede quando le multinazionali costringono a fare monoculture, distruggendo l’agricoltura di sostentamento di tanti piccoli contadini.

[21] Dunque, lo Stato esiste e bisogna tenerne conto, e la Chiesa non può pretendere di trasformare in reato punito dallo Stato ciò che, a suo giudizio, costituisce peccato. Non tutti, infatti, la vedono come la Chiesa, e la Chiesa non può prevalere su tutta la società visto che non tutti vogliono farne parte.

L’idea di applicare alle leggi statali l’etica dei principi mi ricorda tanto il comportamento di chi vuole cancellare dalla faccia della terra ogni legge che prevede l’aborto perché la vita del concepito è sacra… fino alla nascita (o poco più); dopo, ciascuno si arrangi come può! È chiaro cioè che in tal modo l’aborto sta rischiando di diventare la bandiera di uno schieramento ideologico. Ad es., negli Stati Uniti i vescovi si sono riuniti per decidere se il presidente Biden può ricevere o meno la comunione, visto che non intende cancellare la legge che permette l’aborto. Mi sembra pacifico che, facendo dell’accesso alla comunione un’arma, questi vescovi non faranno altro che alienare ancora di più tante persone che, pur considerano l’aborto una grave ferita inferta alla dignità umana, non la considerano l’unica ferita degna di essere soppesata quando si entra nei seggi elettorali.

Ma che c’entra l’aborto con l’immigrazione? C’entra perché normalmente i più pronti a condannare l’aborto sono anche i più pronti a voler respingere gli immigrati: e se questi muoiono perché respinti? Pazienza. Ma allora, se i genitori di tutti questi immigrati avessero abortito, proprio chi vuol oggi respingerli si sarebbe trovato risolto anche questo secondo problema. Forse il vero problema è che, quando qualcuno non vede più l’uomo (che è tale anche da adulto, e non solo allo stato fetale) non vede più Dio, anche se continua a pregarlo e lodarlo in chiesa. È già ateo, anche se non lo sa ancora. Quindi, è ateo chi in contemporanea combatte l’aborto e l’ingresso degli immigrati. Il mondo è stato sempre popolato di uomini piissimi che onoravano Dio e disonoravano gli uomini.

Disonorano l’uomo perché, a loro, interessa solo evitare l’aborto, al dopo devono pensarci altri. Ma il dopo arriva presto per chi è nato, e così ci si limita a spostare il problema di un poco nel tempo. Infatti, non tutti i poveracci non abortiti arrivano qui da noi come migranti: se secondo l’organizzazione Save the children, nel solo Niger, 330.600 bambini sono a rischio di morte per fame in un anno, quanti di questi pii cattolici che si concentrano contro l’aborto, sono poi disposti a partire (per lo meno nel periodo delle loro ferie) per un Paese del terzo mondo e sporcarsi le mani là dove la vita si annuncia, aiutando anche una sola mamma ed il suo bambino, che non è stato abortito, a sopravvivere a casa sua? Come mai tanti fanno fuoco e fiamme per i non nati, ma poi si dimenticano dei tanti nati che di lì a poco già muoiono, mentre potrebbero essere salvati? E non occorre neanche andare in Africa, piena di malattie che fanno paura. Basta andare nei Caraibi, a Haiti (l’isola divisa a metà con Santa Domingo, meta balneare di tantissimi italiani), dove un bambino su tre muore prima dei cinque anni (dato riportato in “Famiglia Cristiana,” n.49/2008, 21). Secondo i dati Unicef, ogni giorno muoiono al mondo non meno di 22.000 bambini già nati (vedere in www.unicef.it, quadro globale): che differenza c’è fra non nascere oppure morire poco dopo essere nati per fame o malattie?

Ora, non metto in dubbio che è importante occuparsi dei non nati; ma non è contraddittorio far nascere un bambino e subito dopo disinteressarsi al fatto che il nuovo nato può morire facilmente, per continuare ad occuparsi di altri non nati? Non è contraddittorio difendere di più la vita dei non nati che la vita di chi è già nato? Non mi sembra che le due cose possono essere scisse, e occorre pensare anche al dopo, perché anche dopo siamo davanti a una vita che chiede di essere salvata. Altrimenti si fa solo ideologia.

[22] In Cina hanno vaccinato per prima la fascia fra i 40-60 anni, poi i giovani e poi da ultimo i vecchi. Dicono, infatti, che quelli appartenenti alla prima fascia si muovono di più, favorendo il contagio, mentre i vecchi stanno quasi sempre a casa loro.

[23] Infatti, portando all’estremo il principio di accoglienza – giustissimo in astratto,- potremmo finire anche noi nella povertà più estrema, e quindi anche noi finiremmo con l’avere bisogno di aiuti da parte di terzi. Del resto, neanche Gesù si è fatto carico di tutti (Mc 1, 32-34: hanno portato tutti davanti a lui, ma lui ne ha guariti molti), e ci dicono che lui era Dio. Ognuno deve semplicemente farsi carico degli altri, nel limite del possibile. Pensare invece di poter risolvere i problemi di tutti ci porterebbe semplicemente al delirio di onnipotenza, mentre dobbiamo anche saper riconoscere i nostri limiti.

[24] Ricordava Niccolò Machiavelli, Il principe, 18[1] che esistono due modi di combattere: uno con le leggi, l’altro con la forza. Il primo è proprio dell’uomo, il secondo delle bestie. Ma poiché il primo, molte volte, da solo non basta, bisogna ricorrere al secondo.

[25] Teniamo presente che l’impero romano è crollato – come dice sempre il Machiavelli (Il Principe, Bur-Rizzoli, Milano, 2013, 13[1 e 6]) - quando vennero assoldati i goti per la difesa dei confini. Infatti le milizie alleate sono pericolose per chi le chiama, perché se perdono anche tu sei sconfitto, ma se vincono diventi loro prigioniero. A quel punto, le forze dell’impero cominciarono a indebolirsi e l’energia e il valore delle legioni romane si trasfusero alle truppe germaniche, che in breve s’impadronirono del potere. Certo, il mondo è andato avanti ugualmente anche dopo il crollo dell’impero romano, ma per tanti che vivevano dentro i confini dell’impero è stata la fine del mondo. Così come per gli indigeni delle Americhe l’arrivo dei bianchi ha significato la fine del loro mondo.

[26] La stessa Chiesa ammette la legittima difesa (nn. 2263ss. Catechismo; cfr. pure la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes § 79, del 7.12.1965). Però ammetteva in passato anche la pena di morte e la guerra legittima, ultimamente cancellate (Enciclica Fratelli tutti, §§255ss.); e ancora prima ammetteva perfino la schiavitù e la tortura. Come si vede, anche il cristianesimo muta.

[27] http://www.ilgiardinodegliilluminati.it/frasi_aforismi/frasi_sagge_aforismi_mohandas_gandhi.html.

[28] Hillesum E., Diario, ed. Adelphi, Milano, 2006, 169.

[29] Non si può parlare così della Madonna? Ed io parlo lo stesso.

[30] “Gesù è venuto a parlare contro ogni forma di violenza. Non ci sono legittimazioni alla violenza” (Cives D., Tonino Bello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 31). Bel principio, ma in pratica è sempre applicabile?

[31] Ricca P., Legittima difesa e non violenza, risposta del 10.10.2012, in https://www.fondazionegraziottin.org/pdf/articoli.php?ART_TYPE=SPIRIT&EW_FATHER=16633.

[32] Noi, in occidente, siamo sostanzialmente benestanti, e per i paesi poveri siamo tutti ricchi: per questo arrivano qui gli immigrati. Ora pensiamo a come un ricco vive diversamente se mette o non mette Dio al centro della sua vita. Il ricco senza Dio pensa di non dover rendere conto a nessuno, se non a sé stesso, della sua ricchezza. Il ricco che mette Dio al centro sa che la ricchezza non è sua; egli è solo un amministratore che è responsabile verso Dio perché i beni sono di proprietà di Dio e non sono suoi; egli, come un fratello maggiore, li sta amministrando per sé, ma anche a vantaggio dei propri fratelli. Quindi non deve essere il povero ad andare a chiedere l’elemosina alla porta del ricco, ma deve essere il ricco ad andare alla porta del povero per vedere cosa può fare per lui. Altrimenti sa che farà la fine del ricco epulone nella parabola del povero Lazzaro (Lc 16, 19ss.). Se uno aspetta che i poveri si avvicinino, come può pensare di essere loro servitore (Mc 10, 43)? Ma uno replicherà: “Anche se sono occidentale non mi sento affatto ricco”. Basta allora fare ogni sera un semplice conto: c’è proporzione fra quello che ho speso oggi per me (sigarette, giornali, cibo, sport, benessere) e quanto ho dato a chi non ha neanche da mangiare? Non potevo togliermi neanche un euro che ho sprecato superfluamente?

E teniamo presente che, in questa relazione ricco-povero, la parabola del ricco epulone (Lc 16, 19-31) afferma che non solo il ricco può aiutare il povero con i suoi denari, ma anche il povero può aiutare il ricco. Un giorno il povero Lazzaro morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco epulone, che mai si era accorto in vita che Lazzaro stava alla sua porta, e finì negli inferi, dove cercò di richiamare l'attenzione di Lazzaro che stava più in alto di lui. C'è un evidente cambio di scena fra la vita dei due sulla terra e dopo morti, e Luca mette in guardia chi vive nel benessere: il rischio è quello di fare una brutta fine dopo morto, visto che da vivo non è stato capace di accogliere il richiamo a cambiar vita, a convertirsi. I ricchi possono salvarsi? Fortunatamente sì, grazie ai poveri. Qui sulla terra sono i poveri che attendono davanti alla porta dei ricchi. Lassù saranno i ricchi che supplicheranno i poveri di ricordarsi dell'amicizia che hanno dimostrato loro, delle ricchezze che hanno condiviso, della comunione dei beni della terra che hanno realizzato a loro favore. Con l'ambigua frase "Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando verrà a mancare, essi vi accolgano" (Lc 16, 9) Gesù sembra dire ai ricchi: "Usate la vostra ricchezza, ottenuta sulla terra disonestamente (perché se lavorate veramente con onestà non diventerete mai veramente ricchi), per aiutare i poveri; conquistate la loro amicizia dividendo con loro i vostri beni. Essi saranno i vostri amici, e quando al termine della vostra vita il denaro non vi servirà più a niente, essi vi introdurranno nella casa del Padre".

Ma l’inferno dove finisce il ricco epulone esiste? Sicuramente per Lazzaro l’inferno era su questa terra. Poi, fuori del tempo terreno, sembra che ciascuno resti quello che ha voluto essere in vita.

[33] È vero che anche noi siamo stati emigranti, ma arrivati negli Stati Uniti si finiva in quarantena, e solo dopo adeguata visita medica si otteneva il permesso di entrare negli Stati Uniti, sulla terra ferma. Per andare in Australia occorreva presentare una cospicua documentazione, anche sanitaria, prima di partire. E perfino in Europa si era sempre passibili di espulsione. Sicuramente non si poteva pensare di entrare con la forza in nessun Stato straniero.

[34] Fino a poco fa la Chiesa ammetteva la legittima difesa anche per gli Stati, perché ammetteva la guerra giusta. Con l’ultima Enciclica Fratelli tutti §258, il magistero ha riconosciuto che tutte le guerre sono ingiuste.

[35] La Costituzione italiana riconosce il diritto di muoversi liberamente nel territorio italiano. È mio inalienabile diritto muovermi ovunque? Non credo che io possa entrare e girare liberamente nei quartieri spagnoli di Napoli. Neanche i napoletani osano farlo. Anche una bella ragazza può invocare il diritto di girare in minigonna liberamente di notte ovunque. Ma diremmo che se le succede qualcosa è stata alquanto imprudente. Anche l’africano ha l’inalienabile diritto di girovagare per la savana, ma se pretende di passare in mezzo a un branco di leoni diremmo che è stato quanto meno imprudente.

Altro es.: chiunque, e quindi anche lo straniero che si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente (art.2.1 protocollo n.4 aggiunto il 16.9.1963). E chi si trova irregolarmente? Gli vengono comunque riconosciuti alcuni diritti minimi fondamentali per il solo fatto che si è in presenza di una persona umana. Ma non è sempre facile stabilire se un diritto rientra fra i cd. diritti inviolabili. Sicuramente lo straniero ha diritto a non subire torture quando cerca di entrare illegalmente in Europa, e chi la pone in essere commette reato contro i diritti dell’uomo. Ma ha il diritto di ottenere un lavoro? Ha il diritto di ottenere una casa? Ha il diritto di essere mantenuto dalla collettività senza lavorare? Dovremmo risolvere questi problemi, prima di decidere di farli entrare tutti.

[36] L’ultimo censimento Istat-Fio.Psa (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora), risalente al 2015, stimava in circa 50.700 le persone che vivono per strada in Italia (“Famiglia cristiana”, n.6/2021, 55).

[37] https://www.panorama.it/news/immigrazione-italia-numeri-cose-sapere.

[38] Cicerone M.T., I doveri [off. 1,33]. Lo stesso papa Francesco aveva detto: “sogno un’Europa in cui essere un migrante non sia un crimine, che promuove e protegge i diritti di tutti senza dimenticare i doveri nei confronti di tutti (richiamato da Bauman Z., Le risposte ai demoni che ci perseguitano, http://www.corriere.it/esteri/16_luglio_25/zygmunt-bauman-le-risposte-demoni-che-ci-perseguitano-b1d972a6-52a3-11e6-9335-9746f12b2562.shtml).

[39] L’indifferenza è il peggiore dei mali. Ci chiediamo come mai i tedeschi sono rimasti indifferenti di fronte a Dachau o Auschwitz. E noi cosa facciamo dopo aver visto cosa succede agli immigrati nei Balcani?

[40] Bianchi E., Non evadere le tasse, “Famiglia Cristiana” n. 24/2010, 50: Non pagare le tasse viola ben tre comandamenti: non rubare, sottraendo alla collettività quanto le appartiene per la cura del bene comune; non mentire nel dichiarare l’ammontare del proprio reddito; non desiderare che i beni che spettano a tutti restino di proprietà personale, perché in tal modo i servizi di cui gode anche l’evasore sono pagati dagli altri.

[41] Il nazionalismo esasperato e risentito, anche xenofobo come viene espresso da una certa destra, è solo una nuova forma di egoismo nascosto sotto la scusa di un interesse nazionale.

[42] In Italia già un’impresa su dieci e creata da immigrati, e questo è utile per noi tutti

(https://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/07/03/italia-impresa-dieci-guidata-stranieri-la-mappa-settori/). Se gli stranieri sono meno di un decimo, vuol dire che lavorano esattamente come noi.

[43] Basta consultare un po’ di siti su internet, compresi quelli dell’Inps e dell’Istat.

[44] Economia e immigrazione, rapporto annuale, in Oreunidici, n.11/2020, 21.

[45] https://www.chiesacattolica.it/cci_new/parrocchie/parrocchie.html.

[46] Dietrich Bonhoeffer giustamente diceva: «Il primo servizio che possiamo dare al prossimo è quello di ascoltarlo… Chi non sa ascoltare il fratello, non saprà presto neppure ascoltare Dio» (Bonhoeffer D., Vita Comune, Queriniana, Brescia 2003, 124).

[47] Mi sovviene quanto ho letto qualche anno fa, e non ricordo di chi sia questo arguto pensiero: “I bambini immigrati non sanno parlare italiano, per cui a scuola rallentano l'insegnamento a tutta la classe. E se imponessimo loro un corso intensivo d'italiano di 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana? All'iniziale meraviglia seguirebbe un coro di proteste, perché i bambini hanno bisogno di giocare e non possono essere sacrificati. Finché però, a casa loro, facevano lo stesso orario di 12 ore al giorno lavorando in campagna o in fabbrica per realizzare tappeti, palloni di calcio, scarpe per i "veri" italiani nati e vissuti sempre in Italia, nessuno aveva nulla da ridire.

Questo, allora, ci ricorda anche la storia del cotone americano comprato dall'Europa nel 1800, perché era buono e soprattutto costava meno. Lo credo bene: era prodotto dagli schiavi; ma su questo punto tutti gli europei facevano finta di non sapere nulla.

[48] Ricordo che Federico II, nel 1200, era stato scomunicato per non aver fatto la crociata che il papa gli chiedeva di organizzare per riprendere Gerusalemme. Ma visto che, fra le varie lingue, parlava anche l’arabo, con le trattative portate avanti di persona era presto riuscito a ottenere il permesso di accesso per tutti i pellegrini cristiani che volevano andare a Gerusalemme, senza spargere una goccia di sangue.

[49] La figura del "precario" ovvero del "comodato precario" (art. 1810 c.c.) si caratterizza per la previsione che la scadenza della validità del vincolo dipende esclusivamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare “ad nutum” cioè mediante semplice richiesta di restituzione del bene. Tale richiesta determina l'immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità e al godimento della cosa, con la conseguenza che una volta sciolto per iniziativa unilaterale del comodante il vincolo contrattuale, il comodatario che rifiuti la restituzione della cosa, viene ad assumere la posizione di detentore “sine titulo” e quindi abusivo del bene altrui, salvo che dimostri di poterne disporne in base ad altro rapporto diverso dal precario (Cass. civ. n.6987/2000).

Sembra tutto facile, ma in realtà il problema è, come al solito in Italia, che l’abusività dà diritto al risarcimento, ma non permette di arrivare immediatamente in loco con l'ufficiale giudiziario e la polizia per buttar fuori di casa l’occupante abusivo: occorre sempre rivolgersi al giudice con tutta la conseguente infinita procedura. Il legislatore dovrebbe accelerare anche queste procedure.

[50] Ricordo che https://refugees-welcome.it/ propone alle famiglie italiane di accogliere in casa rifugiati e titolari di protezione umanitaria. Penso sia più facile trovare qualcuno disposto ad ospitare famiglie che giovani arrivati da soli, per il semplice fatto che il singolo giovane aumenterebbe il senso d'insicurezza da parte di chi ospita.

[51] Solo con una legge dello Stato (che, come al solito, al momento manca) potrebbe essere imposto, in corrispettivo del mantenimento, di svolgere un certo numero di ore di lavoro. Infatti, l'art. 23 della Costituzione afferma che nessuna prestazione personale può essere imposta se non in base alla legge. Senza legge, non si può obbligare nessuno a lavorare.

[52] E non dimentichiamo che, dopo che l’Occidente fatto cadere il regime dittatoriale di Gheddafi (che dirigeva con pugno di ferro la Libia, facendo al più sfogare all’estero qualche attentatore che non aveva spazio all’interno), non ha affatto esportato lì la democrazia; oggi abbiamo la Russia che controlla la Cirenaica e la Turchia che controlla la Tripolitania: purtroppo per noi, il controllo implica che vengono pure controllati i rubinetti del vitale (per noi) petrolio e dei migranti ammassati in quel Paese, il che ci rende particolarmente esposti. In ogni caso, chi strilla perché non dobbiamo trattare con le milizie libiche fornendole anche di motovedette, dimentica che ormai dobbiamo trattare con la marina turca, e che la Turchia forse si sta riprendendo quei territori che noi italiani le avevamo sottratto nel 1912. Di mezzo ci va sempre e solo la popolazione locale.

[53] Se uno straniero non ha documenti ha sicuramente dei parenti nel Paese d’origine che si possono contattare (anche telefonicamente). Questi parenti potrebbero attivarsi per far procurare i documenti necessari, comprese eventuali attestazioni che confermino che chi si trova in attesa nel campo di raccolta è proprio cittadino di quello Stato. Questi documenti dovrebbero poi essere portati all’ambasciata/consolato europeo più vicino, sempre in quello Stato, e trasmessi telematicamente e velocemente agli uffici che curano qui queste pratiche.

[54] La riserva permette allo Stato che la propone di non applicare una certa disposizione della convenzione.