Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Leonardo Boff, 7 giugno 2012 - Foto di Valter Campanato (Agência Brasil), tratta da commons.wikimedia.org


Gesù liberatore

di Dario Culot



La parola ‘libertà’ – come del resto tante altre parole - può avere vari contenuti. Nella guerra civile americana dell’800 il nord combatteva per la libertà degli schiavi, il sud per la libertà di mantenere la schiavitù che il nord gli voleva togliere. Due libertà contrapposte e inconciliabili?

Ci rendiamo conto che oggi la nostra libertà è legata anche all’ambiente, nel senso che senza acqua e cibo di certo non potremmo essere liberi. Diceva giustamente il nostro ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che questo valore non può mai esistere da solo: “In coscienza, Lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli ed educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà. La libertà senza giustizia sociale è una conquista vana. Si può anche aggiungere che la pace è imparare a vivere insieme nel rispetto delle diversità, ma a sua volta presuppone una giustizia sociale. Tutto questo, però, non si può né pretendere, né elemosinare: si può ottenere solo quando tutti, responsabilmente, si danno da fare”. Dunque, neanche ogni bimbo appena nato nasce libero, perché non è uguale nascere in una bidonville senza fogne e senza acqua oppure in un bell’ospedale occidentale, con assistenza medico-infermieristica. Per di più la libertà non è neanche acquisita una volta per sempre, e se non la si cura con attenzione può sempre essere sottratta, violentemente o anche quasi senza accorgersene. In ogni caso, oggi, siamo sempre più consapevoli che, per fare posto agli altri, occorre comunque ridurre il nostro spazio di libertà. È vero che chi si considera padrone non è disposto a riconoscere i diritti degli altri: vede solo sé stesso e gli altri solo in funzione di sé stesso; ma è anche vero che, a furia di chiedere sempre più diritti, si dimenticano i doveri, e un dovere è ciò che in un individuo corrisponde ai diritti di un altro[1]. È vero cioè che la cultura di rivendicazione dei diritti è stata condotta spesso in chiave individualista, eclissando il senso di solidarietà sociale che di essi costituisce necessario complemento come dimostra la felice formazione dell’art. 2 della nostra Costituzione.

Ma allora che tipo di libertà ci ha portato Gesù? Perché diciamo che è un liberatore?

Ci hanno insegnato che Gesù è liberatore perché ci ha liberati dal peccato. Nell’episodio dell’annunciazione a Giuseppe (Mt 1, 21) si legge infatti che Maria “partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Giovanni (Gv 8, 34) dice espressamente che Gesù ci ha liberato dalla schiavitù del peccato, e la dottrina tradizionale nel confermare il punto (n.421 Catechismo)[2] aggiunge che l’uomo ha abusato della sua libertà (n.415 Catechismo). Ma se si aderisce a questa idea di liberazione, Gesù avrebbe fallito perché tutti noi continuiamo imperterriti a peccare, né più né meno delle generazioni precedenti[3]. Inoltre in un articolo del 2018[4] avevo già spiegato come – nonostante il concilio di Trento nella sessione I del 13.12.1545 avesse colpito con scomunica chi non credeva alla storicità del racconto di Adamo ed Eva, alla loro trasgressione al comandamento di Dio e al peccato originale - oggi ormai neanche gran parte del clero ci crede più, e inquadra questa visione fra i rimasugli del catechismo[5].

La teoria della liberazione dalla schiavitù del peccato sostiene che, siccome con i suoi peccati l’uomo (ogni uomo) si è consegnato a Satana, ecco che l’umanità è diventata schiava del peccato, e più in particolare schiava del diavolo. Il n. 407 del Catechismo spiega, appunto, che, in seguito al peccato originale l’uomo ha una natura ferita, incline al male, ed è schiavo sotto il dominio del diavolo.

La Chiesa poi ci spiega che condanna il peccato e non il peccatore. Ma è difficile distinguere fra peccato e peccatore, visto che la condotta è un’estensione di ciò che siamo, e siamo tutti peccatori (Rm 3, 23), nessuno escluso.

Ora, se vogliamo comunicare una parola di salvezza per la gente di oggi, più logico mi sembra sostenere che Gesù sia venuto semplicemente a liberare gli uomini da un rapporto impraticabile con Dio basato sul peccato, perché ha tolto quel velo che impediva all’umanità di scorgere l’amore di Dio, che ci faceva sentire sempre in colpa, che ci faceva rinchiudere in noi stessi. Gesù salva la gente non dalla schiavitù del peccato, ma dalla schiavitù della religione, per portarla nella libertà della fede.

Possiamo anche accettare l’idea che Gesù liberi dal peccato, ma non intendendo questo termine come trasgressione di una legge divina che offende Dio. Stando al Vangelo di Giovanni, Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29),[6] questa cappa che ha pesato per secoli sull’umanità. Si pensi solo al fatto che mettendo il peccato al centro della vita, l’uomo finisce col centrarsi su sé stesso nell’angoscioso tentativo di migliorarsi. Se al posto del peccato mettiamo invece al centro la sofferenza dell’umanità, si è liberi di centrarsi sugli altri, e Gesù è venuto a dirci che Dio non chiede nulla, visto che non ha bisogno di niente, ma dà (At 17, 25); che Dio non chiede obbedienza, ma somiglianza; che Dio non chiede di essere servito, ma serve; che l’amore di Dio non è un premio che si deve meritare, ma un regalo;[7] che l’uomo non deve purificarsi per avvicinarsi a Dio, ma basta accogliere il Signore ed è Lui che ti purifica; che non occorre fare tutto per Dio, ma il bene in Dio sfruttando l’energia che Lui stesso ci dona gratuitamente per alleviare le sofferenza degli altri su questa terra. Il peccato, perciò, è il tradimento dell’uomo verso sé stesso, tradimento che consiste nella rinuncia alla pienezza di vita cui Dio lo ha destinato (Gv 8, 21-30), rinuncia a raggiungere il massimo dell’umanizzazione. Ciascuno si posiziona in questo mondo in base alla sua opzione: o incondizionatamente si pone in favore dell’uomo come ha fatto Gesù, o si pone contro l’uomo rendendosi complice dell’oppressione propria o di altri uomini. Quale che sia la scelta di ciascuno, essa si manifesta in concreto dal modo di operare, nel comportamento quotidiano, al di là di ciò che le parole o i credi affermano[8]. 

Il messaggio che ci sta trasmettendo il vangelo, valido ancora oggi, è questo: cosa è che determina il bene e il male? Per l'istituzione religiosa il bene o il male viene determinato dall'osservanza o meno della volontà di Dio che lei stessa interpreta e trasforma in norme vincolanti, affermando che questa legge esprime la volontà di Dio: se tu osservi la legge che Dio ha dato agli uomini sei a posto con Dio e fai il bene; se tu trasgredisci la legge che l’infallibile magistero ti insegna non sei a posto con Dio e fai il male, pecchi, devi pentirti e purificarti. È rimasto così nei secoli fino ad oggi, visto che ancora oggi s’insegna che solo il magistero sa interpretare correttamente la legge di Dio, e chi disobbedisce alle regole interpretate dal magistero non può essere unito a Gesù. Gesù, invece, ha detto: “Balle! non è affatto vero! Non è la norma vincolante il criterio di comunione con Dio; non è l'osservanza della legge che il clero dice voluta da Dio che può porre l’uomo in contatto con Lui, ma è il bene che si fa all'uomo”. Il criterio di bene o male non viene dato da un codice esterno all'uomo, che può prevedere solo casi astratti, ma è indicato da un individuo concreto: quell'uomo che si ha lì davanti! Tutto ciò che fa bene a quell'uomo concreto che si ha lì davanti è bene; tutto quello che fa male a quell’uomo concreto è male. Allora il bene all'uomo concreto va fatto sempre, anche se per fare questo bene si trasgrediscono le leggi o le norme vincolanti che ci hanno contrabbandato come volute da Dio, ma che non possono venire da Dio, perché Dio è colui che vive per il bene dell'uomo.

Già nella Bibbia si legge questo monito che un padre fa al figlio: «Ogni giorno, figlio, ricordati del Signore; non peccare … Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell’ingiustizia» (Tb 4,5). Come ha spiegato papa Francesco[9] si può osservare subito un elemento fondamentale: il ricordo che il vecchio Tobi chiede al figlio non si limita a un semplice atto della memoria o a una preghiera da rivolgere a Dio. Egli fa riferimento a gesti concreti che consistono nel compiere opere buone e nel vivere con giustizia.

“Ma sai, c'è questa regola… c’è l’obbligo di andare a messa la domenica per cui devo lasciare solo mio marito gravemente ammalato; c’è il divieto per l’impuro peccatore di accostarsi a Dio che è il puro per eccellenza, per cui tu che non ti sei confessato non puoi fare la comunione; c’è il divieto per il credente pio di avvicinare il peccatore, per cui ho smesso di frequentare quella mia amica immorale”. Non importa! Se la tua azione fa del bene all'altro, va fatta! Quindi, nessuna legge astratta può determinare il comportamento; l'uomo concreto, il caso concreto deve essere l’unico criterio di riferimento. Ma se poi sbaglio? Non ti preoccupare, perché se anche poi scopri di aver sbagliato, ma in coscienza sei stato mosso veramente dall’intenzione di fare il bene di quella persona, non c’è da aver paura davanti a Dio, perché «anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3, 20).

Sempre come Liberatore, Gesù c’invita ad abbandonare il padre. Il padre indica l’autorità e per seguire Gesù bisogna abbandonare il padre (Mt 4, 22), perché l’unico Padre che c’è all’interno della comunità dei credenti è il Padre che è nei cieli. Così Gesù libera non solo gli uomini, ma anche Dio da tutte quelle reti costruite da teologi che hanno finito per ingabbiarlo. Nel geniale romanzo di Dostoevskij,[10] l’Inquisitore ecclesiastico rinfaccia a Gesù: “perché sei venuto a sconvolgerci?” Gesù è cioè visto dai capi dell’Inquisizione come uno scompaginatore dell’ordine costituito. Perché? Perché Gesù è venuto a questo mondo ad annunciare che la cosa migliore per gli uomini è la libertà. E proprio questo detestava il Grande Inquisitore. La religione vede la miglior soluzione per gli esseri umani nella totale sottomissione, sicuro che gli uomini hanno paura della libertà. Per tranquillizzare le coscienze, si aggiunge poi che l’obbedienza al magistero è obbedienza a Dio, ed è questa obbedienza che rende liberi, perché obbedire significa eseguire la volontà di Dio, dunque incontrarsi con Lui. Dicendo “sì” al magistero, e indirettamente a Dio, si ha la piena realizzazione della persona[11].

Gesù invece non la pensa così, e vede la soluzione nella libertà individuale. “Perché non decidete da voi cosa è giusto?” (Lc 12, 57). Il nostro ‘sì’ risponde solo a quel “Se vuoi venire dietro di me” (Mt 16, 24; Gv 12, 26). E qui sta il contrasto insanabile tra la religione ed il Vangelo[12].

Quando Gesù è morto ha lasciato i discepoli costernati, delusi e scoraggiati. Poi, improvvisamente, li troviamo completamente trasformati e capaci perfino di affrontare la morte senza paura, come già ricordato nell’articolo sulla Risurrezione di questa ultima Pasqua. Cosa è veramente successo non si sa. Certamente deve essere accaduto qualcosa di notevole e non previsto[13]. Quello che è certo, è che gli apostoli hanno cominciato a vedere Gesù in maniera nuova e inattesa, e la sua libertà è diventata “contagiosa”, per cui i discepoli raccontano la storia di un uomo libero che li ha resi liberi. Gesù si era infatti comportato con una libertà assoluta in relazione alla Torah, la Legge divina nel suo senso più proprio. Questa libertà chiaramente si vede nel fatto che Gesù, nel suo comportamento e nei suoi insegnamenti sulla Legge, è riuscito a combinare l’inasprimento con la moderazione. Vale a dire, ha inasprito fino all’estremo alcune delle esigenze della Legge, mentre ha ammorbidito o relativizzato altre esigenze della stessa Legge. Insomma, sotto il naso del magistero, ha cambiato la Legge divina che doveva essere immodificabile nei secoli, visto che Dio è immutabile.

Ad esempio, Gesù, riguardo al denaro, ha affermato in maniera drastica che non si possono servire contemporaneamente due «padroni», o Dio o il denaro: i due insieme sono incompatibili (Mt 6,24; Lc 16, 13). Gesù ha inasprito anche le esigenze riguardanti il rispetto degli altri; non solo si tratta di evitare la vendetta, ma anche l’insulto (Mt 5, 22). Gesù ha inasprito pure tutto ciò che riguarda l’amore verso il prossimo, sotto vari punti di vista: come amore verso il nemico (Mt 5, 43-48 par), come amore verso lo straniero (Lc 10, 25-37), e come amore verso il peccatore (Lc 7, 36-50), e ha inasprito pure l’obbligo dei mariti di rispettare l’uguaglianza dei diritti delle donne, in particolare quando ha annullato il diritto unilaterale del maschio a ripudiare la propria sposa (Mt 19, 1-9). Da sottolineare che Gesù non stava parlando di divorzio (come ci insegnano al catechismo), ma di ripudio riservato ai maschi.

Gesù invece ha addolcito altre esigenze legali, in particolare le esigenze relative ai precetti rituali e cultuali. Così Gesù non ha dato alcuna importanza alle minuziose e complicate norme sulla purezza rituale (Mc 7, 1-7); alle proibizioni sugli alimenti (Mc 7, 18-23); agli obblighi circa il digiuno (Mc 2, 18-22); al rifiuto che colpiva non solo i pubblicani e i peccatori ma soprattutto tutti i suoi amici, quelli che lo frequentavano e condividevano con lui cibo e tavola (Mc 2, 15-17), i pagani e gl’infedeli (Mt 18, 17), e così pure le prostitute (Mt 21, 31s). Anzi le donne in genere. Soprattutto Gesù ha mostrato un’assoluta libertà per quel che si riferiva all’osservanza del sabato, dimostrando che la salute, la vita e la dignità dell’«umano» vengono prima e sono più importanti della santità e dell’osservanza[14].

Teniamo infine presente che Gesù libera senza legare, senza impossessarsi di chi ha liberato da tutti questi legacci. Come si vede fin dall’inizio del vangelo di Marco, Gesù dopo averli liberati lascia andare sia l’indemoniato della sinagoga, sia il lebbroso, sia l’indemoniato di Gerasa. L’opposto di quanto aveva detto il Dio biblico, che avendo liberato gl’israeliti dalla schiavitù egiziana, li considerava suoi servi (Lv 25,55: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio»). L’opposto di quanto insegnato anche dalla nostra Chiesa. E che Gesù non sia venuto a rinchiudere nessuno in un nuovo recinto ce lo conferma lui stesso (Gv 10, 9), quando dice che ogni pecora è libera di entrare e, soprattutto, di uscire. Invece la Chiesa riconosce libertà di ricerca teologica solo all’interno della fede insegnata dal suo magistero,[15] quindi solo all’interno del suo recinto. A differenza dell’istituzione religiosa che si sente sicura solo chiudendo la porta del recinto in cui ha fatto entrare le persone-pecore, Gesù non chiude mai la porta dietro di sé: ecco perché Gesù toglie la sicurezza, ma porta la libertà. Parlare infatti di libertà per persone chiuse all’interno del recinto appare piuttosto contraddittorio. E uscendo cosa troverà ogni pecora? Non una nuova dottrina da osservare, non una legge da osservare, ma un pascolo verde, cioè tutto l’amore che alimenta la vita di una persona in sovrabbondanza (Gv 10, 10), in piena libertà e in piena dignità, come si conviene a credenti adulti e responsabili.

Questo identico concetto viene ripetuto anche nell’episodio della cacciata dal Tempio (Gv 2, 15): ponendolo – a differenza degli altri evangelisti - proprio all’inizio del vangelo per rendere più chiara l’idea che per Gesù non può esistere un solo ovile dove i sacerdoti fungono da pastori, Gesù caccia per prime le pecore. Questo identico concetto di pecore fatte uscire dal recinto lo si ritrova ulteriormente – come si è appena accennato - al capitolo 10 di Giovanni, quando Gesù si proclama l’unico vero pastore e fa uscire le pecore dal recinto dell’istituzione religiosa. Ora, siccome nessuna parola nei vangeli è stata messa lì a casaccio, ma ogni parola ha sempre un preciso significato, valevole allora e valevole ancora oggi, queste espressioni indicano che i veri animali sacrificali sono le persone-pecore: sono loro che vengono sacrificate in nome di Dio dall’istituzione religiosa come pecore. Allora, se Gesù le fa uscire è perché è finita l’epoca dei sacri recinti, è finita l’epoca dei templi, è finita l’epoca dell’istituzione che pretende di comandare in nome di Dio. Facendo uscire le pecore Gesù libera, in realtà, le persone. Gesù dimostra (Gv 9, 39; 10, 21) l’incompatibilità con l’istituzione religiosa e annuncia il proposito di condurre coloro che lo ascoltano fuori di essa, per formare una comunità umana libera, che goda della pienezza che egli comunica[16]. Ogni uomo che ha ricevuto da Gesù lo spirito diventa a sua volta portatore di spirito; a quel punto non regola più la sua condotta in base a una legge, fosse pure divina, ma segue l’impulso interiore che gli è stato comunicato, in piena libertà e responsabilità (Rom 8, 2).

Ecco perché la figura di Gesù emerge allora come quella di un essere umano straordinariamente libero dal punto di vista mentale. Gesù era completamente libero per il prossimo, ed era un uomo completamente libero di darsi agli altri, e di liberare gli altri perfino dalla schiavitù della legge mosaica (Gal 2, 19; 3, 10-13; 4, 21-31; 5, 1-4), come dice Paolo.  Insomma, Gesù ci ha riscattati dalla maledizione della legge[17], e non pensa minimamente di imporci di nuovo il giogo della servitù legale (Gal 5, 1), a differenza di quanto pretende ancora oggi il magistero. Se si toglie la violazione alla legge (divina) si toglie il peccato; se si toglie il peccato crolla la religione. Quindi, la forza della religione è la legge, e il peccato prende la sua forza dalla legge.

Vi suona eretico quello che sto qui dicendo? “Peccato” che stiate dando dell’eretico a san Paolo, perché che il peccato prenda la sua forza dalla legge l’ha detto lui (1Cor 15, 56), non io. Per questo si può affermare che Gesù ci ha liberati dalla maledizione della legge (Gal 3, 13) la quale impedisce la comunicazione diretta con Dio. Non sono di nuovo io a dire queste cose, ma è sempre san Paolo (Rm 3, 20; 1Cor 15, 56).

La religione, all’opposto, ha formulato immagini impressionanti di Dio, anche se poi ci parla di sfuggita del suo amore per gli uomini. Ma fin tanto che si segue l’indicazione religiosa, per quanto l’uomo si sforzi di fare, egli si troverà sempre inadempiente, sempre in debito, e conseguentemente sempre in ansia, con un gran senso di colpa, e a questo punto diventa impossibile sperimentare veramente l’amore di Dio. Allora, quando l’uomo non è sicuro dell’amore di Dio, e di conseguenza della propria salvezza futura, ecco che concentra inevitabilmente le sue energie su sé stesso; vive angosciato, ma ripiegato su sé stesso: ricordate la donna nella sinagoga piegata su sé stessa? (Lc 13, 11). Se l’uomo non è libero, ma schiavo del timore del giudizio altrui, non trova tempo per donarsi agli altri perché deve pensare alla propria salvezza. Gesù insegna l’opposto e libera l’uomo assicurandogli che Dio non rappresenta mai un problema, e che può sempre contare sul suo amore, per cui gli permette di dedicare le sue energie agli altri[18].

Il Dio di Gesù ci dice di mettere innanzitutto in pratica l’amore, e a quel punto non occorre neanche seguire alcuna dottrina, alcuna regola[19]. In ogni caso, l’eventuale formulazione di una dottrina segue, mai precede la pratica, visto che l’amore non può essere trasmesso con formule o dottrine. Dunque l’amore è l’unico strumento che permette all’individuo di crescere. Ecco che Gesù toglie, cioè elimina (non espia), il peccato dandoci la forza (lo Spirito) che è la vita. Ecco che ci libera dal peccato del mondo, da quel velo religioso che ci costringe a pensare a Dio come un genitore ingombrante, minaccioso e autoritario. Questa è l’azione di Gesù. E nei vangeli, questo peccato del mondo, questo velo che negativamente impedisce agli uomini di conoscere Dio come Padre amorevole, è identificato con l’istituzione religiosa. Ma, se i vangeli sono sempre attuali, resta costante il monito ai cristiani per evitare che ricreino gli stessi perversi meccanismi che hanno portato, già ai tempi di Gesù, al rifiuto della vita che Dio continua a comunicare incessantemente agli uomini.

In conclusione, Gesù libera la gente non dalla schiavitù del peccato (perché non è il peccato il nemico principale di Dio, ma lo è mammona e l’abuso di potere per sopraffare gli altri), ma dalla schiavitù della religione, per portarla nella libertà della fede. Gesù è venuto semplicemente a liberare gli uomini da un rapporto impraticabile con Dio basato sul peccato, perché ha tolto quel velo che impediva all’umanità di scorgere l’amore di Dio, che ci faceva sentire sempre in colpa, che ci faceva rinchiudere in noi stessi e c’impediva di occuparsi degli altri che sono nostri fratelli. Questa è la novità portata da Gesù e questa è quella che gli evangelisti hanno chiamato “la Buona Novella”.



NOTE

[1] Non dimentichiamo che con il breve Quod aliquantum del 10 marzo 1791 Papa Pio VI condannò in blocco non solo tutto l’operato dell’Assemblea nazionale costituente francese in campo ecclesiastico, posto che esso mirava a distruggere la religione cattolica, ma condannò anche i principi di libertà e di eguaglianza che avevano guidato l’azione dei costituenti in campo politico, che egli definiva contrari ai diritti di Dio. Sostanzialmente quel papa condannò l’intera Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino. Poco più tardi, nel 1832, con l’Enciclica Mirari vos, Papa Gregorio XVI sosteneva che la libertà di coscienza (oltre che l’errore velenosissimo della libertà di pensiero e di stampa propugnata dai liberali), costituiva un assurdo delirio, tanto da scomunicare Félicité de Lamennais, il quale aveva osato sostenere sul suo giornale la libertà di coscienza in materia religiosa. Non si deve allora dimenticare che, da sempre il potere religioso, per sua natura, si è presentato come potere legittimato a limitare i diritti della persona.

[2] Domanda 377 del 5.12.2012, in www.youcat.org: perché Dio si è fatto uomo in Gesù? Analoga risposta in 

https://amicidomenicani.it/sentiamo-spesso-dire-che-cristo-ci-ha-salvato-ci-ha-liberato/

[3] Maggi A., Il volto di Dio, relazione tenuta a Cuneo nel 2005, 24 ss.

[4] Il peccato originale, nel n.456 del 10.6.2018 di questo giornale.

[5] Lasconi T., Come spiegare ai bambini il peccato originale?, “Famiglia cristiana” n.14/2023, 96.

[6] Non ‘i peccati del mondo’ quindi quelli di noi tutti, come si proclama durante la messa.

[7] Buccheri L., Dio fa sempre fiorire la vita – intervista ad Alberto Maggi, “Fraternità di Romena”,  n. 4/2012, 13.

[8]  Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982, 383.

[9] Messaggio di papa Francesco per la VII giornata mondiale dei poveri, 2023.

[10] I Fratelli Karamazov, episodio del “Grande Inquisitore” V,5

[11] Peccato che, con un inciso apparentemente irrilevante e innocuo si aggiunga qualcosa dicendo che “Nella libera risposta a Dio e ai suoi rappresentanti è racchiusa la chiamata alla santità e alla piena realizzazione della persona (Maria Cecilia del Volto Santo, Edith Stein, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 135).

[12] Castillo, commento a Mc 1, 12-15,1 domenica quaresima, 211.2.2021.

[13] Van Buren P., The secular Meaning of the Gospel, SCM Press, Londra, 1963, 128.

[14] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 127s.

[15] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 98.

[16] Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982, 443.

[17] La conseguenza che Lutero ha tratto, una volta stabilito che Gesù ci ha liberati dalla legge, è che se l’essere umano non sta più sotto la legge, è solo l’amore che gli indica cosa fare e cosa non fare. Perciò i luterani tengono molto a lasciar decidere le singole persone secondo la loro responsabilità che cosa sia da fare e che cosa no. La Chiesa può dare consigli, ma la decisione la prende sempre il singolo credente. Questa responsabilizzazione diretta del singolo era già allora una cosa del tutto nuova (Kampen D., Introduzione alla teologia luterana, ed. Claudiana, Torino, 2011, 25), e per la Chiesa cattolica più ortodossa continua ad essere del tutto nuova e inaccettabile, perché così la pecora-credente sfugge al controllo del pastore.

[18] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 118.

Ecco perché mi lascia perplesso quanto dichiarato da papa Benedetto XVI (udienza generale del 15.3.2006), secondo cui è del tutto inconciliabile con l'intenzione di Cristo lo slogan di moda alcuni anni fa: «Gesù sì, Chiesa no». Personalmente vedo spesso un grande distacco fra quanto dice la Chiesa e quanto dicono i vangeli, e forse questo slogan non è passato ed è ancora attuale fra tanta gente, che non rifiuta la Buona Novella, ma rifiuta le imposizioni (tipo i dogmi) della Chiesa.

In effetti, al centro del cristianesimo, se vogliamo seguire i Vangeli, c'è il senso di responsabilità di fronte al mondo, che non può essere attenuato dalla dedizione alla preghiera, dal desiderio di raccoglimento e di purezza per adorare l’ostia consacrata, dalla forte credenza nei dogmi, dalla cieca obbedienza al magistero. Tanto cristianesimo senza Vangelo viene invece ancora oggi proclamato nelle nostre piazze. Bastano alcuni nomi: Putin, Kirill, Trump, Salvini, Bolsonaro, Orban, … È un cristianesimo ‘tossico’, che utilizza il nome di Dio per far accettare la propria interpretazione della legge divina, che si rinchiude nella propria identità escludendo gli altri, cioè un neo-paganesimo.

[19] Secondo i tradizionalisti, dire “Amore sì ma senza regole” significa non aver capito l’amore. Ma così essi si limitano a praticare un insieme di obblighi che non hanno nulla a che fare con l’effettivo amore per il prossimo, in quanto restano ancora intimamente convinti che solo osservando tutti gli obblighi religiosi possono realizzare nella propria vita l’amore cristiano; anzi quando l’amore entra in contrasto o in concorrenza con ciò che è stabilito per legge, cominciano a guardare all’amore con estremo sospetto (Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 287 e 290 s.), esattamente come il pio sacerdote rispettoso degli obblighi della legge avrebbe guardato con sospetto l’impuro samaritano che non la osservava e toccava il ferito sanguinante. Insomma, secoli d’insegnamento religioso, secondo cui anche l’amore è osservanza delle leggi (Sap 6, 18), lasciano inevitabilmente il segno. Superfluo ricordare che in un matrimonio, retto dall’amore, precise regole si stabiliscono solo quando la coppia si separa e non va più d’accordo: quando due si amano veramente, nessuno dei due segue regole precise e prestabilite.

L’amore non ha regole, non ha leggi da seguire, perché non passa attraverso la ragione, ma attraverso il cuore. È vero che in passato il matrimonio era sotto il governo delle regole: ci si sposava per motivi economici e sociali, e il sentimento era un optional. Ma oggi, per fortuna, il patto di coppia non è più un contratto legale, e si poggia su basi diverse. Solo la religione è rimasta indietro. E come è stato correttamente osservato, dove c’è la legge non c’è Dio, ma mondo. La legge garantisce la leggibilità del mondo, e proprio per questo abolisce il Mistero che sta oltre ogni possibile lettura. Quando il volto di Dio diventa leggibile, Dio ha già abbandonato la scena, che subito viene occupata da quanti, in nome di Dio praticano la storia come morale e comportamento, chiusi in un presente che, proprio perché non sporge da sé stesso, è disabitato da Dio (Galimberti U, Cristianesimo, Gedi News Network Spa, Torino, 134).