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Oratorio di San Giorgio, Padova - Altichiero - foto tratta da commons.wikimedia.org


La prospettiva, i corpi e lo spazio (Sec. XIII – XV). Alcune note

di Stefano Agnelli


La ricerca della giusta proporzione e dell’armonia dei corpi, dei volti e dello spazio inteso in senso prospettico si sviluppa ancor prima della ricerca armonica d’una “regola d’oro” – mutuata da Vitruvio – per l’equilibrio tra i volumi, che animò i trattati quattrocenteschi sulla pittura.  Possiamo affermare che esiste un legame fra la composizione dello spazio propria delle sculture dei Pisano e le Storie di San Francesco e gli affreschi degli Scrovegni di Giotto. La critica d’Arte aveva già accostato, fin dagli anni Venti del Novecento, Nicola e Giovanni Pisano al Maestro di Bondone, ma lo aveva fatto in nome di una presunta ricerca comune del realismo, dell’oggettività. In seguito la critica, basti il nome di A. Chastel, ha rimarcato più le differenze tra Giovanni Pisano e Giotto, sostenendo che l’arte del primo era guidata dalla passione, mentre i “tagli” e l’organizzazione prospettica di Giotto, sarebbero frutto della ragione. Eppure qualcosa, a mio parere, li accomuna molto di più: la capacità di rompere con la fissità dello spazio, tutta bizantina, che ancora dominava l’arte nel Duecento. Proprio la rottura dello spazio tradizionale del bassorilievo, romano e medioevale, operata da Giovanni Pisano con le sue composizioni estremamente popolate e mosse, senza però alcuna direzione prospettica (si vedano i pulpiti istoriati di Pistoia e Pisa), ne fa un precursore, assieme al Cimabue della Crocefissione (1280), del ciclo giottesco di Assisi (1296-99). Lo spazio di Pisano e Cimabue è dunque più “mosso” che prospettico in senso geometrico e architettonico. Manca un ordine e un equilibrio tra i volumi, dei corpi e degli edifici, che nemmeno lo stesso Giotto saprà esprimere. Bisognerà aspettare quasi un secolo. È il 1384 quando Altichiero da Zevio termina il ciclo di affreschi dedicato a San Giorgio nell’oratorio omonimo in Padova. Qui la bellezza e l’armonia dei volti e dei corpi accuratamente proporzionati – si vedano in particolare San Giorgio beve il veleno e San Giorgio battezza Sevio re di Cirene – rivaleggia in equilibrio con gli incastri prospettici degli edifici, dagli archi rampanti e dalle absidi gotiche. Dopo la lezione del Brunelleschi, questi saranno sì sostituiti da fughe di archi a pieno centro, senza più le mondanature del gotico e da paraste lisce e sobrie, ma l’effetto prospettico rimarrà il medesimo, capace di conferire grande equilibrio ai volumi.

I risultati della successiva trattazione quattrocentesca della prospettiva, stabilirono dei punti fermi, ma la ricerca era ben lungi dall’essere conclusa, né si registrano solo conquiste, anche qualche arretramento. Nel suo Libro dell’Arte, Cennino Cennini, nei primi anni del XV Secolo, scrive infatti: “E quando hai a fare le montagne che paiono più a lungi, più fai scuri i tuoi colori; e quando le fai dimostrare più appresso, fa i colori più chiari.” Il che rivela una concezione unicamente cromatica della prospettiva, scevra da ogni calcolo e votata alla pratica pittorica intesa come puro “mestiere”, cosa che il Cennini non nasconde affatto, anzi. Si arriva poi al paradosso quando il Ghiberti, nei Commentari (post quem 1452), in polemica con lo schema vitruviano, arriva a proporre, in modo provocatorio, un rapporto testa-corpo di 1 a 9,5. Forse soltanto con il De prospectiva pingendi di Piero della Francesca (ante quem 1482), tralasciando il non meno fondamentale capitolo sulla prospettiva contenuto nel Della pittura dell’Alberti (1432), si arriva ad una concezione veramente comprensiva della prospettiva, capace di coinvolgere ogni soggetto rappresentato, dalle figure umane agli edifici urbani, fino agli arredi lignei.

Questa evoluzione verso un ordine geometrico rigoroso, trova antecedenti nei lavori di alcuni matematici medioevali come Roberto Grossatesta, e non è un caso che le ultime riflessioni tematiche sulla prospettiva, di un oramai cieco Piero della Francesca, siano state raccolte proprio da un matematico, quel Luca Pacioli, frate francescano (amico di Leonardo)  - di cui possediamo un celebre ed enigmatico ritratto, attribuito a Jacopo de’ Barbari - che nel 1497 darà alle stampe il De divina proporzione, in cui il “rapporto aureo” è ancora una volta la questione principale.

Lo stesso Albrecht Durer, nella sua costante ricerca delle proporzioni ideali del corpo umano, progetta il suo secondo viaggio in Italia proprio allo scopo di incontrare Luca Pacioli a Bologna. La critica ha in seguito ipotizzato che, anche a causa della morte del matematico (giugno 1517), e quindi del mancato incontro con il pittore e incisore tedesco, la ricerca di Durer ha prodotto risultati così contraddittori, da attribuirsi forse anche al precedente rifiuto di Jacopo de’ Barbari – ancora lui – durante il primo viaggio in Italia del Durer, di condividere con l’artista d’oltralpe, il suo metodo di costruzione ideale della figura umana. Certo è che la prospettiva dovette sembrare, per buona parte dei trattatisti del Rinascimento, un tutt’uno con le leggi che regolano l’armonia dell’Universo. Un concetto quindi non soltanto puramente geometrico e architettonico, così come tendiamo a vederla noi oggi, ma anche filosofico e teologico, legato agli aspetti mistico-magici dell’astrologia rinascimentale, della cosmologia greco-antica, filtrati dal nascente neo-platonismo. Nella Firenze di Cosimo dei Medici, il Ficino ed altri umanisti, ritenevano infatti che attraverso la visione della bellezza, dell’armonia, l’uomo si elevasse, rendendo all’anima un modo per ritornare a Dio. Difficile dire quanto quest’idea sia circolata in ambiti non fiorentini, ma certo è notevole l’affinità di pensiero tra il Ficino e gli autori dei trattati sopraccitati. In conclusione, possiamo affermare che il concetto di prospettiva fosse considerato capace di ricostruire le relazioni morfologiche che intercorrono fra i saperi, una sorta di summa, di manifesto programmatico, che fa della prospettiva una delle caratteristiche principali del metodo artistico rinascimentale.