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Ritratto di papa Innocenzo III - Sacro Speco, Subiaco - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Ancora sull’autorità della Chiesa



di Dario Culot


Ci si può domandare come ha fatto l’autorità della Chiesa a imporsi così profondamente sui credenti. Ebbene, immaginiamo un ponte tibetano fatto di corde un po’ usurate e tavole di legno sconnesse, che ondeggia col vento, ma è l’unico passaggio che permette di andare da una parte a un’altra di un profondo baratro. Dobbiamo attraversarlo. Reggerà o non reggerà? L’istituzione religiosa ci dà una visione rassicurante: si può attraversare il ponte della vita senza precipitare. Come? Basta obbedire a tutti i precetti della legge e a tutte le regole imposte dal magistero che parla in nome di Dio, e così si è certi di ottenere la protezione di Dio e la salvezza[1] che si trova dall’altra parte del ponte.

Domanda: non erano già i farisei con cui interloquiva Gesù ad avere questa stessa visione salvifica? Non era l’osservanza della Legge mosaica il loro unico elemento fondante e rassicurante?[2] E non è forse vero che Gesù è stato ammazzato proprio per aver osato smantellare questo senso troppo rassicurante di salvezza che la religione di allora già forniva ai suoi credenti? Gesù, in effetti, ha chiarito che non possiamo e non dobbiamo sentirci garantiti davanti a Dio solo perché abbiamo osservato scrupolosamente la legge divina: ricordate la parabola del fariseo e del pubblicano? (Lc 18, 9ss.) E fra l’altro, Gesù non sta dicendo nulla di diverso da quanto già si capiva leggendo i libri sapienziali della stessa tradizione cui appartenevano i farisei (Giobbe, Qoelet). Cosa diceva l’autorità religiosa di allora: “Obbedisci! Avrai le benedizioni. Disobbedisci? Avrai le punizioni”: un mondo bipolare, abbastanza facile da accettare (“Gli anni degli empi saranno abbreviati”: Prv 10, 27; “Al giusto non capita alcun danno; gli empi sono pieni di mali”: Prv 12, 21). Ma come mai, si chiede Giobbe, a lui arrivano le punizioni anche se ha sempre obbedito? Perché Dio ci tratta come pecore da macello, si chiedono i sofferenti? Perché il Signore ci ha respinti e umiliati, anche se non abbiamo fatto niente di male (Sal 44, 18 e 23)? Paolo, fariseo e quindi stretto osservante della Legge divina (Fil 3, 5), resta folgorato sulla via di Damasco. Cosa gli è successo? Non ce lo ha mai detto, ma probabilmente d’improvviso gli balenano davanti agli occhi queste idee che rovesciano tutto il suo precedente credo: se perseguitava i seguaci di Cristo significava che perseguitava lo stesso Cristo, che pur non aveva mai incontrato; quindi comincia a pensare che la Chiesa e Cristo siano la stessa cosa. Poi capisce improvvisamente che l’errore dei giudei è credere che la salvezza si ottiene osservando la Legge, mentre ci vuole la fede, cioè un’attitudine che impegna tutto l’uomo ad affidarsi a Dio, per cui finirà col parlare della maledizione della legge, di schiavitù della legge dalla quale Cristo ci ha liberati (Gal 2, 19; 3, 10-13; 4, 21-31; 5, 1-4).

Il problema è che da sempre l’uomo vuole sicurezza. L’uomo non sopporta il disordine. Per non vacillare ha bisogno di una fede che dia ordine e un senso alla sua vita, che gli indichi delle mete, che gli imponga una disciplina e un dovere. Da quando è comparso sulla terra l’uomo è sempre in cerca di certezza. L’uomo ha bisogno di avere tutto sotto controllo. Quando qualcosa gli sfugge, entra subito in fibrillazione. La nostra mente è una macchina costruita per dare senso alle cose[3]. Il cervello, ci dicono oggi i neuro scienziati, è una macchina previsionale degli eventi che riesce a tranquillizzarci. Il cervello sa che se si fa questo succederà quest’altro, e se si fa quello succederà quell’altro. Il problema sorge quando non sappiamo cosa succederà. Perché gli esami ci fanno paura? Per la semplice ragione che non sappiamo quali domande ci faranno, e allora non abbiamo la situazione sotto il controllo. Insomma, il nostro cervello vuole essere rassicurato. L’insicurezza crea angoscia e paura[4].

Ed ecco, allora, che viene in soccorso quell’elemento rassicurante che è la legge: «beato chi osserva la legge» (Prv 29, 18). Si accetta di obbedire alla legge proprio perché così ci si sente sicuri, e tutto torna sotto controllo. Ecco perché il fariseo, avendo osservato scrupolosamente la Legge, si sente tranquillo e garantito davanti a Dio. E avendo osservato la Legge si permette di criticare gli altri uomini, impuri peccatori che vanno poi giustamente puniti perché non l’osservano[5]. È Dio, a quel punto, che deve essere in obbligo verso di lui. Che tranquillità! Ma dovremmo dire: che stupida tranquillità! Non vi sfiora mai il dubbio che facendo così ci si forma un’immagine falsa di un dio creato per la nostra sicurezza, per la soddisfazione di nostri bisogni? Se il magistero domani ordinasse di partecipare alla marcia Perugia-Assisi per favorire la pace in Ucraina, ancora oggi molti si sentirebbero tranquilli dopo la camminata, perché avendo obbedito all’ordine - come il pubblicano nel tempio - penserebbero di aver fatto tutto quello che era loro richiesto da Dio. La risposta che dà l’obbediente-credente, che vuole obbedire, che vuole credere, diventa semplicemente una proiezione esterna del suo bisogno di sicurezza, che tranquillizza chi vuol essere rassicurato. Dicono arrogantemente i farisei a Gesù: “Noi sì che sappiamo da dove veniamo; noi, che abbiamo il nostro Dio con le sue regole; noi sì che sappiamo cosa Dio vuole, e possiamo parlare in sua vece anche quando tace; tu, figlio bastardo nato fuori delle regole e che continui a non osservare le regole non puoi sapere niente di Dio” (Gv 8, 41-48). Invece Gesù sta proprio rivendicando il fatto che Dio non è affatto come lo descrivono loro, e come forse lo pensano ancora oggi molti di noi. Gesù non ci garantisce nulla nell’attraversamento del ponte sull’orrido. Gesù ci prospetta una visione molto più insicura della vita, che è dinamica quanto la vita sotto la legge è statica; che è rischiosa quanto la legge dà (o meglio: sembra dare) sicurezza: Abramo viveva in una tenda, era forestiero sempre pronto ad accogliere i forestieri, e non si sentiva padrone in quel luogo per cui ha potuto anche intraprendere senza grossa difficoltà un esodo; ma la sua vita è stata un continuo rischio perché ogni volta che ospitava un forestiero nella sua tenda non poteva sapere se stava incrociando un angelo oppure un diavolo rapinatore. Ma quanti di noi oggi sono come Abramo, pronti ad accogliere il forestiero che bussa alla nostra porta? La vita è sforzo; l’accoglienza è sforzo; l’amore è sforzo. Gesù elimina ogni idea di fede funzionale ai nostri bisogni di sicurezza. Occorre un atto di fiducia totale solo in Dio e, come ha detto il cardinal Martini, se non ci fosse la morte non riusciremmo mai a fare un atto totale di affidamento a Dio della nostra vita. Enzo Bianchi, a sua volta, diceva che non si può essere uomini senza credere, perché credere è il modo di vivere la relazione con gli altri; senza credere non è possibile nessun cammino di umanizzazione, perché vivere è sempre vivere con e attraverso l’altro. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno? Cominciando a fidarsi degli uomini forse ci fideremo anche di Dio.

Dunque, nell’attraversare il ponte della vita, occorre fidarsi tanto da saper perdere la vita. Gesù, di cui dovremmo essere seguaci, nel momento dell’apparente fallimento totale della sua esistenza, dice: “coraggio, io ho vinto il mondo” (Gv 16, 33). Ma come ha vinto il mondo?! Se lo stanno per arrestare e crocifiggere. Questo fidarsi dell’amore di Dio subisce davanti alla morte la prova del nove: occorre saper perdere la vita per riacquistarla;[6] occorre fidarsi ciecamente di Dio per raggiungere quella forma nostra definitiva, dopo aver perso la nostra forma attuale. Fidandoci di Gesù, noi diciamo di credere che con la morte non si lascia la vita, la si cambia.

E cosa fa, invece, ancora oggi l’istituzione religiosa? Sostiene che la fede cristiana è verità, per cui riguarda necessariamente tutti gli uomini[7]. Questa verità della fede, però, si misura sulla conformità alla dottrina stabilita dalla gerarchia, tanto in campo dogmatico che etico[8]. L’istituzione religiosa, nella foga di voler dare a tutti sicurezza, ha seguito la strada dei farisei, ed ha creato un sistema posto a servizio di un Dio che si ritiene definitivamente manifestato con una rivelazione immutabile valida per tutte le epoche. E il Dio che viene e fa nuove tutte le cose? Dimenticato completamente, perché chi vuol appoggiarsi solo al passato non può vedere il futuro. Semplicemente neanche lo aspetta.

L’istituzione Chiesa sembra capace solo di ripetere una dottrina sempre identica, generazione dopo generazione, e a nuove domande risponde con vecchie formule. Il profeta nella Bibbia è invece colui che è capace di creare nuove formule, e già in allora, chi era abituato solo a ripetere vedeva in ogni nuova formulazione una minaccia alle sue certezze. Gesù ha seguito la strada dei profeti, e stando ai vangeli ha dato la garanzia che qui in terra ci lascia lo Spirito (Gv 14, 16), il quale saprà dirci al momento opportuno cose future (se sapremo ascoltare), cioè saprà sempre darci nuove risposte a nuove domande, e non è detto che sia contento nel sentire sempre le vecchie risposte ultramillenarie. La Chiesa vista in questi ultimi decenni non è profetica; è preoccupata, impaurita, inchiodata al suo posto e si limita a ripetere le cose del Dio che fu, e dimentica che Dio si incontra camminando,[9] non stando seduti al margine della strada. Papa Francesco cerca di mettersi e di metterci in movimento e per questo, proprio dall’interno, ci sono tanti che cercano di fermarlo e farlo sedere sul bordo della strada.

Ma così si aumenta il rischio di sbagliare. Certo. Solo chi non fa non sbaglia. Ma quante volte hanno sbagliato anche gli apostoli? Paolo non ha remore a dire che Pietro stava sbagliando per cui l’ha contraddetto e non gli ha obbedito. La Chiesa non è crollata perché Paolo ha disobbedito all’autorità del primo papa.

Da dove, poi, i legittimi pastori della Chiesa hanno preso l’idea che le loro decisioni non sono loro, ma derivano direttamente dalla volontà di Dio?[10] Che Dio parla in via esclusiva a loro e tace per tutti gli altri?

Nei vangeli c’è una chicca che smentisce questa pretesa del magistero: nell’episodio della resurrezione di Lazzaro Marta va di nascosto a chiamare Maria (Gv 11, 28). Perché di nascosto? Perché Marta dapprima pensa che Gesù sia un profeta, ma poi dice di credere che è il Figlio di Dio. Se si crede che Gesù è un profeta, non c’è problema con l’istituzione (i vari capoccioni che si trovavano nel villaggio per le condoglianze formali); ma se si crede che Gesù è Figlio di Dio, i problemi ci sono,[11] eccome se ci sono. Da notare che Gesù non è entrato nel villaggio, perché il villaggio è sempre il luogo della tradizione più chiusa, sì che occorre abbandonare il villaggio per incontrare Gesù e ricevere il dono della vita. I capi giudei che erano nel villaggio seguono Maria, ed escono anch’essi dal villaggio: ciò significa che nel vangelo ad essere smarriti sono i pastori, non le pecore che li precedono; e anche per questi pastori c’è ancora una possibilità d’incontrare Gesù, se solo seguono le pecore. Non sono i pastori a dover guidare le pecore verso pascoli verdi che solo essi conoscerebbero. Per l’ennesima volta il vangelo ci dice il contrario di quello che poi ci è stato insegnato.

Sembra comunque che questa idea di autorità, ben viva ancora oggi nell’istituzione, sia venuta da Paolo. Difendendosi dalle calunnie degli pseudo-apostoli che, creando anche un certo scompiglio nella comunità da lui creata, lo avevano attaccato pretendendo che il cristianesimo passasse attraverso la porta dell’ebraismo (con conseguente circoncisione e osservanza della legge di Mosè), l’apostolo afferma questi principi in concatenazione: Dio ha unito i credenti a Gesù Cristo; lui, Paolo, è l’anello di congiunzione fra i fedeli e Cristo (2Cor 5, 18-20), ed è l’unico in grado di trasmettere il messaggio perché l’ha avuto direttamente da Cristo (2Cor 5, 20; Gal 1, 11); i fedeli non possono quindi fare a meno dell’apostolo per essere riconciliati per mezzo di Cristo a Dio (2Cor 5 18). Ora, mettete la Chiesa al posto dell’apostolo Paolo, ed ecco pronto e confezionato il principio di autorità. La Chiesa è succeduta agli apostoli, per cui fra noi e gli apostoli dobbiamo sempre mettere il magistero ufficiale della Chiesa, che è l’unico ad aver capito, conservato e ben interpretato le Sacre scritture,[12] in quanto Dio stesso ha affidato agli apostoli e ai loro successori, cioè alla Chiesa, la custodia della sua Parola. Ma a ben vedere, Paolo, il quale dice di aver avuto ogni informazione direttamente da Cristo risorto, dopo la conversione sulla via di Damasco ha smesso di dare la caccia ai cristiani e si è ritirato a Tarso (At 9, 30) dove, solo anni più tardi, Barnaba è andato a recuperarlo per portarlo ad Antiochia (At 11, 25) che al tempo di Cristo era la capitale della Provincia d'Oriente dell'Impero Romano; in tutti quegli anni Paolo avrà sicuramente avuto tutto il tempo per riflettere, ma certamente non ha avuto alcuna trasmissione diretta da Gesù che non ha mai incontrato in vita sua. Ma allora, forse, manca un anello nella catena, a meno che si dica che Paolo è stato istruito di notte dallo Spirito Santo, esattamente come Maometto è stato istruito direttamente dall’Angelo Gabriele. Queste sue idee gliele ha forse suggerite Pietro o qualche altro apostolo? Neanche per sogno[13]. E allora manca un secondo anello nella catena, visto che Paolo non ha conosciuto il Gesù terreno, e non ha preso nulla da testimoni oculari come Pietro. Infine manca anche un terzo anello della catena, visto che per la dottrina cattolica Pietro (non Paolo) è il prima papa, e tutti, anche gli altri apostoli, dovrebbero essere sottomessi fin dall’inizio all’autorità di Pietro, tant’è che anche oggi si afferma che neanche i vescovi, singolarmente o collegialmente, hanno autorità se separati dal papa[14]. Invece Paolo non si è mai sottomesso a Pietro, ed ha sempre lavorato in piena autonomia, per cui - come si sa - in prospettiva storica, molti ritengono che Paolo, con quella sua iniziativa autonoma, sia stato il vero fondatore del cristianesimo[15]. Comunque la si pensi, è indubbio che l’apporto di Paolo al cristianesimo è stato fondamentale[16].

Uno dei problemi di cui oggi non si riesce a venire a capo nasce dal fatto che la legge è un fenomeno in stato di quiete, e avendo la Chiesa insistito sull’osservanza della legge, anzi avendo sempre più plasmato questa legge (e la dottrina collegata), ci si trova oggi in una gabbia statica, a un punto in cui non si può neanche pensare di discutere una dottrina dogmatica, per cui dai misteri della fede[17] (n.2558 Catechismo) si è passati ad una cieca fede nei misteri. “È così e non pensare di discutere. Accetta l’autorità e non rompere!” Ad esempio, com’è possibile sostenere che i beati del paradiso saranno felici pur sapendo che, a un tiro di schioppo da loro, ci sarà un’ampia schiera dei loro fratelli che dovrà subire per l’eternità le più atroci pene infernali? Come è possibile sostenere razionalmente al giorno d’oggi che Maria abbia partorito un figlio rimanendo vergine (n.510 Catechismo)? “È così e non rompere!”. “Ma a te” potrà anche aggiungere qualcuno, “che te ne frega se Maria era o non era vergine?” A me, personalmente niente, perché non credo che cambi qualcosa nel messaggio di Gesù se Maria era vergine oppure se dopo Gesù aveva sfornato una decina di altri figli; se alla fine della sua vita è stata sepolta oppure se è ascesa immediatamente al cielo anche col suo corpo. Però, quando la Chiesa mi dice che se non credo a quanto da lei infallibilmente insegnato sulla verginità della Madonna non sono credente perché non aderisco alla dottrina ufficiale, e che se disobbedisco al magistero sono destinato all’inferno, allora un pochino me ne frega, eccome![18]

“È un mistero, bisogna aver fede” mi diranno altre anime pie. Eh no! Anche perché san Paolo, primo propugnatore del principio d’autorità, ha comunque scritto qualcosa di diverso (Rm 10, 17): che cioè quello che si predica e viene ascoltato, fondato sulla parola di Cristo, deve essere volto a suscitare e rafforzare la fede. Se allora mi si insegna che proprio stando ai vangeli Maria è sempre vergine e questa affermazione deve suscitare o accrescere la mia fede mi si deve prima convincere come sia del tutto logico e accettabile che una donna che ha partorito possa rimaner vergine; se quest’affermazione, invece, non appare ragionevolmente sostenibile, come potrebbe rafforzare la fede? Perché escludere che l’evangelista volesse dire qualcosa di diverso da quello che ci hanno finora insegnato? Del resto, ricordiamo che Tommaso d’Aquino ha detto: “Le cose che si accettano per fede sulla base della rivelazione divina non possono essere contrarie alla conoscenza naturale”[19]. E allora spiegatemi come, dopo il parto, Maria può essere rimasta vergine, in base alla conoscenza naturale, e perché si deve sottostare all’autorità del magistero che insegna cosa contrarie alla conoscenza naturale.

Altro mistero: Gesù ha detto che, se abbiamo fede, faremo cose anche più grandi di lui, quando si sostiene che lui ha perfino resuscitato i morti (Mt 11, 5 e Gv 14, 12). Eppure non mi risulta che ci sia neanche un morto resuscitato in tutta la storia della Chiesa. Tutti senza fede, compresi tutti i papi e gli innumerevoli santi? O forse col termine resuscitare Gesù intendeva qualcosa di diverso dal far rivivere un corpo senza vita già portato al cimitero, come invece ci hanno sempre fatto intendere?

Ancorché papa Benedetto XVI, in passato, abbia chiaramente affermato che la fede parla alla nostra ragione perché dà voce alla verità e perché la ragione è stata creata per accogliere la verità, sì che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana,[20] e ancorché abbia ricordato che Gesù ci ingiunge di non ergerci a depositari del giudizio del mondo,[21] poi di fatto la Chiesa si erge a giudice unico e inappellabile e impone di credere alle sue affermazioni senza che gli altri possano neanche pensare di usare la propria testa. Chiunque ha un’opinione diversa non la può neanche esprimere, ma deve sottometterla prima al magistero e attendere nell’obbedienza la sua decisione, perché di fronte all’insegnamento del magistero l’unica risposta permessa a un cattolico è la sua accettazione, ed è assurdo pretendere di valere più del magistero[22]. Ma questo comportamento non fa a pugni col dire che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana? E la contraddizione non è oggi ancora più evidente, quando la Costituzione Praedicate Evangelium[23] stabilisce che ogni cristiano, in virtù del battesimo, è un discepolo missionario, sì che anche i laici e non più solo i presbiteri, devono poter essere evangelizzatori?

A dire il vero, con la mentalità di oggi è irragionevole pretendere che la società intera e i suoi governanti si conformino all’insegnamento del magistero romano: pensiamo alle scottanti questioni bioetiche di oggi (quali il testamento biologico, la procreazione assistita, il fine vita). Oggi non è più possibile pretendere che tutti seguano il fondatore dei gesuiti: “Per essere certi in tutto, dobbiamo tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica”[24]. Allo stesso modo, il santo cardinal Bellarmino diceva: “Se anche il papa errasse comandando dei vizi e proibendo delle virtù, la Chiesa è tenuta a credere che i vizi siano buoni e le virtù cattive”[25]. Seguendo questi notevoli personaggi, pure dichiarati santi, si prostituisce la propria ragione, e la fede diventa chiaramente credere, perché si è obbligati, all’insegnamento dottrinario dell’istituzione; questo tipo di fede non prevede che un cattolico possa avere una coscienza libera, perché deve accettare l’insegnamento della Chiesa[26].

Non mi si venga neanche a dire che il fondamento della vera teologia è la fede, per cui gli argomenti teologici non sono argomenti di ragione ma argomenti di autorità divina, mentre usando la ragione si cade nel razionalismo (questa, in passato, era stata l’accusa fatta dal magistero anche a Loisy[27]). Oggi, infatti, dopo quanto detto sia san Tommaso sia papa Benedetto XVI, è ormai impossibile credere rinunciando alla ragione. E quanto al cadere nel razionalismo, va detto che – a differenza proprio della Chiesa che pretende di avere pronte tutte le risposte - la ragione non pretende affatto di spiegare ogni cosa su Dio, però pretende che le affermazioni date dal magistero reggano al vaglio della ragione, e sul punto vale quanto già era stato detto nella ricerca ebraica: “Dieci rabbini discutevano su una questione di fede: nove contro uno. A un certo punto i nove, non riuscendo a persuadere il decimo, gli dissero: «Dal momento che i nostri argomenti non ti persuadono, ti persuada un argomento divino. Se abbiamo ragione noi questo muro si muoverà. Se hai ragione tu, il muro resterà fermo». Il muro si mosse, ma il rabbino dissenziente replicò loro: «Questo è un miracolo, ma non è un argomento». Più tardi il rabbino incontrò lo Spirito del Signore che lo rimproverò: «Tu mi hai rinnegato!». «No, Signore», rispose il rabbino, «sei Tu che mi hai dato la ragione, ed allora, servendomi della ragione io non ti rinnego, ma anzi ti onoro»”[28].

Superfluo infine aggiungere che pretendere – come fa ancora buona parte del magistero – che si debba credergli perché è esso a dire che ciò che insegna lo riconosce la ragione, significa mortificare la stessa ragione, in quanto qualcun altro ordina ciò che la ragione deve fare; al contrario ciò a cui può arrivare la ragione deve essere lei sola a stabilirlo, non certo l’autorità della Chiesa[29]. Insomma oggi va decisamente rifiutata l’idea che un gruppo (fatto sempre di uomini come noi) possa limitarsi a dirci, in base al principio di autorità, che una cosa è così perché è stato stabilito così, e chi l’ha stabilito era più importante di noi, aveva studiato teologia più di noi, e soprattutto – a differenza di noi - era illuminato dallo Spirito Santo, per cui l’unica cosa che si deve fare è accettare con animo giulivo e obbedire tacendo.

Oggi più che mai, come, se ben ricordo, aveva già evidenziato il gesuita Teilhard de Chardin, qualcosa non va più fra l’uomo e l’istituzione gerarchica religiosa, visto che nel mondo c’è sempre una grande richiesta di spiritualità,[30] che non è esigenza di pratica religiosa[31]. Ma è un dato di fatto ormai assodato che quando si perde fiducia nella Chiesa-istituzione, l’istituzione non riesce più a comandare come faceva in passato, e nella Chiesa-comunità aumentano le tensioni: già più di cinquant’anni fa il pastore protestante Robinson[32] aveva osservato che in tempi di stabilità monetaria nessuno si preoccupa di quello che sta dietro alla moneta, e tutti l’accettano per il suo valore nominale senza porsi tanti problemi; la circolazione monetaria si basa a quel punto sulla mera fiducia; ma la fiducia non è razionale; è un affidarsi senza prove. Anche nella religione c’è stato un periodo in cui tutti accettavano tutto, perché c’era fiducia (fede) nel magistero. Oggi non è più quel periodo, e quando per qualche motivo il vento cambia, quando la gente comincia a domandarsi se ciò che ci viene esposto corrisponde veramente alla realtà che dovrebbe rappresentare, quella stessa gente non accetta più passivamente quello che da sempre le si è spiegato e che prima accettava senza fiatare, ma come destandosi da un torpore, vuole vedere con più chiarezza il valore reale della moneta che riceve in mano, temendo di ricevere monete fuori corso: in questa situazione, l’insistere nel voler imporre una teoria o un dogma solo in base alla propria autorità diventa molto, ma molto sospetto. Oggi, l’area della convertibilità moneta=oro (cioè: insegnamento religioso=verità) si è assai ristretta e al tempo stesso si è diffuso il sospetto che gli uomini di Chiesa si trovino in mano soltanto con moneta il cui valore di scambio è virtualmente nullo. Ecco perché oggi, più che mai, quando la Chiesa cattolica si trova a vivere la più profonda crisi di fiducia dai tempi di Lutero, non si può continuare a far finta di niente, a spendere la stessa moneta di sempre sperando che sia accettata in silenzio e in obbedienza come nulla fosse, perché così si finisce solo col perdere il contatto con quelle schiere via via più ampie di persone che chiedono di sapere, di essere informate.

Per fortuna, oggi, nel campo religioso, non vale più quanto diceva Voltaire: è pericoloso aver ragione in questioni su cui l’autorità costituita ha torto. Perciò godiamo dell’oggi, visto che – almeno nel nostro mondo occidentale - possiamo tutti pretendere autorevolezza senza autorità, cosa che in passato è stata impossibile, ed è ancora impossibile in tante parti del mondo.




NOTE

[1] Secondo Paolo, per salvarsi basta questo: “se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9).

[2] La parola scritta, cristallizzando un contenuto più vasto della sua espressione linguistica, favorisce la formazione di dogmatismi rigidi, per i quali il testo è immutabile nella sua lettere per sempre. Il tragico contrasto tra Cristo che si appella alla vita e i farisei che fondano le loro convinzioni su ciò che è scritto, è ricorrente nella storia delle religioni (Vannucci G., Pellegrino dell’assoluto, ed. Cens, Liscate (MI), 1985, 193).

[3] Il cervello dà priorità a tutto ciò che sembra offrirci stabilità, omogeneità con ciò che già sappiamo, mentre l’avversione per l’incertezza è ormai comprovata da esperimenti di vari istituti psicologici degli Stati Uniti (Di Salvo D., Cosa rende felice il tuo cervello, Bollati Boringhieri, Torino, 2013; nello stesso senso vedasi anche il saggio di Piattelli Palmarini M., Chi crediamo di essere, Mondadori, Milano, 2012).

[4] La paura «non è una passione particolare, ma soltanto un eccesso di viltà, di stupore e di timore, sempre vizioso… E poiché la causa principale della paura è la sorpresa, non c’è niente di meglio, per evitarla, che usare la premeditazione e prepararsi a tutti gli avvenimenti, il timore dei quali la può causare» (Cartesio, Le passioni dell’anima, Utet, Torino, 1951, art. CLXXIV-CLVXXVI).

[5] Al fariseo non interessa sapere come è venuta fuori quella legge. Lo scrittore francese Anatole France (premio Nobel per la letteratura nel 1921) aveva ben messo il dito nella piaga, facendo notare che la legge nella sua magnanimità proibisce sia ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti, di chiedere l’elemosina per strada e di rubare il pane. Ma al ricco questo non interessa: lui sa che ha osservato la legge e quindi è a posto, e quell’altro che ha rubato il pane per mangiare va giustamente punito perché ha violato la legge.

Ecco perché il vescovo Helder Câmara diceva: “Se do da mangiare a un povero mi danno del santo; se chiedo perché il povero non ha da mangiare mi danno del comunista” richiamato in Câmara H., Mille ragioni per vivere, Cittadella, Assisi, 2000, 8.

[6] Chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me e il Vangelo la salverà (Mc 8, 35, e l’analogo Gv 12, 25).

[7] Ratzinger J., Quid est veritas?, “Micromega,” n.3/2000, 208.

[8] Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 198.

[9] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 469.

[10] McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, Fede&Cultura, 2009, 59: viene, ad es., ripresa la considerazione di Papa Paolo VI sull’enciclica Humanae vitae riportata ne “L’Osservatore romano dell’8.8.1968.

[11] Maggi A., La resurrezione di Lazzaro, conferenza tenuta a Montefano il 4.5.2003, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze.

[12] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009, 99 ss.e 114.

[13] È piuttosto nota – ad esempio,- la polemica in punto fede, fra le lettere di Giacomo (Gc 2, 14-26) e di Paolo (Rm 3, 21-28; Rm 4, 1-5; Gal 2, 21). Giacomo dice: «a che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo?» (Gc 2, 14), e per le opere la fede diventa perfetta (Gc 2, 22). Paolo dice invece: «l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere» (Rm 3, 23-28). Due opinioni opposte, che mostrano come sia infondata la tesi della Chiesa secondo cui l’unico depositum fidei è passato integro ai successori degli apostoli, visto che fin dall’inizio non era unico, e le opinioni potevano divergere fra gli stessi apostoli, e anche di molto.

[14] McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, ed. Fede&Cultura, 2009, 25.

[15] Nietzsche F., L’Anticristo, ed. Adelphi, Milano, 1987, 50, 55, 66, 89s. Guerriero A., Quaesivi et non inveni, ed. Mondadori, Milano, 1973, 121 ss. Da ultimo, in questo stesso senso, vedasi Vannini M., Oltre il Cristianesimo, ed. Bompiani, Milano, 2013.

[16]Castillo J.M. Perché il Concilio non ha dato i frutti attesi, conferenza tenuta a Montefano l’1.6.2013.

[17] Unità e Trinità di Dio; incarnazione, passione e morte di Gesù Cristo.

[18] Da notare che Maria sempre vergine è definita da papa Martino I nel Concilio lateranense del 649. Quindi, fino ad allora, anche non credendo al dogma, che ancora non esisteva, non si finiva all’inferno.

[19] Tratto da un articolo di Mancuso V., in www.chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/188421.

[20] Ratzinger J., Dio e il Mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 40.

[21] Idem, 40 e 260

[22] McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, ed Fede&Cultura, 2009, 82 e 87. Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 108s.

[23] Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” sulla Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al Mondo, 19.03.2022, §10 del Preambolo: Il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. Essi «sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo»[19]. Ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo-missionario «nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù»[20]. Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità.

[24] Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, ed. ADP, Roma 1991, 313.

[25]De romano pontifice, IV, 2, riportato in Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, ed. Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 78.

[26] McInerny R., Vaticano II: che cosa è andato storto, ed. Fede&Cultura, Verona, 2009, 49.

[27] Cfr. l’articolo del mese scorso Credo la Chiesa una, cattolica in questo giornale.

[28] Analoga fu la posizione di Lutero, quando venne chiamato a discolparsi, dopo essere stato scomunicato nel 1521: «Se non vengo confutato attraverso la testimonianza della Scrittura o in base a un chiaro motivo – poiché soltanto al papa o ai concili io non credo; è certo che essi hanno ampiamente sbagliato e sono anche entrati in contraddizione fra loro – allora sono vinto dalle parole della Scrittura da me citate. E poiché la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio, io non posso e non voglio ritrattare nulla…voglio onorare il papa se lui mi lascia libera la coscienza e non mi costringe a offendere Dio» (Denzler G., Il Papato, Claudiana, Torino, 2000, 88s. e 93).

[29] Mancuso V., Io e Dio, Garzanti, Milano, 2011, 107.

[30] Vedasi Kepel G., La rivincita di Dio, ed. Rizzoli, Milano, 1992. E anche: “Quanto più il cristianesimo si contrae, tanto più Dio riacquista un ruolo fondamentale nella coscienza dell’essere umano” (De Gregorio A., Eclissi del cristianesimo e trionfo di Dio, “Micromega,” n. 3/2000, 248).

[31] Molari C., Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi, 2008, 128.

[32] Robinson J.A.T., Dio non è così (titolo originale: Honest to God), Vallecchi, Firenze, 1965, 183 ss.