Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Come conciliare la legge umana con la legge e la misericordia divina



di Dario Culot



Si pubblica qui il testo, rivisto e ampliato, della conferenza tenuta dall’autore il 12 marzo 2022 a Trieste, presso la comunità San Martino al Campo, in occasione del 18° anno di conferenze sulla spiritualità

Quando parliamo di legge, ma anche di misericordia divina, tendiamo ad abbinare questi concetti alla giustizia. Del resto già la Bibbia ci ha abituato a questo abbinamento: ad es. in Baruc 5, 9 si legge che Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, “con la misericordia e la giustizia che vengono da lui”. Poi, convinti che il divino stia sopra all’umano, spesso dimentichiamo che fra il divino e l’umano s’inserisce il religioso. Ecco il collegamento fra giustizia divina, legge divina e legge umana. Sennonché il divino appartiene all’ambito della trascendenza, mentre il religioso si colloca nell’ambito dell’immanenza. E la religione, oltre a un insieme di credenze, è tutta un sistema di pratiche, di leggi, osservanze, convinzioni, consuetudini, promesse e minacce, il tutto stabilito e gestito dalla gerarchia ecclesiastica. Ecco, dunque, un terzo incomodo che, essendo immanente, s’inserisce affermando però di attingere da un campo trascendente.

Già san Paolo aveva parlato della legge santa di Dio, che viene dallo Spirito, alla quale si obbedisce interiormente, col cuore (Rm 7, 16.22.25). Da qui la Chiesa ha affermato che non c’è bisogno di andare a cercare norme di uomini, perché al di fuori dell’uomo, in natura, già esiste una legge eterna, divina, valida per tutti, che ognuno “sente” dentro di sé. In questi ultimi anni, la frangia più conservatrice della Chiesa ha rispolverato con vigore questa idea di legge naturale, questa legge oggettiva della natura, eterna, valida per tutti, che nessuno può alterare perché ha direttamente Dio per autore (n. 416 Catechismo), per contrapporla all’ingannevole diritto positivo mutevole, cioè alla legge scritta dello Stato, pensata dall’uomo.

Ma si deve notare che questa difficile coesistenza fra legge umana e divina, con prevalenza data alla legge divina, ha radici ben più antiche della Chiesa. Se leggiamo Sofocle,[1] ricorderemo come Antigone si oppone alle leggi umane del sovrano di Tebe, Creonte, invocando un diritto superiore voluto dagli dèi: il diritto naturale, immutabile, iscritto nell’ordine delle cose.

In maniera diametralmente opposta, Eichmann si era invece difeso nel processo sostenendo di aver scrupolosamente osservato le leggi umane del suo Stato che gli avevano imposto di eliminare migliaia di altri uomini. La giustificazione non gli è bastata perché è stato impiccato.

Oggi, si discute ancora se i diritti fondamentali dell’uomo rientrino fra i diritti politici concessi dallo Stato (com’era avvenuto con la Costituzione americana, che aveva escluso gli schiavi, le donne, gli stranieri cioè chi non era cittadino americano), oppure se sono antecedenti, sì che lo Stato deve limitarsi ad assicurarne il rispetto (come avviene nella Costituzione italiana, per la quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo), sì che tali diritti spettano a tutti. Tendenzialmente nell’odierno occidente laico si riconosce che è inammissibile una radicale negazione della centralità dell’individuo, e si confessa che le leggi statali possono essere a volte illecite (pensiamo alle leggi razziali dei tempi di Mussolini): riconoscendo a ciascun uomo i diritti umani inalienabili e non sovvertibili da alcuna legge statale, ci si avvicina molto al cd. diritto naturale.

Dunque, in questo scritto cercherò di accennare ai collegamenti e alle contraddizioni fra leggi umane e leggi divine, giustizia umana e giustizia divina, misericordia umana e divina.

Le contraddizioni all’interno della giustizia umana e delle leggi umane sono sufficientemente note a tutti, per cui non ci sarà bisogno di soffermarsi a lungo su questo punto. Della giustizia di Dio, che fa parte della trascendenza, non sappiamo nulla, quindi dovremmo evitare di parlarne. Delle leggi divine, invece, la Chiesa ci ha parlato con esuberanza fin dai tempi dei primi concili (fra il 300-400 d.C.), forse dimenticando che l’essenza del Vangelo sta nella sequela[2] di Gesù, alla luce di quanto ci ha fatto vedere con la sua vita, e non nell’apprendimento di una dottrina,[3] o nell’obbedienza a leggi divine. Comunque, come vedremo subito, non si può contrabbandare il cd. diritto naturale come legge scritta da Dio in persona. Ci sono sicuramente in natura delle leggi che valgono per tutti: che io sia cattolico, musulmano o induista, se salto fuori della finestra dovrò sempre fare i conti con la legge di gravità, e nessuna legge umana potrà superare questa legge oggettiva sostenendo che invece si può volare. Anche se la legge umana non riconosce la legge fisica naturale, quand’anche mi fidassi di una simile legge umana, saltando dalla finestra precipiterei al suolo. Ma qui siamo di fronte a leggi fisiche della natura. Quando invece affrontiamo il campo etico o morale, questa realtà non è più così evidente come la realtà fisica, e il diritto naturale non è affatto quel terreno del consenso che abbraccia l’umanità intera in nome di una giustizia universalmente riconosciuta,[4] come invece suppone la Chiesa. Quanto alla misericordia divina, in realtà è solo da pochi anni che è tornata in auge;[5] prima si parlava molto di più della giustizia divina, che dal cattolicesimo spiccio veniva per lo più intesa in questi termini: “anche se sfuggi alla giustizia umana, non potrai sfuggire alla giustizia divina”, il che vuol dire che, o prima o dopo, la paghi. Oggi si tende a dire che la misericordia di Dio s’identifica con la sua giustizia[6].

Ma non è già strano che, se parlare della giustizia divina dovrebbe esserci precluso in quanto fa parte della trascendenza, se ne sia sempre parlato? Come mai? Perché quando si parla della trascendenza di Dio, astrattamente la nostra mente riesce a conciliare il particolare con l’universale. Ad esempio, riconosciamo che il cristianesimo può avere solo uno sguardo parziale su Dio perché noi umani siamo parziali, limitati; e quando ci viene detto che Dio è amore totale, ci rendiamo conto che noi possiamo partire solo da un’esperienza di amore parziale e particolare (come quando un ragazzo s’innamora di una ragazza). Però dal particolare possiamo, almeno in linea astratta, pensare all’universale: usando quella porzione limitata di amore che abbiamo ricevuto nella nostra esperienza terrena ci sarà sempre impossibile essere amore totale, ma possiamo comunque pensarlo partendo da un’esperienza limitata. Quindi, per parlare di Dio, pur nella consapevolezza che non possiamo racchiuderlo in un nostro pensiero, utilizziamo il superlativo: se il nostro è un amore piccolo e limitato, quello di Dio è il massimo dell’amore, più di così non può essere. Lo stesso avviene quando parliamo della giustizia o della misericordia di Dio. Avendo esperienza solo della nostra giustizia fallace, possiamo immaginare che esista al di fuori di noi una giustizia più giusta, perfetta perché ha raggiunto il grado massimo,[7] ma non la possiamo descrivere compiutamente. Se lo sapessimo fare potremmo anche realizzarla, migliorando la nostra giustizia umana. Del resto, la difficoltà principale della giustizia umana sta nel dover cercar di trovare un equilibrio fra valori diversi che configgono, e far coincidere gli opposti estremismi in un’ottica di incontro, e non di imposizione, è sempre assai difficile. Per fare un esempio, è bello che Dio nella sua giustizia riesca a perdonare i nemici, ma nella nostra società se i nemici vengono perdonati, se i violenti vengono tollerati, se si dà, a chi ci ruba il mantello anche la tunica, la violenza straripa onnipotente. Pensiamo alla recente guerra portata dalla Russia all’Ucraina.

Molti pii credenti, i quali si dolgono del fatto che il senso della legge naturale sia andato perduto, credono che basti obbedire alla legge naturale quando la legge umana va contro la legge di Dio per risolvere i problemi del mondo. Per fare un facile e attuale esempio, si pensi alle unioni civili fra persone dello stesso sesso, ammesse dalla legge dello Stato, ma proibite dalla Bibbia e dal magistero cattolico. In parole povere, ci sono delle persone di ferree convinzioni religiose, le quali ritengono del tutto logico e naturale che sia obbligatorio togliere a qualcuno diritti che gli spettano come cittadino, invocando la superiore volontà di Dio, che ovviamente loro conoscono perfettamente. L’unica grammatica comune a tutti gli uomini[8] sarebbe dunque questo rassicurante diritto divino che esiste da sempre al di fuori degli uomini, e che essendo sempre uguale e valido per tutti è luce per gli uomini (Is 51, 4) e non può ingannare, sì che la fallace legge umana non può mai annullare l’obbligatorietà della legge naturale, a prescindere dal fatto di riconoscerla o meno. L’idea è solleticante perché, tanto per cambiare, appaga il nostro bisogno di sicurezza,[9] ma – a mio giudizio - è del tutto inconsistente.

Cominciamo col dire che in Sud Africa l’apartheid (abolita appena nel 1993) era considerata dai bianchi cristiani legge naturale di Dio, e i quartieri dove bianchi e neri convivevano pacificamente erano visti come luoghi di peccaminosa fornicazione. Se Abramo aveva una schiava (che gli ha dato pure un figlio mentre la moglie sembrava sterile) e la Bibbia non stigmatizza il fatto vuol dire che la schiavitù è moralmente lecita. Così almeno pensavano i cristiani proprietari di schiavi. E così la pensava anche la Chiesa, stante il documento del Sant’Uffizio[10] del 20.6.1866, con cui ancora si riconosceva la piena legittimità della schiavitù in Africa. Oppure pensiamo al fatto che in passato, papa Innocenzo IV proclamava che Cristo possedeva da tutta l’eternità il diritto naturale di deporre e condannare qualsiasi imperatore; per identica ragione, il vicario di Cristo aveva perciò il potere di fare lo stesso[11]. Oggi, se papa Francesco invocasse ancora simile pretesa divina, tutti gli riderebbero in faccia. Forse che il diritto naturale muta a seconda del papa o del periodo storico, oppure questo fantomatico diritto naturale non è proprio così immutabile nei secoli neanche per la Chiesa? Sembra che, insistendo su questa storia del diritto naturale, la Chiesa sia minacciata dalla nostalgia di epoche passate, quando godeva di una centralità sociale e della capacità di condizionare la vita politica

E che dire oggi dei papi che hanno istituito e perfezionato l’Inquisizione o quelli che aborrivano la libertà di stampa o di coscienza? Se solo centocinquant’anni fa papa Gregorio XVI insisteva nell’errore velenosissimo della libertà di religione, di pensiero e di stampa,[12] è evidente che neanche per la Chiesa questi erano ancora diritti inviolabili inscritti da sempre nella natura stessa della persona umana come sostiene oggi. Tant’è vero che, ancora nel 1888, papa Leone XIII, nell’enciclica Libertas[13] ancora condannava la libertà di coscienza e di stampa con queste dure parole: “concessa a chiunque illimitata libertà di parola e di stampa, nulla rimarrà d’intatto e d’inviolato; non saranno neppure risparmiati quei supremi e veritieri principi di natura che sono da considerare come un comune e nobilissimo patrimonio del genere umano. Così oscurata a poco a poco la verità dalle tenebre, come spesso accade, facilmente prenderà il sopravvento il regno dell’errore dannoso e proteiforme”.

Fra papa Leone XIII e papa Francesco è forse cambiata la natura? No, è cambiata la cultura! Il problema è che le visioni etiche appartengono appunto alle culture, non alla natura,[14] e ogni cultura cambia col passar del tempo. Resta con ciò dimostrato che neanche per la Chiesa il fantomatico diritto naturale resta eterno e immutabile.

Inoltre si deve aggiungere qualcosa in più: visto che per la Chiesa cattolica essere cattolico significa obbedire al magistero e in primo luogo al papa, proprio questi episodi dimostrano limpidamente che aver obbedito allora ai vari papi non significava affatto essere veri cristiani, perché al contrario, proprio chi in coscienza disobbediva al papa di allora, anticipando i tempi, esprimeva un cristianesimo più vero di quello dei papi di allora. In altri termini, chi era scismatico era più cristiano di chi obbediva ossequiosamente al papa. L’unico torto di chi allora era stato condannato come scismatico era quello di aver avuto ragione troppo presto.

Il problema è che la natura umana, esaminata dalla Chiesa col filtro della cultura di allora, non è un concetto biologico o giuridico, ma diventa un concetto teologico, tant’è che gli stessi assertori del diritto naturale ammettono ancora oggi che tale concetto ha come perno centrale la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene [15]. Ma, allora, è piuttosto evidente che il diritto naturale si fonda su una pretesa teocratica[16] connaturale al cristianesimo, ma non a chi cristiano non è. Dunque il richiamo al diritto naturale esprime semplicemente la volontà di espansione dell’istituzione Chiesa. La legge naturale (che avrebbe la sua fonte nel Trascendente), infatti, non è che il prolungamento (immanente) della religione professata dalla Chiesa, che tenta di coprire un problema culturale con l’appartenenza religiosa.

Sennonché da un fatto culturale mai si dovrebbero elaborare principi teologici. Anzi, evocare il diritto naturale in una società dove convivono concezioni della vita e del bene comune diverse (incitando ad esempio a disobbedire alla legge degli uomini, quando è contraria alla legge divina) significa lanciare un grido di guerra civile[17]. Quando la Chiesa nega fin la possibilità che un non credente in Dio possa avere un’etica, quando vede nel mondo laico solo relativismo, nichilismo, cultura di morte, soffia sul fuoco dello scontro.

Vogliamo qualche altro esempio per renderci conto di come i cambiamenti siano culturali?

• in primo luogo, la maggioranza della gente, nella nostra società e nella nostra cultura, non ritiene oggi che un’istituzione religiosa possa convertire i «peccati» (atti che il credente liberamente crede essere contrari alla legge di Dio) in «delitti» (atti che il cittadino deve obbligatoriamente sapere essere contrari alla legge umana)[18]

Se non siete convinti di questo basta pensare all’islam: anche i cristiani più fanatici, vi diranno che è impensabile applicare la sharia nella nostra società; eppure essi pretendono di fare esattamente la stessa cosa, perché quando si privano le persone dei loro diritti basandosi su argomenti forniti dalla teologia ciò che in realtà si fa è pretendere che il potere divino, proprio perché si presenta come «divino», sia autorizzato ad annullare o sminuire qualsiasi potere «umano». Ma il desiderio di costringere tutti gli altri a cambiare costituisce l’essenza del fanatismo. Fanatici musulmani che vogliono applicare a tutti la sharia o fanatici cristiani che vogliono applicare a tutti la legge naturale, fanno esattamente lo stesso ragionamento: entrambi sono convinti che Dio abbia dato norme divine da valere nel mondo umano e che queste debbano prevalere per tutti sulle norme umane. Come mai sono gli stessi propugnatori del diritto naturale a lamentarsi del fatto che la sharia comincia ad avere la precedenza sulla legge di alcuni Stati,[19] senza rendersi conto che se dovesse prevalere il diritto naturale cristiano anche questo avrebbe sempre la precedenza sulla legge dello Stato? E, a dimostrazione ulteriore del fatto che tendiamo a scegliere solo ciò che è in linea con i nostri pregiudizi, mentre la richiesta di applicazione della sharia ha suscitato da noi cristiani un certo scalpore e sgomento, sono passate quasi inosservate le analoghe pretese di gruppi fondamentalisti cristiani i quali avrebbero voluto usare la Bibbia per legiferare: nessuno si ricorda, ad es., di questo articolo pubblicato su “La Repubblica” 28.2.2014, 18: In Arizona (USA) non è passata la Legge di Dio.

Da fondamentalisti la pensavano anche i leader religiosi ai tempi di Gesù, quando dicevano che Gesù era un peccatore perché, essendo scritto nella Bibbia che Dio stesso aveva riposato di sabato (Gn 2, 2), la norma religiosa doveva sempre prevalere, e legittimo era il divieto di ogni attività umana di sabato.

Insomma, introdurre nel sistema normativo di uno Stato la legge naturale (o divina, o biblica che dir si voglia), o la sharia musulmana (come chiedono sempre con più insistenza varie comunità islamiche in Europa), è deleterio perché solo una legge laica può essere sempre rimessa in discussione e modificata senza intaccare le convinzioni religiose della popolazione credente e senza imporla ai cittadini non credenti.

• In secondo luogo, il problema principale sta nel fatto che in passato si viveva nell’illusione di poter parlare di Dio in sé. Oggi ci si è resi ormai conto che non siamo in grado di dire nulla con certezza sulla realtà di Dio, che appartiene all’ambito della trascendenza per noi irraggiungibile, sì che anche se pensiamo di parlare della trascendenza, in realtà non siamo usciti dall’ambito dell’immanenza. E quello che va bene per l’immanenza non va bene per la trascendenza.

Di questo si può dare subito un esempio. La nostra mente è capace di conciliare astrattamente gli attributi con l’unità: ad es. possiamo dire che una mela è rossa. Dire che è rossa aiuta a identificare quel tipo di mela. Oppure pensiamo a un raggio che attraversa un prisma; il raggio è lo stesso, è sempre unico, non cambia nella sua essenza, ma noi lo vediamo scomposto in tanti colori diversi ad ognuno dei quali attribuiamo un nome preciso (rosso, verde, indaco, ecc.), e ci rendiamo conto che rosso e verde possono stare tranquillamente assieme, tanto che, una volta tolto il prisma, non distinguiamo più i singoli colori e torniamo a vedere un unico raggio di luce. Sappiamo però che il rosso è un attributo di quell’unico raggio di luce. Quando invece cerchiamo di scomporre gli attributi di Dio, quando attribuiamo a Dio l’onnipotenza e la bontà, vediamo che i due non riescono a stare insieme. Se Dio è onnipotente, come permette il male? Se Dio è buono, come può condannare? Chiaro dunque che, quando si parla di Dio trascendente, cercando di portarlo dentro al nostro campo immanente che è l’unico ambito per noi accessibile, incontriamo grossi problemi, perché i due ambiti restano incomunicabili e – come ci ricorda il prologo di Giovanni - Dio nessuno l’ha visto sì che nessuno può descrivercelo. Oppure, è facile da accettare concettualmente l’idea che Dio sia l’Assoluto, che cioè sia Uno: non c’è che un Dio, una sola Divinità. Ma Dio e il mondo non possono essere uno. Se fossero uno non si potrebbe parlare di loro distinguendoli perché esisterebbe una sola cosa: o Dio o il mondo. Se invece fossero due, Dio non sarebbe l’Assoluto, perché l’elemento comune che include allo stesso tempo Dio e il mondo sarebbe superiore e più comprensivo di entrambi, il che contraddice la definizione di Dio come Assoluto. Questo ci dice la mente, che funziona in base al principio di non contraddizione[20].

Le due religioni che, nel mondo, si sono rese conto del problema sembrano essere principalmente il buddhismo e il cristianesimo. Il buddhismo ha detto che il problema è senza soluzione, per cui prescinde da Dio e per questa ragione molti dicono che il buddhismo non sia affatto una religione[21]. Il cristianesimo ha risolto il problema parlando d’incarnazione. Dio si è incarnato in un uomo (Gesù Cristo) e quest’uomo ci ha poi rivelato questo Dio invisibile e indescrivibile. Come ha potuto farlo? Perché Gesù non è stato solo (né principalmente) un uomo di Dio. Gesù è la stessa presenza di Dio in questo mondo, capace di rivelarci Dio e dirci così com’è[22].

Questo in parte può essere vero, ma le cose non stanno proprio così. Gesù, che ci ha invitato ad essere misericordiosi come è misericordioso il nostro Padre (Lc 6, 36)[23] non ci ha mai raccomandato di essere giusti come il Padre, e non ci ha mai rivelato compiutamente in cosa consiste la Giustizia trascendente di Dio. Di sicuro si può dire che ha ribaltato i criteri di Giustizia e Ingiustizia ai quali siamo abituati, portando una visuale di un universalismo dell’amore di Dio congiunto all’assenza di ogni discriminazione fra gli uomini. Gesù ci ha fornito l’immagine di un Dio che si comprende a partire dall’amore, dalla bontà e dalla misericordia. Così ad es. emerge chiaramente nella parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32), dove il padre accoglie, perdona e fa festa col figlio ritrovato, senza chiedergli nessun sacrificio, nessuna giustificazione, nessuna penitenza, e senza neanche rimproverarlo. Il Dio di Gesù è quello che “fa sorgere il sole sui cattivi come sui buoni, che fa piovere sui giusti come sugli ingiusti” (Mt 5, 45), per cui è infondata l’affermazione di Paolo secondo cui Gesù è morto per gli uomini ingiusti (Rom 5, 6), per gli empi peccatori (e siamo tutti peccatori).

Per aiutarci a capire qualcosa del Trascendente Gesù si è limitato ad alcuni esempi pratici, non ci ha dato definizioni filosofiche:

• Per farci capire com’è la misericordia di Dio, Gesù ci racconta la parabola del buon samaritano, la quale insegna che, davanti a un essere umano in stato di estremo bisogno, la religione – che si è frammessa fra divino e umano, e che viene rappresentata dal sacerdote e dal levita - non risolve la situazione, mentre chi la risolve è precisamente l’eretico rappresentato dal samaritano, cioè la persona che la religione riteneva lontanissima da Dio. Com’è logico, i personaggi che intervengono nel racconto non sono scelti a caso. Se Gesù dice che coloro che passarono scansandosi sono un sacerdote e un levita, cioè i professionisti della religione, ciò che in realtà sta dicendo è che la religione svia l’attenzione dalla fratellanza e dall’umanità che dovrebbe unire tutti gli uomini, e si fissa su valori di ordine superiore e sacro per cui alla fine chi segue la religione giustifica che questo valore superiore e sacro sia anteposto a qualsiasi altro valore, ancorché si tratti della vita minacciata, dell’ingiustizia patita, del dolore umano. Per questo, così di frequente, il centro dell’attenzione delle persone religiose è il culto sacro, l’adorazione di Dio, che, nella logica della religione, sono cose che stanno al di sopra del meramente umano. Il sacerdote che scende in stato di purità da Gerusalemme vuole mantenersi puro per Dio e perciò non rischia di farsi contaminare dall’impurità, accostandosi al ferito. Magari questo sacerdote, come il levita che sopraggiunge di lì a poco, saranno stati anche soddisfatti di quello che avevano fatto, erano contenti di loro stessi, erano convinti di essere in stato di grazia, di essere veri credenti vicini a Dio perché si erano elevati verso il cielo tramite la purificazione. Magari arrivavano a cavallo canticchiando i grandi salmi che avevano appena recitato nel Tempio, dove si erano smacchiati di ogni impurità e resi graditi a Dio. Erano così bianchi, che più bianchi non si può. Ma loro sono passati oltre.

Al contrario, se Gesù afferma che il samaritano, dei tre il più lontano da Dio secondo la religione, quello che doveva avere l’anima nera per i peccati, si ferma, si sporca, perde il suo tempo e il suo denaro per aiutare un uomo sconosciuto, e fa tutto questo gratuitamente, senza alcun secondo fine, vuol mettere in evidenza che è lui, senza saperlo, ad essere in stato di grazia, non il sacerdote, non il levita, giacché grazia significa amore gratuito e fedele[24]. Inoltre, se colui che si è occupato di quella urgente necessità umana è stato un miscredente, un infedele, un eretico destinato alla perdizione secondo la religione ufficiale, ciò che Gesù realmente insegna è che la necessità umana viene prima dell’osservanza divina[25].

Non sembra che il magistero di Roma abbia seguito regolarmente questa via.

• Qualcosa Gesù ci detto anche in punto giustizia di Dio, se prendiamo per buono il giudizio finale di Matteo (Mt 25, 31ss.), ma anche qui sembra che quello che il magistero ci ha insegnato della giustizia divina non corrisponda a quello che ci fa capire il vangelo. Infatti la religione ci ha insegnato che il vero credente è vincolato dalla legge divina ed obbligato ad abbracciarla e osservarla (can.748 §1[26]); sussiste inoltre il dovere di obbedienza al magistero ecclesiastico (can. 212[27]), che si inserisce nel quadro dei diritti e doveri fondamentali di ogni fedele presenti nel II Libro del vigente Codex Iuris Canonici. Come aveva sinteticamente scritto il teologo Paquier Quesnel, qualche secolo fa, “l’uomo che si sottomette all’autorità e si sottomette alle leggi, sa anche che in realtà obbedisce a Dio”[28].

Il vangelo, però, ci dice qualcosa di molto diverso: il metro di valutazione finale non sarà affatto l’osservanza della Legge (Mt 25, 37-46), posto che le domande - che nel Vangelo di Matteo vengono già anticipate, sì che già sappiano per tempo cosa ci verrà domandato - riguardano sempre e solo i rapporti con gli altri uomini[29]. È poi piuttosto scombussolante leggere come, nel giudizio finale, Dio non condanna per aver violato la legge, ma neanche salva per averla rispettata. Non dice infatti: “Via da me, perché hai rubato al tuo prossimo violando il 7° comandamento”; ma neanche dice: “vieni a me, perché non hai mai rubato a nessuno, per cui non hai violato la legge divina”. Se ti allontana, è perché non hai dato del tuo quando l’altro era nel bisogno; se ti chiama a sé, è perché hai rinunciato al tuo denaro, al tuo tempo, alla tua vita per darli al fratello che ne aveva più bisogno di te[30].

Se questo sta scritto nel vangelo è il caso di leggerlo bene, mentre è meglio mettere da parte il taccuino su cui abbiamo segnato puntigliosamente le ore di preghiera, le messe e le confessioni sopportate con cristiana rassegnazione e le eventuali giustificazioni da tirare fuori nel caso Dio fosse più esigente di quello che ci raccontavano. Il Signore ci chiederà se lo avremo riconosciuto nel povero, nel debole, nell’affamato, nello straniero giunto da noi senza niente, nell’anziano abbandonato, nel parente scomodo. Sì! avete capito bene. Se solo ricordassimo che Gesù ha pagato con la sua vita l’annuncio di un amore universale di Dio, il quale non si lascia minimamente condizionare dal comportamento degli uomini… Se la gente diventa consapevole di questa Buona Novella, la religione si svuoterebbe di ogni sua forza e finirebbe irrimediabilmente distrutta. La forza della religione, infatti, sta nella tremenda minaccia di un Dio che premia i pochi osservanti della legge divina, ma castiga duramente i molti peccatori: questa sarebbe la giustizia divina. L’unico mezzo che i sacerdoti da sempre hanno avuto a disposizione per trattenere sottomessa la gente era ispirare una grande paura della morte e dell’immediato giudizio divino. La religione prende forza dalla legge contrabbandata come divina, cioè come voluta e imposta da Dio. Ma il Vangelo ci dice qualcosa di diverso, perché il giudizio sarà tutto su ciò che avremo fatto, e sul cuore con cui lo avremo fatto. Ecco perché il cristianesimo da vivere è molto più difficile del cristianesimo da credere!

(continua)


NOTE

[1] Nell’Antigone di Sofocle, la donna decide di dare sepoltura al fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe, lo zio Creonte, che l'ha vietata con un provvedimento espresso perché Polinice, morto durante l’assedio di Tebe, si era comportato come un nemico: non ha perciò diritto agli onori funebri. La donna sostiene che dare sepoltura è atto voluto dagli dèi ed è superiore a ogni divieto umano (vv. 450-457). L’autore affronta l’eterno problema della legittimità del diritto vigente. Per aver disobbedito seppellendo il fratello, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell'indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma è troppo tardi: Antigone nel frattempo si è suicidata, impiccandosi. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte (promesso sposo di Antigone), e poi muore pure la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria intransigenza.

[2] Sequela vuol dire impegnarsi per la promozione e la tutela della dignità di milioni di donne e uomini, per la loro crescita individuale e sociale in condizioni di vita degne. “Amare il prossimo” per Francesco esige attivarsi.

[3] Castillo J.M., El Evangelio maginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 114. Il grosso problema dei cristiani è che, pur pensando che tutto il Vangelo sia verità, di fatto per la maggior parte di noi non è vita, non è il nostro modo di vivere. Ed in questo modo viviamo nella continua contraddizione: da una parte la nostra “fede”, mentre la “sequela” di Gesù non è al centro delle nostre vite.

[4] Zagrebelsky G., Le false risposte del diritto naturale, “La Repubblica” 4.4.2007, 23.

[5] Tanto che ancora oggi, il messaggio di misericordia di papa Francesco colpisce e sembra nuovo, ma se si vanno a vedere gli atti del concilio Vaticano II, si scopre che questo papa segue perfettamente la linea del Concilio: già nel discorso inaugurale papa Giovanni XXII, faceva capire che la Chiesa non doveva temere di introdurre i cambiamenti ritenuti opportuni o sentirsi vincolata alle vecchie forme. Con un tono sorprendentemente diverso dai precedenti toni di rampogna e dalle alte grida di dolore che avevano caratterizzato i papati precedenti e lo stesso concilio Vaticano I, la Gaudet Mater Ecclesia (in ww.vatican.va/ Sommi Pontefici/ Giovanni XXIII sito web/ Discorsi/ 1962/ Solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II_ § 7.2) invitava ad usare "la medicina della misericordia" piuttosto che della severità e della condanna.

E sempre all'inizio del Concilio, l'assemblea plenaria aveva approvato un messaggio al mondo (in www.vivailconcilio.it/ Fonti conciliari/ Discorsi pontifici conciliari/ Messaggio a tutti gli uomini_20.10.1962) in cui si affermava che la Chiesa è vicina a tutte le angosce che affliggono gli uomini, in particolare i più poveri, i più umili, impegnandosi nel corso dei lavori - per essere sempre più fedele al vangelo - a tenere in gran conto la dignità dell'uomo e tutto ciò che contribuisce alla vera fraternità dei popoli.

[6] A dire il vero, seguendo Paolo (2Cor 5, 21), il quale dice: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”, c’è chi sostiene che giustizia divina sia sinonimo di salvezza. Ma, a parte il fatto che in un’altra lettera (Tt 3, 5) Paolo dice che siamo salvati dalla misericordia di Dio, occorre stare attenti quando si parla di salvezza, perché nei vangeli sinottici, il Salvatore è un uomo, mentre negli Atti degli apostoli e negli scritti di Paolo, il Salvatore è Dio. I sinottici, in effetti, quando parlano di salvezza, si riferiscono a situazioni di sofferenza e di minaccia per questa vita. Utilizzando il verbo sôzô (salvare) i vangeli si riferiscono alla cura degli infermi come salvezza. Una salvezza che, a quanto indicano i testi, si attribuisce alla fede dell’essere umano: «la tua fede ti ha salvato» (Mc 10, 52; Lc 7, 50; 8, 48; 17, 19; 18, 42). Tenendo presente che si tratta di una salvezza integrale, che sana il corpo e anche la dignità della persona, com’è il caso di Zaccheo: «Oggi è arrivata la salvezza in questa casa» (Lc 19, 9). In queste situazioni non si fa menzione di intervento divino, bensì di decisioni umane. Quindi si potrebbe anche dire che l’uomo Gesù ci salva, sulla terra, dal potere e dall’onore, in quanto forze che generano violenza e sono causa di sofferenza. Ma anche se questo la Chiesa non ce lo dice, Gesù ci ha salvato dalla religione. Si tratta della religione così come era intesa, vissuta e praticata dal sistema religioso imposto dai capi del giudaismo al tempo di Gesù. La religione come vincolo con alcune regole ed un sistema di vita che focalizza la persona su alcune verità assolute che non ammettono discussione, su alcune osservanze ed alcuni rituali, ai quali bisogna sottomettersi prescindendo da quello che succede nel mondo e dal fatto che le persone soffrono. È la religione che indurisce il cuore dell’uomo, senza che egli si renda conto di ciò che realmente vive. Ed è sempre la religione che divide e crea lo scontro fra le persone, anteponendo il sacro al profano, il religioso al laico.

[7] Come ha detto il cardinal Zuppi, alla fine di dicembre del 2021, in onore dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu appena morto, forse questo è stato uno dei pochissimi uomini capaci di tenere insieme l’impegno per la giustizia umana e il perdono, non permettendo che la fine dell’apartheid, per cui tanto aveva lavorato, si trasformasse in violenza. Allo stesso modo si era comportato Nelson Mandela.

[8] Palmaro M., La 194 e il diritto naturale, in Legge 194 trent’anni dopo, situazione e prospettive, Gribaudi, Milano, 2008, 63.

[9] Zagrebelsky G., Le false risposte del diritto naturale, in Repubblica, 4.4.2007, 23.

[10] In Collectanea S. Congregationis de Propaganda Fide seu Decreta Instructiones Rescripta pro apostolicis Missionibus, vol. I, n.1293, Typographia Polyglotta, Roma, 1907 “…Pertanto i cristiani possono lecitamente comprare schiavi, o darli in pagamento di debito o riceverli in dono”.

[11] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, Cittadella, Assisi, 2008, 23.

[12] Enciclica Mirari vos, in Enchiridion delle encicliche, 2°, EDB, Bologna, 1996, 40.

[13] Enciclica del 20.6.1888, reperibile in www.vatican.va.

[14] Op. cit.

[15] Palmaro M., La 194 e il diritto naturale, in Legge 194 trent’anni dopo, situazione e prospettive, ed. Gribaudi, Milano, 2008, 63.

[16] Cfr. l’articolo Il Dio del teismo è morto, al n. 461 di questo giornale,

https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-461---15-luglio-2018/il-dio-del-teismo-e-morto

[17] Zagrebelsky G., Le false risposte del diritto naturale, cit.

[18] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 288.

[19] Fontana S., Vita Nuova, n. 4913/2018.

[20] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi, 1989, 67s.

[21] Kasper W., Misericordia, Queriniana, Brescia, 2013, 58.

[22] Castillo J.M., El Evangelio maginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 154.

[23] In questo senso viene interpretato oggi anche Mt 5, 48 dove invece di invitare ad essere misericordiosi, Gesù sembra invitare ad essere perfetti come è perfetto il Padre nostro. Ovviamente per noi essere limitati e imperfetti, voler imitare la perfezione divina è impossibile.

[24] Verità e grazia (termini riportati in Gv 1, 14) significano appunto amore fedele (Ravasi G., La ricchezza del dono di Dio, “Famiglia Cristiana”, n.26/2013, 113).

[25] Castillo, J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 317.

Del resto, questa tesi viene ripetuta più volte nei vangeli: Giovanni predica un battesimo per il perdono dei peccati (Lc 3, 2s.), cioè in segno di un cambiamento di vita. Dove? Nel deserto. Ma nel deserto andava la gente che voleva fuggire dalla società. Quindi, per il potere, si trattava già di gente sospetta. Dovremmo essere scossi dal fatto che da questo tipo di gente è venuta la Parola di Dio al mondo, non dal sacro Tempio dei sacerdoti. Invece la cosa non ci tocca, e per lo più si continua ad andare nel tempio di oggi (la chiesa) per ascoltare la Parola di Dio.

[26] Can. 748 - §1. Tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità nelle cose, che riguardano Dio e la sua Chiesa, e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e godono del diritto di abbracciarla e di osservarla.

[27] Can. 212 - §1. I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa.

[28] Groetuysen B., La formación de la conciencia burguesa en Francia durante el siglo XVIII, Fondo de Cultura económica, Madrid-Buenos Aires, 1943, 277, citato da Castillo J.M., El Evangelio maginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019,149.

[29] Bianchi E., Le religioni: ostacolo alla fede o vie di salvezza? in E se Dio rifiuta la religione?, Cittadella, Assisi, 2005, 237.

[30] Aris J., Il dio in cui non credo, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 136.