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Balducci, Pasolini e Paola Franchina


di Stefano Sodaro


Nella teologia italiana tira aria nuova e fresca se si considera il contributo ormai decisivo che stanno dando al consolidamento di una nuova cultura ecclesiale le teologhe – in particolare con il loro Coordinamento (CTI – Coordinamento Teologhe Italiane) - e se si passa poi anche ad enucleare la passione con cui l’ultimissima generazione di teologhe del nostro Paese appena laureate, venticinquenni, ventiseienni, stanno innervando la conoscenza dei saperi religiosi, facendola uscire non soltanto, come s’usa stancamente dire, “dalle sacrestie”, ma anche dal rischio di un eccessivo appiattimento su logiche strettamente ecclesiastiche che porterebbe la nouvelle théologie delle giovanissime dottoresse nelle sacche del già detto.

Paola Franchina – curatrice sul nostro settimanale della rubrica Bar Marion (https://sites.google.com/view/barmarion/home) – è esponente di una teologia fatta da donne che però rigetta ogni semplicistico incasellamento tassonomico.

È una teologia laica, laicissima, vissuta e praticata fuori da ogni consesso codificato, foss’anche quello femminista. E nemmeno è funzionale, tale teologia, ad un mero rinnovamento interno alle strutture di Chiesa. Esce all’aperto, fuori appunto, in quel campo laico dove s’incontrano, se lo vogliono, tutte le scienze, nessuna esclusa e dunque neppure esclusa la teologia.

Accade che anche l’anticlericalismo si attesti su posizioni di negazione della scientificità della riflessione teologica, della sua delineazione di sapere critico. Mentre tale gusto della critica - intesa nella sua accezione originaria - è esattamente ciò che anima la passione di Paola Franchina. La quale - come sanno le nostre lettrici ed i nostri lettori - ha conseguito il Baccalaureato presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, a Milano, ed ora è licenzianda in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Quando Balducci rilevava nel 1984, ricordando quell’incontro nella sede de Il Giorno di cui abbiamo parlato, che «il fuori del Vangelo è un “oltre”, e il fuori di Pasolini è un “prima”, e cioè nel versante del primitivo, non dell’utopico» (p. 53 del volume di Andrea Cecconi citato), sembrava preannunciare la tensione teoretica del pensiero di Paola Franchina, che non s’accontenta del mero orizzonte ecclesiale, ma punta ad un orizzonte di confronto tra post-ontologia e teologia. Tra provocazione cioè che viene dalla semplice constatazione dell’esistenza della parola “Dio” nel vocabolario ed assedio di ogni tentativo iper-razionalista di vuotare tale parola di qualunque significato, mentre essa tuttavia rimane.

La generazione di Paola Franchina viene molto dopo gli anni Sessanta, di massimo fervore intellettuale di Balducci e Pasolini, proprio appena terminato il Concilio. In qualche modo l’affacciarsi delle “nuove teologhe”, come Paola, invita anche a superare una certa tendenza che può musealizzare, monumentalizzare, il Vaticano II, facendo invece della fede una istanza ultima e decisiva per il nostro vivere. Ma è ciò che animava il teologo Ernesto Balducci, anche quando prendeva le distanze dal filosofo Pier Paolo Pasolini.