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Guarigione del cieco nato - Gioacchino Assereto, 1640, Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, USA - immagine tratta da commons.wikimedia.org


Convergenza



di Dario Culot

Dicendo incarnazione diciamo che Dio si è fatto presente nella storia dell’umanità. L’incarnazione di Dio non è la condizione transitoria e terrena a partire dalla quale Dio ci fa conoscere Dio. L’incarnazione è più propriamente l’umanizzazione di Dio. Da lì, dal divino umanizzato e, pertanto, dalla pienezza dell’umano, è da dove Gesù ci rivela Dio (Castillo J.M.). L’incarnazione di Dio in Gesù è stata perciò l’avvenimento per il quale sappiamo che Dio, nel farsi carne, umanità, si è rivelato in quello che è comune a tutti gli esseri umani. Per questo si può dire che Dio è presente in quello in cui tutti gli umani coincidono, a prescindere dalla loro origine, cultura, religione. Per questo, l’incontro con Gesù è necessariamente convergenza.

Quando sentiamo una nostra dirigente politica dire “io sono donna, italiana e cristiana” saranno sicuramente vere le prime due affermazioni, ma nel momento in cui chiede di bloccare ogni ingresso agli stranieri, negando perfino il diritto allo straniero che ha fatto scuole elementari e medie in Italia di diventare italiano, sta dicendo qualcosa che va contro il cristianesimo di Gesù. Dove ci sono persone che si considerano credenti in Gesù, ma vivono questo loro credere in modo che la fede non si traduca in convergenza, cioè in avvicinamento e unione tra le persone, si può affermare con sicurezza che non esiste la fede cristiana. Dove non c’è convergenza, non c’è fede (Castillo J.M.).

Ovviamente si può essere religiosi anche senza aver fede. In effetti il primo problema è che ogni religione vive con la convinzione che la sua visione di Dio sia l’unica vera. Ogni religione crede di essere l’unica capace di penetrare e decifrare il mistero divino e di svelarlo ai suoi seguaci. A causa di questa intimità con Dio, ogni religione è anche convinta di essere la migliore di tutte. Ma mentre il mistero di Dio è lo stesso per tutti, quando la sua ricerca viene organizzata e condotta attraverso un sistema di credenze e di dottrine, inevitabilmente finisce per dividere le persone (Mori B.). E la divisione e lo scontro sono esattamente l’opposto dell’avvicinamento convergente voluto da Gesù. E se solo ci fermiamo a pensare un attimo, Dio non può dapprima umanizzarsi per disumanizzare subito dopo gli esseri umani portandoli allo scontro. Perciò Gesù non può essere la rivelazione di un Dio che ci divide e ci porta allo scontro. Soprattutto va tenuto presente che Gesù non ha mai proposto credenze o dogmi, ma solo comportamenti concreti da tenere nella vita quotidiana.

Incarnandosi, cioè entrando nella storia umanizzandosi, cioè facendosi presente in quello in cui tutti gli umani coincidono, il messaggio che viene dato da Gesù (e che noi dovremmo poi ritrasmettere) è la sacralizzazione dell’essere umano. Dio non ha espulso il sacro dal mondo; al contrario, umanizzandosi ha desacralizzato la divinità per sacralizzare l’uomo. In altre parole, il progetto di Gesù (l’instaurazione del Regno di Dio) è in definitiva un progetto profano di “umanizzazione” e non un progetto religioso di “santificazione” affidato a un’istituzione religiosa (Mori B.).

Questo cardine del cristianesimo ricavabile dai vangeli, però, non è stato ancora accettato dall’istituzione Chiesa, perché il magistero continua imperterrito a insegnare che la cosa più importante è il rapporto con Dio, sì che l’uomo deve spiritualizzarsi, sollevarsi magari fino a lasciare la materia, quando invece umanizzarsi implica che la cosa più importante nell’esistenza di ogni individuo è il rapporto umano con gli altri. Ci è stato insegnato che siamo esseri materiali capaci di esperienze spirituali. Oggi si comincia a pensare che noi siamo esseri spirituali che in questo momento stanno vivendo un’esperienza materiale. Noi esseri umani ci stiamo temporaneamente manifestando attraverso un corpo. In effetti Gesù ha cercato di rendere ‘prossimi’ tutti gli esseri umani, tentando di far capire loro che devono avvicinarsi e amarsi gli uni con gli altri. Solo così, non divinizzandoci, si può diventare persone migliori. Gesù ci voleva più umani, non più religiosi (Mori B.).

Però non è questo che ci hanno insegnato al catechismo, anche se oggi ormai sempre più gente pensa che incontrare Gesù e vivere la fede in lui non è sottomettersi all’osservanza di doveri religiosi, bensì raggiungere le aspirazioni, i desideri più profondi che sono comuni ad ogni essere umano. Siamo tutti fatti di carne (carnalità). E tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri e siamo fatti gli uni per gli altri (alterità). In queste nostre caratteristiche emergono numerose carenze, perché siamo incompleti e limitati. Da qui l’imperiosa necessità che tutti gli uomini hanno di ovviare alle proprie carenze più basilari. Quando tali carenze vengono soddisfatte, ciascuna secondo la sua cultura, la sua biografia, la sua religione e i suoi desideri più profondi, allora è quando troviamo Gesù. E, in Gesù, troviamo pure il Padre di tutti gli esseri umani. Il Padre (Dio) che rende possibile il raggiungimento di quello che non è proprio innato in ciascuno di noi e che consiste nel liberarci della disumanizzazione che tutti portiamo radicata nella nostra condizione di esseri limitati.

Allora è fondamentale rendersi conto che la convergenza di cui stiamo parlando non è convergenza di religioni. Anche se fino a papa Giovanni XXIII la Chiesa cattolica riteneva che l’unità e l’universalità si potesse avere solo sottoponendosi a Roma, certa che fuori della Chiesa cattolico-romana non ci fosse salvezza e che tutti dovessero convergere nella Chiesa romana, oggi ci si rende conto che non si tratta di convergenza di credenze, di rivelazioni, di idee su chi è Dio o sulla salvezza. E ancor di meno convergenza su rituali, cerimonie, culti sacri o norme relative a osservanze che hanno a che fare col sacro. Né è questione di sottomissione a una stessa autorità religiosa. La convergenza sull’umano, che ci libera del disumano che alberga in ciascuno di noi, è la convergenza in qualcosa che è perfino antecedente a ogni cultura e a ogni religione. Se guardiamo all’uomo Gesù, vediamo che si distingue da noi uomini comuni perché noi, in confronto a lui, abbiamo normalmente qualità meno umane delle sue, siamo infra-umani, in-umani, perché spesso ci comportiamo disumanamente. Basta pensare ai disastri che riusciamo a fare con le guerre o distruggendo l’ambiente che ci permette di vivere. Ma proprio per questo, quando nella vita incontriamo una persona profondamente umana, in questa sua umanità (liberata cioè dall’ “in-umano”) tutti noi intravediamo, intuiamo che esiste “il divino”, come ben emerge dalla parabola del buon samaritano (Lc 10, 30), la quale – come spiegato nell’Enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, del 2020,- invita a uscire dal nostro guscio d’indifferenza e fare esperienza sia della fragilità umana che della disponibilità a prendersi cura dell’altro. Ecco l’unione fra l’umano e il divino. Il ferito soccorso dal buon samaritano quando completamente rintronato apre gli occhi vede la faccia di un uomo; ma vedendo la carità del samaritano, vede in quel volto umano anche il volto di Dio, perché Dio invisibile diventa visibile e presente solo attraverso i nostri gesti (Maggi A.). Dio non ha mani, non ha una faccia, per cui spetta a noi testimoniare la sua misericordia. Siamo perciò noi il volto di Dio per le persone che incrociamo per strada. Così ha deciso il nostro Dio, stando a Gesù.

Tutto il resto invece (cioè che Dio è unico ma in tre Persone, che Gesù Cristo è la seconda Persona di questo Dio unico, che la seconda Persona di quel Dio Trinitario è scesa dal cielo e si è incarnata nel grembo di una vergine diventando così vero uomo rimanendo vero Dio; che Gesù è stato generato e non creato della stessa sostanza del Padre prima di tutti i secoli essendo la seconda Persona della Trinità, e che tutte le cose sono state create per mezzo di lui, eccetera, eccetera) è frutto di congetture esclusivamente umane, ma non si trova in questi termini nei vangeli, e soprattutto ha scarsa importanza rispetto al comportamento esemplare del samaritano (che tutti siamo chiamati a imitare), che in quel momento neanche pensava a Dio e non si poneva alcuna domanda sulla sua vera natura. Gesù chiede a tutti noi di imitare quell’uomo ritenuto eretico dalla religione ufficiale, non di credere ai dogmi insegnatici dal magistero. Se già imitiamo il samaritano possiamo dirci seguaci di Gesù; finché crediamo solo ai dogmi, no.

Dio resta sempre trascendente, cioè resta in un ambito per noi inaccessibile, inconoscibile, inconcepibile, inafferrabile. Del resto un Dio che si comprende non sarebbe più Dio. Di conseguenza non possiamo mai sapere quello che pensa Dio, e gli slogan dei fondamentalisti (“Dio lo vuole!”) sono pertanto irragionevoli. Non si può affermare ciò di cui non si sa nulla. Il cristianesimo, invece di elaborare grandi dottrine su Dio e su Gesù, dovrebbe semplicemente farci conoscere il Vangelo e spingerci a vivere nella sequela di Gesù, sì da comportarci ogni giorno più umanamente come ha fatto il buon samaritano, il quale ha semplicemente dimostrato di amare il prossimo.

Finché il magistero si limita a insegnare una dottrina, trasmette una teologia che sicuramente sarà anche ortodossa, ma non trasmette ancora il Vangelo di Gesù. Stando al Vangelo, Gesù ha raccomandato solo questo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo (ndr: non dalle credenze o dalle conoscenze teologiche) tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34s.), proprio come ha dimostrato il samaritano.

Se questo è vero, siamo ancora ben lontani dal poterci definire cristiani.