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Golgota. Součást areálu Křemešník. Křemešník. Nový Rychnov. Okres Pelhřimov. Kraj Vysocina. Repubblica Ceca - foto di Jiří Zelenka tratta da commons.wikimedia.org

Il talamo della croce e il Venerdì Santo



di Stefano Sodaro


Un certo filone mistico – in verità non più molto in voga – ha effettivamente usato questa immagine, del talamo, riferendola alla morte ignominiosa del rabbi Yeshua-Ha-Nosri, Gesù di Nazaret. Una morte – è purtroppo ancora assai necessario ribadirlo – decretata dal potere romano, l’unico che poteva infliggere la condanna capitale, e non certo dal potere religioso del Tempio di Gerusalemme. E sarebbe francamente l’ora di smetterla con una specie di cripto-accusa di deicidio rivolta agli Ebrei, che, nonostante la solenne Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate del Vaticano II, stenta ancora ad essere del tutto eliminata, abbandonata ed anzi svergognata, dal “santo e fedele” Popolo di Dio, che pur abbisogna di continua purificazione.

E la croce, la morte con quel supplizio infamante, sarebbe appunto – secondo quella scuola mistico-ascetica (la differenza sfuma in questo caso) – il lavacro che rigenera la Chiesa, la purifica, l’assolve, la fa anzi nascere. Lo abbiamo sentito spesso ripetere: “La Chiesa nasce dal costato squarciato di Cristo”.

Scrive il campione della patristica, San Giovanni Crisostomo, nelle sue Catechesi, in un passo che si legge proprio durante l’Ufficio delle Letture della Liturgia delle Ore di questa giornata secondo il Rito Romano e che riportiamo dapprima in latino per la pregnanza del testo: «De látere sanguis et aqua. Nolo tam fácile, audítor, tránseas tanti secréta mystérii. Restat enim mihi mýstica atque secretális orátio. Dixi baptísmatis sýmbolum et mysteriórum aquam illam et sánguinem demonstrári. Ex his enim sancta fundáta est Ecclésia, per lavácri regeneratiónem et renovatiónem Spíritus Sancti, per baptísma, inquam, et mystéria quæ ex látere vidéntur esse proláta. Ex látere ígitur suo Christus ædificávit Ecclésiam, sicut de látere Adam eius coniux Eva proláta est.» Ed un po’ più avanti, con parole che tuttavia la versione italiana ufficiale del medesimo Ufficio non riporta (sia lecito immaginare per un devoto eccesso di prudenza e compostezza): «Vidéte quemádmodum sponsam sibi Christus coniúnxit, vidéte quo nos cibo enútrit. Eódem cibo náscimur et nutrímur. Nam sicut múlier, affectiónis natúra cogénte, génitum álere lacte suo et sánguine festínat, sic et Christus quos ipse regénerat suo sánguine semper enútrit.»

Proviamo a tradurre liberamente, al nostro modo, entrambi i passi: «Quanto al fianco da cui sgorgano sangue ed acqua. Non voler tanto facilmente, tu che ascolti, andar oltre i secreti di un mistero così immenso. Infatti per me vi è un’altra preghiera del cuore, mistica ed ancor più segreta, da svelarti nel suo significato. Ho già detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e degli altri sacramenti. Da essi infatti è generata, fondata, la santa Chiesa, attraverso la rigenerazione di simile lavacro ed il rinnovamento operato dallo Spirito Santo attraverso il battesimo – te lo dicevo appunto – e mediante i sacramenti che scaturiscono da quel fianco straziato. Dal suo costato quindi Cristo ha generato la Chiesa, così come dal suo costato Adamo ha formato Eva. (….) E vedete in qual modo Cristo si è unito alla sua sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Con lo stesso cibo con cui siamo nati e continuiamo a nutrirci. Infatti, come la donna, quasi costretta dall’intensità del suo amore, nutre il figlio con il latte e lo fa nascere presto nel suo sangue, così Cristo stesso rigenera coloro che del suo sangue sempre nutre.»

Ma simili parole, per quanto storicamente datate, tutto sono fuorché un ammennicolo devozionale: hanno a che fare con la concretezza di quei fatti storici ed anche con la fisicità del nostro stesso essere.

Riconosciamolo: quando mai nelle nostre chiese si parla di sangue, parto, latte? Eppure la patristica, così vigorosa sostenitrice - si dice - della continenza sessuale, monastica, dimostra una conoscenza della vita ignota ai nostri consessi ecclesiali e non teme di parlarne e scriverne. Che sia dunque vero che solo chi è monaco può capire il matrimonio e solo chi è sposato e sposata può capire il monachesimo? E che vuol dire, poi, in effetti essere sposato e sposata? Questione solo di rito e cerimonia riconosciuta dallo Stato? E se il matrimonio fosse esatta contestazione di simile sistemazione socio-religiosa, suo inveramento, cioè, in un orizzonte completamente diverso ed ancora sconosciuto secondo i tratti tipici della nostra cultura (ancora neo-borghese)?

Molto più tardi del Crisostomo, un altro Santo, Bernardo di Chiaravalle, nei suoi Sermones super Cantica Canticorum, al Sermo 12, 11, così si esprimerà: «Gratias tibi, Domine Iesu, qui nos carissimae Ecclesiae aggregare dignatus es, non solum ut fideles essemus, sed ut etiam vicae sponsae in amplexus iucundos, castos, aeternosque copularemur.» Adriana Zarri, nel suo capolavoro Nostro Signore del deserto. Teologia e antropologia della preghiera, a p. 56, nota 3, II edizione del 1984 per Cittadella Editrice, ripropone il passo, ma non lo traduce, chissà, forse per pudore. Avventuriamoci noi: “Ti ringraziamo, Signore Gesù, che ti sei degnato di aggregarci alla Chiesa carissima non soltanto per esserne fedeli ma perché, come una sposa, possiamo – letteralmente sarebbe “copulare”, ma facciamo finta che non sia questo il significato preciso e deviamo per un – unirci in amplessi festosi, casti e senza fine.”

Potremmo essere forse indotti a pensare che, siccome i Sinottici e poi Giovanni, ci parlano nominativamente di alcune donne presso la croce di Gesù, il quadro si componga in armonia. Mistiche spose di mistico sposo, compresa addirittura sua madre, “figlia di suo figlio”.

Ma, se per un istante soltanto, immaginiamo che su quella croce, non al tempo ma oggi, adesso, ci sia una donna, allora la questione si fa molto più ingarbugliata ma anche molto meno melliflua.

Non è che con un corpo di donna sulla croce sotto ci sarebbe stata una selva di cavalieri serventi, no. La vicinanza fisica, immediata, tattile delle donne non cambierebbe. La sororità non è l’equivalente femminile della fraternità. L’espressione “vice sponsae” usata da Bernardo varrebbe anche per un ipotetico Redentore donna. Che vogliamo dire? Semplicemente che l’alterità ci abita. Che l’Altra attraversa tutte ma anche tutti. Che non esiste una ipostasi del femminile, nemmeno in Maria di Nazaret, così come Gesù di Nazaret non è l’ipostasi del maschile.

Il “talamo della croce” è intrico delle nostre sofferenze con i nostri bisogni vitali, affamati, urgentissimi, di vicinanza.

La Via Crucis voluta dal Papa a Roma con la croce portata da una donna russa e da una ucraina è segno di simile complessità inestricabile. Sia concessa solo una modestissima considerazione, fatta davvero in punta di piedi con tutto il rispetto necessario per la sofferenza altrui: non risulta che il Popolo d’Israele abbia odiato il Popolo Tedesco, né che il Popolo Tedesco, nella sua totalità, nonostante il trionfo popolare (appunto) di Hitler, abbia odiato il Popolo d’Israele. Dietrich Bonhoeffer era tedesco. Le ragazze ed i ragazzi della Rosa Bianca erano tedesche e tedeschi.

Il letto nuziale della croce è un’assurdità in termini logici, è inammissibile mentalmente, è una follia che solo una perversione necrofila sembra poter ammettere. Ma è l’amore scandaloso, anzi, meglio: l’amore impossibile, il solo che può salvarci.