Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Tre mariti ed una donna. Che non credevano in Niente



di Stefano Sodaro

Draupadi e i Pandava

Faceva freddissimo quella sera, prima della notte. Due si conoscevano molto bene, ma due no, anzi: tre no.

C’era un freddo però, quella sera, prima della notte, che corrispondeva ad un – come si dice in Val di Zoldo (quasi agli antipodi) – “freddo zitto”. Da neve. Un freddo, dunque, molto particolare. Che invita ad ascoltare, per poter poi parlare.

Se non s’erano quasi mai visti, che mai avevano da parlottare fitto, quei tre mariti, uomini sposati, quella sera, prima della notte?

Parlavano perché c’era Lei. Che non era sposata.

Lei al centro del loro dire, come se fosse l’Unica a permettere a quei tre di aprire il cuore e riscaldare la mente.

Qualcuno aveva spiegato: “Lei è Sapiente”. Colei che dà sapore. Che fa gustare la vita, le ore, i giorni, il tempo ed i luoghi, il freddo ed il caldo. La solitudine e la compagnia. Ma Lei chi?

Uno dei tre aveva trascritto al pomeriggio, in completo romitaggio lassù, frasi del greco antico. Di un’antica profezia montanista. Quintilla, o Priscilla. Metà del secondo secolo, tempo di donne profetesse, appunto.

Lettere antichissime ma inaudite, se non anche inedite per tantissimi, la maggioranza: un Cristo in forma di donna.

«Cristo è venuto a me sotto forma di donna, avvolto in splendida veste. M’infuse la sapienza e mi fece sapere che questo luogo è santo e qui deve scendere la Gerusalemme celeste».

La cristologia femminista è ancora retaggio di sole esperte e pochissimi esperti.

Piano però. Non si rivelano le confidenze del cuore. La storia va bene, ma dire “Cristo” pubblicamente, ad altri od altre, è già dire troppo, ci sono quelli che lo bestemmiano ripetendo in continuazione un aggettivo ch’è ormai nome proprio. E il cognome?

Rivoltiamolo in nome corretto, ben prima di ogni cristologia: Yeshūa.

Casomai: Ha Nosri di cognome.

E chi sarebbe?

No, non può essere che l’ignoranza giunga sin qui.

Di Nazaret, cognomizzato come fosse, che so?, Di Santo.

Più chiaro ora? Forse no, per nulla.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

“Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”.

Ora sì. Capito.

Anche lui, prossimo a morire, credeva solo a Niente. Cioè a Dio, immediato supremo Niente, proprio come la morte, che silenziosa accompagna ogni passo di vita, che in essa – infatti –, nella morte cioè, potrebbe riversarsi ad ogni istante. Annichilimento di ogni metafisica, di ogni algida perfezione concettuale. Realtà dell’esserci, ora, qui. Di Dio non si può che tacere, anche la Parola va mangiata.

Stupefacente che tre uomini, tutti sposati - lo si è già narrato – circondassero proprio Lei, che non era sposata.

Eppure le grandi correnti di spiritualità lo comprendono facilmente: solo chi si sposa può accogliere il monachesimo, solo il monachesimo può accogliere chi si sposa. Ancora una volta, però: piano con le parole. Nessuno era monaco o monaca di quei quattro, quella sera freddissima prima della notte. Al contrario.

Ma anche il monachesimo, come l’adesione di fede, è un “contrario”. Il paradosso del vero. La verità che si afferma nel silenzio, nel cibo, nel gioco, nello sguardo, nel sorriso, nel dialogo a briglie sciolte, che nessun Tempio, nessuna Chiesa, sa trasformare in liturgia. Anche il canto e la preghiera sono di strada, di fuori.

Venerdì prossimo sarà il Giorno della Memoria.

La Shoah.

Fare memoria del silenzio, dell’impotenza di Dio.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

È lo “tzitzum” dei Cabalisti ebrei, il ritrarsi di Dio.

Il Popolo dell’Alleanza, Israele, testimonia oggi, adesso, una Memoria viva, che non s’addormenta, non si placa, non si estingue, non si volge solo indietro.

Che prende il Rotolo e lo mangia. Dio, Inenarrabile, “Padrone del Mondo”, parte di noi stesse e noi stessi. Una trascendenza che si fa dichiarazione d’amore impossibile. Quanto impossibile? Perché saltano tutti gli schemi, tutte le logiche, tutte le coerenze, tutte le attese.

Il nazifascismo cosa fu e cos’è? Innamoramento per le lettere maiuscole, per le luci accecanti e per l’oscurità cupa, color pece, complice d’orrori. Innamoramento per una Verità incapace di vita, bloccata nel nulla contrario del Niente. L’horror vacui che divora l’ordo amoris.

Scandalizzavano i tre mariti intorno alla Sapiente non sposata chi li avesse eventualmente osservati? Speriamolo. Speriamo che scandalizzassero. Perché parlavano di come la Memoria possa diventar varco, respiro, alito, persino sogno e gioco. Incontro. Unione che nessun diritto può mai disciplinare.

Forse venivano in mente i Pandava e la loro unica sposa Draupadi della tradizione indiana (di cui alla foto di copertina di questo editoriale) o le suggestioni latamente poliandriche del nostro incanutito Rodafà. Chissà.

Del resto “Noi siamo un colloquio” s’intitolerà l’incontro di sabato prossimo, alle ore 21 sulla piattaforma Zoom, promosso dal nostro settimanale e dell’Associazione Culturale “Casa Alta”, che vedrà a confronto la psicologa Silvia Bicciato e la psicoanalista Franca Feliziana Kannheiser, moderate dalla Vicepresidente di “Casa Alta”, la teologa Paola Franchina. La partecipazione è libera, basta richiedere via mail le credenziali di accesso Zoom a: casa.alta@virgilio.it

La memoria ci abita, non solo quella personale. Ci forgia e ci apre al futuro.

La “memoria del futuro” è un bel tema. Quella sera freddissima, prima della notte, i tre mariti e la Sapiente lo avevano capito.

Per questo si erano trovati, nella sorpresa stupefatta di volti improvvisamente amici.

Il nostro grande, unico, scrittore Pino Roveredo, mancato proprio oggi, frequentatore instancabile di ogni ferialità ferita, ci addita orizzonti in cui lo scarto, il margine, l’improponibile, persino la condanna e l’ostracismo, diventano codice linguistico amorosa. Qualunque cosa “amare” significhi.

Buona domenica.