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Soffitto della Grande Sagrestia - Cattedrale di Siviglia - foto tratta da commons.wikimedia.org

Onnigamia concordataria contro antagonismo sovranista

di Stefano Sodaro

Esiste un’opera di trattazione giuridica d’eccezionale importanza e rilevanza, intitolata Il diritto delle relazioni affettive. Nuove responsabilità e nuovi danni (CEDAM 2005), in 3 volumi, a cura del Prof. Paolo Cendon, civilista di chiara fama che ha a lungo insegnato presso l’Università di Trieste, artefice – tra l’altro - dell’istituto dell’amministratore di sostegno, che si tradusse poi in legge dello Stato.

Nel contributo di Barbara Vacca, dal titolo La rilevanza dell’amicizia nel diritto civile, contenuto nel primo volume dell’opera, così si può leggere, alle pp. 1865-1866: «Ciò che caratterizza il negozio fiduciario, e lo distingue da altri schemi, normalmente utilizzati per raggiungere uno scopo diverso da quello apparente, è pertanto l’effettività del trasferimento del diritto in capo al fiduciario, che ne diviene proprietario a tutti gli effetti (ciò accade nella cd. fiducia dinamica). L’elemento fondamentale e caratterizzante di questo schema negoziale è la fiducia, l’affidamento di una parte sulla lealtà di comportamento dell’altra, dato che il fiduciario riceve una posizione giuridica più ampia rispetto ai limiti obbligatori che lo vincolano alla realizzazione di un determinato scopo, esponendo il fiduciante alla possibilità di abusi da parte del fiduciario. Il pactum fiduciae nel nostro ordinamento, a differenza di quelli di origine anglosassone – in cui esiste lo schema tipico del trust (ora introdotto anche nel nostro ordinamento per effetto del recepimento della convenzione internazionale dell’Aja sui trusts del 1985, avvenuto con l. 16.10.89, n. 364) che crea un vero e proprio vincolo reale sulla proprietà – ha portata e valenza meramente obbligatoria e, quindi, la realizzazione dell’interesse perseguito dal fiduciante dipende dalla sola spontanea collaborazione del fiduciario. Ancor prima che a livello giuridico, tuttavia, il negozio fiduciario impegna i soggetti coinvolti a livello morale e sociale, ed ecco perché si può parlare, in relazione a tale istituto, di rilevanza dell’amicizia. (…) Alla base dello schema del negozio fiduciario vi è dunque un forte affidamento sulla lealtà dell’altra parte che può nascere solo dall’esistenza di un vero sentimento di amicizia o comunque da un legame affettivo capace di garantire il rispetto degli accordi interni. Non è un caso che in periodi di guerra o di persecuzioni razziali, politiche o religiose si sia fatto ricorso a tale strumento negoziale per preservare le proprietà e i beni dei perseguitati da illegittime confische, intestando fiduciariamente tali beni ad un amico fidato, il quale, vincolato solo dal sentimento di lealtà e affetto, provvedeva alla loro amministrazione ed infine li ritrasferiva al fiduciante alla cessazione del pericolo o della situazione di bisogno.»

Parole davvero molto importanti e dense di significato, che possono sorprendere solo chi non sa, non avverte e non sperimenta, quanto il diritto sia implicato nelle nostre vite d’ogni giorno.

L’onnigamia – di cui più volte il nostro Rodafà ha cercato di dire qualcosa, probabilmente non riuscendovi - vive dentro spazi che non sono primariamente e superficialmente “amorosi” a mo’ di zuccherino, ma molto profondi ed interiori ed allo stesso tempo molto esterni, estroversi, proiettati al pubblico e non al privato.

È gamìa ciò che non vive per il tempo della passione d’amore e basta, ma che traduce in amore ogni istante della vita. L’onnigamia non è dunque esclusiva, però di certo assai selettiva e squisitamente elettiva.

E perché “onni”? Proprio per questo: perché non ci sono esclusioni, riserve per un investimento di fiducia verso chiunque, alla sola condizione che di tale fiducia “l’eletto”, o “l’eletta”, si renda casa ospitale, abbraccio di riparo; alla sola condizione insomma che di tale richiesta di fiducia – magari da chi a propria volta risulti sconosciuto – il candidato fiduciario riconosca il diritto d’asilo.

Trasferiamoci dall’ambito interpersonale a quello politico, costituzionale ed internazionale. Una domanda: chi contesta la legittimità attuale – mutate le circostanze storiche, si dice diffusamente – del Concordato, in vigore a norma dell’art. 7 della Costituzione Italiana, contesta anche le Intese tra lo Stato Italiano e le Confessioni religiose diverse dalla Chiesa Cattolica stipulate a norma del successivo art. 8?

Va da sé che abbandonare una reciproca disciplina di rapporti tra Enti rappresentativi di fedi religiose e Stato laico significa decretare l’impossibilità di qualunque pactum fiduciae in uno degli ambiti più delicati e sensibili della manifestazione della personalità di ognuna ed ognuno.

Proprio laddove la cittadina ed il cittadino, affermandolo o negandolo, si confrontano con un Oltre decisivo per la loro stessa concezione del mondo, lo Stato laico arretra negando – se la prospettiva fosse quella abolitiva – che vi sia qualcosa da assicurare, un qualche diritto da riconoscere e tutelare. Un po’ singolare, in effetti.

Potremmo assegnare il ruolo di fiduciante e fiduciario ad ognuno dei due soggetti implicati in simile ragionamento, lo Stato oppure l’Ente rappresentativo di una confessione religiosa: per rimanere nel perimetro – in verità alquanto angusto – delle cronache, potrebbe essere fiduciante lo Stato Italiano e fiduciaria la Chiesa Cattolica, oppure fiduciante la Chiesa Cattolica e fiduciario lo Stato Italiano.

Ed oggetto di questo “negozio fiduciario” potrebbero essere non già beni materiali ma dimensioni immateriali, per appunto, di esplicazione della personalità di ognuna ed ognuno. Con un paradosso che forse normalmente sfugge: lo Stato laico si fida della tutela dei non credenti da parte dell’ordinamento religioso – canonico o d’altro tipo – e l’Ente religioso (di necessità apicale in quanto rappresentativo) si fida della tutela dei credenti da parte dello Stato.

Se questo “incarico fiduciario” è tradito dall’uno o dall’altro, il disastro è completo. E la rottura è foriera di tragedie che la Storia puntualmente registra.

L’onnigamia, che traspare da un’impostazione fiduciaria della vita, non è dunque evanescenza romanticheggiante – o addirittura, e meno che mai, genesi di pruriginosi e criptici brividi erotici –, ma lucida consapevolezza politica.

Fidarsi reciprocamente è atto, in grado sommo, politico e non suona male, allora, l’esistenza di un vero e proprio diritto delle relazioni affettive. Suona male piuttosto la fuga nell’ombra del segreto privatissimo non già per tutelare il pudore – ciò che è sacrosanto -, bensì per impedire che un nuovo assetto dei rapporti, personali ed ultrapersonali, possa nascere, emergere, crescere e chiedere riconoscimento.

L’io ingigantito fino alle dimensioni di un ciclopico “noi” fatto di nessuno e nessuna, malato di solitudine che però nega furiosamente, è onnivoro, caratteristica opposta all’essere onnigamico. Divora, sbrana, ogni attitudine all’alterità amicale, affettiva, pure amorosa sì – ma autenticamente amorosa, non sessualmente amorosa e basta -; la fiducia nasce quando l’io si rimpicciolisce, rinuncia alla propria sovranità e tende le mani perché altre mani gli accarezzino il volto.

Forse il futuro del diritto fiduciario è appena iniziato.

E forse, dallo stretto angolo visuale del diritto, si possono iniziare ad intravedere cieli nuovi e terre nuove.

Buona domenica.