Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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12. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



21. Nella relazione Lei ha detto che solo Giovanni Battista ha chiesto a Gesù chi era. Non mi sembra esatto: anche i farisei hanno chiesto lo stesso (Gv 8, 24-25) e Gesù chiarisce loro di essere Dio pronunciando la famosa frase “Io sono”, perché “Io sono” indica – come sappiamo - la natura divina (lo riconosce lo stesso Alberto Maggi che vedo Lei apprezza molto). E allora, come fa a negare che Gesù è sostanzialmente Dio?

Nell’Esodo 3, 14 (nell’episodio del roveto ardente) la formuletta «Io sono» designa chiaramente Dio; ma che nel roveto ardente cui Mosè si avvicina ci fosse Dio in persona, lo si capisce anche da tutto il racconto. Altre volte, ad es. in Ezechiele (ad es. Ez 26,6; 38, 23; 39, 7.22.28; ma vedi anche Es 20, 2), la formula non si limita a «Io sono», ma più chiaramente dice: “Io sono il Signore”, per cui anche in questi casi non si lascia spazio a grandi dubbi.

Ma tornando al roveto ardente, questa famosa risposta Dio la dà a Mosè che gli sta espressamente chiedendo il suo nome, visto che questo «Io sono» lo sta mandando dagli israeliti per liberarli dal giogo egiziano. Comunque, nel prosieguo, si vede che il Dio della Bibbia ha una funzione liberatoria (Es 14, 17) perché si può intendere il suo discorso anche nel senso che “Io sono colui che vi trae fuori dall’Egitto, per cui vi libera dalla schiavitù”. Ecco perché si può affermare che anche la definizione che Dio ha dato a Mosè non è una definizione dell’«essere» suo, ma della sua «attività». Siamo cioè sempre nel campo dell’accadere, nel campo di ciò che Dio fa, non davanti a una definizione metafisica, dove l’«Io sono» andrebbe inteso come “Io sono l’eterno, l’infinito, il perfetto che esiste da sempre”. Nella Bibbia non esiste metafisica, non conosciamo Dio nel suo essere, ma solo nella sua attività, che mira a liberare dalla sofferenza e dall’oppressione; lo stesso avviene nei vangeli perché Gesù ha fatto per l’appunto questo durante tutta la sua vita, dimostrando che così si comporta il Padre. Per di più risulta che Gesù non ha mai perso tempo parlando del trascendente, cioè di cose di cui non conosciamo niente. È allora inutile chiederci come sarà la Trascendenza. Gesù promette solo che chi lo accoglie avrà vita eterna. Il resto lo vedrà dopo.

Che pertanto Gesù, nel Vangelo di Giovanni, utilizzando l’«Io sono» (es. Gv 8,58), rivendichi la sua natura divina mi sembra opinabile,[1] in primo luogo perché i sacerdoti non gli stanno chiedendo di qualificarsi; lo stanno canzonando perché se alla sua età pensa di aver visto Abramo sta ovviamente farneticando. Poi lo stesso nostro magistero c’insegna che Gesù è il Liberatore perché la sua parola è efficace e guarisce, e in effetti anche i vangeli sono permeati di questa funzione liberatoria: dunque sempre un accadere. È indubbio che Gesù ha abituato i propri ascoltatori a capire che sulla sua bocca la parola “Dio”, e in particolare quella di “Padre”, significa “Abba, cioè papà[2]. Gesù si pone in un rapporto di intimità con Dio superando le concezioni giudaiche. Egli ha libero accesso a Dio, specialmente nel suo parlare profetico e nella sua preghiera. E c’è anche da sottolineare che neanche col passare dei secoli il termine Abba è stato tradotto, così restando come un’eco di quell’esperienza personalissima vissuta da Gesù[3]. Si può anche ben capire lo sconquasso portato da Gesù in una società dove non si osava neanche pronunciare il nome di Dio, e improvvisamente arriva un giovane (neanche sacerdote) che comincia a parlare di Dio e rivolgersi a Dio chiamandolo Abba (Papà), quando noi, dopo duemila anni, neanche osiamo rivolgerci ai nostri vescovi e cardinali chiamandoli Abba, perché continuiamo a baciar loro l’anello e a incensarli con i titoli altisonanti di “eccellenza, eminenza”[4].

Fatte queste premesse, va riconosciuto che nel brano da Lei ricordato, alla domanda “chi pretendi di essere” (Gv 8 53), Gesù risponde piuttosto vagamente: sicuramente non dice espressamente di essere Dio, né di essere Figlio di Dio, e già questo è strano perché non aveva le remore dei suoi concittadini nel pronunciare la parola Dio; per lui la parola Dio non era più tabù. Richiamo poi quanto detto nella risposta 19: Gesù, che non ha mai detto di essere Dio, ha detto invece di essere un uomo (e questo termine è stato a lungo censurato dalla Chiesa).

Ma soprattutto è fondamentale ricordare che anche il cieco nato, dopo aver riacquistato la vista, usa la stessa formula: “Io sono” (Gv 9, 9). Allora Lei crede che anche l’uomo cieco stia rivendicando la sua natura divina? Non penso proprio, tant’è che nessuno si sogna di dire che il cieco va equiparato a Dio per la sua condizione divina. Non si possono allora usare queste brevi frasi, assolutamente non univoche, per affermare che al di là di ogni dubbio lì c’è la prova che Gesù è Dio.

E tanto per essere precisi, va anche aggiunto che in tutti questi passi, nel testo originale greco sta sempre scritto: ego eimì (letteralmente: “io sono”). Però, nella traduzione italiana, quando è Gesù a parlare (Gv 8, 58; 14,6) si traduce con “io sono”; quando invece è il cieco a parlare (Gv 9, 9) la traduzione inopinatamente cambia e diventa: “Sono io” oppure “Sono proprio io”. Perché? Forse perché pochi leggono il greco e allora si può facilmente portare acqua al proprio mulino semplicemente invertendo in italiano l’ordine delle parole[5]. Ma questa inversione non c’è nell’originale testo greco, e appare allora sospetta nel testo italiano.

Va fatta una precisazione ulteriore. Tutti i vangeli sinottici ripetono che Gesù era condotto dallo Spirito (Mt 4,1; Mc 1, 12; Lc 4, 1: è lo Spirito che lo fa andare nel deserto). Nei sinottici sembra proprio che Gesù abbia bisogno dello Spirito come se non disponesse di una potenza propria in quanto seconda persona della Trinità[6]. Anche Giovanni dice che, al momento del battesimo, lo Spirito santo discese e si fermò su Gesù (Gv 1, 33). Nella lettera agli Ebrei è spiegato che Cristo offrì sé stesso a Dio per mezzo dello Spirito Santo (Eb 9, 14). Ora, se Gesù è già Dio da subito, perché avrebbe avuto continuo bisogno del supporto esterno dello Spirito santo? Che necessità aveva di essere illuminato, condotto o ispirato da esso? Se, stando a queste precisazioni evangeliche, non è possibile pensare a Gesù senza abbinarlo allo Spirito di Dio, stride non poco l’idea che Gesù sia anche lui già Dio.

Inoltre, Giovanni Battista definisce espressamente Gesù come uomo (Gv 1, 30: «Dopo di me viene un uomo»); e solo dopo aver visto lo Spirito posarsi aggiunge: «E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Gesù, che era stato identificato semplicemente come un uomo, viene in seguito identificato come il Figlio di Dio (Gv 1, 34). Dunque, è attraverso lo Spirito santo che discende e si ferma sull’uomo Gesù che si compie in lui la pienezza della condizione divina perché solo a quel punto Gesù manifesta pienamente sulla terra la realtà di Dio:[7] non siamo quindi davanti a un Dio preesistente, o per lo meno non siamo davanti ad elementi ancora sufficienti per affermare che c’è perfetta uguaglianza di natura divina (consustanzialità) fra Dio e Gesù[8]. Non dimentichiamo neanche che, nella Bibbia, Figlio di Dio è normalmente tutto il popolo d'Israele; nel Sal 2 figlio di Dio è il nuovo re; in 2Sam 7, 14 figlio di Dio è Davide, cioè parliamo sempre di uomini; e in Giovanni, Gesù non è Figlio di Dio in quanto tale, ma solo perché su di lui si è posato lo Spirito. Quindi, prima che si posasse lo Spirito, Gesù non era Figlio di Dio neanche per Giovanni. Anche l’espressione “tu sei mio figlio” (Mt 3, 17; Mc 1, 11) non indica tanto chi è Gesù, quanto chi è Dio. E con questa frase il Padre dichiara che il suo atteggiamento verso gli uomini è lo stesso di quello che manifesterà Gesù; quindi in Gesù possiamo vedere come si comporta Dio.

Va ricordato che nella cultura di allora non si sapeva che anche la madre contribuiva con la metà del patrimonio genetico[9] alla nascita di un bambino, e si riteneva che la donna fosse una mera incubatrice biologica: del resto nella cultura contadina, solo il seme, non la terra, trasmetteva tutto il patrimonio genetico alla pianta. Secondo la mentalità di allora il seme del padre faceva tutto, e quindi solo il padre generava il figlio;[10] ma il padre – come ho già detto nel §8 della relazione - non trasmetteva solo la vita: soprattutto consegnava al figlio tutto il suo bagaglio di valori religiosi e di insegnamenti morali[11]. Quindi, essere “figlio di…” indicava non tanto la generazione biologica quanto il fatto che il padre trasmetteva poi al figlio i valori del popolo, della tradizione, per cui il figlio, crescendo, sarebbe somigliato al padre[12]. Ci si aspettava che i figlio facesse cioè le stesse cose che faceva il padre, ed è questo che lo qualifica come figlio. Quindi Gesù è figlio perché farà le stesse cose del Padre, assomiglierà a Dio e non a Giuseppe, per cui sarà detto Figlio di Dio, mentre il padre biologico passa in secondo piano[13].

Abbiamo visto altre volte, che noi non possiamo dire che Gesù è Dio, ma che Dio è come Gesù,[14] perché noi possiamo vedere solo Gesù, e non Dio. Se infatti dico che Gesù è Dio, significa che io già ho un’idea chiara di chi sia Dio. Invece, come ha riconosciuto lo stesso papa Benedetto XVI, possiamo solo accennare al Trascendente. Non sappiamo niente di Dio se non quello che vediamo in Gesù. E allora è possibile dire che anche il cieco, accogliendo l’invito di Gesù, ha avuto anche lui la capacità di diventare figlio di Dio, perché come dice Giovanni nel suo prologo, Gesù ha dato a tutti la capacità di diventare figli di Dio (Gv 1, 12). E il cieco diventa figlio di Dio quando dice “credo, Signore” (Gv 9, 38), cioè subito dopo essere stato scomunicato (espulso) dalla chiesa ufficiale (Gv 9, 35),[15] che neanche allora accettava opinioni diverse dalle sue.

Del resto, se noi pensiamo letteralmente a un Dio che diventa uomo, l’uomo non ha molte possibilità di imitarlo. Se invece, come dicono gli evangelisti, Dio ha dato la capacità a tutti gli uomini di diventare suoi figli, siamo davanti a una possibilità per tutti[16]. Mi spiego meglio: stando a Giovanni, quando si incontra Gesù, e il suo messaggio restituisce dignità e libertà alle persone, si è sempre quelli di prima, però si è anche una persona completamente nuova. Questo è il motivo per cui gli altri non riconoscono il cieco nato. E, di fronte alla disputa su “è lui o non è lui”, l’ex-cieco dice «Io sono». Quando si incontra Gesù, la condizione di Gesù è comunicata anche a quanti lo accolgono, e dopo l’incontro con lui si è diversi. Come appunto aveva detto Giovanni nel suo prologo (1,12): “A quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio”.

Anche quando Gesù dice: ‘Io sono la via, la verità e la vita’ (Gv 14, 6), oppure ‘nessuno viene al Padre se non per mezzo di me’, non si riferisce tanto a sé stesso, quanto al Verbo che abita in lui, che però si è manifestato anche altrove, come si è detto nella relazione. In altre parole, l’essere umano incontra Dio solo se Dio viene a lui e gli parla. Bisogna che Dio prenda l’iniziativa, si riveli e agisca. Noi non siamo in grado di trovarlo e raggiungerlo con i nostri mezzi,[17] per il semplice fatto che lui occupa l’ambito trascendente che è fuori della nostra portata. Quando tentiamo di farlo ci creiamo un’idea di Dio a nostra immagine e somiglianza.

Un altro passo forse spiega queste parole ‘Io sono’ in modo ancora più chiaro: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo allora conoscerete che Io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo” (Gv 8, 28). L’«Io sono» sembra significare qui: “io non sono solo, perché Dio è sempre con me”. E in quest’ottica viene spiegato dal vescovo Spong anche il famoso passo Gv 8, 58 ‘Prima di Abramo io sono’: cioè io faccio parte a pieno titolo della vita di Dio, faccio parte dell’amore di Dio che esiste da sempre, prima che l’uomo nascesse (e quindi prima anche di Abramo, per tradizione il fondatore dell’ebraismo); e questo Dio-Amore è al di là di tutte le divisioni umane, non è vincolato dal tempo né dallo spazio, dalla religione o dal rito. Giovanni sta dicendo che nessuna forma religiosa, nessun luogo sacro, nessun precedente profeta può perciò contenere ciò che Gesù è[18] in base a ciò che ci ha fatto vedere, perché lui ha un collegamento diretto con Dio.

Anche l’«Io sono» (quando Gesù compare all’improvviso nella tempesta – Mt 15, 27) non è un’identificazione metafisica (“Io sono Dio e per questo posso camminare sulle acque, cosa che voi umani non potete fare”), ma io sono la vita di Dio che vi chiama a qualcosa di nuovo; io sono l’amore di Dio che v’invita a superare le vostre barriere difensive, i vostri muri di sicurezza, le vostre paure che vi fanno vedere tempeste ovunque attorno a voi, per entrare in una nuova comprensione di ciò che significa essere veramente umani[19]. Io sono la via perché se seguite il mio esempio farete fiorire la vita attorno a voi. In conclusione, «Io sono» significa ‘Io sono autenticamente me stesso’, e non necessariamente ‘Io esisto dall’eternità, per cui preesisto da sempre, mentre voi umani siete nati dopo di me’.

Vediamo allora che Gesù ha portato un’autentica rivoluzione, un autentico e sconvolgente cambiamento dell’immagine di Dio, perché mentre in molte religioni, compresa quella giudaica, Dio chiede di essere servito dall’uomo (ad es., Mosè, servo di Dio, aveva imposto un’alleanza tra dei servi ed il loro Signore), Gesù figlio di Dio propone un’alleanza che è di figli con il loro Padre:[20] non sono più i servi a dover servire il signore, ma è il Signore che si fa servo perché i servi si sentano signori (ad es. si pensi alla lavanda dei piedi – Gv 13, 1ss.). Immaginate una piramide: Dio sta al di sopra della piramide. Chi era il più vicino a Dio? Il sommo sacerdote, in cima alla piramide. Poi i sacerdoti, più in basso le donne e gli esclusi; ancora più in basso, i servi. Ebbene Gesù, che la Chiesa dice essere Dio, fa un lavoro da servo rovesciando la piramide. Chi è allora il più vicino a Dio? Il servo. Chi è il più lontano? Il sommo sacerdote e i sacerdoti: più uno comanda, e più è lontano da Dio. Più uno serve, se naturalmente si tratta di un servizio reso liberamente e volontariamente per amore, è simile a Dio. Non sembra che la maggior parte dei papi, dei cardinali e dei vescovi, nel corso dei secoli, abbia accettato questo rovesciamento, come non l’avevano accettato i sommi sacerdoti dell’epoca di Gesù.

Non è un caso, allora, se Pietro ha cercato di evitare di farsi lavare i piedi da Gesù (Gv 13, 8), perché ha perfettamente capito che lui (che aspirava a diventare il capo) avrebbe poi dovuto fare lo stesso. E anche nell’episodio in cui Pietro vede Gesù camminare sulle acque e Gesù dice avvicinandosi «Io sono» (Mt 14, 27), l’apostolo non pensa che Gesù sia Dio, perché dice: «Davvero tu sei Figlio di Dio!» (Mt 14, 33). Eppure secondo la Bibbia che Pietro conosceva, "camminare sulle acque" o spostarsi sopra le acque, erano espressioni teologiche che indicano la condizione divina, perché l'unico che si muove sulle acque, che cammina sulle onde del mare è Dio (Gn 1, 2; Giob 9, 8). Eppure neanche qui Pietro identifica Gesù con Dio,[21] come non lo identifica con Dio quando Gesù chiede ai suoi apostoli di dire chi pensano che egli sia veramente (Mt 16, 16: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente”). Come detto, Figlio nella Bibbia è colui che fa ciò che il padre fa, che gli assomiglia in tutto. Quindi tu sei il Vivente, fai vivere[22].

Si è poi già visto nella relazione che perfino dopo la resurrezione, quando Pietro parla ai pagani sottintende per ben tre volte che Gesù, per lui, è stato solo un uomo, e non è Dio;[23] e questo avviene ben dopo la pesca miracolosa (Lc 5, 8), quando – secondo papa Benedetto XVI [24]- Pietro avrebbe invece ormai capito e riconosciuto che Gesù era Dio. Se fosse vero quanto pensa il papa emerito, perché Pietro – che ormai sa che Gesù è Dio - non lo chiama mai Dio, ma si riferisce a lui come uomo o come Figlio di Dio anche dopo la sua morte?

Insomma, come vedete, c’è spazio per più interpretazioni, e anche se nel Nuovo Testamento si trovano tanti versetti che possono anche far pensare alla divinità di Gesù, nessuno di essi è decisivo.

Last, but not least (da ultimo, ma non per ultimo) non si dimentichi che c’è un problema a monte: prima di affermare che Gesù è Dio perché ha detto “Io sono”, Lei dovrebbe spiegare chiaramente a noi tutti come due principi compiuti (divino e umano) possono diventare uno, cioè come in una dualità di due nature compiute si possa attuare l’unione; come due principi dotati di ragione e volontà (Dio e uomo) possano unirsi in uno, tanto più quando Calcedonia dice che non c’è mescolanza, che Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. Nella stessa definizione conciliare si afferma che le due nature che esistono in Cristo «confluiscono in una sola persona» (Denz 302), che è la persona divina del Figlio unigenito di Dio. Ebbene, se con questa affermazione Lei mi dice che in Gesù non c’è persona umana, Lei mi dice al tempo stesso che è dottrina di fede credere che un essere umano, il quale non è persona umana, è però perfetto nella sua umanità. Ma come si può negare che l’uomo in Cristo è incompleto se non è persona umana? Se il corpo non appartiene a una persona umana, si riduce al livello di un organo guidato e mosso dal Logos, dalla persona divina, ma in tal modo il pensiero si colora di monofisismo. La pienezza dell'umanità richiede che ci sia una persona umana.

Come vede l’interpretazione dell’ “Io sono” viene comunque dopo che si sono risolti ben altri e più ardui problemi.

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22. Mi dispiace, ma non sono d’accordo con Lei, perché nelle Scritture ci sono anche tanti altri passi che fanno chiaramente intendere che Gesù è Dio. Nell’Apocalisse ad esempio c’è interscambiabilità fra Dio e Cristo: alfa e omega è Cristo in Ap 22, 13, ma è Dio in Ap 1, 8; 21, 6. Se solamente il Padre fosse Dio solo Lui potrebbe dire di essere l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l'ultimo; il Figlio non potrebbe dirlo, potrebbe o dovrebbe dire di essere il secondo ma non il primo.

Sempre in Ap 17, 14 e 19, 16 i titoli di Re dei re, Signore dei Signori, che nell’Antico Testamento erano attributi di Dio, qui sono attribuiti a Cristo (all’Agnello), che quindi viene nuovamente equiparato a Dio.

E la stessa Trasfigurazione non è la dimostrazione di divinità? Quando si dice che Gesù “Fu trasfigurato davanti a loro, il suo volto brillò come il sole”, questo indica chiaramente la sua natura divina.

E quando Gesù dice: “Io e il Padre siamo uno” non dichiara ancora una volta la sua divinità? Uno, nella simbologia delle Scritture, indica infatti la divinità, per cui il magistero ci ha giustamente insegnato che Gesù sta dicendo di essere Dio; e in questo modo lo hanno interpretato del resto anche le autorità giudaiche che decidono di lapidarlo perché, in quanto uomo si fa uguale a Dio (Gv 10, 33).

Quante domande. Tutte sono legittime, ma non mi sembra siano trancianti, esattamente al pari dell’ “Io sono”. Come ho appena detto, Lei mi porta un passo a favore della divinità di Gesù, ed io Le posso contrapporre un altro passo per escludere la divinità. Le Scritture sono spesso contraddittorie, perché ogni evangelista segue un suo filo teologico nel momento in cui scrive. Le faccio subito un esempio in questo senso.

Nel Nuovo Testamento, a volte, Satana è presentato come il principe del mondo perché si arroga l’onore che spetta a Dio;[25] per questo il diavolo può offrire il potere perfino a Gesù. In Lc 4, 6-7 è chiaro che il potere viene dal diavolo: «Ti darò tutto questa potenza e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Ora, se Gesù fosse Dio, come il diavolo potrebbe tentarlo? È chiaro che sta tentando un uomo. Dunque, nelle tentazioni di Cristo (Mt 4, 8-10; Lc 4, 1-12), il diavolo offre a Gesù il potere sul mondo, e lo sollecita a compiere la sua missione senza sofferenza, senza la croce e, soprattutto, senza sottoporsi a Dio ma diventando uguale (o quanto meno simile) a Dio in punto potere, che quindi in quel momento non ha. Qui Gesù non può essere Dio, perché altrimenti avrebbe già il potere che il diavolo tenta di offrirgli. L’idea di satana è quella di spingere Gesù a superare il suo status di creatura e a divenire lui stesso onnipotente in terra come Dio: un po’ come il serpente aveva tentato di fare con Adamo ed Eva che avevano abboccato. Siamo davanti a un uomo che non è Dio, ma viene sollecitato a diventare come Dio.

Invece per tutta la sua vita Gesù rifugge da ogni ricchezza e soprattutto da ogni potere, in cui vede sempre qualcosa di diabolico. Anche qui la risposta di Gesù è secca, e richiamandosi alle Scritture, afferma che bisogna adorare solo Dio (Mt 4, 10; Lc 4, 8). Del resto il diavolo, in questo scambio di battute, sperimenta la presenza del Figlio di Dio che sa vincere la tentazione mediante la Parola di Dio, non mediante la propria. Di nuovo la risposta sarebbe incongrua se Gesù si ritenesse Dio, perché avrebbe replicato al diavolo con la sua parola, non con quella di Dio. Ecco allora qualche valido motivo per escludere che Gesù sia Dio: il diavolo non può tentare Dio che gli è superiore, ma solo l’uomo. La risposta dell’uomo Gesù, che non si fa adorare come Dio, mette in chiaro che lui stesso riconosce che c’è un abisso fra lui e Dio. Se Gesù si fosse sentito Dio avrebbe replicato al diavolo: “Devi tu prostrarti davanti a me, perché io sono superiore a te”.

Alla fine del Vangelo di Matteo (Mt 28, 18) Gesù dice invece: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra». Evidente che qui Gesù non dice che questo potere l’ha in quanto è Dio, ma si deduce (dal fatto che un altro gli ha dato ogni potere) che è stato Dio a darglielo, il Dio che l’ha resuscitato, non certo il diavolo. Se però il potere gli è stato dato, vuol dire che non l’aveva dall’inizio, e quindi Gesù neanche qui, dopo la risurrezione, si presenta come Dio preesistente.

Altri hanno però fatto notare che, in un altro passo ancora (Gv 14, 30), prima di morire e risorgere, Gesù dice che il principe del mondo, il diavolo, non alcun potere su di lui, per cui hanno concluso che, a differenza degli uomini che possono essere disturbati dai demoni, i demoni non hanno alcun potere di tormentare Gesù[26]. Come mai? Risposta: evidentemente perché Gesù è Dio. Ma ragionando così si ricade nell’eresia monofisita, si torna a rimarcare che quello che conta nel Gesù terreno è la superiore divinità che è in lui, perché saremmo davanti a Dio (camuffato da uomo) che non può subire tentazioni su questa terra. In Gesù, questo Dio nasconde l’uomo, e Gesù non è assolutamente vero uomo uguale agli altri, che invece sono tormentati dal diavolo per tutta la vita. Tra divinità e umanità nell’uomo-Dio rimane sempre un’asimmetria a favore della divinità.

Ma tornando alle sue domande specifiche, è vero che in Ap 1, 8 e Ap 21, 6 Dio è l'alfa-omega, mentre in Ap 22, 13 è Gesù a dire di essere lui l'alfa e l'omega.

Leggendo l’Apocalisse, l'ultimo scritto canonico del NT, si trova una notevole interscambiabilità di titoli che ha fatto affermare l'identità fra Gesù e Dio: solo Dio è degno di ricevere ogni gloria e onore (Ap 4, 11); quando l’angelo chiede a gran voce chi è degno di aprire il libro chiuso dai sette sigilli (Ap 5, 2), nessuna creatura lo è, e l’unico degno risulta l’Agnello sgozzato (Ap 5, 5-6), cioè Gesù resuscitato, al quale Dio passa le consegne (Ap 5, 7). Dunque l’Agnello immolato – secondo l’Apocalisse – sembrerebbe uguale a Dio. Ulteriore conferma si può ricavare dalla prostrazione: ci si prostra solo davanti a Dio (si pensi alla preghiera dei musulmani verso La Mecca; o vedasi anche Mt 28, 17), e se i quattro esseri viventi (ricordiamo che il 4 è il numero dei 4 punti cardinali, il che indica tutta l’umanità) si prostrano davanti a Gesù (Ap 5, 14), significa che Gesù è Dio.

Però, nella stessa Apocalisse, solo Dio si fregia dei titoli di “Onnipotente” (Ap 1, 8; 19, 15), o meglio di pantokràtor;[27] e soprattutto solo Dio è “colui che era, che è e che viene” (Ap 1, 8; 4, 8), determinante nel discorso sulla Trinità[28].

L’immagine nell’arte di Cristo pantokrator (di epoca bizantina e medievale, come si vede nel duomo di Messina o nella cattedrale di Cefalù) identifica chiaramente Gesù con Dio onnipotente. Però, l’immagine che ci siamo formati dell’onnipotenza di Dio, se messa vicina al racconto evangelico della nascita di Gesù subito ci confonde, perché Gesù bambino, nato in una grotta, deposto in una mangiatoia, ha chiaramente bisogno di tutto: di essere pulito, cullato, allattato, protetto dal freddo; se non lo fa la mamma, morirà in poco tempo: quindi è l’immagine dell’impotenza più totale[29]. È altrettanto chiaro che impotenza e onnipotenza non possono coesistere.

Anche nell’Apocalisse, poi, l’angelo raccomanda a Giovanni di adorare solo Dio (Ap 19, 10; 22, 9), e neanche l’Agnello (cioè Gesù), per cui questa apparente unità totale non è poi così totale neanche in quest’opera, sì che i passi da Lei richiamati ben possono essere sempre spiegati attraverso la comunicazione degli idiomi. L’interscambiabilità dei titoli, come si è ben visto al §8 della relazione, può dunque essere tranquillamente spiegata con la comunicazione degli idiomi, senza doverla necessariamente spiegare con l’identità divina. Nella comunicazione degli idiomi le due nature messe in collegamento restano distinte, come del resto afferma la seconda parte del dogma di Calcedonia.

Sicuramente nessun uomo può essere nello stesso momento completo dall’alfa all’omega. L'infinitamente grande che crea (chiamiamolo Dio) viene perso dall’infinitamente piccolo (chiamiamolo uomo) nel presente, incapace di accoglierlo tutto nell’attimo presente. Quello che l’uomo riesce ad accogliere, nel tempo, sono frammenti: alfa, poi beta, poi gamma. Pertanto abbiamo nell’uomo semplicemente un alfa-cammino verso-omega. Se piove sulla città, ed io per strada apro la bocca, riuscirò a bere un’infinitesima parte della pioggia che cade. Quindi l’infinitamente piccolo perde il contatto con l’infinitamente grande: solo alla fine l’infinitamente piccolo sarà in grado di accogliere anche il frammento omega. Ma nell’infinitamente grande, nell’Assoluto, tutte le lettere dall’alfa all’omega sono contemporaneamente presenti nello stesso attimo, anche se non si può parlare di attimo perché l’infinitamente grande è fuori del tempo. L’omega è già qui, mentre per l’uomo non riesce ancora a manifestarsi: è il Dio che deve ancora venire (e solo Dio, non il Figlio, deve ancora venire). E magari quando l’uomo arriva a beta ha già perso qualcosa di alfa, proprio perché non riesce mai ad accogliere e trattenere tutto: pensiamo solo a quante conoscenze del passato sono andate perdute, a quanti arti e mestieri del passato sono andati perduti; con l'inquinamento e la distruzione delle foreste noi forse abbiamo distrutto specie viventi di cui nemmeno sapevamo l’esistenza. Per l’infinitamente grande tutto è attuale, ma per l’infinitamente piccolo non tutto è stato ancora colto: l’infinitamente piccolo può vivere solo nella dimensione del tempo, e quindi della storia, fatta di passato-presente-futuro. Gesù, ormai nell’ambito trascendente dopo la risurrezione, ben può essere a quel punto in grado di cogliere completamente l’intero volto di Dio, dall’alfa all’omega, ma non per questo deve essere Dio. Concretizziamo con un esempio visivo la capacità di poter cogliere o non cogliere l’alfa e l’omega: immaginando sotto un triangolo che tracciato dentro lo spazio definito da quattro suffissi, se sto fuori da tale triangolo (nella posizione A) mi trovo nel tempo e quindi, trovandomi all’altezza del vertice angolo 90°, vedo il passato pas (lato orizzontale del triangolo) e vedo il presente pre (lato verticale del triangolo), ma non vedo il terzo lato f (futuro) che deve ruotare in senso antiorario per essere visibile come presente davanti a me. Se però mi trovo all’interno al triangolo (fuori del tempo), ruotando su me stesso sono già in grado di vedere passato-presente-futuro. Quindi posso cogliere dall’alfa all’omega.


pre

f


A pas


Quanto alla Trasfigurazione (Mt 17, 1ss.; Mc 9, 2ss.; Lc 9, 28ss.) non è necessariamente un esempio di manifestazione della divinità nell'umanità. Gesù sale sul monte a pregare, per confrontarsi sulle Scritture e soprattutto per decidere il da farsi in vista della situazione ormai critica (ha già capito che l’aspetta il fallimento). Quindi la Trasfigurazione ben può essere solo esperienza di una profonda spiritualità[30]. Ma proprio nella Trasfigurazione si vede che questo candidato al fallimento, alla morte sulla croce (e quindi siamo davanti a un uomo), è stato scelto da Dio, nel senso che la sua vita, nonostante l’apparente disastro, non sarà un fallimento, perché niente di esterno può togliere il senso della vita. La vita ha sempre un senso perché è nelle mani di Dio, e nessuno – qualunque cosa ci facciano, qualunque cosa ci accada - può rubare questo senso. È questa la speranza da cogliere nel Vangelo[31]. Gesù ha portato sul monte i suoi tre discepoli più riottosi: Pietro perché aveva cercato di dissuaderlo dal seguire la strada pericolosa che poteva portarlo alla morte (Mt 16, 22) e aspira ad essere il capo fra i suoi; Giovanni e Giacomo perché chiedono anch’essi i primi posti qui, sulla terra, dimostrando di puntare tutto sulla vita terrena (Mt 20, 20ss.). Quello che Dio fa visivamente vedere agli apostoli presenti è il futuro, eppure i discepoli non capiscono, per cui Gesù impone loro il silenzio (Mt 17, 9). Lo scrittore Chesterton dà un’altra versione, piuttosto interessante, perché parla della gioia che Gesù provava nel salire sul monte a pregare. Gesù ha espresso tutto ciò che ha vissuto (fame, paura) ma non ha rivelato pienamente la sua gioia (il segreto messianico) per il suo vivere in comunione profonda con Dio. La Trasfigurazione esprime questa esplosione di gioia profonda della sua vita, e gli apostoli ne restano coinvolti[32] pur senza capire. Noi possiamo dire che con la Trasfigurazione vengono anticipati visivamente gli effetti della risurrezione: la morte non distrugge la vita, ma è ciò che le permette di fiorire in una forma nuova, piena, completa e definitiva; e questa nuova forma di vita sarà – come detto nella relazione - ancora umana, perché Calcedonia dice che Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. Il Verbo fa ciò che è di competenza del Verbo, la carne fa ciò che è di competenza della carne.

Infine, in Gv 10, 30 si legge effettivamente: “Io e il Padre siamo uno”. Però anche qui non è il caso di essere così precipitosi e drastici nel concludere per l’identità fra Gesù e Dio: con altrettanta sicurezza si può cioè sostenere che, quando Gesù pronuncia la frase: “io e il Padre siamo una cosa sola” egli si riferisce all’aspetto dinamico, operativo (e di nuovo non ontologico o strutturale per usare parole più difficili)[33]. Gesù si riferisce a ciò che insegna e a ciò che fa sulla terra, non a ciò che lui è di per sé. In questo versetto Gesù parla infatti delle pecore: “Nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti (nda: quindi anche di Gesù) e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola”. Gesù non può dire, nella stessa frase, che Dio è più grande di lui, e subito dopo che lui stesso è Dio. Lui semplicemente collabora in perfetta sintonia con Dio.

In precedenza Gesù aveva già detto: “Il Figlio da sé stesso non può fare nulla” (Gv 5,19) “da me io non posso fare nulla” (Gv 5,30). Quindi Gesù non è ontologicamente Dio, ma i due lavorano insieme come fossero un’unità. “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo allora conoscerete che Io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo” (Gv 8,28); e ancora “non sono venuto da me stesso ma lui mi ha mandato” (Gv 8,42). Quindi c’è sempre una chiara superiorità del Padre e un’inferiorità di Gesù. “Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre che rimane in me, compie le sue opere” (Gv 14, 10). E poi aggiunge: “chi crede in me anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi” (Gv 14, 12): cosa ovviamente impossibile per noi poveri mortali se Gesù fosse Dio.

Per questo, nello stesso capitolo 10 di Giovanni (di non semplice lettura) Gesù spiega il senso dinamico della sua affermazione come Figlio di Dio: «non è forse scritto nella vostra legge: io ho detto voi siete dèi?[34] Ora se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata - a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi” perché ho detto “sono Figlio di Dio?” Se non compio le opere del Padre mio non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre» (Gv10, 34-38).

In questa non semplice frase collego un attimo le parole “io ho detto voi siete dèi” con le parole “se non credete a me, credete alle mie opere”. Una spiegazione, mi sembra, si possa trarre dalla Lettera a Diogneto, uno dei più antichi scritti cristiani: chiunque prende su di sé il peso del prossimo, chi di propria iniziativa fa del bene a un altro che si trova nel bisogno, chi nel fornire a quanti ne hanno necessità i beni che possiede per averli ricevuti da Dio diviene un dio per coloro che li ricevono, costui è un imitatore di Dio. In ciascuno di noi c’è qualcosa di Dio (o come dice la Genesi, Dio ci ha fatto a sua somiglianza – Gn 1, 27). Dunque si è dèi, imitatori del Dio vero, operando per il bene dell’altro. Siamo sempre davanti a una presenza dinamica e operativa che non solo Gesù stava manifestando (credete alle mie opere), ma che anche i discepoli possono realizzare. Neanche qui siamo davanti a una descrizione ontologica del nostro essere.

Figlio di Dio, allora, è semplicemente il portatore qui in terra dell’immagine del divino. E Gesù, col suo comportamento, realizza compiutamente la somiglianza con quell’immagine, ma anche ciascuno dei discepoli, e ciascuno di noi, può a sua volta farsi portatore di quell’immagine.

Del resto, se io dico che mia moglie ed io siamo una cosa sola, non intendo certamente dire che io sono mia moglie; intendo dire che noi due pensiamo allo stesso modo, agiamo allo stesso modo come fossimo una persona sola perché basta un’occhiata per intenderci, ma in realtà restiamo sempre due persone distinte. Idem se lavoro in piena simbiosi col mio cane nella ricerca di dispersi sotto le macerie di una casa terremotata: io resto io, e il cane resta il cane, ma operiamo come una unità (non per niente si parla di unità cinofila: addestratore + cane). Ecco allora che anche dire “Io e il Padre siamo uno” non significa dire che uno è sostanzialmente l’altro, avendo entrambi la stessa natura, ma solo che uno opera in stretta simbiosi con l’altro. All’esterno non si capisce bene chi dei due ha veramente operato. Esattamente come non possiamo dire se il terremotato che viene estratto dalle macerie è stato trovato dal cane, dal conduttore che ha ben addestrato il cane o dai due che hanno operato insieme. Quando parliamo del Dio-che-viene vuol dire che la sua azione diventa azione della creatura che lo rivela[35]. Poi, attraverso la comunicazione degli idiomi – di cui si è detto al §8 della relazione - si attribuisce alla realtà divina o alla sua natura le attività proprie di un altro soggetto, e viceversa. Quindi quello che fa Dio lo diciamo fatto da Gesù, e viceversa.

Ma Gesù si sentiva «consustanziale» al Padre? Difficile pensarlo, visto che Gesù afferma che “il Padre è più grande di lui” e che lui torna dal Padre (Gv 14, 28), mentre non dice che finalmente torna ad essere pienamente Dio, quello che già era recuperando finalmente la piena condizione divina che aveva in precedenza dall’eternità. Qualunque sia perciò la spiegazione di queste parole di Giovanni, mi sembra pacifico che proprio alla fine della sua vita terrena Gesù sa e accetta la superiorità del Padre rispetto a lui.

Certo, si può dire che il Nuovo Testamento è contraddittorio, offre orientamenti diversi, e accanto a formule che mettono in luce il cammino di fede di Gesù e gli aspetti contingenti della sua esperienza storica ci sono altre formule con sensibilità diversa che si riferiscono più al Gesù della gloria nella sua relazione intima con il Padre. Ma mantenere la distinzione - “senza mutazione e senza confusione” come dice il Concilio di Calcedonia - è sempre essenziale e indispensabile. Due realtà distinte pur sempre nella unione: “senza separazione e senza divisione”. Unità operativa sì, ma nella distinzione strutturale (ontologica) uomo e Dio. Tant’è vero che perfino Paolo riconosce che la fine definitiva di tutto e il compimento ultimo consisteranno nel fatto che anche il Figlio «sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15, 28). Anche Paolo afferma allora, con chiarezza e forza, la subordinazione di Gesù a Dio[36]. Ovvio che se il Figlio è Dio non può parlarsi di sottoposizione a sé stesso.

A rafforzare questa idea vedasi ancor più chiaramente Rm 8, 14-17: lo Spirito di Dio, che ha resuscitato Gesù dai morti, ora abita nei credenti, e li rende “figli adottivi” di Dio, ma “se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo”. NB: non eredi di Cristo, ma Cristo e gli uomini sono tutti coeredi in quanto figli dello stesso Dio. Deduzione logica: se Cristo è Dio, non può essere erede di Dio, perché nessuno può essere erede di sé stesso (ed è da tener presente che tutto il nostro odierno diritto ereditario deriva dal diritto romano, i cui princìpi sono giunti quasi inalterati fino a noi, quindi anche Paolo aveva ben presente questa impossibilità); col che Gesù è posto da Paolo su in piano inferiore a Dio, e separato da lui come, nel diritto ereditario, il dante causa è separato dall’avente causa[37]. Ed essendo tutti coeredi (Cristo e noi uomini) l’equiparazione è fra Gesù e gli uomini, non fra Gesù e Dio.

In conclusione, neanche queste obiezioni – mi sembra,- sono in grado di confermare il dogma della divinità di Gesù. E non si dimentichi che comunque resta il grosso problema a monte, già segnalato alla fine della domanda n. 21.


NOTE


[1] Oggi “difficilmente troveremo uno studioso del NT disposto a sostenere che i quattro casi di uso assoluto del “Io sono” che appaiono in Giovanni, o la maggior parte di altri usi, possano attribuirsi storicamente a Gesù” (Thatcher Adrian, Truly a Person, Truly God, Spck, Londres, 1990, 77).

[2] Giovanni Paolo II, udienza generale del 1.7.1978, §6 in particolare. Ora se Gesù prega Dio chiamandolo papà si sente realmente suo Figlio (Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 43). È vero, ma se questo dimostra sicuramente intimità non dimostra ancora la sua natura divina. Del resto anche noi preghiamo Dio come Padre Nostro, ma non per questo ci sentiamo di natura divina.

[3] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 348.

[4] Non ricordo chi abbia detto (credo sia stato Drewermann) che una Chiesa che distribuisce titoli onorifici a piccoli uomini malati, che fanno finta di essere umili, ma intimamente godono del riconoscimento mondano per il quale erano disposti a dare anche la vita, sono gli impiegati di una chiesa mondana che offusca il volto di Cristo e lo rende inavvicinabile. Molti capi usano il potere della carica per riempire il vuoto che hanno dentro di sé.

[5] Cfr. l’articolo Traduzioni fuorvianti al n. 554 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-554---26-aprile-2020.

[6] Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, Queriniana, Brescia, 2005, 455.

[7] Ma Figlio di Dio non indica il punto di partenza o l’elemento originante, bensì evidenzia la condizione divina di Gesù nella quale culmina la sua condizione umana. Gesù è il prototipo di Uomo, la realizzazione del progetto di Dio creatore (Gv 1, 14) e, dopo di lui, quelli che hanno ricevuto il suo spirito diventano tutti Figli di Dio (Mateos J. e Camacho F., IL Figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 23).

[8] Sempre Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 463s. fa questa interessante osservazione: Ireneo ha sostenuto la novità del Dio cristiano che, all'inverso del dio delle religioni pagane, si prendeva cura della creatura da lui plasmata, si preoccupava di ciò che passa dalla vita alla morte al punto di unirvisi lui stesso, facendosi conoscere intimamente per mezzo del Figlio. Ireneo dissuadeva invece dallo speculare su ciò che avveniva nel segreto della divinità, sulle sue processioni o generazioni, e suggeriva di limitarsi a ciò che Dio rivela nella 'economia' storica delle sue relazioni con gli uomini, per mezzo del Figlio e dello Spirito. I teologi non hanno imitato la sua prudenza, e si sono interessati più ai misteri dell'eternità che alle realtà della storia, e così l'idea di Dio ha finito per oscurarsi nelle speculazioni della metafisica. Il compito della teologia oggi - e numerosi teologi si sono impegnati su questa strada - è quella di riconciliare l'in-sé di Dio e il suo per-noi, la sua eternità e la sua presenza nel tempo.

[9] Per una spiegazione scientifica a livello divulgativo si rinvia a Culot D., Il figlio naturale, ed. Giuffrè, Milano, 2004, 16s.

[10] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 612. Vedasi l’inizio del Vangelo di Matteo, dove i padri generano solo figli maschi; poi, però, c’è un terremoto, perché è Maria a generare Gesù: inconcepibile per la mentalità maschilista di allora e non solo di allora, visto che molte traduzioni non rimangono fedeli al testo greco che usa sempre lo stesso verbo ‘generare’, e riportano ancora oggi che da Maria nacque Gesù.

[11] Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 20.

[12] Mateos J. e Camacho F., Il Vangelo di Matteo, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 23. Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 103. Pérez Márquez R., L’apocalisse della Chiesa, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 89. Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 70.

[13] Ricordo, a chi mi legge scandalizzato, che lo stesso papa Ratzinger ha scritto che la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano, essendo la figliolanza divina non una fatto biologico, ma ontologico (Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 265). Quindi neanche questo papa conservatore esclude che Giuseppe possa essere stato il padre biologico di Gesù.

[14]Maggi A., Il figlio dell'uomo nel vangelo di Marco, X settimana biblica, Montefano (MC) 2003, in www.studibiblici.it.

[15] Vedasi quanto detto alla nota 14 della relazione - Inquadramento del problema (n. 574 di questo giornale).

[16] Maggi A., Il figlio dell'uomo nel vangelo di Marco, X settimana biblica, Montefano (MC) 2003, in www.studibiblici.it.

[17] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006 145.

[18] Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013, 182.

[19] Idem, 172 e 182.

[20] Padre Vannucci ha detto che il Padre era la via, la verità e la vita, e gli uomini la percorrevano non nella qualità di figli, ma come parti di un popolo eletto, e pur sempre di servi di un assoluto Monarca. Con Gesù non si è più schiavi o servi, ma figli e amici. Eppure ancora oggi tanti vivono e propongono di vivere da servi e non da figli, attardandosi su posizioni che dovevano essere spazzate via dalla religione del Figlio (riportato in Maggi A. La verità ci rende liberi – conversazioni con Paolo Rodari, Garzanti, Milano, 2020, 9s.).

[21] Dobbiamo anche tener presente che questo tipo di episodi raccontati nel vangelo non è opera di uno studioso storico: non si raccontano fatti realmente accaduti, ma si dà significato teologico a certi episodi della vita. L’interesse della comunità era appunto la vita, e così anche i ricordi, come l’episodio di Gesù che cammina sulle acque, ricorda soltanto che delle persone hanno trovato la salvezza con l’incontro con Dio. Incontrando la fede la loro vita era cambiata: sapevano che nei momenti difficili occorreva appoggiarsi al Signore. Nella vita ci sono tormente e tempeste. Occorreva allora far nascere questa certezza: quando sembra che tutto vada male, quando tutto naufraga, dobbiamo sapere che Dio calmerà la tempesta (Tor C., C’è vita e vita, EMI, Bologna, 2000, 79).

Dobbiamo cioè sempre ricordare che i vangeli non sono semplicemente libri che narrano una storia, bensì sono racconti che trasmettono un messaggio religioso. Senza questo approccio non si potrà mai intendere correttamente il testo.

[22] Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 70.

[23] Cfr. risposta n.19.

[24] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 348.

[25]Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, voce Diabolos, Vol.II, 79.

[26] Di Pietro C. e Stanzione M., I diavoli, Fede&Cultura, Verona, 2014, 111. Da notare anche che in Giovanni non c’è il racconto delle tre tentazioni di Cristo.

[27] In Gn 17, 1 ad Abramo compare El Shadday (dio della montagna o dio della steppa, come correttamente annota la Bibbia di Gerusalemme). Eppure in quasi tutte le altre Bibbie si continua a tradurre El Shadday con Onnipotente anche se ormai tutti gli studiosi sanno che non vuol dire onnipotente. Nella Bibbia originale Dio non è onnipotente. L'onnipotenza viene dalla traduzione latina (errata) della Bibbia dei LXX scritta in greco, dove il termine pantokràtor - che già non corrisponde più a El Shadday – non significa che uno può fare tutto quello che vuole (come invece spiega ancora l'art.26 del Catechismo Maggiore di Pio X), ma che con la propria mano sorregge il tutto; dunque già la traduzione dall'ebraico al greco dei LXX ha manipolato il termine ebraico El Shadday, che era inizialmente un vero e proprio dio autonomo e non certamente un attributo di Yhwh.

[28] E teniamo presente che la Trinità non è una descrizione dell’essere di Dio, ma il tentativo di definire la nostra esperienza umana di Dio (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 108). Cfr. gli articoli sulla Trinità a partire dal n. 507 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-507---2-giugno-2019..

[29] Cfr. quanto detto all’inizio della risposta sub 20.

[30] Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in internet in più siti: digitare Carlo Molari approcci recenti: la Trasfigurazione è solo esperienza di una profonda spiritualità.

[31] Tor C., C’è vita e vita, ed. EMI, Bologna, 2000, 39.

[32] Chesterton G.K., L'ortodossia, ed. Morcelliana, Brescia, 1939, 251s.:quando Gesù andò a pregare sulla montagna, aveva in sé qualcosa di troppo grande perché Dio la mostrasse a noi quando egli camminava sulla terra: io ho immaginato fosse la sua allegrezza.

[33] Nella risposta n. 18 si è parlato di unità operativa.

[34]Il Salmo 8, 6 fino a poco fa veniva tradotto: “Dio ha fatto l’uomo poco meno degli angeli”. La nuova traduzione CEI recita: «lo hai fatto poco meno di Dio» (Elohim in ebraico, e non Yhwh; e sul punto vedi quando detto a proposito di Elohim nell’articolo al n. 526 de Il giornale di Rodafà, in https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-526---13-ottobre-2019/chi-e-il-dio-unico-del-vecchio-testamento). Gesù fa addirittura un passo ulteriore: «voi siete dèi». Dopo il racconto della bambina del banco delle mele (risposta sub 1) si chiarisce come l’aiuto amorevole può veramente dimostrare all’altro il volto divino, e chi soccorre appare come un dio per chi riceve l’aiuto (cfr. nota 68 sempre alla risposta sub 1).

[35] Molari C., Gesù disceso dal cielo o sbocciato sulla terra?, “Rocca”, 15.5.2013, 53.

[36] Gnilka J., Teologia del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004.

Per san Paolo si era salvi se solo si riconosceva che Gesù è il Signore e che Dio lo ha risuscitato dai morti (Rm 10, 9): dunque Paolo distingueva nettamente fra Dio e Gesù che gli era subordinato, e questo concetto viene ribadito ancora più chiaramente quando Paolo spiega che se pur tanti parlano di vari dèi, “per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale tutte le cose esistono e noi esistiamo per lui” (1Cor 8, 6); che se Cristo è il capo di ogni uomo, Dio è il capo di Cristo (1Cor 11,3); che il Figlio sarà sempre sottomesso a Dio (1Cor 15, 28). Sempre san Paolo (Rom 1, 3-4) parla di Gesù “nato come uomo dalla stirpe di Davide” e tramite la resurrezione fu “costituito Figlio di Dio”, il che, più che un richiamo alla divinità di Gesù, appare essere un letterale richiamo ad un uomo glorificato, costituito da Dio come salvatore di tutti gli uomini (Masina E. e al., Linee di un catechismo per l’uomo d’oggi, ed. Rocca, Assisi, 1971, 167). Mi sembra impossibile negare che qui Paolo vede Gesù in posizione subordinata rispetto a Dio.

[37] Dante causa è un tecnicismo specifico del diritto civile, un termine usato nell’ambito giuridico per designare “chi cede un diritto a un altro soggetto”. Nel diritto ereditario il dante causa è il morto che lascia i suoi beni in eredità ad altri che sono in vita. Letteralmente, il dante causa è ‘colui che dà (dante) il motivo (causa) alla trasmissione di un diritto’, ma più propriamente qui causa non è il ‘motivo’ ma il ‘titolo giuridico’, cioè il fatto che fa sorgere il diritto (la morte di una persona fa aprire la sua successione): la morte di un individuo fa sorgere il diritto dei chiamati all’eredità, che sono gli aventi causa. Anche il termine avente causa è un tecnicismo che indica colui che “acquisisce un diritto da colui che ne è titolare”. Ovviamente, nella teologia, Dio non è morto, mentre le persone diventano eredi con la loro morte.