Sinodo

di Paola Franchina

Dal primo millennio ai giorni nostri le Chiese si sono riunite per definire il proprio consenso e per cercare risposte alle questioni sollevate dalla storia e dalle esigenze dei tempi. Per mantenere vivo lo spirito autentico di collegialità, il 15 settembre 1965 Papa Paolo VI istituisce il Sinodo dei Vescovi con il Motu Proprio Apostolica Sollicitudo.

Il 10 ottobre, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha dato inizio al processo di consultazioni per la Chiesa Universale, che culminerà con l’inaugurazione dell’Assemblea sinodale nel 2023. Tale atto è seguito da quello dei vescovi, i quali, il 17 ottobre, hanno dato avvio al processo consultivo nelle Chiese particolari.

In occasione dell’imminente sinodo, cerchiamo di comprendere il significato di tale evento, lasciandoci istruire dalla disamina condotta da Giuseppe Ruggieri nel volume Chiesa sinodale, Editori Laterza 2017.

Ruggeri inquadra il sinodo all’interno del concetto di sinodalità, conferendo ampio respiro a visioni parziali che riducono il sinodo dei vescovi a mero organo consultivo del Papa o a strumento rappresentativo di tipo democratico.

Prendiamo ad esame, innanzitutto, la delucidazione offerta dal codice di diritto canonico.

Can. 342 - Il sinodo dei Vescovi è un'assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell'orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo[1].

Tale definizione, sia pur mantenendo la sua pertinenza, risulta insufficiente per profilare la complessità di quanto accade in ogni evento sinodale. Essa, infatti, riduce il Sinodo dei Vescovi a un mero organo consultivo del Romano Pontefice.

In una linea diametralmente opposta, ma non meno parziale, si colloca chi tenta di inquadrare il Sinodo dei Vescovi all’interno della cornice governativa democratica. Prendendo le distanze da tale logica, Ruggeri fa appello ai canonisti e teologi medioevali: l’autorità, infatti, non è conferita dalla base ecclesiale, bensì da Cristo capo.

Risulta oltremodo opportuna, a tal proposito, una prospettiva avvertita: contro ogni visione quasi magica dell’efficacia dello Spirito di Cristo, occorre sottolineare che non esiste un automatismo formale della Parola, bensì essa acquisisce forza performativa a partire da una reale docilità all’ascolto.

Inoltre, è opportuno specificare che un evento sinodale non ha mai una valenza solo locale, ma è espressione del consenso della chiesa tutta. Affinché la sinodalità non sia una parola alata, incapace di incidere sull’effettività, vi è la necessità che il cuore pulsante del sinodo sia costituito dal dinamismo della Chiesa. Per superare lo iato che si insinua tra linguaggio formale e la dimensione strutturale, urge la promozione di luoghi di scambio dialettici a cui possa prendere parte viva l’intera compagine ecclesiale.

A tal scopo, il Documento preparatorio al Sinodo prevede la nomina da parte di ogni Vescovo di un responsabile della consultazione sinodale, deputato ad accompagnare la riflessione della chiesa particolare. L’elaborazione a livello diocesano culminerà con una riunione pre-sinodale che andrà a chiudere la fase diocesana ed i cui contributi verranno inviati alla Conferenza Episcopale di ogni singola Chiesa locale.

Alla luce della riflessione di Ruggieri, è, dunque, necessario, affinché il Sinodo respiri sinodalità, che esso nasca dal cammino comune non solo dei membri del magistero, ma anche dei laici e le laiche, chiamati a contribuire con coraggio alla condivisione di gioie, preoccupazioni e speranze che li agitano.



Note

[1] Codice di diritto canonico, su https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/ita/documents/cic_libroII_342-348_it.html