Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Peste del 1575 a Venezia – si costruisce la Basilica del Redentore (cfr. nota 15)


Etsi Deus non daretur

di Dario Culot



“L’inesistenza di Dio, per me, non è un ostacolo, ma una condizione preliminare per credere in Dio. Io sono un credente ateo. Dio non è un essere bensì una parola che designa quello che può esistere tra le persone”. Questa è la famosa frase detta dal pastore protestante olandese Klaas Hendrikse[1]. La sua presa di posizione ha fatto ovviamente scalpore anche nel mondo protestante, e per noi resta indigesta e difficile da intendere.

Ma analogamente la famosa frase attribuita a Dietrich Bonhoeffer, vivere nel mondo come se Dio non esistesse (Etsi Deus non daretur),[2] ci lascia perplessi, perché ci chiediamo subito: ma è possibile vivere da cristiani senza Dio? Non è da atei vivere senza Dio? Perché a-theos, con quell’alfa privativo rispetto al termine dio (in greco: theos al singolare, theoi al plurale), significa appunto a-teo, senza dio.

Ma come detto più volte, alla domanda “credi in Dio?” noi dovremmo rispondere con: “Cosa intendi per Dio?”, semplicemente perché non conosciamo il contenuto della parola ‘Dio,’ perché Dio appartiene all’ambito per noi inconoscibile della Trascendenza sì che, quando si parla del Dio Trascendente – come ha ammesso perfino papa Benedetto XVI[3]- non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso.

Se le cose stanno così, ha ben ragione Paolo Scquizzato[4] a dire che, anche se abbiamo bisogno di parole, il divino non è misurabile, quantificabile, sì che è oltre a tutto ciò che si può dire. Sovraccaricandolo di verità l’abbiamo in realtà fatto sparire, e avendo ormai detto tutto di Dio ci siamo allontanati dalla Trascendenza che resta un mistero. Abbiamo voluto dire tutto del divino con la dogmatica, e invece conta solo l’esperienza che non sta nella parola. Oggi possiamo definire come fede ciò che rimane quando finalmente smettiamo di definire l’Indefinibile. La religione sta morendo perché spinge a credere a una dottrina. La spiritualità sta crescendo perché chiede di fare esperienza. Non bisogna essere di una religione per fare esperienza di Dio. La religione è stata a lungo spacciatrice di Verità. La spiritualità, invece, è sentirsi partecipi senza sentirsi in possesso della Verità. Oggi perciò comincia a prevalere la mistica: l’esperienza in cui il mistero è vissuto, sentendosi partecipi del mistero.

Se accettiamo simile impostazione, la religione di oggi può essere molto più vicina all’ateismo di quanto comunemente si pensi. L’a-theo rifiuta quell’immagine di Dio imposta per secoli dalla religione, ma non necessariamente rifiuta la trascendenza. Il notissimo fisico Albert Einstein, che si dichiarava ateo, aveva affermato: “Sentire che dietro tutto ciò che si sperimenta si nasconde qualcosa che il nostro intelletto non può capire, qualcosa di cui la bellezza e l’elevatezza pervengono soltanto indirettamente e come un delicato riverbero fino a noi, sentire questo è la vera religiosità. In questo senso sono un ateo profondamente credente”[5]. Einstein, cioè, non credeva nell’immagine di Dio fornita dal clero, ma aveva questa fede universale. E nel suo testamento spirituale, anche il noto filosofo italiano Norberto Bobbio, che a sua volta si dichiarava non credente, concludeva: “Come uomo di ragione non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi”[6].  

Se nel Medioevo l’esistenza di Dio era indubitabile, come lo è ancora oggi nel mondo musulmano, a partire dall’Illuminismo, in Europa ha preso piede l’a-teismo. Questo passaggio è avvenuto lentamente attraverso i secoli. Nel Medioevo il mondo del diritto era caratterizzato dalla dispersione del potere, nel senso che esisteva una contemporanea coesistenza di differenti centri di potere sullo stesso territorio, tutti parimenti legittimi (giurisdizione nobiliare, ecclesiastica, comunale, ecc.). Lo Stato era ancora una realtà da divenire.  Nel XII secolo sono sorte nuove e innovative spinte che miravano a superare questa frammentazione medievale, sì da costruire organismi politici più stabili ed efficienti, e la prima forma di Stato moderno è stata quella di uno Stato assoluto, dove il potere viene esercitato dal sovrano senza restrizioni e limitazioni.

A partire dall’epoca delle guerre di religione (grosso modo dal XVI secolo in poi) si è sviluppato - soprattutto in Inghilterra - un ulteriore pensiero innovativo che metteva al centro l’individuo e i suoi diritti, tanto da rivendicare una sfera di autonomia dei singoli nei confronti dello Stato e da sottolineare la necessità di porre precisi limiti al potere dei sovrani, che senza limiti sfocia facilmente nell’abuso. Pian piano il riconoscimento delle libertà individuali ha preso piede mentre di pari passo calava il potere assoluto del sovrano, finché con Montesquieu si è arrivati alla cd. separazione dei poteri, tuttora fondamentale nel pensiero politico democratico. Questa cultura, nata ed evoluta nel mondo politico laico, ha finito per incidere anche sulla Chiesa, che aveva a sua volta occupato un posto considerevole nel mondo occidentale costituendosi come uno Stato assoluto (col famoso potere anche temporale dei papi).

Ma a quale Dio si credeva in quel periodo?

Semplificando e riassumendo al massimo il pensiero cristiano tradizionale, per spiegare Dio e sé stessa, la Chiesa, quanto meno per i primi quindici secoli, ha usato quel linguaggio accettato senza difficoltà quasi da tutti, perché tutti erano imbevuti della medesima cultura:[7] la trascendenza era cioè intesa come una persona di sesso maschile, intronizzata nel cielo, che può intervenire a suo piacimento in questo mondo e che comunque aspira ad essere adorata e pretende di essere obbedita.

Il nostro mondo che ben conosciamo (con la terra al centro dell’universo) era cioè dipendente da un altro mondo perfetto, che stava al di sopra del nostro e che chiamavamo soprannaturale, o Cielo. Nella realtà, dunque, - un po’ come pensava Platone col suo mondo delle idee[8] - esisterebbero due mondi: il nostro di quaggiù, l’unico visibile, che però è totalmente dipendente da quello lassù di Dio. Anche quel mondo di lassù, però, è strutturato similmente al nostro, con un Sovrano molto più potente dei nostri sovrani, circondato da una corte di angeli e santi. Questo Sovrano, al pari dei sovrani terreni, emana leggi, controlla che vengano osservate, punisce chi le viola e ricompensa chi le osserva. In altre parole, questo Sovrano onnipotente ma invisibile e inaccessibile, che conosce ogni cosa, anche i nostri pensieri più nascosti (una specie di Grande Fratello al quale nulla sfugge), ci ha calato dall’alto delle regole che dobbiamo osservare per il nostro bene, per cui sappiamo che disobbedendo alle sue leggi suscitiamo la sua ira. È bene quindi aver paura di questo Signore, che è benevolo, ma.... Attraverso preghiere, suppliche e sacrifici possiamo comunque placare la sua collera. Se invece siamo obbedienti ai suoi insegnamenti, una volta morti, saremo accolti in quel suo mondo e saremo felicemente beati.

Dunque, con la parola “Dio” si aveva davanti agli occhi l’immagine di un essere onnipotente, santissimo, intronizzato con pompa regale in un mondo separato che chiamiamo Cielo, che governa dall’esterno anche sul nostro mondo con un potere assoluto. Da questo secondo mondo perfetto il suo sovrano gestiva e guidava, ricompensava e puniva le azioni dei mortali di quaggiù[9]. Non si sapeva come altrimenti spiegare il verificarsi di molti fenomeni, e avendo pur sempre l’intuizione della trascendenza, questa intuizione si rafforzava ogni qualvolta l’uomo si scontrava con fenomeni che lo rendevano cosciente della propria impotenza e debolezza di fronte a una potenza superiore, che doveva per forza appartenere a un altro mondo, visto che non se ne vedeva prova tangibile in questo mondo[10]. Sicuramente i predicatori del passato avevano avuto facile gioco quando dicevano che l’uomo è un incallito peccatore sempre colpevole e annunciavano castighi divini, essendo in ciò confermati da sventure collettive immense (guerre costanti che duravano anche per generazioni,[11] desolazione delle campagne, frequenti pandemie di peste, terremoti, eccetera).

Non era una visione molto diversa da quella pagana degli dei Zeus & Co.; solo che qui c’era un unico Dio che, anziché dimorare sul Monte Olimpo dimorava in un mondo parallelo, per noi invisibile (cd. visione eteronoma del mondo).

Ma a partire dal ‘700, il progresso incredibile delle scienze ha fatto sì che Dio venisse estromesso sempre di più dai discorsi comuni: una volta scoperto come si formano i fulmini e come il parafulmine può evitare i suoi effetti devastanti, l’acqua santa e i salmi penitenziali hanno perso immediatamente e completamente il loro effetto di antidoto, ed è scomparsa pure la paura che Dio (o prima di lui Zeus) potesse scagliarli. Lentamente, ma inesorabilmente, si è escluso che quell’altro mondo celeste interferisse in continuazione nel nostro mondo terreno, perché si era capito che i fulmini, le malattie, i terremoti obbedivano a leggi interne di questo mondo, che era quindi autonomo senza dover più dipendere dal mondo di lassù[12]. Di questo Dio trascendente e onnipotente, di questa potenza che poteva intervenire con la massima sovranità come spiegava la dottrina, c’era sempre minor traccia nel mondo sensibile. I preti ben potevano continuare a strillare le loro antiche tesi: la loro visione era accettata solo da chi si sottometteva essi,[13] mentre gli scienziati si basavano ormai su dati oggettivi, sempre controllabili e verificabili[14]. Quando la scienza ha dimostrato l’esistenza dei batteri e che un batterio specifico era la causa della peste, diventava inutile parlare della peste come di un castigo divino e implorare Dio perché la facesse cessare, magari con il voto di costruirgli una grande chiesa[15].

La visione eteronoma è stata quindi vista sotto una nuova luce, come un assioma a lungo accettato ma mai dimostrato, mentre le spiegazioni scientifiche razionali sono state più che sufficienti a metterla in crisi: un nuovo assioma, l’assioma dell’autonomia del mondo terreno ha lentamente soppiantato la visione eteronoma del mondo[16].

È un dato di fatto che il non affidarsi più all’onniscienza di quell’altro mondo superiore, capace, attraverso la Chiesa e il papa, di dire cosa fare e cosa non fare, è stato angosciante per molti credenti i quali han visto sgretolarsi in poco tempo una salda organizzazione di vita individuale e sociale,[17] che durava da secoli. Sta di fatto che, nonostante tutte le resistenze della Chiesa, il suo culto e la sua religione da primarie han finito per essere del tutto secondarie nel mondo occidentale.

Un altro duro colpo alla religione è venuto dal terremoto di Lisbona del 1755. Voltaire aveva scritto all’epoca un famoso Poema sul disastro di Lisbona, in cui per la prima volta aveva il coraggio di chiedere alla luce del sole dov’era questo Dio onnipotente e buonissimo. L’idea che un Dio offeso e irato avesse punito gli uomini peccatori non reggeva più, perché erano periti assieme persone buone e cattive, e comunque un disastro simile era contrastante con l’asserita bontà di Dio. Da questi dubbi esposti dall’Illuminismo ha avuto inizio l’abbandono della Chiesa, incapace di rinnovare la sua dottrina di fronte alle nuove ragionevoli obiezioni. I dubbi e le domande sono arrivati all’affermazione che Dio non esiste, visto che non riesce a intervenire in via preventiva in questi disastri. Ma soprattutto si è ribaltata l’idea precedente: spettava ora alla Chiesa dimostrare che Dio esiste, in base al principio fondamentale (risalente ancora al diritto romano) dell’onere della prova: chi afferma l’esistenza di un fatto ha l’onere di doverlo provare.

Friedrich Nietzsche, nel suo libro la Gaia Scienza, racconta di un pazzoide che in pieno giorno irrompe nel mercato della città e proclama la grande disgrazia: “Dio è morto!”

Eppure, nonostante la previsione di Nietzsche, Dio non è ancora morto nel mondo occidentale, non è morto il cristianesimo e non è morta neanche la Chiesa. Forse, fin tanto che ha seguito il Vangelo, la Chiesa ha lasciato la sua impronta indelebile nel mondo occidentale[18] a prescindere dalle dottrine, avendo dato inizio alla creazione di ospedali, essendosi occupata sistematicamente degli ammalati, degli orfani, dei diseredati. Insomma Emergency o Medici senza frontiere non hanno inventato qualcosa di assolutamente nuovo. In queste organizzazioni laiche non si parla più di Dio, ma si mette comunque al centro l’essere umano, come ha fatto il buon samaritano del vangelo. Se pensiamo che nel mondo greco-romano non esisteva la preoccupazione per i poveri e i diseredati, vuol dire che il cristianesimo ha comunque lasciato un segno: è rimasta anche nel mondo secolarizzato l’idea (evangelica, come si è riscoperto oggi) del servizio gratuito, senza secondi fini, al proprio simile. E questa è indubbiamente un’idea cristiana.

Ma di fronte all’idea di autonomia del mondo, anche il pensiero cristiano ha dovuto evolversi. Dietrich Bonhoeffer, scrivendo dal carcere prima della sua impiccagione, ha ripreso la formula “etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse” per indicare l’atteggiamento dell’uomo maturo che vive la fede in Dio nel mondo senza pretendere che Egli intervenga come tappabuchi[19] ad integrare l’insufficienza delle creature, operando quindi al suo posto. Il vero credente è convinto che solo aprendosi alla presenza attiva della forza divina con atteggiamento di fede, può far emergere l’energia dell’amore, il chiarore della verità in modo più ricco e profondo. Se infatti Dio è alla fonte della realtà creata, vivere in sintonia con la sua parola creatrice, individuare e leggere i segni della sua presenza profonda, consente di far fiorire in modo autentico la vita. Il credente sa che le sue azioni potranno esprimere forze inedite se assumerà un atteggiamento di sintonia con la forza creatrice e la presenza operante di Dio nella sua vita. Egli perciò non può vivere come se Dio non esistesse, ma deve cercare la sintonia profonda con la sua azione e con la parola, per farla fiorire in forme inedite di umanità. Il credente – nel pensiero di Bonhoeffer - deve sbarazzarsi solo del Dio che supplisce alle proprie carenze, del Dio che interviene quando egli non può far altro, del Dio che completa la sua azione imperfetta e inadeguata, cioè del «Dio tappabuchi». Aggiunge poi questo teologo che tornare all’idea eteronoma del mondo sarebbe rinforzare il clericalismo, ma un disastro per la spiritualità[20]. Detto questo, il credente non può rinunciare al Dio della creazione e della redenzione, al Dio che diventa «carne» nell'uomo, quando questi accoglie la sua azione[21].

Pertanto, come segnalava il gesuita Lenaers, anche se la fede in un theos e l’ateismo che nega questa fede sembrano inconciliabili, incompatibili come acqua e fuoco, l’incontro è invece possibile proprio perché il cristianesimo più moderno può integrarsi in un ateismo moderno mettendo entrambi l’Uomo al primo posto: onorando l’Uomo si onora anche Dio, mentre non è vero l’inverso, come insegna la parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.). Questo è quanto aveva intuito Dietrich Bonhoeffer, il quale negava che si dovesse cercare Dio scrutando le siderali altezze del cielo. Ecco perché egli scriveva che occorre gestire la propria vita senza Dio, al pari del mondo esterno che vive senza Dio, ma che al tempo stesso ci si trova più vicini a Dio di quanto lo si era nel passato, perché si vive davanti a Dio e con Dio. Spiega sempre Lenaers che Bonhoeffer ha cioè utilizzato la parola Dio in due significati. Vivere senza Dio significa vivere senza quella rappresentazione pre-moderna ed eteronoma di Dio che ci ha accompagnato per secoli, in cui Dio dominava il nostro mondo e decideva tutto. Non si può costringere Dio nei confini del mondo. Vivere davanti a Dio e con Dio significa riconoscere che c’è un Mistero trascendente, che non è nelle mani dell’uomo, esattamente come sostenevano gli atei-credenti sopravvisti Einstein e Bobbio.  

Nel nostro Occidente, allora, in cui saranno sempre più presenti anche altre religioni, soprattutto l'islam, questo confronto tra laici e cristiani diviene sempre più urgente e decisivo, non certo per escludere chi non crede a quello che crediamo noi, ma per edificare una casa che sia davvero comune a tutti quanti la abitano. Infatti la sfida decisiva per edificare la società, nella fatica del dialogo e non nello scontro di culture, è proprio il confronto tra coloro che si dichiarano credenti e coloro che si dichiarano atei non credenti, senza espulsioni e senza anatemi. Speriamo che ciò possa avvenire grazie alla laicità dello Stato[22].


NOTE

[1]Hendrikse K. Believing in a God that does not exist: the manifesto of an atheist pastor. Il suo libro non mi risulta essere stato tradotto in italiano. In https://www.bbc.com/news/av/world-europe-14410482 si trova una sua intervista della BBC.

[2] Come riconosce lo stesso teologo tedesco (Bonhoeffer D., Resistenza e resa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 439), la formula va attribuita a Ugo Grozio (nome originale: Huig de Groot), giurista, filosofo e scrittore olandese, il quale scrisse, nel 1625, il saggio De iure belli ac pacis (Il diritto della guerra e della pace) gettando le basi dell’ateismo nel momento in cui affermò che il diritto naturale sarebbe rimasto nel mondo anche se si fosse pensato che Dio non esiste. Questo significa che il diritto naturale diventa più assoluto di Dio stesso, il che costituiva una mina vagante capace di indebolire il cristianesimo (Rossi de Gasperis F., Sentieri di vita, Paoline, Milano, 2010, 180 nota 37).

Bonhoeffer, nel suo carteggio con Eberhard Bethge dal carcere (1943-1945), ha sviluppato a grandi linee l’idea secondo cui oggi noi non possiamo essere onesti, senza riconoscere che ci occorre vivere nel mondo etsi Deus non daretur (= anche se non ci è possibile reperire alcun dato circa l’esistenza di Dio). Per una miglior comprensione del pensiero di Bonhoeffer vedi il testo nel prosieguo.

[3] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[4] Scquizzato P., Scienza e fede: un dialogo necessario, relazione tenuta a Sona, 29.5.2023.

[5] Riportato da Lenaers R., La fede è conciliabile con la modernità?, relazione tenuta a Bergamo il 26-27.1.2014, in

http://www.ildialogo.org/LeInC.php?f=21&s=parola.

[6]Né ateo, né agnostico, 2004, in: www.repubblica.it/2004/spettacoli_e_cultura/Bobbio.

[7] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT) 2009, 19ss., 112. Ma come ben ha osservato Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 338, Gesù non propone mai una dottrina su Dio, mai spiega la propria idea di Dio. Per Gesù Dio non è una teoria, è un’esperienza.

[8] Il termine idea viene da Platone, ma si tratta di una delle tante parole che hanno cambiato di senso nel corso del tempo. Per noi, oggi, l’idea è un qualcosa creato dalla nostra mente; per Platone le idee non sono astrazioni dell’Io pensante, ma sono entità reali, esistenti in un mondo separato indipendentemente dal fatto che vi sia un soggetto che le pensa: sono cose, e perciò oggi sarebbe più chiaro parlare della teoria platonica delle forme, anziché di quella delle idee (Dal Maschio E.A., Platone, ed. Hachette Fascicoli s.r.l. Milano, 2015, 52s.). Quando vediamo uomini diversi, oggetti diversi, o diciamo che un’azione è giusta, siamo davanti a copie (forme) imperfette di un unico esemplare (uomo, oggetto, giustizia) che esiste allo stato puro. In quanto copie non sono né propriamente reali, ma neanche puro non-essere (sarebbero illusioni): in quanto partecipano all’essere si collocano a metà strada, ma solo l’originale è vera realtà. Aristotele, molto più pragmatico ritenne quella delle idee una creazione fantastica e fittizia; la realtà completa già si trovava nel mondo sensibile (Ruiz Trujillo P., Aristotele, ed. Hachette, Milano, 2015, 13s.).

[9] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 14s.

[10] Idem, 13s.

[11] Pensiamo solo al sacco di Roma del 1527 ad opera dei lanzichenecchi, che portarono in Italia anche la peste; pensiamo alla Guerra dei Trent’anni durata dal 1618 al 1648. Oggi, giustamente, ci sembra intollerabile già un anno di guerra in Ucraina.

[12] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 16.

[13] Resistono cioè credenti di questo secondo mondo, i quali sono visti dagli altri come cattolici semi-pagani, che con la modernità proprio non riescono a venire a patti, godono del terrore di un Dio irascibile e vendicativo, e anzi auspicano che il castigo divino cada sopra questo mondo di peccatori impenitenti.

[14] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 149s.

[15] La basilica del Redentore, anche nota come chiesa votiva del Santissimo Redentore o più semplicemente come il Redentore, è un importante edificio religioso di Venezia progettato dal famoso architetto Andrea Palladio nel 1577 sulla Giudecca. Nel 1575 scoppia a Venezia la peste che uccide 1/3 della popolazione, circa 50.000 persone. Il 20 luglio 1577 si festeggia la fine della peste con una processione che raggiunge la chiesa attraverso un ponte di barche, dando inizio a una festa tradizionale che dura ancora oggi.

[16] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena /VT) 2009, 21ss.

[17] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 23.

[18] Ma non solo: anche in Asia e Africa sono stati soprattutto i cristiani ad occuparsi – ad esempio - dei lebbrosi.

[19] Nella lettera all’amico Bethge Eberhard, del 29.5.44, dopo avergli detto che sta leggendo un libro di Weizsaecker sull’immagine che la fisica ha del mondo, il teologo aggiunge: “Per me è evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze; se i limiti della conoscenza continuano ad allargarsi anche Dio viene sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata. Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo; Dio vuole essere colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte… Gli uomini vengono a capo di molte domande anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione per loro” (Bonhoeffer D., Resistenza e resa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 382).

[20] Bonhoeffer D., Resistenza e resa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1988, 439.

[21] Di Palo P., Le parole del Vangelo, Piccolo dizionario – voce Miracolo, Gabrielli ed., S. Pietro in Cariano (VR), 2014, 225.

[22] Bianchi E., pamphlet La differenza cristiana – Quando i laici sono un’opportunità per i credenti, 28s.