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Louis Massignon, 1956 - foto di collezione privata tratta da commons.wikimedia.org


Se Massignon fosse morto in Amazzonia



di Stefano Sodaro



Ci hanno insegnato che la storia non si fa con i “se”.

Giustissimo.

Il nostro tentativo, tuttavia, va semplicemente nel senso di provare ad attualizzare, oggi, adesso, la testimonianza di un uomo di fine Ottocento/primi Novecento, cittadino francese, che si innamorò dell’Islam, si convertì al Cristianesimo grazie alla conoscenza sempre più approfondita del suo innamorato e si sposò con una cugina, contrariamente a quanto avrebbe immaginato il suo amico fraterno Charles de Foucauld, monaco nel deserto algerino. Divenne quindi, Louis Massignon – così si chiamava il personaggio -, uno dei massimi orientalisti e islamisti. Ma la storia si complica. E di molto.

Massignon conobbe una donna egiziana di confessione cattolica melkita, Mary Kahil, e grazie a lei - senza alcuna separazione dalla legittima consorte - poté diventare prete cattolico, benché sposato e padre di famiglia, proprio nella Chiesa Bizantina Melkita, che, come tutte le Chiese Bizantine (anche quelle Cattoliche e non solo quelle Ortodosse), ammette gli uomini sposati al presbiterato.

Domani, 31 ottobre 2022, ricorrono i sessant’anni dalla morte di Louis Massignon, avvenuta a Parigi il 31 ottobre 1962, pochi giorni dopo l’inizio del Concilio. Aveva 79 anni. Quando fu ordinato prete, in Egitto, il 20 gennaio 1950, ne aveva 67.

Cambiamo per un attimo argomento.

Una delle delusioni più grandi, dal punto di vista ecclesiologico, fu, nel febbraio 2020, la sorprendente scoperta, che, nell’Esortazione Apostolica Postsinodale “Querida Amazonía”, neppure un cenno comparisse rispetto a quanto i Padri Sinodali avevano espresso, al n. 111 del Documento Finale del Sinodo Speciale per l’Amazzonia: «Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen gentium 26, l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento.»

Peraltro, come fu osservato allora, “Roma non locuta, causa non finita”, dal momento che Francesco papa, ai nn. 2 e 3 della citata Esortazione Apostolica, affermava comunque: «Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo. (…)

Nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel Documento, che ci offre le conclusioni del Sinodo e a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia, perché ci vivono, ci soffrono e la amano con passione. Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente.» Niente di più, ma anche niente di meno.

Nessun vescovo di rito orientale, del resto, partecipò al Sinodo amazzonico. Ma forse, per districarsi da queste faccende un po’ troppo ecclesiastiche, tutte interne ad un certo preciso ambiente – “a world apart” -, è necessario dilatare di molto sguardo ed orizzonte.

Oggi in Brasile si vota per il nuovo Presidente della Repubblica Federativa. Bolsonaro e Lula – i due candidati del ballottaggio di questa domenica - sono rappresentativi di due universi di riferimento esattamente contrapposti. Sapremo domani l’esito del confronto elettorale.

Intanto, però, forse non molti sanno che proprio in Brasile esiste l’Eparchia di Nostra Signora del Paradiso di San Paolo dei Melkiti, cioè una diocesi della Chiesa Cattolica Bizantina Melkita, la stessa cui appartenne Massignon.

Proviamo, appunto, ad aprire la veduta davanti a noi.

Nella storia della Chiesa Cattolica successiva al Vaticano II dire Brasile – o America Latina – ha voluto dire a lungo teologia della liberazione. E dire teologia della liberazione ha significato, in particolare nel contesto italiano, contaminare di marxismo la purezza dottrinale, stupenda nella sua nivea (e algida) astrattezza, del catechismo.

È proprio così? Anche no, in realtà.

Ma per accorgersi di una diversità latinoamericana – e brasiliana - tutta propria dell’elaborazione teologica, cioè di una scienza assai particolare, occorre rivolgersi a due riferimenti culturali molto poco frequentati: il movimento libertario e il mondo ebraico.

Proviamo a fare ancora qualche passo avanti, timido e timoroso: si capisce, in Italia, il Brasile della teologia della liberazione – quel Brasile che NON vide tra i suoi Melkiti Louis Massignon – se si legge, ad esempio, Ignazio Silone. Si capisce, in Italia, il Brasile della teologia della liberazione se si ascoltano, ad esempio, le lezioni sull’ebraismo di Miriam Camerini.

Se, dunque, Louis Massignon fosse morto a San Paolo invece che a Parigi, la questione dei poveri, della libertà per i poveri, e la questione della diaspora di Israele – cui continuamente rinvia la sola presenza dell’Islam in sé - si sarebbero intrecciate a tal punto da svelare il contenuto profondo proprio di quella teologia della liberazione che alle nostre latitudini pare solo deriva politicheggiante, guerrigliera, eversiva, oppure seduttivo esoterismo danzante a ritmo di chitarra, maracas e flauto di Pan.

Però Massignon non morì in Brasile. Già. Dunque mettiamo la parola “fine” al nostro (presuntuoso) tentativo? Non è detta l’ultima parola.

Nel 1968, proprio in America Latina, non in Brasile, ma in Uruguay, morì un certo Monsieur Chouchani.

Si obietterà che questa è un’altra storia, di un altro nome e personaggio: che cosa centra Massignon con Chouchani?

Che Chouchani non sia Massignon è precisazione assolutamente oziosa, ma che così – a parlar cioè di costoro – ci si inoltri, quasi senza accorgersene, nel mondo dei simboli, delle reciproche fecondazioni culturali di fedi e saperi, è questione invece così vera e talmente decisiva che segnerà il percorso che ci attende da questo nostro numero 685 in poi. Vorranno lettrici e lettori camminare con noi? Lo speriamo di tutto cuore.

Domani è lunedì 31 ottobre 2022: volendo, potremmo davvero svoltare. In fondo, mancano solo 15 domeniche al numero 700.

Massignon ci attende chissà dove. La teologia della liberazione pure.

E vedremo chi sarà il nuovo Presidente del Brasile.

Buona domenica.

Buona settimana.