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La maledizione efficace: una strage dimenticata (1)


di Stefano Sodaro

 Foto tratta dalla rete

Esistono veri e propri buchi neri nella storia criminale del nostro Paese non soltanto perché non ascrivibili a precise responsabilità ed autori individuati (in questo caso avviene, peraltro, esattamente il contrario, come vedremo), ma anche perché risulta in buona sostanza del tutto sconveniente parlarne o pure soltanto farne cenno, benché si preferisca non ammetterlo. Crimini di secondo rango, per così dire, o forse anche di terzo e di quarto, di cui si avverte una forma di vergogna al solo pensiero di dover, quanto meno, registrarli tra i fatti di cronaca nera. Eppure sono accaduti.

Qualcuno – qualcuna – ha mai sentito parlare della “Strage del Cinema Eros” avvenuta a Milano più di quarant’anni fa, il 14 maggio 1983? Mette terribile imbarazzo a parlarne sia da destra che da sinistra, che da centro.

Il duo di terroristi neonazisti soprannominato “Ludwig” si rese responsabile della morte di cinque persone, spettatori pomeridiani, in un cinema, di una pellicola a luci rosse, e di un medico che cercò di soccorrerle. Il comunicato degli autori di quella strage ebbe toni che fanno rabbrividire, che annichiliscono.

Riportiamo testualmente (e chi è facile al ribrezzo moralistico termini di leggere qui): «Rivendichiamo il rogo dei cazzi. Una squadra della morte ha giustiziato uomini senza onore, irrispettosi della legge di Ludwig. Per appiccare l’incendio al cinema sono stati usati una tanica e un bidone di plastica ai cui manici sono stati fissati rispettivamente una catenella da lavandino e una fascetta metallica marca Serflex.».

Contrariamente a quel che forse si potrebbe pensare, la strage non rimase senza colpevoli e la giustizia penale accertò e punì le responsabilità di due giovani, Marco Furlan e Wolfgang Abel, che furono condannati a ventisette anni di carcere.

Entrambi hanno ormai scontato interamente la pena, il secondo è in coma irreversibile dopo un incidente domestico successivo al riacquisto della piena libertà ed il primo risulta avere conseguito due lauree (la seconda, con lode, poco più di due anni prima della liberazione).

Il duo si rese responsabile di altri fatti criminosi – su cui potremo ritornare, considerato il proclama diciamo “ideologico” della loro farneticante linea di azione, secondo la quale, sempre testualmente stando ad un comunicato di Ludwig del 1981, “la nostra fede è nazismo, la nostra giustizia è morte, la nostra democrazia è sterminio”; ne rimase vittima nel 1983 a Trento anche un prete appartenente alla Congregazione di Gesù Sacerdote, Armando Bison -, ma qui ci importa riflettere sulla presunta, criminale, opera di “moralizzazione” che i responsabili del rogo del Cinema Eros si erano ritenuti legittimati a realizzare, decretando, da sé, divenuti giudici privati del bene e del male, la pena di morte per chi assistesse alla visione di un film a luci rosse. E, prima ancora, la loro sempiterna maledizione.

Le vittime del Cinema Eros di Milano non hanno avuto corone di fiori, o picchetti d’onore, il 14 maggio scorso. Non ci risulta. 

Esiste una targa, all’esterno dell’edificio, voluta nel 2021 dal movimento laico ed antifascista denominato I Sentinelli di Milano.

Ma nessun convegno e nessuna commemorazione, almeno mi pare.

E qualcuno/a potrebbe ritenersi in diritto di aggiungere: “ci mancherebbe altro!”. Ma è esattamente su simile - ovviamente sempre taciuta – conclusione di perbenismo sociale che una riflessione profonda diviene indispensabile, se vogliamo davvero affrontare l’alterità di cui tanto parliamo, ma con la quale preferiamo, in fondo, evitare il confronto, un confronto che ci fa paura.

Si diceva della paradossale inversione di verità nominabili: gli autori sono noti, le vittime no, benché abbiano tutte nome e cognome. Chiedersi come mai è perfino superfluo. Si tratta, appunto, di una alterità da cui rifuggiamo, a più non posso, quanto ad invereconda immedesimazione. No, no, noi siamo – ecco, già – ben altro!

Niente si sa neppure delle esequie delle vittime, che non ebbero certo Funerali di Stato: cos’avranno predicato gli officianti? Quali parole di consolazione avranno usato?

Ed inoltre: quei feretri saranno stati benedetti?

Perché questa, sembra, al momento la domanda decisiva: si saranno potuti benedire o no quei corpi, anche se segnati dallo stigma della flagranza del peccato come la visione di un film hard (secondo morale corrente oggi non meno impetuosa di ieri)?

L’obiezione è senza dubbio semplice, elementare: l’appello ai valori – che in un tempo non lontano si aggettivavano come “non negoziabili” – non comporta sicuramente la giustificazione di qualsivoglia violenza che intenda sanzionare la loro violazione. Vero.

Ma qual era la molla del crimine, così come descritta nel comunicato di cui sopra? Diciamolo, ricorrendo alle medesime orride parole usate da Ludwig, distanziandocene interiormente – è ovvio - dalla valenza volgare e criminale in qualunque manifestazione essa si declini: era, come scrissero esplicitamente, “il rogo dei cazzi”. Il dare alle fiamme il corpo maschile nella sua vocazione al piacere. (Fra l’altro, in questo caso, un piacere comunque eterosessuale, non dunque “innaturale”, secondo certa paccottiglia morale). Era la maledizione. Una specie di Sacra Inquisizione rovesciata.

Da simile spirale di morte solo una prospettiva di benedizione può salvare. In che senso? Bisognerà tornarci su. Perché anche nello stupro, nella violenza atroce contro la donna, quell’organo dell’apparato genitale maschile è pesantemente ed obiettivamente coinvolto ed il piacere, purtroppo, non è estraneo al crimine del violento. Ed allora la domanda, paurosa solo da ipotizzarsi, diventa: si può mai benedire ciò che andrebbe maledetto? Domanda, appunto, troppo pesante.

E tuttavia la memoria di fatti storici precisi, benché molto poco approfonditi dal punto di vista del loro significato sociologico ed antropologico, non andrebbe smarrita.

Ci rifletteremo e ne riparleremo.

Per ora, auguriamoci buona domenica.