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DIRITTO ECCLESIALE E LIBERTÀ
Rubrica a cura di Maria Giovanna Titone
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La questione ministeriale delle donne nella Chiesa Cattolica
Con la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della Fede Inter insigniores, del 1976, e con la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis, del 1994 è stata chiusa la questione dell’ordinazione femminile nella chiesa cattolica.
Le motivazioni addotte rimandano alla Traditio perpetuo serbata – non solo quelle legate all’assenza di donne nell’Ultima Cena – che si legano all’impossibilità di rappresentare Cristo maschio nella celebrazione eucaristica.
Tali documenti parlano esplicitamente di ordinazione sacerdotale, non includono, però, il ministero diaconale, che secondo Lumen Gentium (LG) n. 29 non è sacerdotale.
La ricerca storica attesta l’esistenza di donne impegnate in servizi pastorali stabili, definite fin dall’epoca neotestamentaria diakonos, ministrae, diaconissa. Fonti storiche, letterarie, canonistiche, epigrafi funerarie e riti liturgici, di tradizione orientale e occidentale, sono state inventariate e sono divenuti oggetto di innumerevoli studi.
Il servizio svolto da queste donne varia dall’evangelizzazione, al servizio alla celebrazione del battesimo delle donne, alla visita di donne malate nelle loro case, a un coinvolgimento più ampio nella vita pastorale, con significative differenze tra chiese locali.
La questione aperta nel contesto ecclesiale attuale è come configurare tali figure sul piano ministeriale.
Le prospettive interpretative attuali sono tra chi opta per una benedizione, che aprirebbe all’ipotesi di un ministero istituito delle diaconesse; e chi riconosce una vera e propria ordinazione.
La domanda di fondo è: si tratta di riprendere una figura di diacona, presente nel primo millennio della storia della chiesa, per riprodurla nel presente, oppure è necessario pensare a una nuova configurazione di un ministero femminile? E ancora, quale teologia del ministero ordinato, e specificamente del diaconato?
Il Concilio Vaticano II ha consegnato alla Chiesa Cattolica una revisione della teologia del ministero ordinato rispetto alla visione Tridentina, che ha permesso nuove modalità di esercizio del ministero dei vescovi, presbiteri e diaconi – che ancora stentiamo a riconoscere.
Il ministero ordinato è pensato in rapporto alla missione messianica del popolo di Dio (LG 20-24), cioè parte del popolo sacerdotale, comunità tutta ministeriale, in cui tutti i battezzati sono visti come soggetti corresponsabili nell’annuncio e nella diakonia ecclesiale.
Si attesta inoltre il divenire storico delle figure ministeriali e viene recuperata una lettura collegiale del ministero dell’episcopato (LG 22-23). Non si distingue più tra potestà di giurisdizione e potestà sacra, con due diverse sorgenti, ma si apre una riflessione intorno ai tria munera Christi, che vengono declinati prima per tutto il popolo di Dio (LG cap. II) e, poi, in forma specifica per vescovi presbiteri e laici.
Il sacerdote non è più l’analogatum per pensare il ministero, ma si deve partire dal vescovo, che riceve la pienezza dell’ordine, per pensare ai presbiteri e ai diaconi sempre al plurale, che esercitano uno specifico ministero per partecipazione e mediazione episcopale. Viene, così, restituito il diaconato come grado autonomo e permanente dopo secoli dalla sua scomparsa.
L’interrogativo sulle donne diacono deve essere posto in questo quadro ecclesiologico e di teologia del ministero che il Vaticano II ha dispiegato.
I diaconi permanenti sono ordinati non al sacerdozio ma ad un ministero specifico (LG 29) e la forma del servizio diaconale risiede nella relazione con il vescovo e non ha a che vedere con la presidenza liturgica della comunità.
L’ordinazione diaconale permanente, dunque, è grado ministeriale legato alle esigenze pastorali e alle funzioni del “Noi ecclesiale” istituzionalizzato.
Pertanto, si può ritenere che anche nel caso delle donne diacono non si tratti di replicare una figura ministeriale antica, che rispondeva a necessità pastorali specifiche, ma, appurata l’esistenza di donne diacono per imposizioni delle mani da parte del vescovo, si tratta di riconoscere una prassi ecclesiale significativa già presente per riplasmare una figura ministeriale inedita, sulla scia di quanto indicato in Ad Gentes n. 16, che motiva la necessità dell’ordinazione diaconale sulla base di una Traditio ecclesiae in sviluppo, in rapporto alle esigenze pastorali delle chiese e alle prassi già esistenti che chiedono una revisione delle relazioni e delle funzioni della comunità ecclesiale.