Immigrati, diritto, cristianesimo
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di Dario Culot
Una delle ultime foto scattate dal satellite Voyager, lanciato il 5 settembre 1977 da Cape Canaveral, quand’era ai limiti del sistema solare. Il puntino che si vede all’interno del cerchio è la Terra. In quel puntino ci sta tutto quello che noi conosciamo: le nostre guerre, i nostri amori, i nostri odi, le nostre amicizie…: tutto ciò per cui ci accapigliamo.
La parte della sentenza della Corte Suprema che più ha fatto discutere è quella relativa al risarcimento. Se si dice nella sentenza che gli stranieri trattenuti sulla Diciotti sono stati privati illegittimamente della libertà personale, si afferma, in parole più crude, che vi è stato un sequestro di persona da parte dello Stato. Va osservato che il tribunale dei ministri di Palermo ha già escluso, poco tempo fa, proprio questo reato in un caso del tutto analogo per la nave Open Arms[1]. Ora, è vero che, anche in mancanza di reato può esserci un danno, nel senso che non tutti i danni nascono solo in presenza di un reato. Però è anche vero che se ogni migrante può chiedere un risarcimento allo Stato perché ogni trattenimento al confine diventa lesivo dei suoi diritti fondamentali, saremmo in breve tempo sommersi da cause civili che metterebbero a dura prova i tribunali e ancor di più i conti pubblici. Tanto al migrante la causa contro lo Stato non costa niente: pagano sempre i cittadini col gratuito patrocinio che spetta al migrante nullatenente. Se gli va male, noi cittadini paghiamo l’avvocato del migrante;[2] se va bene paghiamo l’avvocato e in più un congruo risarcimento pure al migrante[3]. Da noi ci sono avvocati di studi legali che avvicinano gli stranieri una volta a terra e li informano che possono – gratuitamente – agire contro lo Stato italiano. Neanch’io sono contento che degli avvocati vadano a cercare gli stranieri e li invitino a far causa allo Stato, ma in entrambi i casi, se si ritiene che la legge non vada bene, bisogna prendersela col legislatore che non la cambia, non con il giudice che la applica.
In quegli stessi giorni in cui governo e magistratura si scontravano a casa nostra, la Corte Suprema americana, esaminando l’ordinanza di un giudice federale che imponeva al governo di effettuare pagamenti sospesi dal governo relativi ad appalti dell’organizzazione Usaid (agenzia governativa per gli aiuti all’estero, smantellata da Trump), con pronuncia interlocutoria[4] chiedeva al giudice federale di chiarire quali obblighi – secondo lui - il governo dovrebbe soddisfare tenendo conto della fattibilità dell’ordinanza. Poche righe, non le 37 fitte e dotte pagine della nostra Corte Suprema. La maggioranza dei giudici (5 su 9) si è discostata dalla proposta dei 4 giudici di minoranza di revocare tout court il provvedimento del giudice federale che ha rilevanza erga omnes (cioè vale per tutti e non solo – come in Italia - per le parti in causa nel caso concreto), ma potrebbe ancora farlo quando quel giudice avrà fornito alla Corte suprema, che funge lì anche da Corte costituzionale, le spiegazioni richieste. Un giudice americano di minoranza, che voleva l’annullamento immediato dell’ordinanza federale, ha scritto:[5] “può un singolo giudice federale avere il potere incontrollato di obbligare il governo a pagare, e probabilmente perdere per sempre, miliardi di dollari dei contribuenti?”[6] Simile problema di natura economica, da noi, non viene neanche preso in considerazione perché, se un diritto (anche dello straniero) è giusto non importa quanti sono quelli che ne poi ne usufruiranno e quali saranno alla fine i costi. Ma il diritto dello Stato a regolare l’immigrazione può affievolirsi al punto di trasformarsi in un dovere di ammettere tutti gli stranieri dentro al proprio territorio, pena il risarcimento? Tanto più che, una volta dentro al territorio, è fatto notorio che è quasi impossibile allontanare in concreto lo straniero, anche se alla fine così venisse deciso.
Restando strettamente nell’ambito del diritto, i giudici supremi hanno rilevato che qualunque azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato del giudice qualora si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e le leggi gli impongono, soprattutto quando vengono in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati; e la libertà di ogni individuo, cittadino o straniero, è costituzionalmente tutelata,[7] senza se e senza ma, perché l’art.13 della Costituzione vieta “qualsiasi restrizione della libertà personale se non per atto motivato di un giudice, e nei casi previsti dalla legge”. Questo è il punto centrale della questione. E su questo punto, appurato che il governo è rimasto passivamente inerte per dieci giorni, semplicemente rifiutando l’autorizzazione allo sbarco da una nave italiana dopo che i migranti erano stati soccorsi in mare, e ha omesso di mettere in movimento alcuna della procedure previste dalla legge sul contrasto dell’immigrazione irregolare,[8] va escluso che il trattenimento a bordo della nave costiera di migranti non ancora compiutamente identificati (e ancora potenzialmente titolari del diritto di asilo ex art. 10, della Cost.) possa essere inquadrato nell’ambito di procedimenti di espulsione, di estradizione o di detenzione, pur ammessi in via eccezionale dall’art.5 par.1 lett. f) della CEDU[9]. Pur non avendo la Corte Suprema richiamato espressamente alcuno di questi iter, posto che nessuno di essi è stato tempestivamente attivato, i giudici hanno concluso nel senso che la restrizione della libertà dei migranti è stata illegittima.
È possibile che fra Italia e USA vi siano modi diversi di interpretare la legge e di concepire la separazione dei poteri. Questo non deve stupire, perché concetti che sembrano universali (ad esempio: libertà, giustizia, pace) sono in realtà spesso contraddittori quando si deve decidere nel caso concreto[10]. Mi spiego con un esempio pratico nel campo religioso: il prof. Umberto Galimberti, in una sua conferenza aveva spiegato che papa Francesco ha impostato il suo pontificato distinguendo fra dottrina dei principi (che egli non modifica) e disciplina del singolo caso (dove al centro va messa la misericordia). Il conferenziere ha richiamato in proposito l’etica del viandante, che quando si trova davanti a un fiume deve decidere in quel momento se attraversarlo qui o laggiù, quando si trova davanti a un monte deve decidere al momento se aggirarlo o scalarlo. In altre parole, il viandante deve scegliere di volta in volta, e qui emerge la sua responsabilità. Invece quando si segue solo la linea dei principi si è sostanzialmente irresponsabili, perché non si deve mai scegliere, ma solo dedurre dal principio. L’esperienza insegna che quando si sceglie di curarsi del bene di quell’uomo concreto[11] facilmente si entra in contrasto con l’obbligo astratto di salvaguardare il principio assoluto che, ai tempi di Gesù, per i farisei corrispondeva all’osservanza della legge divina; dura lex, sed lex: la legge deve prevalere sempre e comunque, anche a prescindere da ciò che si potrebbe considerare giusto nel singolo caso concreto. Questo contrasto si spiega col fatto che nella legge c’è sempre una componente generalistica, ma il caso concreto è sempre più complesso. L’impostazione legalistica basata sui principi, per come comprendiamo oggi il Vangelo, sembra antievangelica, ma per secoli anche la Chiesa ha seguito la linea dura che seguivano i farisei ai tempi di Gesù. Dunque, conclude il relatore, sembra che con questo papa ci si sia ormai indirizzati verso una nuova etica, anche se per secoli si è utilizzata l’etica dei principi.
È un dato di fatto che, qualsiasi sia la scelta, quello che si decide oggi o che non si fa oggi avrà ripercussioni a lungo. La ragione ci dice che di fronte a un flusso inarrestabile dobbiamo tutti sacrificare qualcosa e cambiare il nostro modo di vivere anche se la cosa non ci solletica, altrimenti la dura realtà finirà per imporsi da sé e fra qualche decennio perderemo molto di più per non aver fatto nulla. Noi occidentali (circa 800 milioni di persone) siamo ancora dell’idea che nessuno debba mettere in dubbio il nostro benessere, come ci fosse spettato per diritto divino; ma di fronte agli altri 7 miliardi e 200 milioni di persone che vivono nel mondo non possiamo di certo pensare di poter continuare a consumare l’80% delle risorse della terra,[12] e credere che questo tenore di vita durerà per sempre, visto che così in occidente siamo vissuti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Se gli altri, che sono schiacciante maggioranza, volessero consumare come noi, la terra collasserebbe. Ci preoccupiamo tanto della contrapposizione fra islam e cristianesimo. Forse dovremmo preoccuparci di più della contrapposizione fra ricchezza dell’Occidente e povertà della maggior parte del resto mondo[13]. Davanti a simili disuguaglianze, ci piaccia o non ci piaccia, il mondo non sarà più come prima e necessariamente saremo noi a dover decrescere.
Come ha chiarito un brillante studio sociologico[14] che si occupa di migrazioni, anche la religione, che in passato era un elemento edificante di coesione,[15] non funziona più come elemento edificante. Gli immigrati portano con sé la loro cultura e la loro religione, avendone bisogno per identificarsi o anche per opposizione alla nostra. Spiego meglio con un esempio cosa intendo per opposizione culturale: ancora oggi la CEDU, da noi tanto decantata perché esalta i diritti individuali della singola persona, fuori del mondo occidentale è ritenuta invece un documento prettamente occidentale:[16] pensiamo alla Cina, dove il dovere viene situato prima dei diritti, la responsabilità prima della libertà, e l’armonia è la cosa in assoluto più importante. Oppure pensiamo al fatto che un musulmano nigeriano o afghano vive ancora oggi inserito in una rete di relazioni e rapporti completamente diversa da quella di un occidentale. Riconoscere a queste popolazioni i diritti dell’uomo in quanto singolo individuo significa privarli di un’esistenza nella collettività o, addirittura, contrapporli a essa. In altre parole: il conferire diritti indipendenti al singolo individuo non rientra nella tradizione di quelle culture, che vedono nell’individualismo[17] non la possibilità di diventare pienamente sé stessi ma, in conseguenza delle esperienze di vita in condizioni desertiche assai difficili, solo la certezza di perire[18]. Ecco che queste culture vedono nell’individualismo non l’autorealizzazione ma la via sicura a un pericoloso e distruttivo egoismo. Dunque, l’individuo deve fare un passo indietro e nei Paesi dove predominano gli interessi collettivi, queste comunità non condividono i nostri principi occidentali[19]. Perciò, se uno di noi volesse in quei Paesi far valere i suoi inalienabili diritti individuali, vedrebbe probabilmente frustrata la sua pretesa; al contrario, quando uno di quegli stranieri arriva da noi, sfrutta a suo favore anche diritti che a casa sua non avrebbe mai potuto far valere. Ma siamo noi che gli diamo questa possibilità che ora ci si ritorce contro, avendo per anni proclamato ai quattro venti che siamo noi ad aver raggiunto la forma più alta e raffinata di civiltà, siamo noi i migliori, l’unica società al mondo dove tutti hanno gli stessi diritti, dove tutti sono uguali; siamo noi che abbiamo invitato tutti gli altri ad adeguarsi alla nostra luminosa civiltà. Forse oggi vorremmo rimangiarci questi alti ideali con cui abbiamo irrorato con alterigia il mondo, ma lo facciamo solo di fatto,[20] perché legalmente è impossibile farlo con le leggi che ci siamo dati, e in più, smentiremmo noi stessi, sì che la nostra credibilità, già traballante, precipiterebbe a zero.
Quel che è certo e che, attualmente, viviamo in una specie d’interregno,[21] perché la diversità viene percepita come un grande problema, e questo fa sì che ci si divida fra dialoganti e non dialoganti, tra aperti al cambiamento e chiusi ad esso, tra coloro che sono disposti a mettersi in discussione e a mettere in discussione la società così com’era fino ad oggi, e coloro che non ci pensano nemmeno, anche a dispetto dei cambiamenti già avvenuti.
Se la realtà che oggi dobbiamo affrontare è molto più articolata del passato perché ormai coabitano nella stessa via etnie, culture e religioni diverse, volenti o nolenti questo pluralismo influenza e pian piano cambia anche noi. Molti, che una volta non si proclamavano cristiani, oggi lo affermano, ma solo per opporsi ai musulmani,[22] anche se chiaramente questa identificazione è spesso meramente di facciata, perché poi nella realtà non si comportano da cristiani[23].
È un dato di fatto che non c’è stata alcuna omogeneizzazione degli altri nella nostra cultura occidentale; il cattolicesimo, pur dichiarandosi universale, non ha affatto universalizzato il mondo. Anzi, oggi ci troviamo in casa culture e saperi altrui. Di fronte alla contaminazione, alla quale non eravamo preparati, molti cercano di rinchiudersi nella precedente e tranquillizzante identità: popolo-territorio-religione (o Dio-patria-famiglia), col rischio però di far emergere un pericoloso estremismo divisivo. Stiamo trasformando l’Occidente in una fortezza aggressiva: temendo che fuori tutti siano nostri nemici che vogliono conquistarci,[24] torniamo a comportarci come gli antichi ebrei ai quali non era lecito associarsi o entrare in casa di stranieri (At 10, 28), e vedevano tutti gli stranieri pagani come impuri individui (At 11, 3) da evitare[25].
È grave che quanto accade – tutto questo cambiamento, maggior complessità, più meticciato,[26] che per molti significa più incertezza, maggior stress, più paura - venga frequentemente strumentalizzato da tanti media e da parte della politica per ottenere qualche voto in più, calcando sulla paura. La società, dunque, si divide e si dividerà tra costruttori di ponti e costruttori di muri[27]. Ovviamente i muri servono per rivendicare la propria identità, ma va allora rimarcato che questa asserita identità (italiana) non è stata decisa dalla natura, ma è stata costruita nel tempo: innanzitutto dalla religione (essere cristiani), politica (essere di destra o di sinistra), familiare (essere nati o meno in una famiglia regolarmente costituita, e anche in tal caso di classe borghese o proletaria), di genere (maschio o femmina), di orientamento sessuale (etero, omo, fluido)[28]. Ormai però i contorni della nostra identità si stanno smarginando, le leggi sono costrette ad allargare le loro maglie per ospitare genti di cui il nostro sistema economico ha assoluto bisogno, e la nostra identità (culturale) è definitivamente contaminata[29]. È ora di prenderne atto perché indietro non si può tornare, e il futuro ci obbligherà a fare i conti con le differenze: perciò “veniamoci incontro”, e non “vienimi incontro”. E non è forse cosa buona che agli stranieri ci aprano gli occhi sugli aspetti negativi del nostro mondo?[30]
Nessuno sa cosa ci riserva domani il futuro, ma se vogliamo seguire il Vangelo troviamo alcune linee guida proprio lì: Gesù ha detto che i suoi seguaci si vedranno dai frutti (Mt 7, 18), non dalle loro radici. Il problema è che, di frequente qui da noi, i “frutti” non sono frutti di vita, di pace, di felicità e di progresso, bensì “frutti” di violenza, di malessere, di divisione e di scontro[31]. Perciò se vogliamo essere veri cristiani dobbiamo necessariamente entrare a far parte dei costruttori di ponti,[32] e conta quello che uno fa, conta il futuro, non il passato. Il come ci relazioniamo oggi conta più della nostra identità passata.
E sempre richiamandoci alla religione, è il caso di ricordare che, secondo lo Scritture, lo straniero è sacro in quanto incarna sempre qualcosa di diverso, qualcosa in più, qualcosa d’altro rispetto a ciò che l’io può cogliere e contenere. Lo straniero è altro rispetto a tutto quello che io posso conoscere, controllare e possedere; lo straniero indica perciò una dimensione della trascendenza. L’io ha bisogno dello straniero. Se lo straniero fosse identico all’io, non sarebbe straniero. Ma è lo straniero che porta a un incontro fertile fra identità e alterità.
In particolare, come cristiani non dobbiamo dimenticare l’insegnamento – forse principale - di Gesù: esercitare un servizio verso gli altri senza esercitare alcun potere. Una volta eliminate le pretese di supremazia culturale, di essere noi i migliori, grazie all’incontro con gli stranieri forse potremo essere più liberi di prenderci cura degli altri e di fraternizzare[33].
L’evangelista Giovanni ricorda che Gesù ha detto che se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi (1Gv 4, 12), e – a differenza degli Esseni - mai si è ritratto inorridito davanti al modo di vivere di tanti peccatori, anche se non lo condivideva. Ebbene, se ciò è vero per il rapporto positivo con Dio, deve essere ugualmente vero quando è in gioco il rapporto negativo con Dio. In altre parole, visto che Dio è invisibile (Gv 1, 18: nessuno l’ha mai visto), siamo in grado di sapere se lo amiamo (virtù) o lo offendiamo (peccato) solo prendendo in considerazione il rapporto buono o cattivo che abbiamo con coloro nei quali Dio si rende presente, cioè nelle persone che incrociano la nostra strada, in tutti coloro di cui Gesù ha detto: “Quello che avete fatto a uno di loro, lo avete fatto a me” (Mt 25, 40). Quindi, se amiamo i nostri simili, amiamo Dio (Dio rimane in noi: 1Gv 4, 12). Se facciamo soffrire i nostri simili o ci disinteressiamo delle loro sofferenze, siamo nel peccato[34]. Infatti, se crediamo a Gesù, Dio si comporta come lui (Gv 14, 9: “Chi ha visto me ha visto il Padre”).
Ne consegue che il peccato non va considerato in senso verticale (offesa dell’uomo verso Dio), ma solo in senso orizzontale (offesa dell’uomo verso l’uomo). Che brutta notizia per coloro che respingono gli stranieri agitando la croce o il rosario,[35] e sono perfino convinti che Dio stia dalla loro parte.
Anche nel racconto del buon samaritano (Lc 10, 25ss.) risulta evidente che il prossimo non è definito da una sua condizione, ma dalla nostra decisione di renderci prossimi all’altro, perché noi e l’altro abbiamo in comune l’elemento essenziale di appartenere alla stessa umanità. Per questo san Paolo dirà che non c’è più differenza fra greco e giudeo (Gal 3, 28) e noi potremmo aggiungere fra italiano e immigrato, fra cristiano e musulmano,[36] perché siamo noi che dobbiamo farci prossimi a chi incontriamo. Perciò io sono il prossimo dell’immigrato, tu lo sei, noi tutti lo siamo, perché tutti o prima o dopo incontriamo degli immigrati; e se invece li respingiamo seguiremo di certo un’ideologia politica, ma non seguiremo Gesù e non potremo dirci veri cristiani.
Batte ancora lo stesso chiodo il Vangelo quando dice: arriva la sera, e dopo una faticosa giornata passata da Gesù a guarire gli ammalati e a lenire sofferenze, gli apostoli si accorgono che la gente ha fame. Ecco il primo punto: accorgersi che la gente ha dei problemi. E quelli che arrivano sulle nostre coste hanno problemi. Vivere nella sequela di Gesù vuol dire leggere le domande che gli altri ci fanno, perché gli altri esistono, e sono vicini a noi. Ovviamente gli apostoli danno la tipica risposta egoistica che avremmo dato anche noi: “che vadano a casa a mangiare”. Non pensiamo ancora oggi così quando ci viene incontro un immigrato? Che torni a casa sua; cosa vuole qui? Invece Gesù dice: “dategli voi da mangiare”. Perché? Perché Dio ci interpella sempre così. E come ci ricorda sempre l’evangelista Matteo in un altro passo quando parla della fine del mondo (Mt 25, 31-45), non puoi mandare via gli altri, perché Dio è l’altro. Io-Dio, cioè l’altro, avevo fame, e tu mi hai dato da mangiare. Dio non parla direttamente con noi, ci interpella solo attraverso gli altri. E quale sarà la sentenza definitiva? "Venite benedetti dal Padre " perché? Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete, sono stato in carcere, ero straniero…, cioè ero migrante, venivo dalla Siria o dall’Africa e mi avete accolto.
Chiaro allora che se il Dio che s’incontra domenica andando in chiesa non è poi anche lo stesso Dio che s’incontra nel resto dei giorni della settimana per strada, sul lavoro, nel relazionarsi con gli altri (magari coi migranti che preferiremmo restassero a casa loro), significa che, dopo duemila anni, buona parte del mondo che si proclama a parole cristiana non si è ancora rapportata col Dio di Gesù[37]. Don Luciano Locatelli ha ricordato che nella nostra liturgia spesso si confonde la forma esterna col contenuto. Questo è proprio il problema: la religione è più gratificante del Vangelo, che invece è molto esigente. È più tranquillizzante entrare in chiesa, pregare un attimo e poi basta. Ma non è quel momento che ci rende cristiani. Anni ed anni di liturgia: e poi? Quante parrocchie hanno accolto i migranti? Se è questo il Vangelo che predicano anche i preti, allora – come dice don Luciano - è meglio farsi buddhisti. Perciò, se incontriamo per strada uno straniero e lo troviamo disturbante per cui lo scansiamo, dovremmo aver l’onestà di riconoscere che non siamo in sintonia con Dio, perché abbiamo paura dell'uomo che ci mette in questione. Com’è duro essere veri cristiani! Insomma, è piuttosto evidente che non possiamo dirci cristiani se trattiamo gli immigrati in modo disumano.
La democrazia, che sempre più persone però vedono come un intralcio alla rapidità delle decisioni sempre più essenziali nel mondo d’oggi, è da sempre conflittuale (pensiamo allo scontro fra partiti, fra parti sociali); la vita familiare è spesso conflittuale, la stessa giustizia è conflittuale (si ricorre al giudice per risolvere un conflitto, e assistiamo ultimamente a duri scontri anche fra governo e magistratura). Eppure, questi conflitti non ci mettono grande paura. Vuol dire che in questi settori abbiamo ormai riconosciuto e assorbito l’esistenza di un conflitto, non l’abbiamo né negato, né ignorato, ma abbiamo cercato di risolverlo gestendolo. Dobbiamo riuscire a fare lo stesso col fenomeno immigrazione.
Lo so che agire in questa direzione è difficile, ma solo se riusciremo a far diventare reale questa possibilità, solo estendendo la fraternità agli altri (anche se non appartengono al nostro gruppo ristretto) e “sotterrando l’ascia di guerra”, riusciremo a vivere con una certa serenità, e problemi come quelli sollevati dalla nave Diciotti neanche più si presenteranno perché li risolveremo senza neanche accorgercene. Anzi, guardando al passato, forse a quel punto penseremo che avesse ragione Einstein a dire che l’uomo intelligente risolve i problemi, mentre lo stupido li crea (…e se il mondo è pieno di problemi un motivo ci deve essere). A noi essere intelligenti o stupidi.
NOTE
[1] Va sottolineato che nel governo Conte Uno l’autorizzazione a procedere contro il ministro che aveva impedito lo sbarco era stata negata proprio per la nave Diciotti, mentre è stata concessa per la nave Open Arms con il governo Conte Due, quindi con un governo di colore diverso, dopo che erano cambiate le alleanze politiche. Ci si può chiedere se un mero cambio di maggioranza al governo può far sì che un atto di un ministro, in precedenza ritenuto discrezionale e politico, non lo sia più; cioè se un ministro che ha agito per la tutela di un interesse di preminente interesse pubblico (art.9.3 L. Cost. 1/1989), ripetendo lo stesso atto non persegua improvvisamente più lo stesso interesse. Questa è una domanda da rivolgere ovviamente al Parlamento, che una volta ha negato l’autorizzazione, ma per un secondo identico caso l’ha concessa. Neanche queste sembrano decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni.
[2] Negli USA l’immigrato che si presenta davanti al giudice dell’immigrazione può essere assistito da un avvocato, ma a sue spese, e la maggior parte delle espulsioni non avviene con la decisione di un giudice, ma in via amministrativa: in particolare non c’è udienza davanti a un giudice se l’immigrato ha commesso reati punibili con più di un anno di carcere (felony), se il suo caso è già stato respinto in precedenza, se è già stato espulso.
[3] Anche qui, il risarcimento per danno morale di € 10.000 per circa nove giorni di illegittima privazione di libertà personale, nella sentenza Khlaifia v. Italia, da parte della Grande camera della Corte europea dei diritti umani (cfr. nota 16 dell’articolo della scorsa settimana), mi sembra eccessivo: per guadagnare simile somma una persona normale che lavora in Italia ci mette più di sette mesi. Quindi, piuttosto che venire regolarmente in Italia e lavorare col sudore della fronte, meglio venire illegalmente, farsi trattenere per qualche giorno e chiedere i danni.
[4] 5 a 4 significa che anche lì il caso non era chiaro e semplice, visto che la maggioranza non era unanime, ma minima.
[5] Nel nostro sistema giudiziario, se c’è una tesi di minoranza nel collegio, questa non risulta all’esterno da alcun atto scritto.
[6] Emerge qui tutto il pragmatismo americano. L’Italia segue più facilmente l’etica dell’intenzione promossa dalla cultura cristiana, la quale si concentra sull’intenzione dell’azione individuale, perché la realizzazione del bene riguarda la vita individuale. C’è dunque una differenza incolmabile fra l’agire secondo la massima dell’etica dell’intenzione e l’agire secondo la massima dell’etica della responsabilità (tipica del protestantesimo), secondo la quale bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni (Weber M., La politica come professione, in Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino, 1971, 109).
Dopo “Mani pulite” il potere giudiziario ha indubbiamente allargato sempre di più il suo spazio di azione anche in Italia, anche col collegamento stretto fra giudici nazionali e giudici della Corte di giustizia. Questo pone indubbiamente nuovi problemi di equilibrio fra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, che in passato non esistevano.
[7] Non era così in passato, quando lo straniero veniva tutelato in Italia solo se il cittadino italiano godeva della stessa tutela nel di lui Paese: ad esempio, se l’italiano non poteva acquistare un immobile in quel Paese, neanche lo straniero di quel Paese poteva acquistare un immobile in Italia.
Va anche aggiunto che i diritti inviolabili sono stai scritti nella Costituzione proprio per metterli al riparo da possibili abusi di chi detiene il potere, e ricordo che il politico Andreotti, alla domanda “cos’è il potere?” aveva risposto che il potere è occupare una posizione di cui si può abusare.
[8] Ad es. la procedura di respingimento (cosiddetto differito) disposto dal questore: si tratta di un respingimento adottato quando lo straniero è stato temporaneamente ammesso nel territorio dello Stato per necessità di pubblico soccorso (art. 10, co. 2, Tui), o in caso di arrivi irregolari via mare, sia nel caso di sbarco diretto ed autonomo del migrante, sia nei casi derivanti da attività di salvataggio in mare (cosiddetta attività Sar).
Altro esempio: dato che gli stranieri non potevano essere riportati in mare, e si sarebbero potuti respingere solo in un Paese sicuro, si poteva attivare il trattenimento amministrativo presso un Cpr. Si tratta di un meccanismo giuridico previsto al fine di consentire l’effettivo allontanamento dal territorio nazionale del cittadino straniero colpito da una decisione di rimpatrio (come il respingimento) che non possa essere accompagnato immediatamente in frontiera per la presenza di situazioni transitorie che ne ostacolano il rientro nel proprio Paese di origine o in altro Paese in cui ha diritto di soggiornare.
Altro es. ancora: c’era anche la legge n. 50/2023 che, introducendo una nuova ipotesi di trattenimento, stabilisce che il richiedente asilo possa essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura di frontiera.
Per chi è interessato a una precisa informazione sulla normativa attualmente in vigore contrasto contro l’immigrazione irregolare rinvio all’esauriente sito della Polizia di Sato
[9] Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata in Italia con l. 4.8.1955, n.848. Il testo, che ha subito nel tempo varie modifiche, si trova nel testo aggiornato in https://europeancourt.org/%20it/documenti/consiglio-deuropa/convenzione-europea-dei-diritti-delluomo/#articolo-5.
L’eccezione della lettera f) riguarda l’ipotesi in cui si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione.
[10] Pensiamo solo alla frequenza con cui si parla del diritto alla vita, ma poi quando si affrontano casi di fine vita sembra che questo diritto si trasformi improvvisamente in dovere di rimanere in vita.
[11] Questo è lo scopo cui dovrebbe mirare il cristianesimo, secondo papa Francesco, perché i cristiani non sono chiamati ad essere maestri di dottrina, ma a rendere la vita di ciascuno meno difficile di quanto già lo sia.
[12] Non va meglio in Cina, dove il 10% della popolazione è arrivato a detenere oltre il 65% della ricchezza totale (Musu I., La Cina nella nuova situazione internazionale, in https://www.rivistailmulino.it/a/la-cina-nella-nuova-situazione-internazionale). L’eccessiva disuguaglianza crea inevitabilmente tensioni sociali.
[13] Basta leggere i giornali e le riviste, e si vede, ad es. come in Etiopia ci siano migliaia di migliaia di persone che fanno km a piedi per ottenere un po’ di acqua da bere. Noi ci arrabbiamo se solo ci vien tolta l’acqua per un’ora, una volta all’anno.
[14] Allievi S. e Dalla Zuanna G., Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, Laterza, Roma-Bari, 2016, 100ss.
[15] Scriveva nel XIX secolo Alessandro Manzoni, in Marzo 1821: che l’Italia è una d’arme, di lingua, d’altare.
[16] È stato correttamente osservato che i valori proclamati dall’Occidente potrebbero costituire validi principi-guida per tutti, ma soffrono del limite della matrice culturale occidentale che non tiene conto delle differenze delle altre culture, per cui scadono a semplici indicazioni del razionalismo occidentale (Marramao G., Dopo il Leviatano. Individuo e comunità, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, 62ss.). La Dichiarazione dei diritti dell’uomo soffre allora della matrice culturale che l’ha generata, senza tener conto delle differenze che condizionano dalle fondamenta le diverse culture, religioni, etnie, per cui scade a semplice indicatore del razionalismo occidentale, che finora ha considerato soggetto della storia non l’umanità intera, ma solo l’insieme dei popoli occidentali (del resto, a scuola una volta si studiava solo la storia dell’Occidente; oggi neanche più quella). Ne è prova il fatto che oggi assistiamo a una ribellione sempre più estesa nei confronti del modello universalistico occidentale che, oltre a non tener conto delle differenze tende a neutralizzare ogni alterità culturale anche all’interno delle nostre città, dove lo straniero è subito visto con sospetto, diffidenza, ostilità, guerra (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 50). E come dar torto a coloro che ci contestano che i nostri diritti umani, che vogliamo a parole esportare nel mondo, sono spesso dimenticati da noi stessi quando confliggono con le nostre esigenze di mercato? I diritti degli altri restano forse al primo posto quando scaviamo per trovare terre rare o perforiamo per cercar petrolio?
[17] Mentre per i greci l’identità dell’uomo è il prodotto del riconoscimento altrui (al bambino si dice: “Sei buono, sei cattivo” e questo incide sulla sua personalità), sì che il sociale si pone in quella società prima dell’individuo, con l’anima individuale che deve salvarsi singolarmente sant’Agostino ha di fatto affermato la superiorità dell’individuo rispetto alla società. La cosa più importante è la salvezza della propria anima, che è strettamente individuale perché esclusiva del singolo individuo. Ne consegue che, nella visione cristiana, la società non deve perder tempo a interessarsi del bene comune della collettività: basta che tolga gli impedimenti alla salvezza dell’anima individuale. Ricordiamoci di come ancora papa Benedetto XVI parlando dei principi non negoziabili attaccava le eventuali leggi dello Stato che li contrastavano, per il fatto che ostacolavano la salvezza dell’anima del singolo.
[18] Kapuscinski R. Nel turbine della storia, ed. Feltrinelli, Milano, 2009,102 s.
[19] Da notare che non basta radunarsi per essere comunità. Le comunità più forti e appaganti nascono quando qualcosa eleva le persone e dona loro potenti esperienze collettive (Haidt J., La generazione ansiosa, Rizzoli, Milano, 2024, 244).
Questa prevalenza dei diritti individuali è propria del cristianesimo ove si afferma la superiorità dell’individuo rispetto alla società. E l’idea viene da sant’Agostino il quale ha affermato che la cosa più importante è la salvezza dell’anima, che è immortale e individuale.
La società deve semplicemente togliere gli impedimenti alla salvezza dell’anima: papa Benedetto parlava di principi non negoziabili che lo Stato non deve attaccare perché questi attacchi si oppongono alla salvezza dell’anima. Ciò che conta è la realizzazione del bene della vita individuale, per cui prevale l’intenzione dell’azione individuale. L’individuo, non più pensato nel complesso della vita sociale, può ben vivere separato dal resto del mondo. Lo Stato ha come compito solo quello di limitare il male che può ostacolare l’anima del singolo a raggiungere la ‘città celeste’ (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 395, 67, 255).
[20] E non è già una contraddizione, osserva Ernesto Balducci in La terra del tramonto, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (FI), 1992, 13ss., osannare la superiorità della nostra cultura che proclama i diritti umani, ma non li ha riconosciuti al di là del mare, quando ha sterminato i nativi delle Americhe? E non ripetiamo la stessa cosa con gli immigrati che cercano di attraversare il Mediterraneo? Allora è vero che i diritti umani sono solo i diritti degli occidentali?
[21] Diceva il sociologo Bauman che oggi ci troviamo in una fase d’interregno, «i modi che conosciamo di affrontare i problemi non funzionano più e nuovi strumenti devono ancora essere inventati. Non possiamo risolvere il problema degli stranieri “mangiandoli”. Dobbiamo creare una nuova strategia, che oggi ancora non abbiamo» (Conversazione con Bauman Zygmunt, L’arte del convivere, “Emergency”, n. 7/2011, 28).
[22] L’Italia, religiosamente omogenea fino a poco tempo fa, confermava questa omogeneità perfino nel linguaggio: si parlava di ‘campanilismo’ per definire una diversità e rivalità fra vicini interni, ma il campanile fa parte della stessa tradizione religiosa (Allievi S. e Dalla Zuanna G., Tutto quello che non vi hanno mai detto cit., 110), che però oggi non segna più la nostra identità nazionale, anche perché la società si è assai secolarizzata. Anche l’Europa è ampiamente secolarizzata, eppure gli immigrati islamici hanno fatto ri-emergere problemi religiosi, nel senso che hanno fatto tornare sulla scena pubblica la religione, cosa che noi avevamo accantonato (Idem,119). Pensiamo solo al presepio, al velo, al crocifisso in classe, alla costruzioni di moschee o all’apertura di sale di preghiera (sottoposte a referendum – legge Lombardia gennaio 2015), al digiuno del Ramadan nelle scuole elementari dei piccoli musulmani (“Il Piccolo, 29.3.2023, 8s.), dove si scontra chi ritiene che una pratica religiosa non può ripercuotersi su soggetti fragili e indifesi per a scuola si devono tutelare i minori, e chi sostiene che essendo il digiuno un atto libero e seguibile solo da chi vuole farlo i genitori devono decidere anche per i figli minori, tanto l’islam già riconosce che chiunque risente fisicamente o psichicamente del digiuno deve essere esente dall’obbligo.
[23]Ma c’è da chiedersi se l’Europa che per secoli si è dichiarata cristiana lo fosse per davvero. I Paesi cristiani si sono distinti per essere i più accoglitori, i più generosi, i più vicini alla gente che soffre? Non è vero che Paesi cristiani hanno colonizzato e sfruttato gli altri usando la forza? Una contraddizione che dovrebbe farci pensare. Ci gloriamo di aver cristianizzato gli altri battezzandoli, ma forse non abbiamo insegnato il Vangelo, ma solo fatto praticare una religione.
[24] L’Occidente ha cercato di imporre agli altri il suo modello culturale, e la fraternità da noi tanto proclamata non solo non ha trovato applicazione, ma ha subìto un’ulteriore limitazione nella logica dell’appartenenza (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 422): “se non sei della mia Patria e non credi al mio Dio non sei fratello”.
[25] Ma anch’essi, comportandosi così, non osservavano la loro religione: cfr. nota 35.
[26] Pensiamo solo allo sport: gli italiani che primeggiano a livello mondiale sono spessissimo italiani di colore.
[27] Allievi S. e Dalla Zuanna G., Tutto quello cit., 108.
[28] Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 364.
[29] Ibidem.
[30] Ernesto Balducci, in Montezuma scopre l’Europa, ed. Cultura della Pace, san Domenico di Fiesole (FI), 1992, 11, riporta il discorso del capo indiano Seattle nel 1854 al presidente americano Pierce che voleva comprare la sua terra, e inutilmente cercava di spiegargli che era l’uomo bianco a sbagliare e a dover evolversi: “Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea mi sembra strana… Dopo tutto siamo fratelli… Il nostro dio è anche il dio dell’uomo bianco. L’uomo bianco pensa di possederlo come possiede le sue terre, ma non può farlo. Egli è il dio di tutti gli uomini, di quello bianco come di quello rosso. Questa terra è per Lui preziosa, e nuocere alla terra è come disprezzare il suo Creatore… Anche i bianchi spariranno, forse prima di tutti noi. Contaminate il vostro letto e una notte vi troverete soffocati dai vostri rifiuti”.
[31] Castillo J.M., Teologia popolare II. Il Regno di Dio, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2025, 40.
[32] Occorre costruire ponti perché, come ha detto papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti del 3.10.2020, al §245, “l’unità è superiore al conflitto”.
[33] Come di Magris C., L’infinito viaggiare, Mondadori, Milano, 2005, 44: essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli.
[34] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 257.
[35] E mentre nel lanciarsi contro gli omosessuali possono per lo meno arrampicarsi sulla storia di Sodoma e Gomorra della Bibbia (ma vedi l’articolo al n.619 del 26.7.2021 di questo giornale), per gli stranieri neanche questo: Ez 47, 21s. mette in chiaro che le tribù d’Israele devono trattare i forestieri insediati in Israele in maniera giusta, come fossero dei loro, senza pretendere di assimilarli. Ger 7, 6 e 22, 3 vieta lo sfruttamento degli stranieri. Es 22, 20, ricordando agli israeliti di essere stati loro stessi stranieri in Egitto, per cui impone di non opprimere gli stranieri che vivono presso di loro. La realtà è che coloro che si scagliano contro gli omosessuali, gli stranieri, i disabili, ecc. lo fanno per paura, perché si sentono messi in questione dalla diversità.
[36] Galimberti U. e Monti L., Le parole di Gesù, Feltrinelli, Milano, 2023,18.
[37] E visto che il Vangelo inventa una maniera di esistere in modo diverso, il cristianesimo è ancora da compiere (Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 16 e 13).
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/