Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Louis Massignon - foto del 1956 tratta da commons.wikimedia.org

La libertà di Louis Massignon

di Stefano Sodaro

Centotrentotto anni fa, il 25 luglio del 1883, nasceva a Nogent-sur-Marne Louis Massignon.

Fu islamista di straordinaria importanza, tanto ad segnare una svolta nell’approccio accademico agli studi sulla religione iniziata da Muhammad.

Ma fu anche prete, sebbene avesse una moglie e tre figli.

Di lui abbiamo scritto più volte sul nostro settimanale e ci permettiamo di rinviare alle considerazioni ed alle annotazioni riportate ai seguenti link:

https://www.academia.edu/37654124/Su_Massignon_I,

https://www.academia.edu/37654107/Su_Massignon_II,

https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-541---26-gennaio-2020/rodafa.

Oggi vorremmo provare ad abbozzare un altro e diverso ordine di riflessioni, relative al concetto di “libertà” che in queste ore sta avvolgendo e motivando una parte non secondaria dell’opinione pubblica del nostro Paese che, proprio in nome di un’asserita libertà, si oppone sia alla campagna vaccinale contro il covid-19 sia all’estensione dell’uso del cosiddetto “green pass” come requisito per l’accesso in luoghi chiusi onde cercar di frenare il contagio che ha purtroppo ripreso a correre nelle sue varianti.

Louis Massignon fu testimone di una libertà che niente aveva a che fare con simile rivendicazione di autonomia individuale anche a costo di danneggiare gli altri e le altre. La predicata libertà che imporrebbe di non aderire alle indicazioni sanitarie ed alle norme giuridiche appare piuttosto una forma di antagonismo – e non di alternativa -, su cui abbiamo cercato di dire qualcosa la scorsa settimana.

Massignon divenne prete da uomo sposato. Fu, per così dire, “libero” di diventarlo, dopo che la sua amica e confidente Mary Kahîl, egiziana cattolica di rito greco-melkita, gli rivelò la possibilità dell’ordinazione presbiterale di chi pur fosse coniugato nella sua Chiesa di appartenenza.

Per giungere all’ordinazione, Massignon non scelse fughe e contrapposizioni rivendicazioniste, bensì si sottopose a tutti gli obblighi procedurali del diritto canonico. Capì, cioè, che per riformare un sistema – fosse anche nel nome di una presunta libertà e fosse anche verso un orizzonte di deistituzionalizzazione -, l’azione che è richiesta è azione che deve svolgersi dal suo interno e non dall’esterno.

Ma c’è di più. Massignon condivideva una visione del ministero presbiterale ancora corrispondente, secondo la spiritualità tridentina ed ottocentesca, al senso di un “sacerdozio” di intermediazione tra mondo e Dio, tra uomo e Dio. Eppure, quasi in forma paradossale, ossimorica, quel grande studioso aveva una moglie e aveva un’amica – celibe – che conosceva i più reconditi anfratti della sua storia personale e della sua sensibilità spirituale.

Che il diritto – figuriamoci poi il diritto canonico – possa configurare strade di libertà appare pressoché una provocazione al limite dell’assurdo seguendo la cronaca quotidiana. Si ritiene che l’affrancamento dalla legge sia necessario per affermare una libertà che è invece solo trionfo dell’individualismo, celebrazione compiaciuta del proprio “io” eretto ad unica norma di riferimento, ad unica istanza cogente, etica e giuridica. Un’intera società dovrebbe costruirsi e consolidarsi attorno al mio “io”, nello Stato, ma anche nelle formazioni extra-statali, come ad esempio le comunità confessionali.

Massignon incontrò Pio XII, in udienza in Vaticano, e da lui – da Pio XII! – ottenne la licenza di transitare dal rito latino al rito melkita. Se fosse rimasto nella Chiesa Latina, in quanto sposato, non avrebbe di certo potuto ricevere l’ordinazione presbiterale. Fu Mary Kahîl a suggerirgli il passaggio di rito? Non lo sappiamo. Studi al riguardo non ci sono.

Vi sono capitoli interi della biografia del nostro studioso che andrebbero meditati a fondo: il legame, di natura omoaffettiva, con Luis de Cuadra; il rapporto con Jacques Maritain e con Charles de Foucauld; la conoscenza con Marc André Raffalovich – nipote della suocera (Elena Raffalovich Comparetti) del padre di don Lorenzo Milani - e con Joris-Karl Huysmans.

Tuttavia sembra esserci un interesse più esoterico che scientifico sulla sua vicenda storica, in particolare in Italia e con un assordante silenzio all’interno della Comunità Cattolica, dove pochissimi ne sanno qualcosa e ne parlano.

Massignon fu uomo libero, radicalmente e profondamente libero. Perché fece pace con se stesso, accettò il proprio percorso esistenziale, abitò nel proprio universo interiore senza imbarazzi e capì che la libertà si afferma con la partecipazione e non con l’isolamento, anche se alla sua ordinazione, il 28 gennaio 1950 – a 67 anni -, furono presenti solo tre persone, tra cui Mary Kahîl e non la moglie. Ma la liturgia non è mai ritaglio alienante di individualismo finalmente messo al sicuro, è sempre invece inserimento in una storia collettiva, comune, che affratella e dà senso.

La libertà non è originata dalla legge, ma se non sa tradursi in legge non è libertà, ma arbitrio e possiamo manifestare finché vogliamo: gli altri non saranno mai tutelati dal mio arbitrio, mentre dalla legge cui devo sottostare sì.

Il compleanno di Massignon illumina la dialettica tra diritto, democrazia e autonomia che lo pseudo-liberalismo trionfante avvilisce tra urla e banalità sconcertanti.

Buona domenica.