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L’errore di rifiutare il dialogo interreligioso


di Dario Culot


Incontro di Assisi, 27 ottobre 1986 - immagine di pubblico dominio tratta dalla rete 

Dice il credente fondamentalista: “come posso ammettere di poter ricevere qualcosa dalle altre religioni, se non ammettendo prima che mi sono sbagliato e che devo correggermi? È impossibile se sono convinto che Dio mi ha già dato la Rivelazione definitiva, immodificabile e quindi completa della verità divina”. Cambiare posizione sarebbe andare contro la divina Rivelazione. Eppure oggi sempre più persone si rendono conto che chiudersi all’interno del proprio guscio religioso è sbagliato, perché quello che in realtà sostengono è che già Gesù avrebbe escluso ogni dialogo, per cui la sua venuta sarebbe stata una seria minaccia per il dialogo.

Quando una situazione di chiusura si verifica nel mondo esterno, sul piano della psiche, si parla in psichiatria di paranoia[1]. Il paranoico è colui che non riesce a comunicare con la realtà, e la respinge con scatti isterici[2]. I vangeli non conoscevano questi termini medici moderni, per cui non parlano di paranoia, ma di spirito immondo, che si contrappone allo spirito santo: un impulso interiore fatto di ostilità e intransigenza, disposto a scattare come una molla, che non ammette dialogo, che si esprime in giudizi estremi, in reazioni violente, in desideri di castigo, in rifiuto di ogni comprensione[3]. Il cattolico intransigente, non appena sente qualcuno che si discosta dall’ufficialità si affligge, si adombra, si ritrae inorridito, taccia l’altro di miscredenza, si inalbera davanti alla prima obiezione e si rifiuta anche solo di immaginare che Dio abbia potuto illuminare chi non è un pio credente come lui, chi non è obbediente al magistero. Però così dimentica innanzitutto che lo Spirito santo soffia dove vuole (Gv 3, 8). Dimentica che Gesù si trovava assai bene con l’impura emorroissa, con l’adultera samaritana; si trovava assai bene col centurione romano pagano e con la donna siro fenicia senza mai costringerli a cambiare religione. Dimentica che Gesù non ha mai escluso nessuno. Dimentica che Gesù ha detto che se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi (1Gv 4, 12), senza affatto ritrarsi inorridito per tutti i nostri peccati. Ebbene, se ciò è vero per il rapporto positivo con Dio, deve essere ugualmente vero per il rapporto negativo con Dio. In altre parole, visto che Dio è invisibile (Gv 1, 18: nessuno l’ha mai visto), siamo in grado di sapere se lo amiamo (virtù) o lo offendiamo (peccato) solo prendendo in considerazione il rapporto buono o cattivo che abbiamo con coloro nei quali Dio si rende presente, cioè con le persone che incrociano la nostra strada, in tutti coloro di cui Gesù ha detto: “Quello che avete fatto a uno di loro, lo avete fatto a me” (Mt 25, 40). Quindi, se amiamo i nostri simili, amiamo Dio (e Dio rimane in noi: 1Gv 4, 12). Se facciamo soffrire i nostri simili o ci disinteressiamo del loro dolore, siamo nel peccato[4]. Ne consegue che il peccato non va considerato in senso verticale (offesa dell’uomo verso Dio), ma solo in senso orizzontale (offesa dell’uomo verso l’uomo). Che brutta notizia per coloro che respingono gli stranieri agitando la croce o il rosario,[5] o per coloro che credono che il peccato sia principalmente non credere alla dottrina insegnataci dal magistero.

Il cattolico intransigente dimentica anche che in nessun vangelo è detto che solo obbedendo al proprio vescovo si coglie necessariamente la volontà di Dio;[6] inoltre dimentica che ogni buon cattolico deve sempre cercar di comunicare con la parte santa di ogni creatura, perché Dio lo troviamo nella concretezza di tutte le creature esistenti[7]. Dio non è cattolico romano,[8] e resta sicuramente più grande della Chiesa cattolica con tutta la sua dottrina, con tutti i suoi dogmi e con tutto il suo sacro magistero. Perciò appare difficile negare ad altri ogni possibilità di conoscere di Dio indipendentemente dalla rivelazione che la Chiesa crede di aver ricevuto in regime di monopolio: come dubitare che l’azione di Dio sia più vasta di quella della Chiesa cattolica, senza che nessuna spiritualità possa pretendere di esaurire la perfezione umana?[9] La Chiesa cattolica ha voluto per secoli modellare tutto il mondo (cattolico vuol dire universale) secondo un unico criterio, il suo; ma come ha detto non ricordo quale filosofo, il mondo è un vaso spirituale che non può essere modellato; chi cerca di modellarlo lo distrugge.

Non riconoscendo che esistono anche altre verità e altre realtà, che Dio si manifesta nella vita in modo sempre nuovo e imprevedibile, e non solo attraverso la dottrina cattolica, queste persone, che si reputano le uniche vere credenti, si comportano - secondo i manuali di psichiatria - da paranoici isterici. Rendere comoda la realtà, semplificandola, è tipico degli individui psichicamente fragili, i quali non accettano che il mondo sia complesso. La complessità disturba per cui sono proprio i più fragili ad aderire più facilmente degli altri alle ideologie estremiste che appaiono più rassicuranti, perché garantiscono loro che il mondo è semplice: bianco o nero. Così sono convinti che basta eliminare la zizzania, i cattivi, gli impuri, e il bene trionferà automaticamente; sono convinti che basta impedire gli sbarchi (come non si sa) e il problema dei migranti sarà automaticamente risolto.

In passato ogni religione occupava un preciso territorio, e i conflitti avvenivano solo quando due religioni giungevano a un contatto nelle zone periferiche di confine. Oggi, persone di religione differenti, che si vestono in modo differente, che mangiano in modo differente abitano nella nostra stessa via, nel nostro stesso condominio[10]. Ogni anno in Italia circa 120-130.000 stranieri prendono la cittadinanza italiana, il che significa che le nostre città stanno cambiando, sta cambiando l’Italia, e stiamo diventando una società multireligiosa e multietnica, volenti o nolenti[11]. Questo solo fatto di per sé chiama necessariamente a un dialogo interreligioso.

E poi dovremmo sempre ricordare che essere cattolici in Italia, protestanti in Germania, ortodossi in Grecia e musulmani sull’altra sponda del Mediterraneo fa parte, sì, della propria identità, ma è innanzitutto una realtà inconsapevole prima ancora che consapevole[12]. L’appartenenza religiosa, cioè, è determinata in realtà da una mera variabile geografica: dipende in gran parte dal posto in cui uno è nato. Se infatti fossi nato duemila chilometri più a sud, in un Paese musulmano e avessi fin da piccolo assorbito quella religione, sarei certo che l’unica vera religione è quella musulmana, che qui invece si ritiene intrinsecamente sbagliata solo perché siamo nati più a nord della Tunisia, e non certamente perché la si conosce dopo approfonditi studi. Se fossi nato duemila chilometri più a nord, in un Paese protestante e avessi fin da piccolo assorbito quella religione, sarei certo che il vero cristianesimo è il mio, e non quello cattolico affetto da papolatria e ipertrofia della struttura ecclesiastica. Lo stesso se fossi nato mille chilometri più a est, terra dei cristiano-ortodossi.

Da sempre, affinché nello Stato si viva tutti nel miglior modo possibile, tutti i cittadini devono collaborare. E allora continuare a dire che la mia religione è giusta, mentre quella dell’altro è sbagliato, crea ormai solo conflitti fra cittadini dello stesso Stato. Non basta neanche dire che, da buoni cristiani, tolleriamo ebrei e musulmani, induisti e buddhisti. L’armonia si può creare solo riconoscendo alle religioni degli altri dignità pari alla nostra. Dobbiamo riconoscere perciò l’altrui identità religiosa, l’uguaglianza fra tutte le religioni,[13] e quindi – in primo luogo - la parità di diritti religiosi. Oggi siamo ormai più o meno convinti (anche se molti fanno ancora fatica) che la razza bianca non è superiore a quella nera o a quella gialla, che l’homo sapiens è nato comunque in Africa e da lì si è diffuso nel resto del mondo, che l’eterosessuale non è superiore all’omosessuale, che il consacrato non è superiore al laico; perciò dovremmo parimenti riconoscere che la nostra religione non è superiore a quelle in cui altri credono fermamente[14]. Allora, oggi, dovrebbe essere ormai chiaro che in tutto il mondo le religioni sono chiamate a fecondarsi le une le altre, a interrogarsi reciprocamente e, soprattutto, a cooperare mutuamente. Questo, probabilmente, è uno dei pochi frutti buoni della globalizzazione.

Nessuna religione è in grado di comprendere e spiegare il Mistero. Ogni religione dovrebbe perciò semplicemente aiutare i credenti e i non credenti ad essere sempre più consapevoli dell’esistenza di questo Mistero, e dell’assurdità di scontrarsi se uno lo chiama Dio e l’altro Allah.

E che neanche la Chiesa cattolica possieda più la Verità assoluta l’ha ormai ammesso – come ho già scritto più volte -  anche un papa come Benedetto XVI, tanto amato dall’ala conservatrice cattolica, il quale ha riconosciuto che, quando si parla del Dio Trascendente, non sappiamo sostanzialmente nulla, rimanendo noi legati all’ambito immanente, e riusciamo solo ad accennare alla verità che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi al solo ambito immanente[15]. Se dunque si parte da basi così incerte, evidente che la Chiesa non può poi imporre a tutti la sua immagine di Dio, come fosse l’unica vera. E sempre questo papa conservatore ha anche aggiunto – se qualcuno non l’avesse ancora capito -  che “Noi siamo solo collaboratori della verità che non possediamo; è lei che possiede noi, che ci tocca. E nessuno osa più dire "Possediamo la verità", cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità”[16]. Non solo: sempre questo papa, feroce nemico del relativismo, per alleggerire le colpe della Chiesa per le quali papa Giovanni Paolo II aveva chiesto perdono, aveva anche riconosciuto[17] che, se da un lato non si devono negare i peccati del passato, tuttavia dall’altro non si deve neanche «indulgere a facili accuse …ignorando le differenti pre-comprensioni di allora». Ma allora, se ogni azione umana è condizionata da queste inevitabili pre-comprensioni (cioè pregiudizi) dovuti alla propria cultura, all’educazione ricevuta, se in passato la schiavitù e il rogo per gli eretici erano visti come cosa buona e giusta, lo stesso papa conservatore sta riconoscendo che ogni giudizio umano nasce da un pre-giudizio culturale; e se è impossibile liberarsi dalla pre-comprensione, non è neanche possibile sostenere che la Chiesa cattolica possiede da sempre la Verità Assoluta, perché ogni verità è semplicemente figlia di quel tempo e di quel luogo in cui vigeva quella determinata cultura.

Immaginate perciò come i cattolici fieri fautori del primato della propria religione, che non hanno ancora digerito neanche queste chiare affermazioni del loro papa tanto amato, resterebbero a bocca aperta se solo leggessero i documenti ufficiali della Curia vaticana e si accorgessero che il dialogo interreligioso non è un mero un consiglio, ma è una pietra miliare che ormai fa parte proprio della dottrina cattolica ufficiale.

Il concilio Vaticano II ha indubbiamente fatto un primo passo verso l’inclusività, non solo perché riconosce nelle altre religioni la presenza di Dio, ma perché a quel punto ha invitato tutti i credenti “affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi”[18]. Via via, ormai da vari decenni, i documenti ufficiali della Curia vaticana che quasi nessuno legge hanno approfondito il punto: per dialogo s’intende una relazione positiva e costruttiva con individui e comunità di altre fedi, perché solo così ci si può arricchire e comprendere reciprocamente[19]. Il dialogo implica l’accettazione reciproca non solo delle differenze, ma anche delle contraddizioni[20]. Occorre non solo lasciarsi interpellare dal dialogo, ma anche trasformare[21] e i cristiani faranno bene a tener presente che a volte anche la loro religione e la loro pratica religiosa hanno bisogno di essere purificate[22].

In altre parole, il dialogo non può mai essere a senso unico, ma ci deve essere un’andata e un ritorno. Perciò se la Chiesa vuol essere fedele al Vangelo, non basta proclamare agli altri la propria Buona Novella, ma bisogna essere aperti a qualsiasi Buona Novella che giunge attraverso altre tradizioni religiose. Se il cristiano non ha questo tipo di apertura non può più definirsi cattolico.

Di pari passo con la curia vaticana si era mosso anche papa Giovanni Paolo II, il quale aveva pubblicamente riconosciuto che il dialogo interreligioso deve essere elemento essenziale della missione della Chiesa,[23] accettando come segno di questa apertura che un simbolo buddhista fosse posto sull’altare durante la messa (ovviamente con grande scandalo dei cattolici integralisti). E infine papa Francesco è arrivato a proclamare formalmente che la pluralità delle religioni è un dono di Dio (Dichiarazione Abu Dhabi[24]) sì che il dialogo interreligioso è accettato e curato, sul presupposto che nessuno possiede la Verità assoluta. Il problema è che abbiamo ancora paura delle diversità per cui rifiutiamo le pluralità. Ma l’accoglienza implica di per sé pluralità.

Dunque, solo attraverso il pluralismo religioso e quindi attraverso il dialogo si comprende il significato reale del termine cattolico, dell’universalismo, senza che vengano posti confini o barriere.

E, come botta finale, che mette al di fuori dell’insegnamento cattolico proprio quei ferventi cattolici che non vogliono sentir parlare di alcun dialogo pretendendo che siano gli altri a entrare nella Chiesa cattolica abbandonando le loro false credenze: “Tutti sono chiamati alla conversione permanente… Questo processo può far nascere la decisione di lasciare una situazione spirituale o religiosa precedente per dirigersi verso un’altra”[25]. E l’identico concetto è stato ripetuto al § 41 del citato documento Dialogo e proclamazione del 19.5.1991. Così si passa da una religione di credenze a una di conoscenze.

Ecco allora che, proprio in base a quanto afferma ufficialmente la Chiesa cattolica dobbiamo essere pronti non solo a chiarire le nostre credenze, ma anche a correggerle (dogmi compresi), cioè ripulire le nostre idee religiose da ciò che solo apparentemente è fede, mentre è abitudine o vecchia dottrina superata.

Ci aspetta veramente una rivoluzione teologica. E diventa pienamente attuale l’intuizione che il teologo Paul Tillich aveva avuto poco prima di morire, quando disse che passare al pluralismo implicava il dover riscrivere tutta la teologia[26]. Ci aspetta veramente un lavoro mastodontico.

Voglio infine toccare un ultimo punto: se Cristo non è l’unica via di salvezza per tutta l’umanità, che differenza c’è fra lui e tanti altri uomini grandi di cui ancora oggi si parla?

Bisogna guardare tutti con occhi nuovi. Da come si è visto, per la stessa Chiesa il dialogo forma ormai un presupposto del pensiero cristologico, che quindi va purificato rispetto al passato. La fede non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si vive e si mette in pratica ogni giorno. Se dobbiamo praticare il cristianesimo, dobbiamo far combaciare ciò che leggiamo nelle Scritture con ciò che accade nella nostra vita. La Parola di Dio deve poter parlare ai nostri problemi attuali, altrimenti è inutile. E siccome i vangeli sono sempre attuali, dobbiamo leggerli come fossero scritti oggi per oggi, come se la Buona Novella la leggessimo sul nostro giornale quotidiano preferito (mi sembra l’avesse detto Karl Barth). L’esperienza di vita che ciascuno di noi compie – se la leghiamo veramente al Vangelo,- deve poter trasformare la nostra vita e la nostra stessa comunità. Se la Parola non comporta anche una susseguente azione corretta, la Parola non è corretta. Non chi dice ‘Signore, Signore’ (Mt 7, 21ss.). Solo praticare concretamente la fede può confermare ciò in cui crediamo.

Quando uno dice a sua moglie che è unica, intende dire che esclude altre donne. Ma quando dice di Gesù che è unico, non si riferisce a una relazione esclusiva con lui (solo lui e Gesù): proprio al contrario intende condividere questa relazione perché anche gli altri possano vivere la sua stessa esperienza vivificante. Se invece uno prende questa dichiarazione d’amore in senso letterale, dottrinale, con l’intento di escludere gli altri (resta forgiato dall’idea che il suo Dio non è il Dio degli altri), probabilmente sta abusando del testo sacro. Dire che Gesù è Parola di Dio significa invitare gli altri a essere suoi discepoli, a collaborare insieme perché il Regno di Dio arrivi appieno su questa terra, a diffondere l’amore di Dio. Chiamarlo Figlio di Dio non è dare una definizione ontologica e definitiva della sua natura, ma richiamare una forma di vita basata su quella che ha vissuto Gesù. Se la vita di Gesù non continua nei suoi seguaci, non ha senso parlare di particolarità del cristianesimo. Ogni titolo attribuito a Gesù (Salvatore, Figlio di Dio, ecc.) è un richiamarsi alla pratica del discepolato, ad agire come ha agito Gesù; non è un richiamo a ricordare che egli sta al di sopra di tutti. Quando Pietro cura l’infermo richiamando il nome di Gesù, rimarca che il potere di curare gli viene da Gesù e non da sé stesso (At 4, 10). Però quando aggiunge che “non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At 4, 12), significa semplicemente impegnarsi a seguirlo e continuare a diffondere nella propria vita l’amore che egli ha profuso nella sua, perché seguendo la via tracciata da Gesù si è sicuri della salvezza. Chiunque riesce a curare un altro, agisce come mediatore di quel nome: ciò che importa è la guarigione, non la spendita del nome di Gesù. Ciò che importa è l’ortoprassi, non l’ortodossia dottrinale. Del resto, lo stesso Gesù aveva detto che chi non è contro di lui, è con lui. Già allora gli apostoli avevano cercato di fermare chi operava il bene senza far parte del loro gruppo ristretto. All’apostolo Giovanni dava maledettamente fastidio che qualcuno non del loro ristretto gruppo facesse miracoli in nome di Gesù, e per questo aveva tentato anche di proibirglielo. I vangeli valgono anche per oggi, e infatti questa tentazione si è continuamente ripetuta nella Chiesa[27], dove la gerarchia ha continuato a vietare di far uso del nome di Cristo, della sua parola, a tutti quanti non erano sottoposti alla sua autorità. Questo è chiaramente antievangelico, perché va contro un vero e proprio ordine di Cristo “Non glielo proibite!” (Mc 9, 39). E invece, in barba al “Non glielo proibite!”, per più di 500 anni, cioè dal Concilio di Firenze del 1442, si è ripetuto che tutti gli ebrei, tutti i musulmani  - in una parola tutti i non battezzati - quando muoiono, vanno dritti all’inferno per l’eternità, perché la salvezza c’è soltanto dentro alla Chiesa cattolica, mediante il battesimo, avendo Dio in persona stabilito che l’unica via per la salvezza era proprio la nostra. Allora essere cattolici non era una scelta, ma ovviamente un obbligo per sperare di non finire all’inferno per l’eternità, visto che si credeva che Dio in persona avesse deciso così: evidentemente a quei tempi non si leggeva con sufficiente attenzione ciò che era scritto nei vangeli: basti pensare alla parabola del buon samaritano (Lc 10, 25), di cui ho parlato più volte.

Se oggi finalmente qualcosa si sta muovendo, possiamo solo essere contenti.

 


NOTE

[1] Per un interessante parallelismo fra nevrosi ossessiva freudiana e pratiche religiose di non pochi assidui frequentatori delle chiese si rinvia a Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 21 ss.

[2] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 74.

[3] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 304.

[4] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 257.

[5] E nel lanciarsi contro gli stranieri non possono neanche appoggiarsi alla Bibbia: Ez 47, 21s. mette in chiaro che le tribù d’Israele devono trattare i forestieri insediati in Israele in maniera giusta, come fossero dei loro, senza pretendere di assimilarli. Ger 7, 6 vieta lo sfruttamento degli stranieri. Es 22, 20, ricordando agli israeliti di essere stati loro stessi stranieri in Egitto, per cui impone di non opprimere gli stranieri che vivono presso di loro. La realtà è che coloro che si scagliano contro gli stranieri, i disabili, ecc. lo fanno per paura, perché si sentono messi in questione dalla diversità.

[6] In questo senso, invece, vedi ad es. il Movimento cattolico per la famiglia e la vita, lettera aperta, su “Il Piccolo” del 3.8.2010.

[7] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 90.

[8] Papa Francesco incontra Eugenio Scalfari. “Repubblica”, 1.10.2013, 4: “Non esiste un Dio cattolico”.

[9] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 155.

[10] Nel nostro Occidente, allora, in cui saranno sempre più presenti anche altre religioni, soprattutto lislam, questo confronto tra laici e cristiani diviene sempre più urgente e decisivo, non certo per escludere chi non crede a quello che crediamo noi, ma per edificare una casa che sia davvero comune a tutti quanti la abitano. Infatti la sfida decisiva per edificare la società, nella fatica del dialogo e non nello scontro di culture, è proprio il confronto tra coloro che si dichiarano credenti e coloro che si dichiarano atei non credenti, [o credenti in un altro Dio,] senza espulsioni e senza anatemi. Speriamo che ciò possa avvenire grazie alla laicità dello Stato Bianchi E., pamphlet La differenza cristiana – “Quando i laici sono un’opportunità per i credenti”, 28s.

[11] In barba al generale Vannacci che vuole salvarci dalle pallavoliste di cittadinanza italiana che però non corrispondo ai caratteri somatici italiani che lui immagina essenziali per essere definiti italiani.

[12] Ristagno S., La teologia protestante, in Le Chiese della Riforma, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 23.

[13] Quando parlo di altre religioni non intendo ovviamente tutte le religioni, perché sappiamo bene che esistono anche forme religiose violente, pericolose e maligne. Ma non è qui il luogo per parlare di queste eccezioni.

[14] Diciamocelo chiaramente: tanti cattolici sono ancora attaccati all’immagine di un Dio maschio, sicuramente bianco e non nero, escludente, che nega legittimità alle altre culture e alle altre religioni (fuori della Chiesa non c’è salvezza). Ciò forse è dovuto anche alla sfortuna che, in italiano, Padre-Figlio-Spirito sono tutti di genere maschile.

[15] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.

[16] Benedetto XVI, Ultime conversazioni a cura di Seewald P., Corriere della sera, Milano, 2016, 225. Ma allora, se non si possiede la Verità assoluta, non si può essere certi che le idee altrui siano di per sé errate, e che spetti all’istituzione il doveroso compito di sradicarle. Voler sradicare l’errore (la zizzania), magari anche con la violenza, finisce solo con l’incrementare la violenza complessiva.

Pertanto, il papa emerito si contraddice quando affermava che Gesù è il Figlio di Dio che in Lui esprime, in tutta la sua pienezza, la presenza della verità su Dio, mentre nelle altre religioni vi sono delle verità parziali che rimandano a questa prima verità (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 214), perché se riconosce che anche nel cattolicesimo possiamo solo accennare alla verità, vuol dire che anche la Chiesa riesce a cogliere solo verità parziali, solo frammenti della verità di Dio, esattamente come avviene nelle altre religioni.

[17] Benedetto XVI, Incontro col clero nella cattedrale di San Giovanni di Varsavia, il 25.5.2006,  nel viaggio apostolico in Polonia, in www.vatican.va (Discorsi/2006/maggio)

[18] Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane – Nostra Aetate del 28.10.1965, §2.

[19] In La Chiesa e le altre religioni – Dialogo e proclamazione, documento del Dicastero per il dialogo interreligioso del 19.5.1991, §9 (solo in inglese o portoghese, v. https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/interelg/documents/rc_pc_interelg_doc_19051991_dialogue-and-proclamatio_en.html).

[20] Dicastero per il dialogo interreligioso/documenti/ La Chiesa e le altre religioni – Dialogo e proclamazione 19.5.1991, §41.

[21]Idem, §§32 e 47.

[22] Idem §32.

[23] Enciclica Redemptoris missio, n.55, del 7.12.1990. Concetto ribadito nel documento del Dicastero per il dialogo interreligioso intitolato La Chiesa e le altre religioni, del 10.6.1984 (solo in portoghese, v. https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/interelg/documents/rc_pc_interelg_doc_19840610_dialogo-missione_po.html)

[24] Il 4 febbraio del 2019, Papa Francesco e il Grande Imam sunnita di Al-Azhar hanno firmano la Dichiarazione di Abu Dhabi, un forte invito a riscoprirsi fratelli per promuovere insieme la giustizia e la pace, garantendo i diritti umani e la libertà religiosa.

[25]  V. nota 23.

[26] Vigil J.M., Adiós al Vaticano II? Tres superaciones del Concilio Vaticano II, “Horizonte” Belo Horizonte, giugno 2007, v. 5, n. 10, 48.

[27] Arias J., Il dio in cui non credo, ed. Cittadella, Assisi,1997, 15.


Numero 739 - 12 novembre 2023