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A Ferragosto ci salverà Suor Valentina delle Suore Operaie

di Stefano Sodaro




Potremmo anche metterla così: quel dissidio, abbastanza drammatico se non proprio “terribile”, tra Michel Foucault e Paul Ricoeur – di cui scrive, con l’abituale acutezza e profondità, Didier Eribon nel suo Michel Foucault. Il filosofo del secolo. Una biografia, Feltrinelli 2021 – si era ricomposto nella vita e nella testimonianza di Michela Murgia. 

Un cattolicesimo, quello della scrittrice di cui ieri si sono celebrati i funerali a Roma, riportato alle sorgenti evangeliche di un armonioso disarticolarsi di ogni rigidità identitaria, gettando nello sconforto non solo i sanfedisti delle lande ultra-tradizionaliste, ma anche i paladini di un asserito liberalismo capovolto, secondo il quale gli intolleranti meriterebbero ogni tolleranza, anzi di più: ogni libertà d’espressione e d’azione. Ho in memoria qualcuno, indicato come grande maestro di giornalismo, che accusò Michela Murgia d’essere in realtà “antifascista di professione”.

La Murgia ha infatti scontentato tutti: dissenso cattolico, che non le ha mai perdonato la sua convinta astensione dalle campagne di defenestrazione di papi e preti; sinistra e destra e centro della politica nostrana, tutti e tutte assai turbate dal primato di qualcos’altro, di qualcosa di diverso, irriducibile a sigle, schieramenti e spartizioni di poteri, altro in cui Michela convintamente credeva; assetti clericali, scandalizzati dal solo sentir parlare di gender studies e cultura queer (e non parliamo di teologia queer...)

Ma Michela Murgia ci ha lasciati.

Adesso che si fa?

Beh, potremmo provare – assieme, ognuno ed ognuna per la propria competenza culturale specifica – a mettere in bella evidenza (finalmente!) che le donne fanno teologia nella Chiesa Cattolica, proprio dentro di Essa.

Emblematico il ricordo che di Murgia fa il sito del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI), al quale Michela apparteneva come Socia Onoraria. Si legga qui.

Le donne fanno teologia. Quella proprio accademica sì. Quella – tanto per fare qualche nome – di Serena Noceti, Cristina Simonelli, Marinella Perroni, Selene Zorzi, Lucia Vantini, Donata Horak, Letizia Tomassone, Adriana Valerio, Franca Feliziani Kannheiser, Simona Segoloni, Elizabeth Green, Ilenya Goss, Stella Morra, Ester Abbattista, Rita Torti, Diana Lezi, Paola Franchina.

Ma ci sono poi le teologhe che fanno teologia perché la praticano, la esercitano, la vivono, la rendono realtà coinvolgente nella vita d’ogni giorno, a fianco delle nostre storie quotidiane.

Bene, tiriamo un respiro profondo e cerchiamo di non farci travolgere dal troppo entusiasmo.

Qualcuno ricorda i preti-operai, cui di recente il Card. Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, ha presentato pubbliche scuse, tutt’altro che formali, per non essere riuscita la Chiesa del tempo a cogliere il significato di quell’esperienza (di cui pure parlò il Vaticano II)? I preti-operai sì: ce li ricordiamo? Forse non tanto e chi è in giovane età probabilmente per niente.

Eccoci arrivati al punto.

Passiamo pure alla pagina successiva rispetto a quella storia e quelle storie, dei preti operai cioè, ma qualcuno immagina che oggi siano più attive e presenti che mai le “suore operaie”? Un altro sonoro “no!” è verosimile.

Mi confesso: anch’io ne ignoravo completamente l’esistenza, finché non mi sono imbattuto, per puro caso (o per disegno provvidenziale, dipende dall’angolo visuale ed interpretativo), in alcune di loro nel giorno di grazia corrispondente a sabato 29 luglio ultimo scorso in quel di Bose. Ne sono rimasto strabiliato.

Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, questo il nome dell’Istituto di Vita Consacrata cui appartengono le religiose incontrate quel sabato piemontese. Congregazione fondata da Sant’Arcangelo Tadini nel 1898, le cui Costituzioni furono approvate in pieno Concilio, addì 16 marzo 1962.

Epperò non basta.

Come si fa a non rinnovare ogni speranza e fiducia in un luminoso futuro del cammino ecclesiale, quale che sia e dovunque porti, quando ci si accorge che suora operaia è una giovanissima religiosa trentaseienne originaria di Pisa, già da due anni professa di voti solenni, che in questi giorni si trova niente di meno che in Burundi con un gruppo di giovani del nostro Paese, all’insegna di un Ferragosto solo poco poco, appena appena, diverso dalle nostre nevrosi turistiche di spiagge affollate e montagne con torpedoni umani in coda per salire? Come si fa a non gioirne?

Tra due giorni nelle chiese cattoliche, in occasione della Solennità dell’Assunzione di Maria madre di Gesù di Nazaret, si udranno ogni genere di retorica e di luogo comune durante le pretali omelie. Tutto diventa diafano, celeste, disincarnato, avulso, insipido, e la storia delle donne non è che si perda, neppure viene minimamente considerata. Anche il dogma dell’Assunzione fu pronunciamento di maschi, ne dobbiamo convenire. Giusto?

Ora, però, la nostra Solennità dell’Assunta ha il volto di Suor Valentina Melis.

Perché anche di Maria bisognerebbe – ci insegnano – avere una consapevolezza cristologica, mica si tratta di una dea.

Beninteso, il qui scrivente non sa nulla – ma proprio nulla di nulla - della nostra Suor Valentina, e tuttavia è rimasto folgorato dalla trasparenza, verità, convinzione, serenità, appassionata dedizione di questa religiosa.

Sarà il caso di ascoltare l’audio, presente in rete.

Una suora operaia. Strabiliante appunto. Non sapevo assolutamente che esistesse, che potesse esistere.

Il Vangelo di Matteo per la Liturgia Eucaristica di questa odierna XIX Domenica del Tempo Ordinario dell’Anno A, secondo il rito romano, ritrae il notissimo episodio - certamente oggetto di fede assai più e meglio che di oggettiva rilevazione storica - di Gesù che va incontro a Pietro sulle acque agitate del lago di Tiberiade. “I discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura.”

Sabato 29 luglio 2023, al Monastero di Bose, incrociando – casualmente o provvidenzialmente – Suor Valentina, ho esclamato dentro di me qualcosa di simile.

Immagino ci sia un mondo, un universo, anzi un pluriverso, dentro e dietro, o davanti, una donna che compie una scelta di consacrazione come suora operaia. Un mondo, un universo, un pluriverso, assai simile alla scelta di chi vive in un monastero, totalmente dedito/a alla preghiera. E non dissimile da chi si sposa o da chi non si sposa ma ama, ama e ama ancora.

Perché la preghiera è vita e la vita è preghiera. E senza amore non si vive.

Perché l’eucarestia si celebra lavorando, una volta terminate le ferie, pur necessarie ma talora a rischio di doping esistenziale, come una specie di bolla, di parentesi, di divagazione.

L’Associazione Culturale “Casa Alta” – indegnamente presieduta sempre dal sottoscritto direttore (ahi a lui…) – desidererà di certo conoscere meglio carisma e effettiva attività delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth e Suor Valentina in primis. Anche la cultura, infatti, o è vita, e perciò amore, o non è niente, mera erudizione che scivola via come sabbia tra le dita.

Intanto oggi è domenica, dopodomani Ferragosto.

Ma a darci da fare perché tutto cambi, perché la voce dei poveri sia ascoltata, perché il protagonismo delle donne nella storia sia celebrato come merita, perché la Chiesa sia “Chiesa di uomini e di donne”, come s’intitolava un convegno a Camaldoli di molte estati fa, a darci da fare in questo senso non possiamo più rinunciare. Le suore operaie ce lo dicono chiaro e tondo. 

È politica questa? 

E anche se fosse?

Sicuramente è eucarestia. Celebrata da Suor Valentina con la sua stessa vita.

E così Michela Murgia continuerà a cantare, assieme a noi - a tutte e a tutti noi -, la meraviglia di amare e di lasciarsi amare.

Buona domenica.

Buon Ferragosto.