Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

A Pontida nel 2006 la Lega aveva venduto le magliette “antibergoglio” 

Come vedo il pontificato di papa Benedetto XVI

di 

Dario Culot


Passando dai fatti, visti la settimana scorsa, ai giudizi sul pontificato di papa Benedetto (ed essendo qui il mio giudizio sul papa emerito ovviamente personale, esso resta opinabile), mi sembra che il suo pontificato possa essere ricordato sinteticamente per questi elementi:

A) strenua difesa della tradizione, sperando di fare ancora dell’Europa un baluardo della cristianità,[1]

B) strenua lotta al relativismo, riservando alla Chiesa cattolica la pretesa della totalità,

C) paura dell’innovazione, temendo forse una marginalizzazione della Chiesa.

In parte ho già detto qualcosa la settimana, ma toccando ora brevemente questi punti, osservo:

(A) La volontà di fare della tradizione un punto fermo non è stata espressa solo a parole, ma ha trovato conferma dall’aver contemporaneamente rimesso in auge abiti (come il camauro, o le scarpette rosse), paramenti liturgici (il pallio cioè quella striscia di lana bianca avvolta sulle spalle, il piviale cioè quell’ampio mantello con l’abbozzo di cappuccio), oggetti (la ferula cioè il bastone liturgico, e il tronetto di Pio IX) in precedenza via via abbandonati nelle apparizioni pubbliche successive al concilio e destinati alla soffitta.

In un lontano passato questo solenne armamentario liturgico serviva a convincere la gente comune che il papa stava veramente in cima alla piramide ed era la persona più vicina a Dio. E la gente ci credeva veramente. Ma già nel 1600, Pascal aveva colto perfettamente la psicologia che il potente esercitava sul popolino, spiegando come l’immaginazione spodesta frequentemente la ragione, per cui chi esercita il potere deve paludarsi: «i nostri magistrati hanno ben compreso questo mistero. Le loro toghe rosse, gli ermellini in cui s’infagottano come gatti impellicciati, i palazzi dove tengono udienza, i fiordalisi, tutta questa messinscena è assolutamente necessaria; così, se i medici non portassero camici e pantofole, e i professori berretti quadrati e vesti troppo ampie sui quattro lati, mai avrebbero ingannato la gente, incapace di resistere a questa autentica parata. Se i giudici rappresentassero la vera giustizia, e se i medici conoscessero la vera arte di guarire, non avrebbero bisogno di berretti quadrati; la dignità di queste scienze sarebbe venerabile per se stessa, ma essendo scienze immaginarie è inevitabile che si servano di questi vani strumenti per colpire l’immaginazione con cui hanno a che fare, ed è ciò appunto che procura loro rispetto»[2]. Oggi sono in tanti a pensare allo stesso modo per quel che riguarda anche la teologia, i teologi e la Chiesa in generale, sì che tutta quella magnificenza grottescamente abbagliante non ottiene più lo stesso risultato che otteneva in passato. Se l’uomo d’oggi non sente più che la dottrina insegnata col catechismo sia un’agevolazione all’autentico vivere umano in questo mondo, insistere su questa tradizione vuol dire perdere tempo e porsi fuori del tempo.

Naturalmente ancora oggi ci spiegano che tutto questo armamentario non è per onorare l’umile persona di Ratzinger, ma l’onorevolezza del suo ufficio. Insomma, la persona è anche l’ufficio, e l’ufficio è pure la persona. Sinceramente mi sembra che, quando uno deve aggrapparsi a quel modo strano di vestirsi[3] per far capire alla gente che il suo ufficio è importante, quando la religione fa apparire la figura del suo ministro come quella di un funzionario la cui azione produce effetti divini non grazie alla sua forte personalità, bensì in virtù delle scarpette rosse e delle stole dorate o di altri distintivi esteriori, allora questa religione lascia intendere che con tutta quella messinscena spera di dare una patente di nobiltà spirituale a un soggetto che, senza quei paramenti, apparirebbe disorientato e sminuito, al pari di un semplice funzionario amministrativo[4].

Inoltre, se effettivamente bisogna scindere fra persona (umile) e ufficio (onorevole che deve essere esaltato con segni esterni) come mai – una volta date le dimissioni e quindi non svolgendo più l’ufficio - Ratzinger ha continuato a vestire di bianco come fosse ancora un papa in carica, a vivere in Città del Vaticano e a farsi chiamare ‘Sua Santità’? In questo modo è diventato un punto di riferimento per gli ultra-conservatori continuando ad esercitare una guida spirituale inopportuna.

Ha centrato il punto il vaticanista Marco Politi scrivendo:[5] ‘Nel grande corpo della Chiesa cattolica – un miliardo e trecento milioni di fedeli – tutti hanno diritto di parola su qualsiasi argomento. Uno solo aveva il dovere di tacere, di non scendere pubblicamente nell’arena: Joseph Ratzinger. E non per un bavaglio,[6] ma per la legge suprema che lui stesso si era imposto al momento delle dimissioni: non dare mai, per nessuna ragione, il minimo motivo di contrapposizione al pontefice regnante. Neanche la vaga impressione che vi siano due magisteri opposti nella Chiesa[7]. Quello del papa ex e quello del papa attuale. Due linee. Due partiti’. È la violazione di questo principio che ha dato benzina al motore degli ultra-conservatori.

Ma in particolare la domanda da farsi oggi è se tutta questa coreografia sull’abbigliamento, sulle cerimonie, mira all'apparenza o riesce a far realmente avanzare verso il Regno di Dio. Propendo per la prima ipotesi e sono convinto che la Chiesa non convinca più quasi nessuno quando fa vedere che quelli sono i valori in cui crede, le sue coordinate per convertire il mondo.

Sempre ancorandosi alla tradizione, va tenuto presente che il papa emerito ha sostenuto che il ’68 è stato la causa principale del collasso della teologia morale cattolica, e sappiamo che da secoli il sesto comandamento ha giganteggiato su tutti gli altri nove (Contra sextum non datur parvitas materiae = tutti i peccati sessuali sono mortali). In realtà la Chiesa non ha tenuto conto del fatto che la cultura è cambiata di molto, e che il sesso fa parte della cultura. Già l’Enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI[8] è stata probabilmente il provvedimento magisteriale in assoluto più disatteso da parte dei fedeli cattolici nel secolo scorso. Del resto la condanna della contraccezione si fondava su due pilastri già ampiamente superati e cambiati prima del ‘68:

a) la concezione negativa della sessualità, fino a ieri ritenuta intrinsecamente corrotta (1Cor 7,1.28.38) a causa dell’inevitabile libido;

b) la concezione biologica secondo cui la vita umana era presente nel seme maschile, la cui dispersione quindi non poteva che apparire come soppressione della vita.

Che il sesso sia stata un’ossessione della Chiesa e non di Gesù, e che la tradizione doveva essere ormai abbandonata essendo cambiata la cultura, trovava saldo appiglio nel semplice fatto che, nei vangeli, Gesù non ha speso una parola una sul sesso. Ciò significa che Gesù non ha mai visto alcun pericolo in base alla condizione sessuale delle persone. E allora, se – come c’insegnano - Gesù Cristo è centrale per il cristianesimo, se il mondo si comprende solo a partire dalla Persona di Cristo, non ci può essere alcuna dottrina, alcuna struttura di valori morali che possa venir separato dalla persona di Cristo. La negatività del sesso è stata fondata sulla dottrina creata dal magistero e non sulla Persona di Cristo.

Andiamo avanti. Col Motu proprio Summorum pontificum, nel luglio 2007, papa Benedetto aveva reintrodotto la liturgia pre-conciliare,[9] proclamando l’ardita tesi che, nella Chiesa cattolica di rito latino,[10] convivevano una modalità ordinaria della preghiera (quella introdotta dalla riforma liturgica di Paolo VI) e una modalità straordinaria (quella sancita nel 1570 dal cosiddetto messale di Pio V[11]). Il passo successivo è stato fatto nel gennaio 2009, con un decreto che revocava la scomunica dei lefebrviani[12] inflitta da Giovanni Paolo II, anche se essi rimanevano sicuramente ben più lontani dalla teologia ufficiale di Roma rispetto a tanti singoli teologi azzoppati dalla Congregazione per la dottrina della fede. Comunque la revoca non ha posto fine ai contrasti perché, ad esempio, il papa ha dovuto cedere ai lefrebviani sull’intangibilità del potere assoluto e monarchico del vescovo di Roma. Eppure lo stesso papa Benedetto XVI aveva in precedenza riconosciuto che il concilio Vaticano II aveva giustamente insegnato che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità, mentre il papa dovrebbe essere soltanto un primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé:[13] dunque anche nella Chiesa cattolica ci si rendeva conto che il papato così com’è ancora adesso aveva bisogno di urgenti modifiche. Si è dovuto aspettare papa Francesco per cominciare a parlare seriamente di sinodalità e collegialità.

(B) Posto che Cristo ci ha insegnato la verità su Dio (n. 2466 Catechismo) il cristianesimo è venuto istituzionalizzandosi come religione della verità: infatti il magistero si avvale della pienezza dell’autorità di Cristo quando definisce qualche dogma (n. 88 Catechismo), tenuto conto che le Sacre Scritture contengono fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata (n.107 Catechismo). La dottrina della fede che Dio ci ha rivelato è stata poi consegnata alla Sposa di Cristo (cioè alla Chiesa) come divino deposito perché la custodisca fedelmente…’ (concilio Vaticano I, Dei Filius, c. 4)[14].

Sono del parere che il difetto più grave, quando una Chiesa si rifugia nell’assoluto, è il rifiuto di riconoscere soggettività alle altre: scambia in tal modo il proprio mondo con l’intero mondo, e forse su questo punto la Chiesa cattolica fa ancora oggi più fatica di tutte le altre Chiese a riconoscere la propria parzialità  avendo per secoli parlato di assolutezza. Per quale motivo il dialogo interreligioso è ancora così difficile per i cattolici?[15] Perché nell’ecumenismo emerge evidente la parzialità di tutte le chiese. Eppure – dopo le ammissioni dello stesso papa Benedetto (viste la settimana passata al punto 5) dovrebbe essere ormai evidente a tutti i credenti che siamo posseduti dalla Verità, mentre nessuno, neanche la Chiesa cattolica, possiede la Verità assoluta, cui possiamo solo accennare.

Se Dio è trascendente e necessariamente per ciò solo sempre indefinibile, se nessun uomo può concepire Dio, il quale è sempre diverso da quello che ogni sistema teologico (immanente e limitato) può concepire e definire, nessun uomo – neanche il papa – può imporre ad un altro uomo la propria spiegazione su Dio, perché ogni spiegazione è sempre limitata e sempre relativa, sì che nessuno può accusare un altro di ereticità o deviazione quando non accetta la spiegazione della Chiesa cattolica, anch’essa non assoluta ma sempre parziale. Insomma, come ha ammesso lo stesso papa emerito, non possiamo avere certezze su Dio; se le avessimo, avremmo capito pienamente il Trascendente e saremmo noi stessi Dio. Perfino san Paolo diceva che viviamo nella fede, ma non vediamo ancora chiaramente (1Cor 13, 12), eppure nessuno l’ha mai  tacciato di relativismo.

Mi piace allora qui ricordare anche le accorate parole di fratel Goffredo:[16] «La nostra fede, come la Parola che l’ha generata, è solo una piccola fiamma che non permette di vedere tutto come in piena luce, non possiede la chiarezza su tutto e, dunque, non dà certezze incrollabili, non offre verità assolute da imporre con la forza a tutti, non permette l’arroganza di chi presume di possedere tutta la verità. I credenti nella notte cercano la verità con la stessa fatica con la quale nel buio si cerca il cammino: a tentoni e spesso sbagliando. La notte sia sempre la misura della nostra fede, perché, se cediamo alla tentazione di voler vedere e sapere tutto, non vivremo più nello spazio della fede, ma delle certezze, e non saremmo più credenti».

 (C) Paura del relativismo imperante, paura delle scienze bibliche perché, all’opposto del cardinal Martini, questo papa aborriva una Chiesa che cerca di procurare principalmente stimoli e supporto, e preferiva ciò che il cardinale milanese invece rifiutava: un magistero da cui ogni vero cristiano deve dipendere. Qui però si evidenzia un’ulteriore contraddizione del papa professore: questo papa aveva detto “Io penso che Dio, scegliendo come Papa un professore, abbia voluto mettere in risalto proprio questo elemento della riflessività e della lotta tra fede e ragione…il grande compito della Chiesa resta quello di legare l’una all’altra fede e ragione,”[17] perché da una parte si sostiene che la fede parla alla nostra ragione perché dà voce alla verità e perché la ragione è stata creata per accogliere la verità, sì che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana”[18]. Ma una simile affermazione riconosce automaticamente che tutta la materia religiosa deve poter essere allora sottoponibile a critica avvalendosi di argomenti di ragione, e non si deve più dipendere supinamente dall’insegnamento del magistero. Mi sembra allora contraddittorio, dopo questa affermazione sulla ragione, pretendere ancora che si debba credere al magistero e obbedirgli sempre e comunque perché è lui a dire che quello che sta insegnando lo riconosce la ragione. Questo significa mortificare la stessa ragione, in quanto qualcun altro ordina ciò che la ragione deve fare; al contrario ciò a cui può arrivare la ragione deve essere lei sola a stabilirlo, non certo l’autorità della Chiesa[19]. Parlare di razionalità della fede presuppone accettare e dare dignità alla discorsività di una spiegazione dottrinale, con formule razionalmente condivisibili. Non c’è dignità alcuna quando s’impone la propria versione che l’altro deve accettare in obbedienza senza discutere.

Sicuramente la Chiesa, durante il pontificato di Benedetto XVI, ha anche dimostrato grande paura del mondo esterno[20] che cambiava troppo velocemente rispetto al suo passo lento. Quando il cambiamento è troppo veloce, come avviene al giorno d’oggi, molte persone restano indietro. Il cambiamento troppo veloce fa spesso rifiutare il nuovo, che viene visto solo come un attacco alla consolidata tradizione e soprattutto scombina la propria pregressa visione che si aveva del mondo[21].

Inutilmente, in passato, il lungimirante papa Giovanni XXIII, partendo dal principio che Dio si muove nella storia, che lo Spirito Santo soffia dove vuole (Gv 3, 8) e non si trova agli arresti domiciliari in Vaticano, aveva raccomandato di guardare ai segni dei tempi, e aveva profeticamente visto questi segni nel movimento di emancipazione della classe operaia (Enciclica Pacem in terris dell’ 11.4.1963, §21), nel movimento di liberazione della donna (§22), nei movimenti di liberazione nazionali (§23, 24). Da sottolineare che nessuno di questi movimenti, che pur portavano alla promozione dell’uomo, era di matrice cristiana, ma erano tutti di matrice laica e spesso marxista (il diavolo, per la gerarchia ecclesiastica); eppure, lo stesso papa di allora evidenziava che chiunque promuove i veri valori umani cammina verso il Regno di Dio (§ 25) e quindi cammina con la Chiesa, anche se non necessariamente con la gerarchia vaticana. Insomma, dopo la parentesi del concilio, la Chiesa ufficiale si è sentita come assediata, ha visto fuori di sé solo il negativo, il relativismo, per cui premeva per veder promulgate leggi statali che accogliessero tutti i suoi principi sicuri, vecchi di secoli, evitandosi la fatica di formare coscienze libere e responsabili, e dimenticando che l’unica vera legge della Chiesa dovrebbe essere quella dell’amore (Gv 13, 34-35), che non può essere imbrigliato in leggi. Guai se sostituiamo Dio che non possiamo conoscere con le Scritture contenenti le leggi che pensiamo divine. Sostituire Dio con qualcosa di religioso ma pur sempre limitato perché immanente (sia il testo della Bibbia, sia la liturgia, sia il catechismo) allontana, non avvicina a Dio.

Ora, mentre le società occidentali diventano lentamente più secolari e pluraliste, insistere su un’identità dottrinale che si aggrappa fermamente a un credo religioso estremamente rigido, darà a qualcuno ancora tanta sicurezza, ma forse non è la soluzione migliore per far accettare ai più la Parola di Dio. Chi segue questa ricerca affannosa della sicurezza forse non si rende neanche conto che, ogni qualvolta si assolutizza, manca la capacità di camminare insieme. Se coloro che si professano unici veri credenti rimangono attaccati alle loro formule dottrinali, se vogliono solo imporre la loro verità senza ascoltare nessun altro, se vedono in chi la pensa diversamente un pericoloso attentatore delle loro sicurezze e un traditore dell’unità della Chiesa, si finisce inevitabilmente nell’inimicizia per cui risulta alla fine impossibile la riconciliazione di tutti con Dio.

Concludo quindi con una domanda: un buon teologo può forse anche mirare per prima cosa alla sicurezza; ma – mi chiedo - le caratteristiche per essere un buon teologo coincidono necessariamente con quelle per essere un buon papa? O forse un buon papa è quello che mira a far camminare insieme la gente, unendo e non dividendo, e soprattutto vivendo il messaggio di Gesù? Non credo abbia un gran futuro una Chiesa chiusa su sé stessa, concentrata all’interno sulle proprie dispute teologiche (quand’anche raffinate), sul proprio passato (come fosse stata l’età dell’oro). Forse l’unico compito di un buon papa è quello di lavorare per la comunione, riportare alla comunione, presiedere alla comunione[22]. A me sembra che papa Benedetto XVI sia stato invece, più che un servitore della comunione, un custode della Verità dogmatica, un pontefice romano augusto come si è visto tante volte nella Chiesa a cominciare da Costantino, perché mentre Dio si è incarnato in un essere umano del più basso livello sociale, all’opposto, la dottrina ufficiale ha fatto credere ai cristiani che la dignità del papa sia la massima fra tutte le dignità della terra (così art.196 Catechismo Pio X). Come spiegare altrimenti le scarpette rosse, gli abiti sontuosi e il tronetto? La gente però impara da quello che vede, non da quello che viene detto, e nessuno oggi – neanche più un papa - può avallare le sue idee semplicemente appellandosi al ruolo che ricopre. Come ha puntualmente detto il politico francese Jaurés Jean: “Non s’insegna quello che si vuole; non s’insegna quello che non si sa e non s’insegna neanche quello che si crede di sapere. S’insegna e si può insegnare soltanto quello che si è”. Ormai anche un papa viene osservato e valutato nel mondo per come vive il Vangelo, non per come lo annuncia. Alla maggioranza della gente non interessa un bel niente se il papa sa tutto di sant’Agostino o san Tommaso. Solo se c’è coerenza fra il dire e il vivere si è credibili quando si annuncia la Buona Novella. Una persona, che è convinta che il discorso della montagna sia verità, vive in accordo con quello che Gesù insegna nel testo evangelico. Criterio determinante per sapere se una persona è o meno un credente in Gesù è osservare i suoi comportamenti e soprattutto le sue abitudini comportamentali[23].

Allora, nella gente, la fede può sorgere dall’esperienza di aver incontrato qualcuno che ha lasciato il segno per come viveva. Sicuramente la fede non viene dai dogmi, o dalle formule teologiche. Anche un papa, allora, quando parla di Gesù, dovrebbe ricordarsi di essere un testimone di un’esperienza vissuta, non un professore che insegna dottrine, per cui non conta tanto la verità di quello che dice, ma se quel che racconta riflette veramente la sua vita. La gente ha bisogno di vedere preti che ci credono, non preti che insegnano[24]. O come diceva Gandhi: “La fede non ammette di essere raccontata. Deve essere vissuta. Allora si diffonde da sé”.

C’è stata questa coerenza in papa Benedetto XVI?

 




NOTE

[1] Ma il suo tentativo di far inserire il termine ‘cristiano’ nella Costituzione dell’Unione europea (caldeggiata anche da alcuni partiti nel nostro Parlamento con un emendamento, come riportato su “Avvenire” 26.1.2012, 7) è stato rigettato. Correttamente il 9 maggio 2016, in un’intervista al quotidiano francese La Croix, papa Francesco ha spiegato che Chiesa ed Europa sono due entità diverse; per questo lui non parla di radici cristiane dell’Europa, perché teme il tono con cui se ne parla, può essere trionfalista o vendicativo. Infatti, nella storia della chiesa, vi sono state esperienze di missioni inquinate dal processo di espansione commerciale, militare ed economica, e questo è un impedimento e crea un sospetto nel Terzo Mondo (Fabbris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 77). Il rapporto della Chiesa con l’Europa - ha aggiunto il papa - consiste nella lavanda dei piedi, cioè nel servizio. “Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio” (in http://it.radiovaticana.va/news/2016/05/16/papa). E qui ha fatto una citazione che è un po’ la chiave di volta per mettere in chiaro il suo pensiero: ha citato il gesuita Erich Przyvara, maestro di grandi teologi moderni, il quale ha scritto che “l’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita”. Tradotto, vuol dire che l’Europa cammina nella storia e la Chiesa le lava i piedi e le dona la vita. A leggere la storia europea del passato non sembra sia stato così.

[2] Pascal B., Pensieri, n.235 L’immaginazione, ed. Einaudi, Torino, 1962, 112.

[3] E anche qui papa Benedetto ha evidentemente dimenticato quanto aveva scritto lui stesso: san Bernardo di Chiaravalle, nel suo De Consideratione, che è una lettura obbligatoria per ogni papa, ammoniva: “ricordati che non sei il successore dell’Imperatore Costantino, ma di un pescatore” (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 108).

[4] Re Lear (Shakespeare, Atto IV), aveva perfettamente colto l’importanza del paludamento:

“I vestiti stracciati

fanno vedere i più piccoli vizi:

i mantelli e le pellicce nascondono tutto.

Rivesti il peccato d’una corazza d’oro

e la forte lancia della giustizia si spezza

senza far danno; armalo di stracci

e la paglia d’un pigmeo basta a trapassarlo”.

[5] https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/01/13/ratzinger-entra-in-guerra-contro-bergoglio-uno-scontro-che-sa-di-ricatto/5667047/

[6] Anche se Ratzinger ha tolto il diritto di parola a tanti teologi.

[7] E non è stata solo una vaga impressione: pensiamo alle magliette fatte stampare nel 2006 dalla Lega di Salvini con la scritta “il mio papa è Benedetto”; vero papa perché a differenza di Francesco non esortava all’accoglienza degli stranieri. Pensiamo al libro scritto assieme al cardinal Robert Sarah, fatto uscire nel 2020 appena prima dell’Esortazione apostolica Querida Amazonia del 12.2.2020, con il quale si cercava di mettere in difficoltà papa Francesco qualora avesse seguito il sinodo amazzonico per risolvere il problema della carenza di preti che possono presiedere all’eucaristia, e che il sinodo aveva ritenuto superabile con l’ordinazione eccezionale di diaconi sposati.

[8] In www.vatican.va/ Sommi pontefici/Paolo VI/Encicliche.

[9] Determinante per l’abolizione della messa in latino, al concilio Vaticano II, era stato l’intervento di Maximos IV Saigh, patriarca siriano dei Melchiti, che aveva detto: “Il valore assoluto attribuito al latino nella Chiesa è problema della Chiesa d'Occidente, non di quella d'Oriente. Gesù parlava la lingua dei suoi contemporanei... Tutte le lingue sono liturgiche, come dice il salmista: "Lodate il Signore, popoli tutti". La lingua latina è morta, ma la Chiesa vive, e anche la sua lingua deve essere viva perché destinata agli esseri umani e non agli angeli”. Alla fine, il 4.12.1963, il Concilio approvò il testo Sacrosanctum concilium con 2143 voti a favore e 4 contrari (O'Malley J.W., Che cosa è successo nel Vaticano II, Vita e Pensiero, Milano, 2010, 138-140), e dappertutto vennero usate le lingue nazionali così che la gente potesse finalmente capire quello che diceva.

[10] Come mai ancora tanti fanno fatica ad abbandonare la messa in latino e tanti ancora la pensano con nostalgia? Perché, come aveva spiegato Freud, il rito si costituisce come fine in sé contrapponendosi al caos, che è l'opposto dell'ordine. Il rito serve dunque per difendersi dal caos o, ancor meglio, per difendersi dalla paura che precipita l'individuo in un caos psichico. Perciò sopprimere il rituale latino ha significato per molti sopprimere un elemento di sicurezza nella vita e nella relazione con Dio di molte persone.

Appena morto Benedetto XVI, il suo segretario Georg Gänswein (nominato vescovo dal papa appena un mese prima delle dimissioni), ha avuto parole piccate per il Motu proprio di papa Francesco del 2021 con cui aveva posto una stretta alla messa in latino normalizzata invece dal suo predecessore: questa decisione avrebbe spezzato il cuore di Benedetto (“Il Piccolo” 5.1.2003, 1). Il cuore di Benedetto non si è spezzato nel 2021. Invece si era spezzato nel vero senso della parola il cuore del prof. Dupuis al quale papa Benedetto aveva tolto l’incarico d’insegnamento svolto per anni proprio qualche mese prima che si ritirasse per limiti di età. Il suo libro Perché non sono eretico, pubblicato postumo perché gli era stata negata una difesa pubblica in vita, mostra un altro punto interessante ma preoccupante: di fronte alle puntuali e precise difese svolte dal prof. Dupuis nel processo canonico mossogli dalla Congregazione per la dottrina della fede, emerge che l’Accusa ha cambiato ripetutamente i capi d’accusa, via via che venivano rintuzzati e sfarinati con razionalità dalla difesa. È principio giuridico fondamentale di ogni Stato laico democratico che, quando l’Accusa porta a giudizio una persona, non può più cambiare i capi d’imputazione a suo piacimento; e se l’accusato viene assolto da quelle imputazioni che devono restare fisse per tutto il corso del processo, l’Accusa non può più riportare la stessa persona a giudizio per quegli stessi fatti, anche cambiando il titolo, il grado o le circostanze (vale ancora il principio romano del ne bis in idem: un fatto, una volta deciso, non può essere giudicato una seconda volta, anche se si cerca di cambiare qualche elemento marginale).

[11] È tipico dei fondamentalisti credere che in passato si viveva l’età dell’oro della religione, per cui aspirano al ritorno di una pratica religiosa più pura, normalmente senza sapere molto della storia della propria religione. Ad es., il cristiano che si àncora al concilio di Trento ritenendo che seguire quei precetti sia l’unica strada da percorrere, non si rende ovviamente conto che prima di quel concilio la Chiesa aveva seguito per secoli anche altre strade, sì che esistono tradizioni fondamentali ben più antiche che quelle di papa Pio V. E allora perché proprio il messale di Pio V dovrebbe essere il massimo?

[12] Con Decreto del 21.1.2009, Ratzinger affermava che i vescovi della Fraternità S. Pio X non sono né scismatici né scomunicati, perché hanno riconosciuto l’autorità del papa. Con lettera 10.3.2009 in www.vatican.va/Sommi Pontefici/Benedetto XVI/ Lettere/2009, da papa, ha comunque rimesso la scomunica. Non può sfuggire il notevole rigore con cui si è guardato all’esperienza della teologia della liberazione, contrapposto allo sguardo benevolo con cui si è guardato alla fraternità di San Pio X di Lefebvre, dove ci si è dimenticati, fra le tante cose, del fatto che i lefebvriani sostengono – contro le indicazioni del Concilio Vaticano II -  che la libertà religiosa distrugge la verità, che l’idea della collegialità nella Chiesa distruggerebbe il primato di Pietro, e che la riesumazione del messale di Pio V comporta anche la lettura di quei passi antisemiti che si pensavano definitivamente cancellati. Qui si è cercato di sminuire, facendo apparire piccola questione una storia che ha invece grossi significati; lì, si è fatto esattamente l’inverso. In ogni caso, la riammissione nell’ambito della Chiesa cattolica del vescovo lefebrviano Richard Williamson, che aveva negato l’olocausto, ha portato alla pronta rottura dei rapporti fra rabbinato d’Israele e Vaticano.

[13] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 107.

[14] Ora che papa Benedetto è morto, cominciano a muoversi le seconde linee contro papa Francesco. Già le esternazioni del segretario di papa Benedetto XVI, Gerog Gänswein (sul fatto di essere stato rimosso dalle sue funzioni di Prefetto della Casa pontificia senza aver perso formalmente i titolo; sul fatto che il papa emerito avrebbe molto sofferto per l’abolizione del suo Motu proprio sull’utilizzo del latino per la messa), fatte scoppiare come una bomba ad orologeria subito dopo il decesso del papa emerito, rende palese a tutti che in Vaticano è in corso una lotta intestina senza esclusione di colpi. Ma oltre al citato Georg Gänswein, è stato fatto circolare un memorandum del cardinale Pell (pure lui da poco deceduto): insomma, anche se i morti non possono più parlare, c’è chi si presenta come loro portavoce non smentibile. Da ultimo si è mosso il cardinale Gerhard Müller (uno dei firmatari dei famosi dubia: una lettera aperta al papa che, con stile tipicamente curiale, fingendo rispetto e ossequio, liquidava di fatto l’Enciclica Amoris Laetitia con l’accusa di eresia). Il porporato tedesco, chiamato da Ratzinger alla guida della Congregazione per la Dottrina della fede (incarico non rinnovato alla scadenza da papa Francesco, nel 2017), continua a dar voce ai malumori dell’ala conservatrice della Chiesa contro il pontefice riformista.

Tutto questo non deve più di tanto stupire, perché non è una novità della Chiesa odierna; già un secolo fa Gramsci aveva colto il punto con estrema e lucida sintesi: “Oremus sugli altari e flatulenze in sacrestia” (Quaderni dal carcere I § (20).

[15] Nel Consiglio mondiale ecumenico delle Chiese la Chiesa cattolica partecipa solo come osservatrice, e non come membro effettivo. Nel cattolicesimo è ancora forte l’idea che tutti i cristiani, o prima o dopo, debbano confluire nella Chiesa di Roma, per cui la Chiesa cattolica si sente ancora superiore alle altre. Per questo la Chiesa cattolica non si abbassa al livello degli altri membri del Consiglio.

[16] Un monaco di Bose (Settimanale diocesano di Trieste “Vita nuova,” n.4395, 18.1.2008, 2).

[17] Benedetto XVI, Luce del Mondo, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2010, 117 e 116.

[18] Ratzinger J., Dio e il Mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 40. E anche nella lectio magistralis di Ratisbona, il 12.9.2006, aveva insistito nell’affermare che non è possibile credere senza o contro la ragione.

[19] Mancuso V., Io e Dio, Garzanti, Milano, 2011, 107.

[20] Oggi tanti cristiani sono spaventati dall’allargarsi dell’islam, ma dimenticano che il nazismo e il comunismo sono nati in Paesi cristiani. Cosa dovrebbero pensare i musulmani di noi cristiani?

[21] Nell’ultima intervista al “Corriere della sera” il cardinal Martini aveva detto: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?». In effetti, da qualche secolo, la Chiesa, temendo una sua marginalizzazione cerca d’imporsi contrapponendo autorità a libertà, perché ha letto la libertà come negazione della sua autorità e ha visto (e tuttora molti nel magistero vedono) ogni cosa nuova come una minaccia. Salvaguardando l’autorità pensava di essere al sicuro. Ma questa presa di posizione ha indotto troppi fedeli a far credere che Dio sia contrario alla libertà, mentre sicuramente il Dio prospettatoci da Gesù è il Dio della libertà (Lc 4, 18). Di fatto, oggi, papa Benedetto non ha riconosciuto la libertà ai suoi credenti, ha ercato di trattenerli sotto la sua autorità, senza però riuscirci.

[22] Bianchi E., Chiesa divisa, “La Repubblica”, 9.1.23.

[23] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 23.

[24] Parole del Cardinal Tonini riportate nel quotidiano “Il Piccolo” 29.7.2013, 5. Del resto, aveva già detto Evagrio Pontico, un monaco del IV secolo, che a una dottrina – che è pura teoria, - si può rispondere con un’altra teoria; ma chi può confutare una vita?