Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org










8. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot



14. Ma Lei si rende conto che con le sue idee sta sovvertendo il tradizionale insegnamento del sacro magistero perché trascura l’importanza del peccato? La presenza del peccato è centrale nel cristianesimo perché poi attiva la reazione salvatrice divina, e quest’impostazione permette di razionalizzare il male. Cristo morì per i nostri peccati, dice Paolo (1Cor 15, 3) e poi fu risuscitato: questo è semplicemente l’abc del cristianesimo che Lei sembra dimenticare.

Ricordo anche che non molti anni fa (nel 1984) la teologia della liberazione venne bocciata proprio perché metteva un accento unilaterale sulla schiavitù terrestre temporale, trascurando il peccato e l’importanza che esso ha.

Eppure già Paolo aveva e più volte chiarito che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture (1Cor 5, 3), aggiungendo che «Lui fu consegnato (da Dio) alla morte per i nostri peccati» (Rom 4,25). E lo stesso si ripete in Pietro: «Cristo una volta per tutte soffrì per i peccati, giusto per ingiusti» (1Pt 3, 1 8). Anche Sant’Agostino ha seguito questa linea e la Chiesa l’ha accolta in pieno, tant’è che ancora oggi sostiene con forza che Gesù è morto per i peccati di ciascuno di noi. La stessa messa è un sacrificio perché è la rievocazione liturgica del momento in cui Gesù morì per i nostri peccati. La morte di Gesù è l’azione attraverso cui portò salvezza (o redenzione) agli uomini peccatori, riportando la creazione alla sua perfezione originaria, riportando la vita umana all’unità con Dio.

L’insegnamento ufficiale del sacro magistero dice poi che il peccato mortale costituisce una grave violazione alla legge di Dio (n. 1855 Catechismo); il peccato è considerato infatti una disobbedienza a Dio (n. 397 Catechismo), e questa violazione offende innanzitutto Dio (nn. 431, 1440, 1474, 1850 e 1855 Catechismo). Ci hanno anche spiegato che, a causa del peccato di Adamo che si è ribellato contro Dio, l’ordine della giustizia è stato infinitamente ferito e Dio infinitamente offeso – infinitamente perché l’offesa va appunto valutata in base all’importanza dell’offeso, e non all’offensore (n.106 Catechismo di Pio X e art.616 del Catechismo attuale) – sì che occorreva una riparazione infinita che l’uomo finito non è in grado di dare: ecco perché solo Gesù, vero Dio e vero uomo, poteva salvarci, perché come appartenente alla stirpe degli offensori-uomini ha potuto offrire in riparazione un sacrificio umano; ma come Dio che si offriva, la sua espiazione di peccati umani era al tempo stesso riparazione infinita (cd. teoria della soddisfazione). Se Gesù fosse mero uomo, come Lei sostiene, non avrebbe potuto riparare il danno del peccato umano.

Se Lei, dunque, rifiuta questa costante dottrina insegnata dal sacro magistero, e non vede la fondamentale importanza che il peccato (offesa a Dio perché si viola la sua legge divina) ha nel cristianesimo, come fa a definirsi cristiano? È eretico, ma senza saperlo o con deliberata coscienza?

Sì, so che per il papa emerito il peccato è centrale[1], ed è anche vero che nella Bibbia c’è un’intima connessione tra peccato e malattia fisica, e questo costituisce il presupposto tacito ma fondamentale dei riti e dei cerimoniali di purificazione[2]. In Palestina, la malattia era considerata un castigo di Dio (Es 11, 4-5; Nm 12, 9-13; 1Sam 16, 14; Sal 38, 3-9; Is 1, -6 41, 5; Os 5, 12.13; Gb 16,8) . Però di fronte al cieco nato, quando gli apostoli chiedono se ha peccato lui o i suoi genitori (Gv 9, 2), Gesù risponde loro che né il cieco, né i suoi genitori avevano peccato, escludendo con ciò ogni collegamento fra peccato e malattia.

Se poi si legge il deutero-Isaia[3] troviamo: “Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura” (Is 64, 4s.). Qui c’è un’intima connessione fra peccato e impurità. Ma per dimostrare la falsità di quest’affermazione biblica intesa come parola di Dio, Gesù tocca il lebbroso (Mt 8,3), come tocca la donna impura (Mt 8, 14-17), e anziché infettarsi li guarisce, contraddicendo la Legge divina di purità rituale, secondo cui la purità non si trasmette, mentre l’impurità è contagiosa (vedi Lv 15, 2ss.: Dio stesso assicura che l’impurità sarebbe passata dal toccato al toccante).

E quando i pastori – cioè quei malfattori destinati alla perdizione che vivevano di sotterfugi, sempre e solo insieme alle bestie, e quindi bestie fra le bestie,- vengono avvicinati dall’angelo, anziché venir inceneriti come ci si aspettava avrebbe fatto il Messia, vengono avvolti dall’amore di Dio (Lc 2, 9s.). Poi questi pastori tornano al loro accampamento (Lc 2, 20) a fare quello che facevano prima, senza aver fatto né confessioni, né penitenze. E, ancora più sorprendente, nel tornare i pastori glorificano e lodano Dio (Lc 2, 20); ma lodare Dio era compito esclusivo degli angeli, per cui i pastori, impuri e peccatori, fanno le veci degli angeli[4]. Dio non si è minimamente interessato dei loro peccati.

Se pensiamo a quando Pietro, sorpreso e impressionato per la pesca miracolosa, chiede a Gesù di allontanarsi da lui, misero peccatore (Lc 5, 10), neanche Gesù dimostra di essere minimamente interessato ai suoi peccati, al suo passato, ma guarda al futuro: "sarai pescatore di uomini," cioè farai fiorire la vita in altre persone che stanno affogando. Stando poi all’evangelista Marco, non appena Gesù ha raccolto i primi discepoli per farli pescatori d'uomini, dove li porta a pescare? Li porta forse in luoghi peccaminosi a salvare le anime perse? Li porta nei bordelli per salvare le donne peccatrici? NO. Gesù non porta i suoi discepoli per salvare gli uomini in luoghi di malaffare ma nei luoghi di culto: in una sinagoga (Mc 1, 21).

Che le bilance di Dio non pesino i peccati, ma l’amore, trova piena conferma nell’episodio della prostituta peccatrice (Lc 7, 36ss.). Il fariseo giudica subito: Gesù è chiaramente un falso profeta perché non si accorge, e la donna senza nome è chiaramente una peccatrice. Gesù insegna invece ad avere lo sguardo non giudicante. Gesù non parla mai di peccatori, di peccatrici, parla di uomini[5] e di donne[6]. Il fariseo Simone, come tanti cristiani di oggi, mette al centro del rapporto tra uomo e Dio il peccato, che resta l’asse portante della sua religione. Gesù sa intuire amore dove gli altri vedono solo peccato, e mette al centro la persona; e quindi sposta il punto d’attenzione dal peccato della donna al lungo che cammino che deve ancora fare il fariseo per essere un credente, e costringe noi tutti a metterci in discussione[7].

Nonostante l’evidenza dei vangeli il peccato ha però presto occupato il centro della nostra costruzione dottrinale. Come mai? Perché in allora un condannato a morte sulla croce era inaccettabile. Per i romani, solo i ribelli politici, i sovversivi finivano in croce; per gli ebrei, tutti quelli che pendevano dalla croce erano maledetti da Dio. Dunque il morto in croce non poteva essere accettato da quella cultura come Salvatore: uno dei motivi per cui i cristiani erano considerati atei. E allora ecco la brillante soluzione paolina: fu un piano divino voluto da Dio (interpretazione del fatto storico), e poiché sacrificio ed espiazione erano termini ben conosciuti in Israele, la cosa poteva essere accettata[8]. Anselmo, nato ad Aosta all’inizio del primo millennio, aggiunse la teologia della soddisfazione, che ha retto fino alla mia generazione, ma oggi non regge più.

Storicamente, però, Gesù fu ucciso dai capi religiosi che vedevano messa in discussione la propria autorità e il modo di guidare il popolo[9]. La denuncia dei vangeli è talmente chiara (es. Mc 3, 6; Gv 5, 18; Gv 11, 47-48) che non si capisce come il magistero della Chiesa abbia potuto nel tempo stravolgere i fatti e ad arrivare a far credere a tutti che Gesù era morto perché questa era la volontà di Dio per salvare l’umanità dai suoi peccati, e che Dio poteva essere soddisfatto solo col sangue del sacrificio del Figlio (cosa mai scritta in questi termini nei vangeli). Ma così ha ragione Nietzsche:[10] siamo davanti a un dio vampiro che non sa nulla della gratuità dell’amore.

Va anche riconosciuto che Giovanni Battista comincia a dubitare di Gesù quando vede che non si comportava come il Messia da lui immaginato: non usava la scure per stroncare i peccatori, per cui questo profeta non riesce a capacitarsi del comportamento di Gesù che sembrava trovarsi perfettamente a suo agio con tutta quella marmaglia di gente impura e senza Dio. Giovanni Battista predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (Mt 3, 6; Mc 1, 4; Lc 3, 3): per lui, la conversione consiste nello smettere di peccare, e invece Gesù frequenta i peccatori senza minacciarli, senza che si pentano, ma anzi andando a pranzo con loro, intendendo la conversione in funzione del regno di Dio che si avvicina (Mc 1, 15); per Gesù parlare del regno di Dio era parlare della vita e della dignità delle persone, tant’è che con le sue guarigioni dava nuova vita a coloro la cui esistenza era mutilata e limitata. Tanto Giovanni Battista ha incentrato la sua predicazione sul peccato, tanto Gesù l’ha incentrata sull'alleviare la sofferenza della gente.

Anche sant'Agostino ha inteso il peccato come ogni atto, ogni parola, ogni desiderio che si oppone alla legge eterna,[11] ma quella che veniva considerata legge divina per Gesù non lo è sempre[12].

Alla fine, mettendo al centro del cristianesimo il peccato, la Chiesa ha ancora una volta preferito Giovanni Battista e Paolo rispetto ai vangeli. Il peccato intrigava troppo la mente delle persone. Però sembra che il peccato e l’impurità siano presto diventati più un’ossessione della Chiesa che di Gesù, e quindi di Dio[13].

Per rispondere più puntualmente alla Sua domanda, voglio subito togliere di mezzo alcuni degli appunti che mi ha mosso. Per la teoria della soddisfazione, osservo solo che essa è stata ormai abbandonata perfino da un papa conservatore come Benedetto XVI, per cui mi limito a richiamare quanto detto nell’articolo specifico Teoria della soddisfazione, al n. 529 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-529---2-novembre-2019/teoria-della-soddisfazione, senza aggiungere altro.

Per quel che attiene alla Teologia della liberazione rinvio a quanto scritto al n. 450 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/numeri-speciali/numero-450---29-aprile-2018/la-teologia-della-liberazione, anche qui senza aggiungere altro.

Entrando finalmente nel vivo, pensiamo a come in realtà il peccato implichi il riferimento a un potere oppressivo che ci obbliga,[14] ci proibisce, ci giudica, ci può punire,[15] a come il potere totale di decidere della felicità (se ci salva) o della sventura (se ci condanna) degli altri sia un potere formidabile in mano alla gerarchia ecclesiastica, che Gesù non ha istituito. Se non ci crede, con i vangeli alla mano, mi dica dove Gesù parla di un collettivo di gerarchi, che devono godere di privilegi e superiorità, ai quali dobbiamo sottometterci, e che avrà la sua base a Roma[16]. Nei vangeli non c’è nulla del genere.

La Chiesa non è nata per organizzare bene questa religione. Se la Chiesa è la comunità dei seguaci di Gesù, la sua unica ragion d’essere e il suo modo di muoversi nella società umana non può essere altra cosa che rendere presente, visibile e comprensibile il Vangelo, nella misura in cui questa Buona Novella può essere intesa come progetto di vita, capace di dare un senso alle nostre vite. Tutta la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes del 7.12.1965 (in particolare cfr. §§ 12-21-34-44) è in effetti chiaramente impostata nel senso che i credenti non sono per la gerarchia, ma la gerarchia per i fedeli; o in altre parole, non l’uomo per la Chiesa, ma la Chiesa per l’Uomo.

Invece, esercitando il suo enorme potere, la gerarchia ammonisce che non basta riconciliarsi solo con Dio; per come sono state impostate le cose, la riconciliazione con la Chiesa è inscindibile dalla riconciliazione con Dio, e a noi laici non resta altro che rassegnarci: senza l’intermediazione della Chiesa non si può fare niente![17] Tutti devono passare attraverso la confessione al sacerdote (artt.1456 s. Catechismo), mentre nessuno può chiedere direttamente il perdono a Dio [18].

Nei vangeli, però, non c’è un solo passo in cui Gesù sollecita gli uomini a chiedere perdono a Dio, né direttamente, ma neanche indirettamente (confessando ai presbiteri i propri peccati). Più volte Gesù ha sollecitato gli uomini a concedere il perdono agli altri: «quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonatelo» (Mc 11, 25). Perché? «Perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe» (Mc 11, 25). Nel Padre nostro – l’unica preghiera che Gesù ci ha insegnato,- si chiede a Dio direttamente di perdonare i nostri peccati come anche noi li abbiamo perdonati ai nostri offensori.

Nell'insegnamento di Gesù, riportato dai vangeli, c’è dunque qualcosa di diverso e sconvolgente che scuote le basi stesse dell’insegnamento religioso: non ci credevano le persone pie e religiose di allora, non ci credono le persone pie e religiose di oggi. Non si riesce cioè a credere che Gesù non solo inviti a rivolgersi direttamente a Dio come a un Padre, ma neanche insista perché si ami Dio. Invece insiste più volte perché si ami l’Uomo (“Vi do un comandamento nuovo: “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato” - Gv 15, 12; uomini e donne, perché Gesù ha amato uomini e donne, e uomini e donne lo seguivano – Lc 8, 1-3; e va sottolineato che in questo comandamento fondamentale Dio sparisce). Non possono neanche credere che Dio ami coloro che l’offendono anche se non si pentono e se non hanno fatto penitenza: in altre parole, non possono credere che Dio faccia splendere il sole insieme sui buoni e sui cattivi (Mt 5, 45). Non possono credere che basta perdonare per essere perdonati[19]. Per questo, manipolando il senso dei vangeli, il magistero ha preferito seguire Paolo, secondo il quale Cristo, venendo crocifisso, ha preso su di sé la punizione che noi abbiamo meritato per i nostri peccati, esimendoci dal subirla direttamente (dottrina del sacrificio espiatorio); perciò saremo perdonati solo se obbediamo alle leggi divine che il magistero ci presenta e interpreta per noi in via esclusiva.

Ora, se Lei crede che il peccato è ciò che ci separa da Dio e la liberazione dal peccato è ciò che ci avvicina a Dio, e che Gesù patì e morì per i nostri peccati, che per salvare l’uomo Dio stesso - offeso dai nostri peccati,- ha mandato e sacrificato sulla croce suo figlio pagando per tutti, deve anche credere che la sofferenza è necessaria affinché si possa risolversi il problema del peccato[20]. Mi spiego meglio: se seguiamo l’insegnamento tradizionale del magistero c’imbattiamo inesorabilmente in questo dato mostruoso: la condizione indispensabile per stare vicini a Dio è passare attraverso la sofferenza. In altre parole, esiste un’associazione necessaria, un legame inscindibile fra Dio e il dolore, il patire, il dissanguarsi, e la violenza, e solo la sofferenza è, a questo punto, la soluzione del peccato[21]. Non c’è altra soluzione.

È vero che quest’idea di razionalizzazione del male si trova ripetuta, in forme diverse, in differenti tradizioni del Nuovo Testamento[22]. S’impone così il principio terrorizzante che stabilisce una relazione quasi necessaria fra purificazione e sangue (Rm 8, 32; Eb 9,22). Ma è anche vero che questo ricordo del sangue, che Cristo ha dovuto spargere sulla croce per tutti gli uomini (anche per l’infante che appena nato sarebbe già peccatore), oggi mette moltissime persone in una difficoltà quasi insuperabile per poter accettare un simile Dio, un Dio vampiro che ha avuto bisogno di tutta quella sofferenza e di quel sangue per perdonare i nostri peccati e le offese che noi mortali gli abbiamo fatto. Diciamolo pure: per molti questa è un’immagine ripugnante di Dio, e su questo non posso dar loro torto.

Ma poi, che amara delusione per questi credenti nella centralità del peccato che ha fatto scattare la reazione salvatrice attraverso il sangue, dover constatare che i «salvati» se ne fregano delle sofferenze di Gesù, e continuano a comportarsi esattamente come prima: continuano imperterriti a peccare. Forse per ovviare a questa triste e amara esperienza le strutture ecclesiastiche hanno inflitto a generazioni di esseri umani molta più sofferenza di quanto non facessero i peccati individuali, generando in tanti mostruosi complessi di colpa.

La dottrina dell’espiazione, concepita da Paolo, parte ovviamente da un presupposto insegnato anche a noi: all’inizio il mondo era completo e perfetto: il peccato di Adamo l’ha rovinato. Ma dopo Paolo è venuto Darwin, il quale ci ha spiegato che non è mai esistita una creazione perfetta e completa. Oggi questo è un fatto assodato, e sappiamo che non solo lo stesso universo si sta ancora evolvendo ed espandendo, ma anche gli uomini sono tuttora work in progress (lavori in corso). Se non erano perfetti all’inizio non hanno neanche potuto cadere in basso da un precedente livello più alto, ma sono da sempre incompleti,[23] e l’incompletezza non ha certamente bisogno di essere riscattata con un sacrificio umano[24].

A ben cercare, questa idea secondo cui la perfezione ci sarà solo nel futuro e non nel passato si trovava già nei vangeli. Neanche il ricordo dell’Eden è perciò il rimpianto di un paradiso perduto, perché siamo davanti a un paradiso da costruire. Quando a Gesù rimproverano di lavorare senza osservare il sabato – il sabato significava la cessazione dell’attività di Dio, sei giorni aveva lavorato e il settimo si era riposato perché aveva ormai finito il lavoro e tutto era perfetto – Gesù replica che il settimo giorno si può lavorare perché anche il Padre suo continua ad operare (Gv 5, 17: «il Padre mio continua a lavorare e anch’io lavoro»):[25] ciò vuol dire che la creazione non è terminata. Gesù ci fa allora capire che quella della Genesi non è la descrizione di un paradiso inizialmente perfetto ed ormai perduto, ma è la descrizione di un paradiso ancora da realizzare attraverso la collaborazione cui tutti siamo chiamati. Ancora una volta Gesù smentisce che la Bibbia sia stata dettata da Dio, e se non collaboriamo non arriveremo mai alla perfezione. Il paradiso è come il giardino che noi dovremmo coltivare con amore e con pazienza, dove i fiori non sbocciano subito, sbocciano alla fine della nostra fatica. Ecco perché non abbiamo il paradiso alle spalle, ma davanti a noi,[26] e dobbiamo impegnarci per completare l’opera, perché se l’uomo è tenuto a custodire il creato significa che è chiamato a un rapporto di servizio,[27] al pari del giardiniere che deve lavorare perché, se non si dà da fare, il giardino anziché fiorire deperisce.

Anche l'ansia nel Getsemani indica che Gesù nulla sapeva della teologia della morte espiatoria imposta da Paolo, che del resto dimentica che perfino i sacrifici di animali erano già stati contestati dai profeti (Amos 5, 22; Osea 6, 6), e che lo stesso Matteo cita Osea (Mt 9, 13). Forse i vangeli sono stati scritti proprio per contenere la teologia paolina che fa credere a un Dio terribile, la cui ira si placa solo col sangue, e che richiamava in vita l'antico Moloch,[28] uno degli Elohim antagonisti di Yhwh.

E poi, la teoria paolina non chiarisce la ragione per cui la pena, un male fisico, varrebbe da antidoto a un male morale e sia in grado di ristabilire l'ordine leso. Mi richiamo a quanto scritto nell’articolo Il peccato non è violazione della legge divina, al n.471 di questo giornale (in https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-471---23-settembre-2018/il-peccato-non-e-violazione-della-legge-divina). Qui mi limito a ripetere questo: Gesù ha rivoluzionato il concetto di peccato inteso non più come offesa a Dio, perché - come risulta dai vangeli,- molto più grave per Gesù è l’offesa che si infligge a un altro uomo o alla sua dignità; e finché c’è sulla terra anche un solo uomo che soffre, fa fatica a vivere, è povero e viene emarginato, noi che non lo aiutiamo facciamo un’offesa contro l’uomo[29].

Non mi crede? Eppure nel giudizio finale (Mt 25, 31-46) il criterio scelto da Dio per giudicare gli uomini non sarà di nuovo il peccato contro Dio, ma sempre e solo la sofferenza causata agli altri.

Dai tempi di Gesù sono passati quasi duemila anni, eppure lo stesso turbamento di Giovanni Battista davanti al rapporto Gesù-peccatori lo sperimentano ancora oggi tante pie persone quando sentono che qualcuno usa il nome di Dio non per minacciare i peccatori, ma per compiere opere sociali:[30] al pari del sacerdote e del levita che scendevano da Gerusalemme, loro non esiterebbero ad abbandonare per strada un ferito pur di arrivare puntuali e non contaminati alla santa messa, perché credono che la verità religiosa vada difesa prima di tutto. Per tutte queste anime pie, ciò che conta è sempre e solo la relazione con Dio, cioè il peccato come offesa a Dio. Ma a questo punto farei questa domanda: tanti bravi cattolici credono ancora che mangiare prosciutto di venerdì offenda Dio; eppure Dio, nessuno l'ha mai visto. Perché allora non credono con altrettanta convinzione che Dio sia offeso e non sopporti di veder soffrire un essere umano (per di più fatto a sua immagine e somiglianza), cosa che invece tutti noi possiamo vedere?

E non basta ancora: l’evangelista Giovanni ricorda che Gesù ha detto che se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane in noi (1Gv 4, 12), senza affatto ritrarsi inorridito per i nostri peccati. Ebbene, se ciò è vero per il rapporto positivo con Dio, deve essere ugualmente vero quando è in gioco il rapporto negativo con Dio. In altre parole, visto che Dio è invisibile (Gv 1, 18: nessuno l’ha mai visto), siamo in grado di sapere se lo amiamo (virtù) o lo offendiamo (peccato) solo prendendo in considerazione il rapporto buono o cattivo che abbiamo con coloro nei quali Dio si rende presente, cioè nelle persone che incrociano la nostra strada, in tutti coloro di cui Gesù ha detto: “Quello che avete fatto a uno di loro, lo avete fatto a me” (Mt 25, 40-45). Quindi, se amiamo i nostri simili, amiamo Dio (Dio rimane in noi: 1Gv 4, 12). Se facciamo soffrire i nostri simili o ci disinteressiamo del loro dolore, siamo nel peccato[31]. Ne consegue che il peccato non va considerato in senso verticale (offesa dell’uomo verso Dio), ma solo in senso orizzontale (offesa dell’uomo verso l’uomo). Che brutta notizia per coloro che respingono gli stranieri agitando la croce o il rosario![32]

Stando ai vangeli non è l’osservanza della legge che il clero dice voluta da Dio, e quindi la mancanza di peccato, il metro per porre l’uomo in contatto con Dio, ma è il bene che si fa all’uomo, come ad esempio si vede bene nel racconto del buon samaritano (cfr. l’articolo Molto religiosi, praticamente atei, al n. 444 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999991---marzo-2018/numero-444---18-marzo-2018/molto-religiosi-praticamente-atei).

La parabola del buon samaritano insegna che, davanti a un essere umano in stato di grave bisogno, la religione (rappresentata dal sacerdote e dal levita) non è capace di risolvere la situazione, mentre chi la risolve è proprio l’eretico (il forestiero extracomunitario rappresentato dal samaritano). Se Gesù dice che coloro che passarono scansandosi furono un sacerdote e un levita, cioè i professionisti della religione, ciò che in realtà sta dicendo è che la religione svia l’attenzione e l’interesse da ciò che unisce le persone, e si fissa di più su altri valori di ordine trascendente e sacro che, proprio per essere così sublimi ed eccelsi, giustificano che si antepongano i diritti di Dio a qualsiasi altra cosa, ancorché si tratti di una vita terrena minacciata, dell’ingiustizia patita, del dolore umano estremo. Per questo, così di frequente, il centro dell’attenzione dei «religiosi» è il culto sacro, l’adorazione di Dio, l’offesa a Dio che, nella logica della religione, sono cose che stanno al di sopra del meramente umano. Al contrario, se Gesù afferma che colui che si occupò di quella urgente necessità umana fu un miscredente, un infedele, un eretico, ciò che Gesù realmente insegna è che la necessità umana viene prima dell’osservanza divina[33].

A ulteriore conferma, pensiamo a quanto detto in altra occasione di san Giuseppe: quest’uomo chiaramente viola la legge divina omettendo di denunciare Maria che aspetta un figlio non suo, e quindi – secondo l’insegnamento religioso impartitoci,- sta offendendo Dio e pecca gravemente disattendendo la legge divina. Invece anche qui è chiaro a tutti che Giuseppe non sta affatto peccando, perché il peccato – come dice Gesù,- è il male che si fa intenzionalmente agli altri uomini.

Ma c’è ancora di più: se Lei continua a credere che “Gesù è uguale in tutto all’uomo tranne che nel peccato” (2Cor 5, 21; Eb 4, 15), questo significa che per Lei ogni essere umano, eccetto Gesù, sarebbe il “male,” non appena nato. Ora, guardiamoci dritti negli occhi e mi dica: come può esserci in un bambino appena nato un qualcosa che Dio già odia? E come la Chiesa può pensare di essere credibile affermando, di fronte a questa dimostrazione di odio, che Dio ama immensamente anche il peccatore?[34] Allora mi sembra molto più cristiana l’idea di Tagore Rabindranath, grande poeta bengalese, non cristiano, il quale ha invece detto: “ogni bambino che nasce porta con sé la speranza che Dio non è ancora deluso dell’uomo”[35]. Se poi solo Gesù fa il bene e tutti gli altri uomini il male, visto che tutti gli uomini – escluso lui - sono “il male” appena nati, essi sarebbero comunque tutti irresponsabili perché farebbero semplicemente ciò per cui sono stati in quel modo programmati (dallo stesso Dio). Io sono responsabile solo quando consapevolmente e volontariamente compio il male. Né si può scordare che fino all’ideazione del Limbo, secondo la Chiesa, Dio voleva… così bene ai bambini appena nati, che se morivano senza battesimo finivano tutti all’inferno. Oggi non si crede più neanche al Limbo,[36] ma permane (anche nel Credo) la formula che il battesimo viene dato per il perdono dei peccati (a cominciare ovviamente dal peccato originale).

Stando ai vangeli, anche Giovanni Battista si è focalizzato sul peccato e sulla confessione dei peccati (Mt 3,5s.; Lc 3,3). Invece il centro dell’interesse di Gesù è stata la vita, soprattutto quella dei poveri, degli esclusi e degli ammalati, nonché la felicità di coloro che soffrono o hanno perso la speranza. Infatti, se guardiamo alla vita terrena di Gesù, dove non ha perso tempo a parlare del peccato (che, invece, secondo Lei, è il centro del cristianesimo), l’aspetto centrale è stato per lui una lotta continua contro la sofferenza della gente. È vero che nella società ebraica di allora sofferenza e peccato erano strettamente connessi, perché liberare dal peccato significava liberare dalla sofferenza più profonda e dolorosa: la sofferenza umiliante di essere giudicato un maledetto da Dio. Ma se guardiamo i vangeli, solo due volte Gesù perdona i peccati (Mc 2, 1 al paralitico; Lc 7, 48 alla prostituta). Molto più frequentemente, invece, si dedica a guarire mali e sofferenze (cioè proprio a fare opere sociali), perché per Gesù la sofferenza umana è molto più importante del peccato. Si può dire che tanto Giovanni Battista ha incentrato la sua vita sul peccato, quanto Gesù la ha incentrata sull'alleviare la sofferenza della gente[37]. Paolo ha seguito il Battista, e la Chiesa ha seguito Paolo.

Il magistero di allora aveva gridato allo scandalo perché Gesù aveva cominciato a fare con gli ammalati ed i peccatori destinati alla perdizione, cose che erano a loro volta considerate peccato[38]. Anche con i pagani, tutti destinati alla perdizione e da evitare come la peste, secondo la religione. La lettura degli Atti degli Apostoli diventa sul punto interessantissima per far capire la difficoltà enorme che ha avuto fin dall’inizio la comunità cristiana a comprendere l’insegnamento di Gesù, e a prendere atto che spesso, l’aiuto le è arrivato dall’esterno, dai senza Dio, proprio dai peccatori da cui doveva stare lontana. Basta vedere come i pagani sono quelli che hanno aiutato la comunità cristiana a essere tale, «perché sono io che li ho mandati» dice lo Spirito santo (At 10, 20). In realtà è stato appena scritto che era stato il centurione Cornelio a inviare questi messaggeri pagani a Pietro, ma subito dopo lo Spirito dice che è stato lui stesso a inviarli: dunque, Cornelio e i suoi inviati, questi pagani peccatori da evitare come la peste, avevano agito mossi dallo Spirito, esattamente come i profeti biblici. Ancora adesso è opinione comune e dominante che fu Pietro a convertire i pagani[39]. Invece l’evangelista ci sta dicendo che per convertire uno che si credeva credente (Pietro), lo Spirito santo si è servito di un pagano straniero. Ci rendiamo conto di quello che sta dicendo Luca? Per convertire Pietro lo Spirito si serve di un sacerdote? di una persona pia e religiosa? di un teologo raffinato? No: per convertire il number one dei cristiani lo Spirito si è servito di uno straniero pagano;[40] si è servito della persona che nel mondo ebraico si riteneva la più lontana da Dio: un impuro pagano destinato alla perdizione.

Insomma, Gesù, a costo di rimetterci la pelle, ha continuato col suo comportamento a chiarire che la liberazione dalla sofferenza e la felicità dell'uomo erano più importanti dell'evitare di fare quello che la religione considerava peccato[41]. Gesù guariva quasi sempre di sabato, quando era vietato farlo, e quando solo un conclamato peccatore - secondo il magistero - osava farlo (Gv 9, 31). Perché? Perché per Gesù la legge è fatta per l'uomo, non l'uomo per la legge (Mc 2, 27): ossia, prioritario nella vita non è sottomettersi alla religione e ai suoi rappresentanti, evitando così il peccato, ma - anche a costo di infrangere la legge religiosa - prioritario è porre rimedio al dolore dell’uomo restituendo dignità e vita a chi soffre. Finché l’uomo opera perché la gente soffra di meno non c'è legge che tenga, c'è solo libertà di agire, anche contro la legge[42]. Come ha fatto san Giuseppe.

Come si vede, allora, il problema di fondo sta nel capirci bene su cosa intendiamo per «peccato»: se per peccato intendiamo la trasgressione alla legge divina come chiaramente precisava il n.951 del Catechismo di san Pio X e come ancora confermano i nn.431 e 1855 dell’attuale Catechismo, e se pensiamo che il peccato sia perciò un'offesa a Dio, dovremmo far notare che gli uomini non possono offendere Dio direttamente, esattamente come il verso di una formica (che bestemmia contro l’uomo che quasi la calpestava) non può offendere l’uomo. Questa è stata un’intuizione già espressa da san Tommaso d’Aquino (Summa contra Gentiles, III,122). Peccato è invece causare sofferenza a una persona. È indubbio poi che la relazione peccato, paura e inculcazione di sensi di colpa non si trova nei vangeli quando parlano di come Gesù si rapportava con la gente del suo tempo:[43] il risultato dell'incontro di Gesù con i peccatori era l'allegria, la pace e la gioia (Lc 7, 36ss.; 18, 9ss.), e quasi sempre finiva tutto in una gran festa mangiando e bevendo tutti assieme (Mc 2, 15-16; Lc 19, 1ss.). Non per niente Gesù è definito amico dei peccatori (Mt 11, 19; Lc 19, 10), che lo seguivano volentieri proprio perché con lui non si sentivano disprezzati (Lc 8, 2).

Da notare che con Gesù non sono mai i peccatori ad essere redarguiti, ma al più sono i pii e i giusti ad essere smascherati come peccatori dinanzi a Dio (Mt 23, 1ss.)[44]. Curioso anche notare come Gesù, che è andato a pranzo con tanta gente non proprio raccomandabile, non abbia invece mai condiviso la tavola e la vita né con l’aristocrazia religiosa, né col potere politico. Gesù non è neanche mai entrato in un palazzo del potere, tranne quando l’hanno portato lì incatenato dopo l’arresto. Con questo messaggio Gesù ci indica che Dio (il Dio che egli è venuto a rivelare) non si può associare con forme o rappresentazioni di potere e autorità, per quanto si tratti di autorità o poteri religiosi. Che brutta notizia per tanti alti prelati di oggi[45]. Ora, se i vangeli ripetono questo dato dei pranzi tante volte e in modi diversi, non si tratta di mere casualità, ma ciò appartiene alla rivelazione che Dio ha voluto fare per mezzo di Gesù[46].

Va poi evidenziato che il problema del peccato (del male) si gestisce mediante l'autorità, perché si deve andare dal presbitero per ottenere l’assoluzione. Il problema della sofferenza viene invece gestito mediante la misericordia[47]. Il problema del peccato si affronta dall'alto. Il problema della sofferenza si tratta alla pari[48]. Al sistema perciò non dà fastidio che la Chiesa parli del peccato. Più problematico sarebbe parlare seriamente delle cause di tanta sofferenza che la gente deve sopportare a causa del sistema stesso[49].

Inoltre non si può sottacere un’altra contraddizione: il n. 1035 del Catechismo mette in relazione peccato e castigo con l'inferno, quindi un riferimento alla vita futura: chi pecca e muore nel peccato soffrirà le pene dell'inferno e non vedrà mai il paradiso, e di questo ci si deve preoccupare in questa vita, e non delle cose di questo mondo. Se però leggiamo la Bibbia, chi pecca è oggetto dell'impressionante e terrificante collera divina che avviene già in questo mondo. E questa convinzione biblica permane ancora oggi fra tanti cattolici, i quali sono convinti che la sofferenza su questa terra sia già un castigo di Dio:[50] "Cosa ho fatto di male per meritarmi questa disgrazia? questa malattia?" Allora dovrebbero chiarirci una volta per tutte se si paga adesso o nella vita futura.

Ma, fermandoci sempre alla Bibbia. La lettura della caduta di Adamo ed Eva a causa del peccato originale già contrasta con questa immagine largamente introitata di un Dio vendicativo e da temere. Quando Dio dice ad Adamo che nel giardino può fare tutto ma non può mangiare il frutto dell'albero della conoscenza (Gn 2, 15-17), intende dire all'uomo che non può pretendere di vivere senza accettare i suoi limiti di creatura (n.396 Catechismo). Stupisce allora che, dopo aver mangiato il frutto proibito, Adamo ed Eva si nascondano non perché pensano di aver offeso Dio, o di averlo fatto arrabbiare, o per paura della sua impressionante collera: si nascondono perché hanno vergogna della propria nudità (Gn 3,10). In questo racconto mitico,[51] Adamo ed Eva non vengono neanche sfiorati dall'idea di pentirsi per aver mangiato il frutto proibito, ma - ancor più sconcertante - nemmeno viene detto che Dio si è arrabbiato, sentendosi offeso per questa disobbedienza, né chiede loro di fare penitenza. Infatti Dio non dice: "Adamo! cosa hai combinato? Adesso ti castigo", ma gli chiede: "Dove sei?" Mi sembra allora corretta l'interpretazione di chi ritiene che la domanda di Dio non vuol portare l'uomo a pensare a quanto l'ha fatta grossa, a quanto ha offeso l’Altissimo di cui ora deve implorare il perdono, ma semplicemente a rendersi conto di cosa diventa la sua vita quando pretende di viverla senza accettare i suoi limiti. Adamo ed Eva non hanno mangiato per disobbedire al comandamento di Dio (n. 397 Catechismo), ma per essere perfetti come Dio. Invece si scoprono imperfetti, fragili, nudi[52] per non essere riusciti ad accettare il limite della loro creaturalità. Ancora oggi tante persone giocano sempre ad apparire migliori di quello che sono in realtà: poi, quando improvvisamente non riescono a nascondersi dietro ad una corazza che protegge la loro fragilità, si vedono scoperte nella propria pochezza e trovano difficile convivere con la propria nudità. Perciò, quando Dio chiede ad Adamo “dove sei?” lo mette semplicemente di fronte alla sua vera faccia, che Adamo non riesce ad accettare perché preferiva sentirsi protetto dalla corazza, e senza di essa si sente non solo imperfetto, ma anche in posizione di svantaggio, di inferiorità. Questo, dunque, è il problema che ci propone il libro della Genesi: il rapporto con la nostra fragilità e imperfezione che esisteva fin dall’inizio, e ci ricorda che non c’è maschera o corazza che tenga. Come Davide ha deciso di rinunciare alla corazza prestatagli da Saul per affrontare Golia, perché dentro di essa si sentiva impacciato e non riusciva a muoversi come era abituato a fare, così anche noi dovremmo decidere di toglierci tutte le maschere,[53] le corazze che indossiamo, che non ci proteggono dalle nostre fragilità e allo stesso tempo ci fanno apparire diversi da quello che in realtà siamo.

Anche san Paolo, a un certo punto, definisce il peccato come una forza che tiene l’umanità sottomessa in schiavitù (cfr. Rm 5, 12 e specialmente 6, 6-7.14.16.20; 7, 14)[54]. Siamo schiavi della nostra imperfezione. Ma questa nostra imperfezione di creatura non dovrebbe essere pensata tanto come una condizione di peccato, quanto come una condizione svantaggiosa di inizio[55]. Dobbiamo perciò lavorare per avvicinarci, seppur lentamente, alla perfezione, o quanto meno per migliorarci e crescere.

Ecco perché mi sembra perfetta quella bella definizione del concilio Vaticano II su questo punto: il peccato è uno stop che l’uomo mette alla propria crescita[56]. È un’autolimitazione perché nell’illusione dell’autosufficienza l’uomo rifiuta di crescere. Non è un’offesa a Dio. Dobbiamo perciò assolutamente ridimensionare l’importanza del peccato nella nostra religione[57].

Ben si può intendere, allora, che il peccato è la forza che disumanizza gli esseri umani. E allora, nella misura in cui anche la religione è la forza che disumanizza gli esseri umani mantenendoli in uno stato di tranquilla coscienza solo se si seguono certi riti, e perfino nella convinzione che è così che si deve vivere e agire, nella stessa misura la salvezza cristiana è salvezza dalla disumanizzazione che produce il peccato. In definitiva, tutto consiste nel rendersi conto che il peccato non è né una «macchia», né una «colpa», né un’«offesa» a Dio. Peccato è tutto ciò che fa male a qualcuno, sia alla propria persona, sia pure all’altro o agli altri. E allora, Gesù ci salva dal peccato salvandoci anche da una certa religione, quella della pura osservanza dei riti, delle cerimonie, delle forme, il che si traduce nella pretesa di sacralizzare la società, le istituzioni, la convivenza, mentre i comportamenti veramente etici e umani passano in secondo piano. La maggior parte delle persone religiose vive di convinzioni, di credenze e soprattutto di riti, mentre invece l’umanizzazione di Dio in Gesù ci mostra che occorre vincere la disumanizzazione tipica di tutti coloro che vogliono mettere al centro della propria vita il potere, le ricchezze, gli onori, le loro dignità. E così anche l’umanizzazione di Dio in Gesù ci mette tutti di fronte all’unico compito che importa veramente: quello di essere veramente più umani[58]. In questa direzione dobbiamo crescere, e come diceva la scienziata Levi Montalcini, è l'imperfezione che crea lo spazio per la crescita.

Per riassumere possiamo dire che, come il peccato è sottrazione di forza vitale perché allontana da Dio, fonte di vita per l’uomo, così la salvezza è ristabilimento del rapporto con Dio per sua iniziativa: «è stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). E Gesù ci salva non perché ha offerto a Dio una riparazione del peccato al posto degli uomini, espiando al posto nostro i nostri peccati, ma perché estirpando il peccato del mondo (Gv 1, 29) ha tolto quella cappa che impediva agli uomini di vedere che Dio ci ama, perché ha offerto a tutti i peccatori la forza dello Spirito di Dio, che purifica e rinnova[59]. Gesù è venuto a mostrarci che quando siamo pienamente umani diventiamo anche noi il canale di ciò che è pienamente divino, di quell’amore che diffonde la vita attorno a noi,[60] perché – come in fin dei conti spiega anche la Chiesa - Dio è amore, e non è quel vampiro assetato di sangue prospettatoci da Paolo. L’amore è il divino in noi. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio compie gesti umani[61].

Quando sosteniamo che il peccato offende Dio (n. 431 Catechismo), dovremmo tenere ben presente che questo diventa il motivo di esclusione più nobile e più efficace che finora si sia potuto inventare nelle nostre società per legittimare l'esclusione dalla comunità di altri esseri umani[62]. Ma inesorabili, i vangeli ci dicono che Gesù presenta il peccato (analogo al concetto ebraico di puro o impuro), non in relazione a Dio, ma sempre e solo in rapporto agli altri. Se chi mi legge non è ancora convinto andiamo, come sempre, a leggere questi benedetti vangeli.

(1) Quando i farisei e gli scribi scesi addirittura da Gerusalemme (cioè attualizzando: dalla capitale religiosa di allora si scomoda il Sant’Uffizio di allora per venire a controllare se l’insegnamento di Gesù è ortodosso o meno, ed ha la conferma che non lo è) contestano a Gesù che lui e i suoi discepoli non rispettano la tradizione religiosa, perché non adempiono al rito prescritto delle abluzioni prima di mangiare e così disonorano Dio (cioè peccano e offendono Dio). Gesù risponde che la Tradizione non è parola di Dio (Mt 15,1-14; Mc 7,1-16), ma degli uomini. È la Bibbia, dunque, ad essere sbagliata quando impone come regole divine quelle che sono solo regole umane, e violandole non si fa peccato.

(2) Per sapere quali sono i peccati secondo Gesù, basta leggere la lista fatta da lui stesso (Mc 7, 21-22)[63]. Molti neanche sanno che Gesù ha fatto una lista di quelli che considera peccati. Del resto non ce l’hanno mai insegnata. Anzi, a questo punto c’è da chiedersi: come mai oggi ci si confessa ancora in base ai 10 comandamenti, e non in base all’elenco stilato da Gesù, che corrisponde solo in piccola parte ai dieci comandamenti? Non lo so[64]. Chiedetelo all’autorità ecclesiastica. Paolo (Gal 5, 19-20), invece, che non ha conosciuto Gesù vivo, si aggancia ai cosiddetti “cataloghi dei vizi e delle virtù” dimostrando la sua forte dipendenza dalla filosofia popolare ellenistica e dalla morale giudaica. Nulla di più lontano dall’insegnamento di Gesù[65].

Va sottolineato in particolare che in questo elenco di dodici atteggiamenti che costituiscono peccato secondo Gesù, egli omette volontariamente e completamente ogni riferimento alla prima delle due tavole dei comandamenti: l’impurità (il peccato) nasce dall’interno, dal proprio cuore, e dipende solo dalla cattiva relazione con gli altri uomini, mentre nessun atteggiamento impuro riguarda Dio, il culto o la liturgia. Tanto è vero che in Marco, cioè nell’elenco dei peccati del più antico dei vangeli, non c’è traccia di comportamenti peccaminosi nei confronti di Dio, ma siamo di fronte sempre e solo ad atteggiamenti volontari finalizzati al far del male a una persona: per Gesù non è peccato non partecipare al culto; non è peccato non fare digiuni; non è neanche peccato non credere e non amare Dio. Dunque, non può essere neanche peccato non credere ai dogmi e ai principi non negoziabili insegnati dal magistero. Incredibilmente, in questa lista fatta da Gesù, Dio stesso sparisce perché nessuno degli atteggiamenti si riferisce a un rapporto diretto con Dio (e men che meno a una disobbedienza al magistero), a conferma che il peccato non dipende dal rapporto che uno ha con Dio. Il peccato non dipende dall’aver osservato o meno la legge divina, posto che in tutto il suo vangelo Marco ignora completamente il termine “legge”, proprio perché con Gesù non si deve più obbedire a una legge, ma assomigliare al Padre. Il che trova totale conferma nella parabola del buon samaritano, di cui si è parlato sopra, e anche nell’episodio del nato cieco (di cui si è parlato nei nn. 457 e 491 di questo giornale, rispettivamente in https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-457---17-giugno-2018/apocalisse-e-ortodossia e https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-491---10-febbraio-2019/il-male-viene-da-dio). Secondo Gesù, è amando l’uomo che si ama anche Dio; non l’inverso. Quindi l’amore verso Dio passa solo attraverso l’amore verso l’uomo. Del resto noi possiamo amare solo l’uomo, perché Dio è il Trascendente inconoscibile e irraggiungibile, ed è difficile amare qualcosa che non conosciamo e non possiamo raggiungere.

Inutile cercar di convertire la gente con formule dogmatiche o leggi divine se non le si accompagna con la storia, col contesto, col significato vero, poiché questo tipo di imposizioni così comandante dall’alto non tocca minimamente il cuore dell’uomo, né lo trasforma, sì che risulta assolutamente inevitabile che l’uomo continui a peccare[66]. Allora è chiaro: o la legge e la religione o il vangelo e Dio; non c'è possibilità di compromesso perché se solo Cristo ci salva, e non la legge, la mera obbedienza alla legge e al magistero non ci rende seguaci di Cristo. Dio ci vuole liberi (è la stessa religione a insegnarci che Gesù ci libera), perché l’amore non può essere ingabbiato da regole precise. Che l’esperienza dell’amore sia più importante di qualunque dottrina, di qualunque dogma lo si vede sempre nel vangelo, perché lì l’amore del Padre non si manifesta mai nella dottrina, ma si dimostra solo nella vita[67].

Lei pensa che io stia professando scriteriate idee eretiche? Non è così, perché queste idee le aveva già chiaramente espresse san Paolo (Gal 3, 23-26): “prima che venisse la fede noi eravamo prigionieri della legge, in attesa che questa fede fosse rivelata. Così la legge era stata per noi un pedagogo che ci ha condotto a Cristo (…) Ora che la fede è giunta non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Gesù Cristo”. Traducendo in maniera più semplice: san Paolo sta dicendo che prima di Gesù non c’era la fede, ma solo la legge religiosa; Gesù è quello che ha portato la fede. Prima, con la legge, si era sotto la tutela di un pedagogo (il pedagogo è l’adulto che si prende cura dei bambini), il quale diceva cosa si può fare e cosa non si può fare (come pretende ancora oggi di fare il magistero). Quindi la legge e la religione erano per l’infanzia dell’umanità. Ma quando è arrivato Gesù è arrivato finalmente il momento della maturità: “Perché non giudicate da soli ciò che è giusto fare?” (Lc 12, 57). Prima, si era come bambini piccoli sotto la tutela dell’adulto; ecco l’ennesima riprova che la religione mantiene le persone in uno stadio perennemente infantile, perché nella religione le persone non sono lasciate libere di maturare. Non devono pensare con la propria testa, sono considerate immature ed hanno sempre bisogno di una autorità (un padre, un insegnante, un pedagogo, un sacerdote) che dica cosa fare, come fare e quando fare. È solo con Gesù che è cambiata radicalmente la maniera di rapportarsi con Dio, ed ovviamente il dio che ci ha prospettato la religione ed il Dio che ci prospetta Gesù sono fra di loro assai diversi, perché Gesù ci vuole cristiani adulti, liberi, autonomi e gioiosi. Il vino nuovo, non può essere contenuto in otri vecchi (Mc 2, 22). Se continuiamo a pensare con le categorie antiche, non ci rendiamo conto che Dio è colui che fa nuove tutte le cose (Ap 21, 5).

Ecco perché san Paolo arriva a dire che Gesù ci ha liberati dalla maledizione della legge (Gal 3, 13) la quale impedisce la comunicazione diretta con Dio. E se si toglie la violazione alla legge (divina) si toglie il peccato; ma se si toglie il peccato crolla la religione. Quindi, la forza della religione è la legge, e il peccato prende la sua forza dalla legge. E di nuovo, questo l’ha detto sempre san Paolo (1Cor 15, 56), non io.

Per concludere, con Gesù, Dio resta escluso dalla sfera del peccato umano. Gesù riconosce che esistono i peccati, ma essi consistono solo in quei comportamenti che tolgono, limitano o danneggiano la vita altrui o la propria vita. Quindi, secondo Gesù, il rapporto con Dio resta circoscritto alla relazione che si ha con gli altri uomini. Gesù non sta affatto negando l’esistenza o l’importanza del peccato, ma la circoscrive dentro un ambito del tutto diverso: il peccato non è la trasgressione di un precetto imposto dal magistero, o di una regola divina, o di un culto; non è l’omissione di un sacrificio come indicava la Bibbia, non è un’offesa a Dio, ma è togliere la vita agli altri e – per dirla come il Concilio – il peccato impedisce di conseguire anche la propria pienezza di vita.

‘Peccato’ che questo specifico significato di peccato, ripreso dal Concilio, sia in seguito stato ancora una volta soffocato dal sacro magistero. Se gli uomini, dopo essere stati all’inizio accompagnati, diventano emancipati, si sentono liberi per cui a quel punto pretendono di continuare la lunga strada da soli, senza più essere un gregge guidato dai pastori, capite bene che la Chiesa-istituzione perde la maggior parte del suo potere, e questo non è accettabile per una buona parte dei pastori[68].


NOTE


[1] Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 36.

[2] von Rad G., Teologia dell’antico testamento, I, Paideia, BS 1972, 315.

[3] Per tradizione il libro biblico è attribuito al profeta Isaia, ma il messaggio, lo stile e il contesto storico, fanno pensare a una origine connessa con gli eventi del ritorno dei deportati dall’esilio di Babilonia e all’opera di ricostruzione postesilica. Per distinguerli dalla prima parte di Isaia si chiamano rispettivamente “Deutero-Isaia” (Is 40-55) e “Trito-Isaia” (Is 56-66) (Fabris R., in http://dimensionesperanza.it/aree/formazione-religiosa/bibbia/item/7314-22-isaia-deuteroisaia-e-tritoisaia-rinaldo-fabris.html).

[4] Maggi A., Non ancora madonna, Cittadella, Assisi, 2004, 71.

[5] Lo stesso avviene nell'episodio del pubblicano Levi (Lc 5, 27ss.), disprezzato come "ladro" dal punto di vista sociale, ed etichettato come "peccatore" dalla religione. Gesù invita a non etichettare gli altri, a non giudicare (Mt 7, 1) e vede in Levi solo l'uomo. Gesù offre sempre a tutti una nuova possibilità (questa è la Buona Novella) e proprio grazie a questo suo modo misericordioso di rapportarsi con gli altri riuscirà a conquistare anche Levi.

Non condivido perciò l'opinione di Guido Vignelli (Vignelli G., Una rivoluzione pastorale,49, libretto scaricabile gratuitamente da: http://www.totustuus.it/modules.php?name=News&file=article&sid=5025)) secondo cui il famoso divieto evangelico del giudizio (Lc. 6, 37) riguarda solo quello temerario. Il Vangelo non dice di non giudicare temerariamente, ma di non giudicare. Punto!

[6] Gesù chiede all'ospite fariseo: «vedi questa donna?» (Lc 7, 44). Non dice: “vedi questa peccatrice?” Lo sguardo di Gesù nel vangelo non si posa mai sul peccato di una persona, ma sempre e solo sulla sofferenza e sul bisogno (Johann Baptist Metz, citato da Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 95).

[7] Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 90ss.

[8] Ripeto che Paolo ha dovuto creare tutta una struttura che fosse accettata in una società dove non sarebbe stata invece mai accettata l’idea che un condannato alla crocifissione potesse essere un inviato da Dio. Perciò una volta chiarito che Dio era in collera perché gli uomini lo avevano rifiutato e commesso ogni sorta di peccati (Rm 1, 18), e che per questi peccatori che si rifiutavano di cambiar vita era già pronto il castigo (ognuno riceverà secondo le proprie azioni - Rm 2,5s.6), si capiva anche la lettera agli Ebrei: se il sommo sacerdote ogni anno nella festa del Kippur entrava nella parte più profonda del santuario per compiervi con il sangue di animali il rito dell'espiazione dei peccati del popolo, Gesù una volta per tutte è entrato nel tempio celeste procurandoci così un riscatto eterno (9, 12); e se già il sangue di animali aveva efficacia santificatrice e purificatrice, «quanto più il sangue di Cristo, il quale si è offerto senza macchia a Dio mediante lo Spirito eterno, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire al Dio vivo» (9, 13 - 1 4); è per santificare il popolo con il suo sangue che Gesù affrontò la sua passione mortale fuori dalla porta della città (13, 12) .

[9] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 145ss. I fatti raccontati dicono che Gesù morì perché si schierò dalla parte della vita, in concreto della vita dei deboli ed emarginati. Ma questo fatto evidente venne presto interpretato teologicamente e la Chiesa ha finito per sostenere che per la religione si deve dare la vita, così interpretando la morte di Gesù (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 209, nota 47).

[10] Nietzsche aveva osservato come l’idea di un Dio amorevole facesse a pugni con la teoria della soddisfazione, che metteva invece in evidenza un Dio orientaleggiante, incapace di dominare il proprio altissimo senso dell’onore e l’impulso alla vendetta (Nietzsche F., Aforismi, a cura di Vannini M., ed. Tascabili economici Newton, Roma, 1993, 61), capace di accettare l’umanità peccatrice solo quando gli fosse pagato un congruo contributo di sangue. Perciò, deus, qualem Paulus creavit, dei negatio (il dio creato da Paolo è la negazione di Dio) (Nietzsche F., L’Anticristo, ed. Adelphi, Milano, 1987,66).

[11] Contra Fustum, libro XXII, cap.27 inizio; idem San Tommaso Summa Theologica I/II q.71 art.6.

[12] Vedi verso la fine di questo articolo l’elenco dei peccati stabiliti da Gesù; ma vedi anche, sempre nell’articolo, cosa Gesù dice a proposito del paradiso e della tradizione.

[13] Salonia G., Attenzione ai principi – attenzione all’uomo, in A partire dai cocci rotti, ed. Cittadella, Assisi, 2001, 245.

[14] L’obbedienza presuppone che si diano ordini, ma per dare ordini bisogna avere potere. Il contenuto fondamentale, ma sottaciuto dell’obbedienza, è l’ideologia del potere ecclesiastico; e quel che è peggio è che nessuno può opporre la propria ragione a un sistema dogmatico finché questo sistema ha il potere psichico di dichiarare l’Io dell'interessato radicalmente colpevole (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 316 e 395). È chiaro così che anche l’ideologia del peccato, anche se nata per dare una spiegazione del male all’insegna della ragione, indica come causa del male colui che ha peccato: in tal modo si colpevolizza ulteriormente l'uomo.

[15] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 136.

[16] Richiamo qui la nota 17 dell’Introduzione nella relazione, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-573---6-settembre-2020.

[17] Perché il peccatore, oltre a chiedere perdono a Dio deve chiedere perdono alla Chiesa (Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 137).

Naturalmente era di quest’idea anche il magistero infallibile del Tempio, il quale insegnava che il perdono dei peccati si otteneva solo al Tempio di Gerusalemme, seguendo il previsto rituale. Già Giovanni Battista, dunque, era visto come un eretico, perché parlava di perdono dei peccati ottenibile sul Giordano (luogo profano), attraverso il battesimo (Mc 1, 4), o meglio, attraverso un cambio radicale della propria vita, senza che il magistero potesse ficcarci il naso (mentre il padre Zaccaria era un sacerdote, il figlio Giovanni non lo era). E quello stesso magistero, già ormai piccato per la condotta di Giovanni Battista, davanti al condono dei peccati concesso gratuitamente da Gesù al paralitico, taglia corto: questo qui sta bestemmiando! (Mt 9, 3; Mc 2, 7).

E il magistero infallibile di oggi, convinto di aver perfettamente interpretato il vero pensiero di Gesù, afferma (art.1441 Catechismo) che in virtù della sua autorità divina Gesù ha dato solo agli apostoli il potere di perdonare i peccati; dagli apostoli questo potere è passato solo al magistero, per cui solo il clero può far risorgere la relazione con Dio, ogni qualvolta l’uomo l’ha troncata peccando (e, sfortuna vuole, che l’abbia troncata già per il solo fatto di nascere, stante il peccato originale).

[18] Cfr. gli articoli Legare e sciogliere al n. 523 di questo giornale in https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-523---22-settembre-2019/legare-e-sciogliere, e Le chiavi del Regno al numero successivo, https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-524---29-settembre-2019/le-chiavi-del-regno.

[19] Un uomo disse a Rabi’a: “Ho peccato, ho tanto peccato. Se mi pento, pensi che Dio mi perdonerà?”. Rabi’a rispose: “No, tu ti pentirai quando Egli ti perdonerà”. Vi soprenderà sapere che Rabi’a era una mistica musulmana dell’VIII secolo, e vi sorprenderà scoprire che anche l’islam vede prima il perdono di Dio, e poi il pentimento.

[20] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 76.

[21] Idem, 75.

[22] Léon-Dufour X., Dizionario del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 1978.

[23] Il male che compiamo non è conseguenza della caduta, ma una manifestazione della nostra tendenza a metterci al primo posto, perché questo ha richiesto la nostra storia evolutiva: battaglie continue per sopravvivere. Così il sacrificio espiatorio di Gesù sulla croce diventa una cura divina a un problema umano che una precedente comprensione della vita ha richiesto, ma che nella nostra attuale prospettiva, non ha più senso. Ha senso invece dire che eravamo imperfetti e lo siamo ancora. Sbagliata perciò la diagnosi (natura umana peccatrice per la caduta), è sbagliata anche la terapia (espiazione). Neanche il battesimo come sacramento destinato a lavare gli effetti della caduta in un peccato (mai verificatosi) ha senso. Neanche l’eucarestia come ripetizione di un sacrificio destinato a riportare l’uomo in amicizia con Dio ha senso (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 192s.).

[24] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 188ss.

[25] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 319.

[26] Vannucci G., Il richiamo dell’infinito, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2006, 146 ss.; Sebastiani L., Amore: rischio, fragilità, illusione?, in AA. VV, Paura di amare, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 48.

[27] von Rad G., Genesi,. Paideia, Brescia, 1978, 95ss.

[28] Bloch E., Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano, 1971, 316 e 213.

Lo stesso re d’Israele Manasse aveva fatto sacrificare il proprio figlio all’Elohim Milcom (o Moloch) (2Re, 21, 6: “fece passare suo figlio per il fuoco”), nella valle della Geenna, anche se tale tipo di sacrifici era già proibito (Lv 18, 21; 20, 1), a dimostrazione che i sacrifici umani non erano affatto terminati con Abramo (Ger 19, 5).

[29] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 237.

[30] Ad es. l’ex presidente del Senato Pera prega affinché papa Bergoglio cessi di credere che la Parola di Gesù è di salvezza e non di giustizia sociale (riportato da Langone C., Andiamo a messa, nonostante il Vaticano, “Il Giornale” 13.11.2020). Cfr. nota 34 alla domanda sub 12.

[31] Castillo J.M., Vittime del peccato, Fazi, Roma, 2012, 257.

[32] E mentre nel lanciarsi contro gli omosessuali possono per lo meno invocare la Bibbia, per gli stranieri neanche questo: Ez 47, 21 mette in chiaro che le tribù d’Israele devono trattare i forestieri insediati in Israele in maniera giusta, come fossero dei loro, senza pretendere di assimilarli. Ger 7, 6 vieta lo sfruttamento degli stranieri. Es 22, 20, ricordando agli israeliti di essere stati loro stessi stranieri in Egitto, per cui impone di non opprimere gli stranieri che vivono presso di loro.

[33] Castillo J.N., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 317.

[34] Lo so che per tanti che si dichiarano veri cristiani è ancora così: basta leggere la critica a papa Francesco che, fra le tante eresie, dimentica il peccato originale (in Langone C., Andiamo a messa, nonostante il Vaticano, “Il Giornale” 13.11.2020).

[35] In https://aforismi.meglio.it/.

[36] Cfr. sul Limbo l’articolo in questo giornale: https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/1999993---maggio-2018/numero-454---27-maggio-2018/il-limbo.

[37] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, 2012, 64 e 58.

[38] La malattia, ad es., era considerata una punizione di Dio, mentre la salute un suo dono. Quindi non si doveva soccorrere l’ammalato. Gesù, violando questa legge, soccorre gli ammalati. Secoli dopo abbiamo scoperto i germi e i virus, e ci si è accorti che i batteri attaccano indistintamente i peccatori e i santi, e gli antibiotici sono efficaci sia sui peccatori come sui santi. Quindi abbiamo scoperto che aveva ragione Gesù e non il magistero.

[39] Vedasi, ad es., Come si diffuse il Vangelo, “National Geographic Italia”, n.3/2012, 29. Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 51ss.

[40] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in https://www.studibiblici.it/conferenze.html.

[41] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 68.

[42] È lecito guarire di sabato? No: l’amore per Dio deve essere superiore a quello per l’uomo, ritiene il credente tutto d’un pezzo. Il libro sacro contiene la volontà divina, perché la parola di Dio è immutabile e lì si trova ogni risposta. Per Gesù, invece, nel conflitto prevale sempre il bene dell’uomo. Gesù libera, ma destabilizza. E oltre alla parabola del samaritano, i casi a conferma di questa sua linea, sono tanti. Ad es.: in Lc 14, 1-6: Gesù congeda l’uomo ammalato perché era diventato idropico stando con i puri farisei e con i dottori della legge: i luoghi religiosi sono a rischio. Idropico significa infatti gonfio di quello che in realtà non nutre. Quell’uomo, frequentando l’ambiente religioso, in realtà si nutriva di niente. Gesù invece nutre la spiritualità dell’uomo. Cosa significa tutto questo? Nella misura in cui la religione non pone l’umano al suo centro, bensì una realtà infinitamente superiore all’umano, in questa stessa misura la religione disumanizza, indurisce il cuore e fa pensare ai credenti che ottemperando agli obblighi religiosi hanno con questo esaurito ciò che si deve fare, hanno fatto la cosa più encomiabile e importante che si possa fare. Non è così.

[43] I pastori erano consapevoli di essere impuri: tanto che avevano terrore di essere sterminati dall’angelo (Lc 2, 8-9). Eppure l'angelo non ha detto ai pastori: “Dio vi ama, ma ora pentitevi e comportatevi bene! magari cambiate mestiere”. No, i pastori continuano a fare quello che facevano prima, e questo è un osso durissimo da digerire per tutte le persone pie e religiose. Ma se ci hanno sempre insegnato che Dio è sempre disposto ad accogliere il peccatore purché si penta. Non ci hanno sempre insegnato che il perdono non è automatico, ma subordinato al pentimento? Com’è possibile che Dio non chieda mai ai peccatori impuri di pentirsi e di cambiar mestiere? Com’è possibile che Gesù accolga i pubblicani e li faccia venire con sé senza chiedere loro di pentirsi, di far penitenza e di cambiare mestiere? Oppure torniamo all’episodio mai digerito e sempre rimasto sul gozzo alle persone pie e ben pensanti, di Gesù che dice alla prostituta: «Ti sono perdonati i peccati… La tua fede ti ha salvato; va’ in pace» (Lc 7, 48-49). Ma come?! quella gli si struscia contro, lo cosparge d’unguento nell’imbarazzo degli altri commensali, e Lui la manda via perdonata senza chiederle se si è pentita, senza chiederle di fare penitenza, ma soprattutto senza neanche chiederle di cambiare mestiere. Inaudito! Insomma, almeno quella volta Gesù, che ha innata in sé un’intima ripugnanza verso il male, avrebbe dovuto dire: “Ti perdono, ma da adesso in poi non fare più la prostituta che è un mestiere assolutamente immorale”. Le persone pie avrebbero fatto così. E invece Gesù non fa così.

E allora, la domanda che sorge spontanea ed ovvia è questa: è mai possibile continuare a vivere in una situazione che la religione considera peccaminosa, immorale ed irregolare, e nello stesso tempo essere amati da Dio? E la risposta assolutamente pacifica che si trae dai vangeli, e che è ovviamente inaccettabile per tutti gli intransigenti pii e religiosi di ogni tempo, è semplicemente questa: sì, è possibile continuare a fare la prostituta ed essere gradita al Signore.

[44] «Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mani ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno» (Lc 24, 7). E cosa aveva detto esattamente Gesù in Galilea? Aveva detto: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9, 22). Quindi, in Galilea, prima della morte, Gesù non aveva parlato di peccatori, ma aveva indicato gli anziani (i presbiteri), i sacerdoti e gli scribi, cioè il magistero, come causa della sua sofferenza e morte; e dopo la morte di Gesù, l’evangelista sostituisce i termini ed identifica gli anziani, i sacerdoti e gli scribi proprio come i “peccatori” È chiaro ancora una volta che per l’evangelista i peccatori non sono affatto coloro che trasgrediscono anche quotidianamente la legge divina, ma sono proprio coloro che pretendono di rappresentare Dio in terra imponendo a tutti l’osservanza scrupolosa le sue leggi.

[45] Mi sovviene in proposito la rispostaccia data al vescovo di Trieste che aveva bacchettato il vicesindaco per aver partecipato alla presentazione di un libro di un sacerdote in prima linea per la difesa dei diseredati, ma sgradito alla gerarchia: “Gentile eminenza, ritengo di andare dove meglio credo e non mi sognerei mai di criticare Lei per la sua partecipazione al sontuoso ricevimento sulla Costa Favolosa (ndr: trattasi di una nave da crociera). Quindi lei scelga per sé e io per me. Cordialità” (“Il Piccolo”, 30.7.2011, 29.).

[46] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 262s.

[47] Non certo mediante la paura di Dio. Un noto teologo e psichiatra ha fatto giustamente notare: non è forse un fantasma perfido e crudele quello che i cristiani adorano invocandolo col nome di Dio, se il cristianesimo non insegna ai giovani ad amare e a vivere secondo l'obbedienza del cuore, ma li spinge sistematicamente, e sembra volontariamente, a distruggere con la massima coerenza ciò che potrebbe arricchire la loro vita e renderli felici? (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 419).

Oggi, il messaggio di misericordia di Papa Francesco colpisce e sembra nuovo, ma se si vanno a vedere gli atti del concilio Vaticano II, si scopre che papa Francesco segue perfettamente la linea del Concilio: già nel discorso inaugurale Papa Giovanni XXII, faceva capire che la Chiesa non doveva temere di introdurre i cambiamenti ritenuti opportuni o sentirsi vincolata alle vecchie forme. Con un tono sorprendentemente diverso dai toni di rampogna e di dolore che avevano caratterizzato i papati precedenti e lo stesso concilio Vaticano I, la Gaudet mater ecclesia invitava ad usare "la medicina della misericordia" piuttosto che della severità e della condanna.

E sempre all'inizio l'assemblea plenaria quel papa approvò un messaggio al mondo in cui si affermava che la Chiesa è vicina a tutte le angosce che affliggono gli uomini, in particolare i più poveri, i più umili, impegnandosi nel corso dei lavori - per essere sempre più fedele al vangelo - a tenere in gran conto la dignità dell'uomo e tutto ciò che contribuisce alla vera fraternità dei popoli. Per riprendere seriamente questo discorso si è dovuto attendere papa Francesco.

[48]Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 130 e 139.

[49]Idem, 235.

Se solo qualcuno oggi cominciasse ad invocare un sistema diverso da quello della globalizzazione capitalista, sperimenterebbe presto qualcosa di ciò che ha vissuto Gesù (Frei Betto, Fede e politica. Le sfide nel tempo presente, Oreundici. Gli Scoiattoli n. 5, ottobre 2014), perché i poteri forti reagirebbero. Ricordiamo cosa disse il vescovo Helder Câmara: “Se do da mangiare a un povero mi danno del santo; se chiedo perché il povero non ha da mangiare mi danno del comunista” (Câmara H., Mille ragioni per vivere, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 8). Superfluo aggiungere che questo vescovo non era apprezzato nelle alte sfere civili e religiose.

[50] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 167ss., con tutti i richiami biblici.

[51] I miti sono storie esemplari che pretendono di dare un significato universale riferendosi a realtà che sono punti chiave dell'esistenza umana. Mitico è perciò ogni racconto proveniente da un lontano passato che, con linguaggio figurato, rinvia a qualcosa d'altro. Cfr. J.A. Estrada, La imposible teodicea, Trotta, Madrid, 22003, 57.

[52]Il serpente inviterà Adamo a non accettare questo limite e, disobbedendo, Adamo penserà di rendersi uguale a Dio, togliendo ogni limite e quindi diventando perfetto e completo come Dio: invece quello che succede è che, anziché diventare come Dio i nostri progenitori si rendono conto della propria fragilità. "Nudo", nella Bibbia, sta a significare senza protezione, come quando Davide affronta Golia (1Sam 17, 38-40). Adamo ed Eva nell'Eden proteggevano questa loro fragilità (nudità) e Dio li aveva messi in guardia, nel senso che se mangiavano il frutto proibito non sarebbero più riusciti a proteggere la loro nudità (fragilità creaturale). È che a noi non piace essere fragili, imperfetti, la consideriamo una condizione di svantaggio e non una condizione di inizio (Marmorini G., Il rischio di esporsi alla vita, "Fraternità di Romena" n.3/2015, 10s.).

[53] Le maschere sono l’annuncio a noi stessi che non siamo liberi (Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 42).

[54] Lohse E., Teología del Nuevo Testamento, Cristiandad, Madrid 1978, 148.

[55]Marmorini G., Il rischio di esporsi alla vita, "Fraternità di Romena" n.3/2015,1 1.

[56] Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – Gaudium et spes – del 7.12.1965, §13.

[57] In Giovanni, ad es., non c’è traccia di quella che è chiamata la dottrina dell’espiazione (caratteristica di Paolo). La Buona Novella per Giovanni non è che noi peccatori siamo stati salvati, non è che Gesù è morto per i nostri peccati. La BN ci dà una nuova visione del significato della vita. Non siamo caduti, siamo semplicemente incompleti. Non siamo chiamati ad essere credenti, ma a superare i nostri limiti e capire cosa significa essere umani (Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013, 215 e 249s.).

[58] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 421s.

[59] Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in internet più siti digitare CM approcci recenti. Richiamo anche quanto detto alla nota 25, perché la salvezza di Gesù non è forse solo quella pensata dall’ex senatore.

[60] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 308s.

[61] Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 98.

[62] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 216.

[63] Ecco (per chi non lo conosce) l’elenco di quello che esce dal cuore dell’uomo rendendolo impuro (Mc 7, 21-22): prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigia, malvagità, frode, lascivia, invidia, calunnia, superbia e stoltezza (vedi l’articolo I peccati secondo Gesù, al n. 485 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-485---30-dicembre-2018/i-peccati-secondo-gesu.

[64] Non sono di questa idea l’art. 344 del Catechismo di Pio X, ed il n.2076 del Catechismo attuale, ove si afferma che Gesù ha confermato la validità perenne di tutti i comandamenti, senza fare accenno all’innovazione portata da Gesù. Vedasi anche di recente Matino G., I beati secondo Dio, “Famiglia cristiana”, n.5/2011, 12: “Benché la Legge antica sia riconosciuta dal Maestro come necessario precetto da seguire, d’ora in poi non sarà la sola Legge a sancire il definitivo patto”. ‘Peccato’ che non si dica dove e quando Gesù ha riconosciuto la perenne validità dei dieci comandamenti. In particolare, dove e quando richiama i primi tre?

[65] Cfr. quanto detto alla nota 33 della risposta sub 12.

[66] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 299.

[67] Maggi A., Cos’è il peccato, incontro di Assisi 2013, in www.studibiblici.it/ Multimedia/audio conferenze.

[68] Ricordate? “Solo nella gerarchia risiede il diritto e l’autorità necessaria per …dirigere tutti i membri… quanto alla moltitudine, questa non ha altro diritto (sic!) che quello di lasciarsi docilmente condurre e quello di seguire i suoi pastori” (Enciclica Vehementer Nos dell’11.2.1906, in http://www.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_11021906_vehementer-nos.html).