L’inverno è passato

di Paola Franchina

Le farfalle allo stomaco, i baci appassionati, la testa fra le nuvole, insonnia, inappetenza: sono solo alcuni dei sintomi dell’innamoramento, esperienza tra le più belle e sconvolgenti della vita. Come cantano Ditonellapiaga e Rettore è una questione di Chimica: ad essere coinvolte sono dodici aree del cervello deputate al rilascio di ormoni. La feniletilamina stimola la produzione di dopamina che provoca la sensazione di essere “su di giri”, i battiti cardiaci accelerati, l’eccitazione, il senso di vertigine e sudorazioni.

Queste percezioni determinano un allentamento nel controllo di noi stessi: la feniletilamina genera effetti simili a quelli provocati dall’assunzione di droghe pesanti o sport estremi. La sensazione di spodestamento da sé può essere avvertita dal soggetto come una minaccia al punto che, in certi casi, si può parlare di vera e propria filofobia, dal greco "φιλος" (amore), e "φοβία" (fobia), ovvero ansia eccessiva e ingiustificata di innamorarsi che si manifesta con sintomi psicologici o somatici. L’amore può far insorgere la paura di perdere il controllo, conducendo l’innamorato oltre i limiti del principio di non contraddizione e del governo dispotico della razionalità.

Nel Simposio, Platone mette in scena un dialogo in cui l’amore svolge la funzione di mediazione metodologica tra il regno di follia e quello della ragione. Lo stesso Eraclito asseriva che l’amore è il regno dell’aporia, della tensione tra il giorno e la notte, tra l’inverno e l’estate. Le emozioni aprono uno squarcio nel caos in direzione di un luogo che sfugge agli angusti confini della razionalità, l’a-topia, per dirla al modo di Socrate. L’amore attrae e insieme spaventa.

Nel Cantico dei cantici, l’iniziativa dell’amato, descritto nel movimento dinamico di saltare sui monti e balzar per le colline, provoca la reazione impaurita della donna, la quale si ritrae spaventata dietro un muro.

8Una voce! L’amato mio!

Eccolo, viene

saltando per i monti,

balzando per le colline.

9L’amato mio somiglia a una gazzella

o ad un cerbiatto.

Eccolo, egli sta

dietro il nostro muro;

guarda dalla finestra,

spia dalle inferriate[1].

Il muro è immagine icastica della paura di affidarsi all’altro nella propria debolezza. Dinnanzi alle resistenze della donna, si dischiude lo spazio dell’attesa, in cui è messa alla prova la pazienza dell’amato e la sua capacità di accogliere i tempi e le insicurezze dell’altro. Sarà la forza della parola a vincere le resistenze. L’amato, con tono rassicurante, sollecita la donna ad abbandonarsi all’amore: non ha senso temere, i pericoli sono ormai lontani.

10Ora l’amato mio prende a dirmi:

«Àlzati, amica mia,

mia bella, e vieni, presto!

11Perché, ecco, l’inverno è passato,

è cessata la pioggia, se n’è andata […]»[2].

Dinnanzi alle parole dell’amato, la pioggia diviene, pian piano, una minaccia lontana.



[1] CC 2,8-9.

[2] CC 2,10-11.