Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Immagine tratta da commons.wikimedia.org










Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


***


8. La scuola materna (esterno)



Niente di meglio per un insegnante delle superiori come il sottoscritto che accompagnare due amici, mentre si recano alla scuola materna del quartiere, per vedere “in azione” i miei futuri alunni. Non entrerò nel merito dei criteri educativi che caratterizzano la scuola materna italiana, non è questa la mia intenzione, ma confesso che, assistendo per una mezz’ora all’uscita dei piccoli alunni mi sono sentito parte di una scena del film “Caro diario” di N. Moretti, quella dove i bambini, nell'isola di Salina – figli unici, se non sbaglio - hanno preso il sopravvento sugli adulti e li costringono ad improbabili imitazioni telefoniche di animali, senza passare la linea agli sprovveduti genitori. Ho visto madri amorevoli attendere con pazienza che i loro figli facessero decompressione, ovvero tornassero in famiglia, da loro li rappresentata, dopo dieci ore di gioco e attività didattico-ricreative, intervallate da un pasto e una breve merenda (sempre che la diano ancora, confesso che non lo so). Per decomprimere i bambini continuavano a giocare fra loro, usando anche i giochi – scivolo, quadro svedese, ecc. - disposti nel giardino recintato della scuola, ma soprattutto si rincorrevano urlando, senza prestare attenzione ai genitori che, esaurite le chiacchiere di rito e pressati da spese e preparazione di pasti serali, volevano condurli via, chi in auto, chi in bicicletta, sugli appositi seggiolini. Più che ripetere – senza molta convinzione per la verità – i nomi dei loro figli, accompagnati da frasi come: “dai, hai giocato abbastanza, andiamo a casa”, i genitori da me osservati, altro non facevano, lasciando i loro figli completamente liberi di rincorrersi, ridere, giocare. Fin qui niente di male, anzi, credo che ai bambini questa decompressione serva eccome, ma penso vada fatta in altro modo. Pochi fra loro entravano in contatto diretto con i figli fin dal primo istante, e soprattutto pochi lo mantenevano, reinstaurando così la corretta relazione genitore – figlio, dove il primo mostra al secondo che gli importa di ciò che ha fatto in sua assenza, ma soprattutto crea da subito distacco con l'ambiente scolastico, riportando il bambino nel seno della famiglia. I genitori che hanno evitato l’approccio diretto e relazionale, lasciando i bambini a sé stessi, mentre loro parlavano con altri adulti, sono rimasti davanti alla materna per una buona mezz’ora, prima di dover usare quel metodo coercitivo che – probabilmente - tanto condannano a parole. Alla fine, i bambini irriducibili, lasciati nel gioco senza far sentire loro il distacco dalla scuola, ed il contemporaneo contatto con il corpo e la voce dialogante di un genitore, sono stati letteralmente presi di peso e caricati sulle biciclette, poiché non mostravano alcuna intenzione di rientrare a casa, o recarsi al supermercato. Sin dalla nascita, ogni bambino soffre di un’innata onnipotenza. Spetta ai genitori mostrare loro fin dove possono arrivare, ed ogni volta che questo non viene fatto si creano danni, il bambino tenderà a diventare autoreferente in tutto, sopporterà male le frustrazioni e soprattutto la pressione, faticosa e ripetitiva, della contingenza, del reale. Certo, sono ancora piccoli, ma non per questo si deve evitare di dar loro orari e scadenze precise, tempi ben modulati e chiari, che abituino alla fatica ed alla ripetitività dell'esistenza. Credo sia bene cominciare sin dalla scuola materna, introducendo poi alle elementari il valore della fatica, del saper godere poi dei risultati raggiunti, come del riposo e dello svago. Attorno a me vedo invece quasi soltanto, adolescenti disposti a percorrere ogni scorciatoia possibile, pur di evitare fatica e frustrazioni. Occorre anche notare come, negli ultimi trent’anni, i media hanno reso bambini ed adolescenti sempre più bersagli pubblicitari, incentivando così la tendenza allo svago, la ricerca di un divertimento “h24”, impossibile da raggiungere nella realtà, in nome del profitto – enorme – di tutto il sistema produttivo ad esso collegato. Non è più lecito parlare di consumismo, ma piuttosto di un tentativo di creare una realtà intrattenente (in inglese suonerebbe: “entertainement reality”), uno spazio vuoto e fittizio, di fatto inesistente, ma verso il quale si tende, che uccide le emozioni in nome degli oggetti. Ma soprattutto crea una profonda incapacità di affrontare la noia, la cara, vecchia e sana - perché ti obbligava a guardarti dentro, che tu lo volessi o no – noia dei bambini del Novecento, barattata con una perenne connessione allo schermo di uno smartphone. Un abuso che tende a cancellare, ad annullare l’Io pensante, emotivo, sostituendolo con stimoli sensoriali del tutto artificiali, che ha di fatto già modificato la percezione dello spazio, la soglia di attenzione e la capacità di comprendere linguaggi meno immediati, ma sicuramente più utili alla formazione del sé, come la parola scritta. Eppure credo ancora che la maggior parte della colpa sia degli adulti. Occorre offrire ai bambini una relazione più costruttiva e severa, che impegni tempo e fatica, anche per gli adulti certo, poiché si educa solo con l'esempio e la coerenza, e allora devono essere prima di tutto gli adulti a spendersi nella relazione, sforzandosi di mettere in campo tutte le loro risorse personali, senza delegare troppo, nemmeno alla scuola, tantomeno ad uno smartphone o ad una playstation. Proviamo anche a lasciare spenta la televisione, la madre dei media invasivi di oggi, almeno qualche sera, sostituendola con passeggiate, chiacchiere e giochi di società – non appena i nostri figli sono in grado di comprenderli, ma soprattutto diamo loro tempi e ritmi precisi, e insegniamogli il valore della fatica.