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Rav Imma e la badessa mitrata

di Stefano Sodaro



abbadessa mitrata del monastero di San Benedetto in Conversano (Puglia) - Stampa inglese del 1850, immagine tratta da commons.wikimedia.org

Madre Aline Pereira Ghammachi, Badessa del Monastero Cristercense di San Giacomo di Veglia - foto tratta da internet


Forse non è così noto che, ancora oggi, nella Chiesa Cattolica, alle Madri Badesse di alcuni monasteri colui che presiede la celebrazione della loro benedizione consegna un vero e proprio bastone pastorale, esattamente identico a quello dei vescovi.

E storicamente vi furono pure Badesse autorizzate ad indossare sul capo la mitria, con piena, assoluta ed indipendente potestà di giurisdizione. Eh già.

Ieri ha ricevuto la benedizione abbaziale dal Cardinale Vicario di Roma il nuovo Abate di Montecassino, padre Luca Fallica, che fu nominato dal Papa alla guida della celeberrima Abbazia, abbazia madre dell’intero universo benedettino, lo scorso febbraio, benché fosse un monaco laico, cioè non prete. Solo successivamente alla nomina papale è stato - o meglio dovette essere - ordinato diacono, quindi prete, e ieri ha ricevuto la benedizione di abate, pur continuando a non essere vescovo.

Una paternità o una maternità la sua?

Ancora: domani ricorrerà un anno dalla morte del nostro indimenticabile don Pierluigi Di Piazza, fondatore del Centro “Ernesto Balducci” di Zugliano, in provincia di Udine, di cui è ora presidente il presbitero triestino don Paolo Iannaccone.

Era padre o madre Pierluigi?

Forse è anche poco noto che Francesco d’Assisi scrisse una Regola Eremitica, nella quale dispone quanto segue: «Coloro che vogliono stare a condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi siano le madri e abbiano due figli o almeno uno. Quei due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due figli seguano la vita di Maria. (...) I figli però talvolta assumano l’ufficio di madri».

In un altro suo autografo, conservato a Spoleto, si legge così: «Frate Leone, il tuo frate Francesco ti augura salute e pace. Così dico a te, figlio mio, come una madre...».

E in una sorta di sua enciclica, nella “Lettera a tutti fedeli”, secondo la prima versione, ai vv. 48-53, scrive pure: «E su tutti quelli e quelle che continueranno a fare tali cose (...) riposerà lo Spirito del Signore, ed egli porrà in loro la sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo; siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre suo che è nel cielo; siamo madri quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri.».

Possiamo anche rivolgere lo sguardo in casa, dentro lo stesso nostro territorio triestino: il nuovo Vescovo, mons. Enrico Trevisi, non ha forse – nel suo sguardo, nel suo sorriso, nella sua disponibilità, nella sua predilezione per la cura, nella sua indefessa apertura di cuore – tratti decisamente materni?

Festa della mamma oggi. Appunto.

Ma chi ha scelto, positivamente, di non essere madre in senso fisico, o chi si è ritrovata a non poterlo essere pur desiderandolo, come e cosa avrà festeggiato? Nulla ed in nessun modo?

E le famiglie omogenitoriali composte, magari, da soli padri o da due madri? E quelle magari poliamorose, composte da più figure genitoriali di riferimento? Si deve abbattere la scure del giudizio morale? Niet? Via da noi? Ma come sarebbe possibile un recinto simile, decisamente più prossimo ad un carcere punitivo? La Comunità Cristiana poi come potrebbe mai mettere davanti alla pastorale una specie di dottrina incoercibile?

Però, non inoltriamoci di più nei territori dell’etica e sconfiniamo invece in quelli dell’estetica. E proviamo a pensare ad un lavoro teatrale – teatrale sì – in cui una regista e/o un’attrice non cristiana accetti di interpretare un ruolo scenico non solo cristiano, ma addirittura ecclesiastico, come quello di un vescovo ad esempio.

Qualche settimana fa abbiamo citato il monologo di Giuliana Musso La fabbrica dei preti, che espressamente prevede la possibilità di una sua recitazione femminile.

Oggi, questa domenica sera, vorremmo segnalare il testo di Michele Santeramo, per le edizioni la meridiana (anno 2017), intitolato Oltretutto. Più vicino a don Tonino Bello.

Possiamo metterci alla ricerca, dunque, di quell’artista – donna –, magari aspirante rabbina, chiedendole se sia disposta a studiare l’effettiva concretizzazione teatrale dei due scritti? Una Rav Imma, per così dire.

E come si vestirà costei? Da prete e da vescovo, sembra pacifico.

Ma né i preti “della fabbrica”, né il vescovo di Molfetta, avevano figli. 

Quindi, quantomeno nel suo ruolo scenico, neppure la nostra dovrebbe farvi alcun cenno, se per paternità intendiamo il legale biologico, l’evento fisico.

E tuttavia don Tonino ci era madre più che mai. 

E benché fosse uscito anch’egli dalla “fabbrica che li produce” – stando alla suggestione di Giuliana Musso -, lasciava trasparire, da tutta la sua testimonianza di vita, un orizzonte completamente nuovo ed inedito, anzi inaudito, di offerta di sé, di entusiasmo, di innamoramento appassionato nei confronti di ogni vita, ogni storia, ogni volto.

Ci serve altro per festeggiare la Festa della Mamma?

Ah, una cosa forse sì: mancherebbe un monologo teatralizzabile per la figura dei diaconi. Qualcuno, qualcuna, può aiutarci? Diaconi madri, naturalmente. Necessariamente diacone, allora? Chissà, forse anche no.

Buona settimana.