Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)







Rubrica quindicinale a cura di Guido Dotti, monaco di Bose


n° 17


OSPEDALE DA CAMPO


Etty Hillesum






di Guido Dotti

Etty Hillesum, 1939, fotografia tratta da commons.wikimedia.org -

Fotograaf Onbekend / Anefo Auteursrechthebbende: Nationaal Archief -

http://www.jhm.nl/Collectie/Zoeken/Detail?id=abc-media_jhm-foto_40004489

Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite


Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, p. 239.



Quando papa Francesco auspica una chiesa “ospedale da campo”, innerva di dimensione evangelica un’istanza tra le più nobili che albergano nel cuore umano: il prendersi cura dei sofferenti e dei deboli o, per dirla con il Messaggio finale della recente Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, “degli ultimi, dei piccoli, degli smarriti (the last, the least and the lost)”.

Etty Hillesum era una donna nutrita di questa sollecitudine, una donna “temprata”, condizione ben distinta dall’essere “indurita”, come lei stessa scrive nel suo diario. Una donna che ha presto imparato “la lezione più difficile: prendere su di me il dolore che mi imponi tu, mio Dio, e non quello che mi sono scelto io”. Del resto, soffrire per donare sollievo agli altri porta con sé il dono di una cura per se stessi: “Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa?”. Che sia questa una delle possibili letture del comandamento di “amare il prossimo come se stessi”?.

Etty era convinta che la cura per ogni essere umano fosse intrinsecamente legata all’aver cura di Dio stesso, una convinzione che suona scandalosa ancora oggi, ma che ci svela il lato tragico dell’incarnazione: “Tu non puoi aiutare noi, siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi … tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”. In altri passi del suo diario, scritto tra gli obbrobri della guerra, questa ricerca di Dio negli uomini assume toni di grande intensità spirituale: “Ti cerco in tutti gli esseri umani e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio”.

Disseppellire Dio! Potrebbe sembrare blasfemo, ma non rimanda forse alla pietra ribaltata e al sepolcro vuoto? Tanto può il prendersi cura del prossimo. E parlare di ospedale da campo in questa nostra nuova tragica stagione di guerra al cuore dell’Europa, significa anche guardare ai nemici come a maestri che loro e nostro malgrado ci aiutano a migliorare noi stessi: “Abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi”.

Sì, non è mai facile, è quasi impossibile “essere un balsamo per molte ferite” ma, come insegna la sapienza dei maestri di Israele: “Non spetta a te compiere l'opera, ma non sei libero di sottrartene" (Pirqè Avot 2,16).




Etty Hillesum (Middelburg 1914 – Auschwitz 1943), nata in una famiglia olandese della borghesia intellettuale ebraica, come tutta la sua generazione vide la propria esistenza sconvolta dalla guerra. Appassionata di psicologia junghiana e paziente di Julius Spier, ne divenne segretaria e amica intima. Nel 1942, dattilografa presso una sezione del Consiglio ebraico, rifiutò di mettersi in salvo e condivise la sorte del suo popolo: il suo lavoro di assistente sociale nel campo di transito di Westerbork ebbe fine con la deportazione ad Auschwitz, dove morì il 30 novembre 1943.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org